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I dati relativi all’analisi della sequenza stratigrafica e dei reperti ceramici discussi in questa sede, come abbiamo già avuto modo di accennare in precedenza (cfr.

2.1), rappresentano un primo passo verso una piena comprensione delle vicende

storiche del sito di S. Croce del Corvo.

D’altra parte, la natura preliminare di questo lavoro non concede, per ovvie ragioni di opportunità e prudenza, di presentare conclusioni definitive, ma ciò non toglie che alcune prime considerazioni possano, e soprattutto debbano, essere tratte. Si tratta di ipotesi di lavoro e, come tali, andranno sottoposte a verifica durante la prosecuzione dell’analisi degli altri settori di scavo, che si spera possa approdare ad una edizione entro tempi brevi.

In primo luogo, malgrado la limitatezza del campione non consenta statistiche di ampio respiro, possiamo notare alcune linee di tendenza nella composizione dei corredi ceramici del sito durante i suoi vari periodi di vita.

Per quello che riguarda il medioevo, in particolare salta subito all’occhio la differenza nel rapporto numerico nelle classi ceramiche tra fase di edificazione della torre e quella successiva di vita. Come già esposto in precedenza i materiali relativi alla fase di cantiere (cfr. 2.2.2.1 Periodo III – fase 1) sono nella quasi totalità brocche prive di rivestimento. La maiolica arcaica di Pisa è del tutto assente nel riempimento delle fossa di fondazione della torre, dove si riscontra invece la presenza di invetriate depurate, prodotte peraltro dalle stesse botteghe pisane in veste di manufatto economico talvolta alternativo a quelli con rivestimento stannifero, in associazione con graffita arcaica tirrenica e invetriata verde su ingobbio di produzione savonese.

Nella successiva fase di vita (cfr. 2.2.2.1 Periodo III – fase 2) le percentuali mutano radicalmente e la maiolica arcaica diviene la classe più diffusa. Sembrerebbe ipotizzabile che, dopo un primo “corredo di cantiere”, con l’istallazione di un presidio nella torre si sia provveduto ad una dotazione di stoviglie di migliore qualità.

Il “corredo di presidio” è caratterizzato da boccali di qualità medio-bassa, destinati ad una ampia distribuzione, e da catini e scodelle della stessa fascia di

49 prezzo1. Predominano i prodotti in monocromia bianca rispetto a quelli decorati ma, in seno alle due classi, il rapporto tra boccali e forme aperte è il medesimo, e cioè 2:1. Sembrerebbe lecito ipotizzare un uso personale dei primi, ed uno comunitario delle seconde, probabilmente adibite a contenitore da cui ogni commensale poteva servirsi con le mani.

Altro elemento da sottolineare è quello della presenza di materiali di

importazione di ambito islamico occidentale (giare e anforacei da trasporto) e di

prodotti savonesi.

Nell’estremo levante ligure, ad un primo esame dei pochi contesti al momento editi, i dati di scavo sembrano evidenziare la massiccia diffusione delle maioliche

arcaiche di Pisa e di altri centri produttivi toscani, mentre le merci savonesi

sembrano quantitativamente inferiori sia in ambito cittadino, che in insediamenti signorili fortificati2. Il dato trova conferma anche in contesti relativi ad insediamenti rurali3.

Si tratta, è bene ricordarlo, di pochi individui e non si vuole certo forzare il dato, ma resta il fatto che si tratti di un indicatore interessane per un presidio fortificato, che non ha certo le esigenze e la disponibilità economiche di un castello signorile con annesso abitato.

Probabilmente l’apprestamento difensivo di Santa Croce beneficia di riflesso della presenza del prospiciente scavo fluviale alla foce del Magra4.

Qui dovevano fare scalo rotte di ambito tirrenico che portavano merci provenienti da tutto il quadrante occidentale del Mediterraneo (Sicilia, Pisa, Genova, Savona, Provenza, Spagna, nord Africa); qui inoltre era presente un raccordo con la

1 Anche la scodella con decoro a raggiera SC’07 721/1, pur essendo un prodotto abbastanza raro anche in contesti meglio approvvigionati, è presente a S. Croce in una versione di seconda scelta con vari difetti di realizzazione.

2 A Sarzana, in ambito cittadino dunque, gli scavi urbani del 1991-2000 hanno portato alla luce un solo frammento di graffita arcaica savonese, a fronte di una massiccia presenza di maiolica arcaica di produzione pisana, cfr. DE VINGO 2001, p. 180-181. Nel castello della Brina i ritrovamenti di graffita arcaica risultano molto ridotti per quello che concerne le campagne di scavo 2000-2003, cfr.

BALDASSARRi et al. 2004, p. 51. 3

STRATTA 2001. 4

Sui porti e gli approdi presso la foce del Magra in epoca medievale e postmedievale, cfr. MANNONI , MANNONI 1983.

50 viabilità terreste da e per l’entroterra padano (Parma, Piacenza, Modena, Reggio)5.

Il rapporto con traffici di questo respiro non sembra cessare nel postmedioevo, quando il sito, abbandonate le prerogative militari, assume funzioni religiose prima con la costruzione della chiesa di Santa Croce e poi con la successiva trasformazione dell’area in luogo di eremitaggio (cfr. 1.3.4).

Infatti, tra i reperti inerenti il periodo, di per sé numericamente scarsi, visto che la torre viene convertita prima in campanile e poi abbandonata perdendo così ogni necessità di stabile frequentazione, spicca la presenza di maioliche policrome di produzione laziale. Si tratta di una classe prodotta a Roma, o in area romana, a partire dal XVI secolo, contraddistinta da un ampia diffusione solo in ambito laziale6. Recenti studi7 hanno posto in evidenza la diffusione in tutto l’ambito tirrenico di questa classe ceramica per il periodo che va dal XVI al XVIII secolo. I dati archeologici e le fonti archivistiche descrivono un fenomeno caratterizzato da attestazioni limitate a siti costieri: Livorno, Elba e Capraia in Toscana; Sassari, Alghero e area del cagliaritano in Sardegna; Savona e Genova in Liguria; Alagoja in Corsica; Provenza e Linguadoca; Calabria.

Si tratta in alcuni casi di ritrovamenti numericamente molto limitati (come ad esempio, a Genova o in Calabria), ma decisamente indicativi di un fenomeno di così ampio respiro.

Saremmo dunque indotti a pensare che probabilmente ancora nel XVI-XVIII secolo, la vicinanza ad uno scalo marittimo permetta ad un sito ormai marginale (cfr.

1.3.3-1.3.4) il reperimento merci di importazione. Il dato inoltre sembra

confermare che all’epoca lo scalo della foce del Magra era ancora inserito nelle rotte commerciali tirreniche.

Infine, vale pena ricordarlo, questo studio, per quanto preliminare e limitato dal punto di vista quantitativo del campione, contribuisce ad ampliare il quadro della conoscenze della ceramica tardo medievale e postmedievale in un area dove, a

5

Ancora alla metà del XV secolo i rifornimenti di sale presso lo scalo, definito dai documenti Portus S.

Crucis, costituivano il 22,5% delle entrate del Ducato di Milano, all’epoca proprietario dell’adiacente borgo di Ameglia, cfr. BORLANDI 1973, pp. 108-173.

6

GÜLL 2003; MILANESE 2008.

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