• Non ci sono risultati.

1)I PRINCIPI GUIDA DEL DIDRITTO DELL’AMBIENTE

IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’

2) CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Concludendo questo lavoro sulla disciplina degli incidenti rilevanti, mi piacerebbe mettere in evidenza la tipicità di quest’ultima nell’applicare i principi generali che guidano il diritto dell’ambiente .

I principi in precedenza analizzati assumono una diversa rilevanza/incidenza in relazione alla materia di volta in volta disciplinata e, infatti, la normativa sugli incidenti rilevanti si pone in relazione con i principi generali del diritto dell’ambiente in modo un po’ particolare.

L’emanazione della direttiva Seveso I ha costituito un punto di svolta nella politica ambientale della Comunità europea che è passata da un approccio di riduzione dell’inquinamento ad uno di prevenzione e protezione dell’inquinamento.

Successivamente sono state emanate le direttive Seveso II e Seveso III che hanno introdotto norme più severe e nuovi obblighi a carico dei gestori degli stabilimenti industriali.

In generale lo scopo della normativa in materia di incidenti rilevanti è quello di prevenire (e se nel caso contenere) gli incidenti negli impianti industriali al contempo adottando varie misure di protezione e informazione della popolazione per assicurarne la sicurezza, prediligendo in tal modo l’azione preventiva rispetto a quella risarcitoria in ragione del fatto che taluni effetti dannosi, ove non siano preventivamente evitati, non sarebbero successivamente riparabili. E’ quindi evidente come siano i principi di

prevenzione e di informazione ad essere messi in atto e ad avere un ruolo di primo

piano in questa disciplina.

A questo proposito è interessante sottolineare come la legge in oggetto, che pur si coordina con altre normative di settore quali quella sul danno ambientale recentemente varata, sacrifichi le applicazioni più evidenti del principio “chi inquina paga”, non predisponendo specifiche norme in merito ai profili risarcitori nonché all’imputazione della responsabilità.

Un incentivo in tal senso può tuttavia essere ravvisato nelle previsioni che impongono il ricorso alle migliori tecnologie disponibili (nel caso Seveso, per il quale vi è una sentenza penale di condanna passata in giudicato, è stato accertato che la produzione di TPC avveniva con sistemi del tutto inadeguati), nella misura in cui l’implementazione tecnologica comporti una riduzione del rischio di inquinamento “internalizzando” in tal modo i costi dello stesso (da segnalare una sentenza della Cassazione Penale del 1999 “L’obbligo giuridico di assicurare un elevato livello di tutela ambientale, con

europeo dalla considerazione del danno da prevenire (principio chi inquina paga) e riparare, alla prevenzione (soprattutto con la VIA), alla correzione del danno ambientale alla fonte, alla precauzione (principio distinto e più esigente della prevenzione), alla integrazione degli strumenti giuridici tecnici, economici e politici per uno sviluppo economico davvero sostenibile che veda garantita la qualità della vita e l’ambiente quale valore umano fondamentale di ogni persona e della società (informazione, partecipazione ed accesso)”. Stando a questa sentenza il ricorso alle

BAT non sarebbe espressione del principio chi inquina paga).

Il principio di sussidiarietà interviene ad affrontare le questioni a livello istituzionale o sociale più vicino alle persone. Gli enti di livello superiore intervengono solamente qualora non sia possibile risolvere i problemi a livello locale.

A livello comunitario l’esigenza della società di partecipazione alle decisioni in merito all’uso del territorio viene assicurata tradizionalmente attraverso l’applicazione del principio di sussidiarietà in virtù del quale le decisioni vengono “allocate” al livello istituzionale o sociale più vicino alle persone, trasferendosi viceversa la possibilità di intervento degli enti di livello superiore laddove la situazione da fronteggiare richieda l’attivazione di procedimenti partecipati.

Proprio nel caso dell’attivazione di impianti che si ritiene possano avere effetti negativi sul territorio, si assiste negli ultimi anni ad una crescente mobilitazione delle popolazioni locali le quali, attraverso queste forme di protesta, rivendicano il proprio diritto alla partecipazione ai processi decisionali. Il termine utilizzato nei paesi anglosassoni per definire questo comportamento sociale si esprime nell’oramai noto acronimo NIMBY ( Not In My Back Yard – “Non nel mio cortile”).

Proprio per superare queste contrapposizioni tra le istituzioni e il territorio, l’Unione europea ha previsto/elaborato un approccio basato sulla così detta democrazia partecipativa attraverso il coinvolgimento del cittadino in ogni fase del procedimento decisionale, creando le condizioni affinché tutti possano accedere alle informazioni ed esprimere il proprio convincimento.

A questo proposito si evidenziano nell’impianto normativo dedicato alla materia degli incidenti rilevanti le norme che applicano il principio dell’informazione (notifica, rapporto di sicurezza, piano di emergenza esterno ed interno).

Tale principio nasce dalla consapevolezza della necessità di garantire la conoscenza tempestiva da parte di tutti i soggetti coinvolti, di informazioni che risultino continue,

complete, obiettive, affidabili, e comprensibili (la sintesi non tecnica che sottolinea che la comprensione è un requisito essenziale della partecipazione) in ordine ai problemi, ai pericoli, alle decisioni e più in generale alle strategie in materia ambientale.

In generale, una via comunemente adottata dalle Pubbliche Amministrazioni è quella di avviare la progettazione e comunicare il più tardi possibile alla cittadinanza la decisione assunta. Anche per questo modo di procedere è stata coniata una sigla: sindrome DAD ossia Decisione, Annuncio, Difesa. Questo metodo preclude il coinvolgimento della popolazione locale la quale, non potendo intervenire nella fase progettuale, non viene fatta partecipe delle scelte riguardanti la localizzazione del sito o la tecnologia che verrà utilizzata nell’impianto. A fronte dell’opposizione dei cittadini in una fase oramai successiva all’approvazione del progetto non sarebbero neppure ipotizzabili margini di negoziazione in merito alle questioni più significative, potendosi immaginare solamente forme di compensazione alle comunità locali se non addirittura compromettere la realizzazione dell’opera. Il problema quindi diventa quello di stabilire a quale stadio va inserito il momento partecipativo o concertativo. In sintesi l’apertura del processo partecipativo dovrebbe avvenire in un momento in cui almeno alcune delle alternative sono ancora disponibili.

In merito alla normativa in esame la disposizione che viene in riferimento è l’art. 23 che concepisce una partecipazione già nella fase dell’elaborazione progettuale, da esercitarsi nell’ambito o dell’attività di pianificazione del territorio, oppure nell’ambito della disciplina sulla valutazione di impatto ambientale. Con riferimento alla scelta degli interlocutori da interpellare, la norma parla genericamente di “popolazione interessata”, mostrando di voler coinvolgere il maggior numero di persone a prescindere dal fatto che siano organizzati in gruppi portatori di interessi. La scelta della dinamica partecipativa spetterà alla singola amministrazione interessata. Sino ad oggi la prassi si è indirizzata verso forme di partecipazione c.d. “non strutturate” – le classiche assemblee – tuttavia sono in corso studi ed applicazioni concreti di nuovi metodi di approccio c.d. “strutturato” che comportano un certo lavoro preparatorio finalizzato a predisporre delle regole di accesso e di partecipazione per evitare che la discussione possa protrarsi all’infinito e degenerare.

Nell’ottica di un rapporto di collaborazione piuttosto che di opposizione, si collocano inoltre i principi di corresponsabilità e cooperazione che sono altresì espressione del riconoscimento di un ruolo attivo di tutte le parti in causa.