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Considerazioni pedagogiche sul costruttivismo di Nelson Goodman

Cristian Celaia

Liceo Classico “F. Vivona”

Via della Fisica, 14 00144 Roma [email protected]

Abstract

Pedagogical considerations on Nelson Goodman’s constructivism This article analyses some of the most relevant theories by Nelson Goodman (such as nominalism, irrealism, the renunciation to the de-termination of classes and constructivism) in order to show how much current educational research owes to his radical constructivism. Besides considering some epistemological issues that pertain to the field of edu-cation theory, my argument will sketch some consequences of adopting a strict constructivist approach in education, an approach that is con-sistent with Goodman’s philosophical principles.

Keywords: Nelson Goodman, Constructivism, World versions, Episte-mology.

Resumen

“Versiones del mundo” y constructivismo. Consideraciones pedagógi-cas sobre el constructivismo de Nelson Goodman

El ensayo analiza algunas de las teorías más significativas del filósofo analítico Nelson Goodman (el nominalismo, la renuncia al cálculo de las clases, el irrealismo y, sobre todo, el constructivismo). El objetivo es destacar la deuda teórica que la investigación pedagógica actual contra-jo con el constructivismo radical. En el estudio, además de referirse a cuestiones epistemológicas relativas a la pedagogía, se intentará exami-nar las consecuencias pedagógicas derivadas de la adopción de un pun-to de vista explícitamente constructivista, coherente con las premisas filosóficas de Goodman.

Cristian Celaia

Palabras clave: Nelson Goodman, Constructivismo, Versiones del mundo, Epistemología.

1.

La ricerca pedagogica attuale, italiana e internazionale, si fonda spesso su una gnoseologia e una epistemologia di orientamento “costruttivista” ed ermeneutico. La pedago-gia e la pratica educativa, si legge sempre più spesso nelle pubblicazioni specializzate del settore, hanno a che fare con la “costruzione di significati” o, per chi sottolinea l’aspetto sociale e cooperativo di questa impresa, con la loro “co-costruzione”. Di solito queste espressioni si tro-vano inserite in un contesto in cui si fa riferimento da un lato alle determinanti culturali, dall’altro all’insegna-mento-apprendimento dei principali sistemi simbolici at-traverso il cui uso dovrebbe avvenire questa costruzione di significati e di conoscenze nella mente delle persone.

Il problema è che all’uso di queste espressioni, dive-nute ormai dei luoghi comuni, spesso si associa l’igno-ranza delle correnti di pensiero e degli autori che le hanno prodotte e una conseguente, e ancor più negativa, incapaci-tà di comprendere quali sono gli esiti teorici e le ricadute sulla pratica educativa. Infatti il costruttivismo si porta dietro un apparato concettuale poderoso e, nella sua forma più estrema, ha esiti teorici destabilizzanti come la rinun-cia all’ontologia delle classi, il nominalismo, l’“irrea-lismo” e la convinzione che non esista una differenza netta tra le discipline scientifiche e quelle artistiche.

Per questa ragione credo sia utile esaminare alcune delle principali teorie del filosofo americano Nelson Goodman (1906-1998), uno dei più importanti filosofi del

‘900, sostenitore di una forma estrema di costruttivismo.

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63 Egli, formatosi nell’Università di Harvard e divenuto, poi, docente in questa università, è stato uno degli esponenti di spicco della filosofia analitica americana, anche se la sua posizione teorica progressivamente assunse un atteggia-mento critico nei confronti di molte delle tesi tipiche del movimento. Infatti la sua filosofia si presenta come il ten-tativo “di impostare una teoria generale dei simboli [ossia come] una ricerca sistematica sulle varietà e sulle funzioni dei simboli”1, comprendendo sotto la parola simbolo cose come “lettere, parole, testi, quadri, diagrammi, mappe, modelli e così via”2. Per tale ragione gli interessi e i contri-buti teorici di Goodman, che è stato anche il direttore di una galleria d’arte a Boston, spaziano dalla logica (contro-fattuali, induzione) all'ontologia (irrealismo), dall’episte-mologia all'estetica.

Inoltre, fatto di grande rilevanza pedagogica, nel 1967 è stato il fondatore, e per dieci anni responsabile, del "Pro-ject Zero" presso la Harvard Graduate School of Educa-tion. Tale progetto, in cui gli interessi artistici, filosofici e pedagogici di Goodman si sono integrati in una prospetti-va interdisciplinare, aveprospetti-va come obiettivo l’indagine delle modalità di formazione della conoscenza e delle strategie di apprendimento in ambito artistico e chiamava ad un confronto “sperimentale” studiosi di diverse prospettive concettuali, metodologiche, sensibilità filosofiche ed arti-stiche. Nel 1977 la direzione del progetto è passata al col-lega ed amico Howard Gardner, che ha accentuato l’impe-gno pedagogico sperimentale del gruppo di ricerca. La teoria delle intelligenze multiple di Gardner, sviluppata nei primi anni Ottanta e largamente condivisa dagli studiosi di ambito psico-pedagogico, si è sviluppata proprio nel con-testo del progetto e ha evidenti debiti teorici nei confronti del costruttivismo e della teoria dei simboli di Goodman.

1 Cfr. Nelson Goodman, I linguaggi dell’arte, Milano, Il Saggiatore, 2003, p. 5.

2 Ibid., p. 5.

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Anche lo psicologo Jerome Bruner, che come Gardner ha preso parte al gruppo di ricerca del “Project Zero”, ha ri-conosciuto il suo debito teorico nei confronti, non solo di Vygotskij e della scuola storico-culturale russa, ma anche del costruttivismo di Goodman3. Infatti l’epistemologia di fondo su cui Bruner ha fatto poggiare le sue teorie psico-logiche è proprio il costruttivismo radicale di Goodman.

Senza tale fondamento epistemologico risulterebbero inso-stenibili e poco comprensibili alcune delle sue teorie più affascinanti come l’idea che la letteratura permette una

“congiuntivizzazione del reale” e la costruzione di “nuovi modi di dare senso al mondo”, come il ruolo centrale asse-gnato al pensiero narrativo sia sul piano gnoseologico sia per l’apprendimento del linguaggio e, soprattutto, come l’equivalenza formale stabilita da Bruner tra il modo in cui si interpreta una storia e il modo in cui i diversi membri di una cultura si appropriano in maniera peculiare di questa stessa cultura.

È abbastanza facile dimostrare che, in Italia e nel mondo, da quasi quaranta anni le teorie di Gardner e di Bruner rappresentano un imprescindibile punto di riferi-mento per tutti coloro che si interessano di educazione e di pedagogia. Perciò appare incomprensibile e, per certi ver-si, imperdonabile il fatto che la filosofia di Goodman, al-meno nel nostro Paese, non abbia ricevuto l’attenzione e il rilievo che merita in ambito pedagogico. Infatti le brevi notazioni precedenti bastano da sole a giustificare la ratio di questo breve scritto e a evidenziare l’importanza che il costruttivismo di Goodman, dagli anni Ottanta in poi, ha avuto per la riflessione pedagogica.

3 Cfr. Jerome Bruner, La mente a più dimensioni, Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. 115-130.

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65 2.

La filosofia di Goodman si inserisce, e per certi versi anti-cipa, alcuni temi specifici della così detta “svolta linguisti-ca”, ossia di quella posizione filosofica che fa del linguag-gio “’l’orizzonte intrascendibile’ di ogni nostra esperienza conoscitiva o esistenziale”4; non di meno il suo punto di vista si caratterizza per una spiccata originalità teorica, che lo porterà a scontrarsi con la maggior parte degli autori (analitici e/o continentali) che sostengono questa stessa intrascendibilità del linguaggio. Infatti Goodman ricono-sce, con Willard Van Quine5 e Paul Feyerabend, l’impos-sibilità di distinguere tra proposizioni analitiche e sinteti-che6, e il carattere costruttivo di ogni tipo di conoscenza che si origina sempre a partire da un quadro di riferimento che seleziona i “dati”. Infatti i dati esistono solo all’interno delle teorie e la stessa percezione è il risultato di presuppo-sti categoriali, linguipresuppo-stico-simbolici e abitudini, presenti a priori e/o dati da certe strutture sintattico-semantiche

ine-4 Franco Brioschi, Introduzione, N. Goodman, I linguaggi dell’arte, Il Saggiatore, Milano, 2008, p. VIII.

5 Quine è stato amico e collega ad Harvard di Goodman, con lui col-laborò attivamente, condividendo interessi di studio e la formazione analiti-ca.

6 A questo riguardo Goodman ha ideato un nuovo tipo di paradosso dell'induzione, che prende il nome di “paradosso di Goodman”. Il paradosso mette in crisi la nozione neopositivistica di giustificazione empirica delle teorie, mostrando come il linguaggio e la componente pragmatica della ricerca intervengano nel processo di “verifica” empirica. Infatti immagi-niamo di aver visto fino al momento t solo smeraldi verdi e di aver conclu-so, induttivamente, che “tutti gli smeraldi sono verdi”. L’errore dell’em-pirista sta nel non rendersi conto della pervasività del predicato “verde”.

Infatti se decidessimo di chiamare “blerdi” gli smeraldi verdi osservati fino ad ora e tutti quelli futuri che dovessero essere sia verdi sia blu, allora tutti gli smeraldi già esaminati saranno contemporaneamente “verdi” e “blerdi”.

In altre parole non si potrà stabilire il loro essere “verdi” o “blerdi” solo in base all’osservazione. Questo significa che l’utilizzabilità di un predicato piuttosto di un altro ai fini della previsione dipende dal grado di “incorpora-zione” del linguaggio, che ne permette la proiettabilità nel futuro.

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renti allo stesso sistema simbolico in uso. La percezione, la categorizzazione, le teorie scientifiche sono il risultato di altrettanti modi di selezionare gli eventi, che a loro volta sono il risultato di quadri mentali di riferimento e di senso, che a loro volta sono prodotti da sistemi simbolico-concettuali e abitudini percettive.

Fino agli anni Cinquanta tali posizioni teoriche di Goodman coincisero con quelle di Quine, soprattutto nel propugnare un tipo di nominalismo che Goodman chiamò

"super-estensionalismo”. Il distacco teorico tra Goodman e Quine si accentuò nel corso degli anni Sessanta e Settanta e si consumò definitivamente con la pubblicazione nel 1978 di “Vedere e costruire il mondo”. La recensione di Quine a questo testo fu piuttosto critica; egli infatti, pur persuaso che i “dati empirici” esistono solo in relazione alle “teorie” di riferimento, sostenne che il realismo onto-gnoseologico è l’unica posizione sostenibile e attaccò riso-lutamente l’irrealismo e il costruttivismo radicale cui era giunto il collega.

Infatti Goodman ritiene che il mondo, in senso lette-rale, è una nostra costruzione e che non c’è una realtà più fondamentale di altre o un dato primitivo cui riferirsi per valutare la verità ultima delle nostre teorie o credenze.

Inoltre, dato che i sistemi simbolici e le regole di combina-zione e di costrucombina-zione di questi ultimi sono molteplici e che si può sempre crearne di nuovi in base a quadri teorici e scopi diversi, ne consegue che esisteranno tanti mondi quanti sono i sistemi simbolici, le intenzioni e i quadri ca-tegoriali-normativi di riferimento.

Si tratta ora di capire come questa concezione possa conciliarsi con il nominalismo e l’estensionalismo di Goodman. Prima di tutto egli rifiuta categoricamente ogni tipo di teoria essenzialistica della realtà; in altri termini, a suo avviso, l’ontologia deve fare a meno del “platonismo”.

Se è vero che ogni discorso sensato deve farsi carico di un certo “impegno ontologico” che presuppone l’esistenza di

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67 ciò di cui si sta discutendo, ciò però non impegna ad as-sumere come esistenti le proprietà che caratterizzano un certo ente. In altre parole se si parla di gatti devo presup-porre che esistano tali animali ma non la “felinità”, ciò significa che in ambito scientifico e teorico bisogna rinun-ciare definitivamente al calcolo delle classi e accettare il principio dell’“identità degli indiscernibili”. La nozione di classe infatti, dato che si determina in base alla proprietà che la costituisce (la platonica “felinità”), implica che due classi possano essere diverse anche se il loro contenuto è identico. Una simile ambiguità semantica, sostiene Good-man, è fonte di errori teorici e di confusione concettuale imperdonabili sul piano della ricerca scientifica che deve essere evitata con tutti gli strumenti logici in nostro pos-sesso. Ecco perché egli propende per un estensionalimo estremo che afferma che due classi che hanno gli stessi elementi sono la stessa classe, prescindendo dal fatto che possano essere definite in modi diversi, sulla base di pro-prietà differenti; anzi lo stessa nozione di classe e di “in-tensionalità” va messa da parte. Ciò significa che il nostro impegno ontologico può riguardare solo gli individui e che, come insegna “il rasoio di Ockham”, non è mai op-portuno moltiplicare gli enti da spiegare come avviene con il “platonismo” sul piano ontologico e con il calcolo delle classi sul piano logico-gnoseologico ed epistemologico.

Il fatto che siano ammissibili solo individuo non comporta però la proibizione di intendere per individui tutto ciò che si vuole, ossia anche entità astratte e plurali, ciò che viene assolutamente negato e che tali entità possa-no moltiplicarsi attraverso il calcolo delle classi o che ab-biano una valenza semantica ambigua. Per esempio si può fare un discorso sulla “democrazia”, riferendosi ai vari regimi democratici storicamente esistiti o tipizzandola in maniera astratta; ciò che non si può fare è “entificare” il termine, farlo diventare una proprietà sussistente,

moltipli-Cristian Celaia

cando così le sue sottoclassi e rendendo semanticamente ambiguo il termine.

Il nominalismo e l’estensionalismo radicali di Good-man sono funzionali ad un tipo di ricerca scientifica (e non solo) che faccia della precisione terminologica e dell’analisi dei processi dimostrativi il nucleo fondante delle teorie sostenute.

Si può solo immaginare cosa accadrebbe se tali restri-zioni fossero applicate alla ricerca pedagogica: in buona parte il verbalismo, la retorica, l’ambiguità e l’incon-sistenza teorica di gran parte della ricerca in questo campo verrebbero cancellati, a mio avviso con grande giovamen-to per la disciplina stessa. Inoltre, contrariamente a quangiovamen-to si potrebbe pensare, non verrebbero compromessi gli aspetti utopici, etici e persino metafisici del discorso peda-gogico, mi riferisco alla filosofia dell’educazione, purché si rispettino i principi di economicità e di precisione termi-nologica e si rinunci al calcolo delle classi.

3.

Goodman, come si è detto, intende la parola “simbolo” in una accezione ampia, tale da indicare e comprendere entità molto diverse tra loro. Un sistema simbolico è uno stru-mento di cui ci serviamo per costruire, conoscere e com-prendere i mondi. Una caratteristica essenziale dei simboli è la metaforicità: essi, infatti, non rinviano ad altre realtà precostituite, non sono referenziali, essendo la referenziali-tà una loro caratteristica secondaria, ma istituiscono e fab-bricano la realtà stessa. I simboli sono anche contingenti, nel senso che in loro non è sempre possibile stabilire la distinzione tra forma e contenuto (cosa che invece Quine ritiene possibile) per cui a seconda dei contesti possono assolvere diverse funzioni di significazione e/o, addirittu-ra, perdere la loro funzione simbolica di comprensione e di costruzione della mondo-versione. I simboli, infatti, e il

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69 linguaggio in particolare, trovano il loro significato solo in relazione ad un certo contesto di significazione. Il linguag-gio, poi, costituisce una struttura “olistica” in cui significa-to, significante e referente sono in rapporto dinamico tra loro e continuamente in evoluzione (sincronica e diacroni-ca). Tale struttura, in cui è possibile determinare anche rapporti verticali (inclusione generale-particolare) e oriz-zontali (confini mai certi e sempre labili con altri significa-ti e sensi), è relata ad un certo contesto (evensignifica-ti o altri sim-boli).

In questa prospettiva cade ogni pretesa metafisica di una realtà vera e ultima, ossia di un mondo originario che, in ossequio alla concezione di verità come corrispondenza, funge da fondamento di significazione e di verità. Good-man a tale proposito parla esplicitamente di “mondo-versioni” (world-version)7 che, costruite per vari scopi, possono essere a loro modo corrette e coerenti, ossia “ve-re” sotto dati presupposti. Perciò neanche il mondo de-scrittoci dai fisici è quello originale, né può considerarsi

“vero”, perché la scienza stessa utilizza paradigmi e pre-supposti teorici per costruire le sue mondo-versioni.

In questo senso il “costruttivismo radicale” di Good-man tende a sfumare la differenza tra conoscenza scientifi-ca e artistiscientifi-ca perché, dal suo punto di vista, l’arte esempli-fica in maniera evidente il modo stesso in cui il pensiero si rapporta al mondo, o meglio, ai mondi che costruisce.

L’arte è un’attività cognitiva e di conoscenza non meno che l’impresa scientifica e qualsiasi dicotomia tra conosce-re e senticonosce-re, cognizione ed emotività è insostenibile perché

7 La traduzione di “world-version” è stata spesso resa in italiano con

“versioni del mondo”, ma, come sottolinea Achille Varzi nella prefazione a

“Vedere e costruire il mondo”, una simile interpretazione è ambigua e fuorviante perché può sottintendere che esista una versione del mondo ontologicamente più reale delle altre, mentre per Goodman tutte le mondo versioni hanno pari dignità ontologica e possono essere corrette contemporaneamente.

Cristian Celaia

non tiene conto del fatto che qualsiasi sistema simbolico, anche quelli ideati dall’arte, ha la funzione di costruire e comunicare socialmente e individualmente una realtà, una

"mondo-versione”. Il concetto di verità, inteso come corri-spondenza, che si vuole far valere in assoluto, prescinden-do e trascendenprescinden-do i limiti dei quadri di riferimento lingui-stico simbolici, ossia in modo extra-simbolico, è inaccet-tabile, proprio perché le stesse entità materiali e fisiche esistono solo all’interno di ben determinati quadri norma-tivo-concettuali-teorici e canoni di accettabilità scientifica che sono sempre orientati e costruiti sulla base di quello stesso linguaggio e simbolizzazione.

Il pensiero opera in modo estremamente libero e "plu-ralistico". Esso infatti costruisce i propri concetti, le pro-prie mondo-versioni da un lato in rapporto ai propri fini e interessi, dall'altro in rapporto ai propri contesti e riferi-menti categoriali-normativi, anche perché il suo obiettivo è non tanto (o non necessariamente) la "costruzione" della verità quanto quella del senso. Goodman, a tale proposito, accettando e facendo sua la concezione pragmatista di ve-rità e ispirandosi esplicitamente a Dewey, sottolinea che il criterio di valutazione delle mondo-versioni non può e non deve ridursi solo alle valutazioni vero/falso, perché tale criterio a volte appare limitativo e incongruo per giudicare la complessità del reale.

Infatti esistono altri criteri di valutazione delle versio-ni del mondo (rilevanza, efficacia, utilità, semplicità), al-trettanto efficaci, funzionali e “vincolanti”, a cominciare da quello (nuovamente di ascendenza pragmatista) di "ap-propriatezza" o " congruenza ". Tale congruenza può esse-re a sua volta "interna" o "esterna". E' interna quando ri-guarda il rapporto tra una versione del mondo e ciò a cui essa si riferisce. La "congruenza" è invece "esterna" quan-do riguarda il rapporto tra diverse versioni del monquan-do. Su questo Goodman ha cura di sottolineare che non ogni ver-sione del mondo è compatibile con qualsiasi altra: la

que-Considerazioni pedagogiche sul costruttivismo di Nelson Goodman

71 stione della compatibilità, formale e sostanziale, tra le va-rie versioni del mondo costituisce anzi un ambito di inda-gine di grande rilievo.

Un mondo originale, più vero e fondamentale, scevro da presupposti e pregiudizi, uno sguardo ingenuo non in-frastrutturato è impossibile. In questo senso si può anche dire che i mondi non solo vengono fabbricati, ma ci ven-gono dati, perché i quadri concettuali di riferimento, il lin-guaggio e i simboli che li costituiscono, vengono appresi già nell’esperire il mondo che costruiscono, ossia sono a priori dell’esperienza in senso kantiano.

È bene precisare che oltre a sostenere un radicale anti-realismo (ogni mondo è un mondo costruito) Goodman professa un non meno radicale anti-idealismo; egli respin-ge, cioè, la posizione secondo cui la realtà sarebbe null'al-tro che una versione concettuale riassumibile nella nota affermazione di Schopenhauer: “il mondo è una mia rap-presentazione”. Le idee stesse di mente, io e sé sono anche esse, come già Nietzsche aveva intuito, il prodotto di una presupposizione simbolica e concettuale, ossia di un qua-dro interpretativo di riferimento ben preciso.

L’assunzione cartesiana del “cogito” è ingenua per-ché non tiene conto del fatto che noi pensiamo a noi stessi e, in senso pregnante, costruiamo la nostra individualità, ci viviamo e rappresentiamo i nostri vissuti, sempre sulla base di qualche cosa che “ci è dato”, intendendo con que-sto “dato” non solo il nostro corpo e la nostra particolare struttura genetico-caratteriale, ma il linguaggio, la cultura, i sistemi di simboli e i modi socialmente condivisi e

L’assunzione cartesiana del “cogito” è ingenua per-ché non tiene conto del fatto che noi pensiamo a noi stessi e, in senso pregnante, costruiamo la nostra individualità, ci viviamo e rappresentiamo i nostri vissuti, sempre sulla base di qualche cosa che “ci è dato”, intendendo con que-sto “dato” non solo il nostro corpo e la nostra particolare struttura genetico-caratteriale, ma il linguaggio, la cultura, i sistemi di simboli e i modi socialmente condivisi e

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