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Cosa il competitive debate può apprendere dalle critiche umanistiche alla disputatio

Matteo Giangrande

Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara Via dei Vestini, 31 66100, Chieti (CH) matteo.giangrande@unich.it

Abstract

What the competitive debate can learn from humanistic critiques of disputatio

The current form of the «competitive debate» among students is the latest figure in the American evolution of the British disputational tradition of the modern era. Assuming that the perspective of the humanist critics of the disputation could be useful in highlighting some didactic dangers that certain modalities and circumstances of application of the «disputatio» could produce, we have focused our attention on the criticisms of tendence to spectacularisation, abso-lutization, bellicosity and eristics addressed by Juan Luis Vives to the disputing practices of his time.

Keywords: competitive debate, disputation, humanism, Vives, eris-tics.

Resumen

Lo que el debate competitivo puede aprender de las críticas huma-nistas a la disputatio

La forma actual del «debate competitivo» entre estudiantes es la última manifestación en la evolución americana de la moderna tra-dición erística británica. Asumiendo que la perspectiva de los críti-cos humanistas a la práctica del debate puede ser útil para destacar determinadas implicaciones didácticas que ciertas modalidades y circunstancias de aplicación de la «disputatio» pueden producir, el presente estudio se centra en las críticas a la tendencia a la especta-cularización, la absolutización, la belicosidad y la erística dirigidas por Juan Luis Vives a las prácticas disputacionales de su tiempo.

Matteo Giangrande

Palabras clave: debate competitivo, disputa, humanismo, Vives, erística.

1. Competitive debating e storia moderna della disputa Sebbene il World Schools Debating Championships, generalmente considerato il campionato del mondo di dibattito per studenti di scuola superiore, abbia visto nel 2020, nonostante la difficoltosa situazione generatasi in conseguenza della pandemia, la partecipazione di 72 rappresentative nazionali, di cui 45 di paesi in via di sviluppo1, è indubbio che la diffusione globale del com-petitive debate sia in parte guidata dai paesi del Com-monwealth britannico: lo attestano indirettamente sia il nucleo originario delle nazioni partecipanti alle prime edizioni del WSDC2, sia l’assenza nell’albo dei vincitori di paesi non anglofoni3. Questo elemento nutre i pregiu-dizi nei confronti della pratica di una parte dei profes-sionisti dell’educazione, i quali contestualmente ne rie-vocano e ne rivendicano l’origine classica. Ora, se sem-brano non esserci dubbi, così come non ve ne erano du-rante l’apogeo della scolastica, sulle potenzialità e la bontà dello strumento in sé della disputa come metodo di educazione alla dialettica, alla retorica e ad una ricer-ca cooperativa della verità, riteniamo che non debba

1 Dati estrapolati dal documento “Division + Registration Update”

disponibile sul sito www.wsdcdebate.org/championship.

2 Sulla storia del World Schools Debating Championships si veda M.

Giangrande, Le regole del Debate. Guida ai protocolli per coach e debater, Milano, Pearson, 2019, pp. 29-31.

3 L’ineliminabile unfairness del linguicismo, sebbene mitigata dal modo in cui le rubriche di valutazione del dibattito internazionale sono costruite, costituisce la migliore obiezione ai tentativi di comprendere concettualmente l’attività dibattimentale a livello internazionale come una attività “sportiva”.

Competitive debate e critiche umanistiche alla disputatio

37 essere trascurato, da un punto di vista di pedagogia cri-tica, il modo in cui esso viene adottato e le circostanze nelle quali viene applicato per finalità educative. La no-stra prospettiva metodologica è che per criticare effetti-vamente il competitive debate come dispositivo educa-tivo occorra giovarsi dello sguardo decentrato che offre lo studio della genealogia e dello sviluppo storico della pratica, occultato dalla sua odierna forma predominante.

In questo contribuito, da un lato, mostriamo la de-rivazione dell’anglofono, quanto globale, competitive debate nella sua forma attuale dalla forma che la dispu-tatio assume in età moderna in Europa; dall’altro, indi-chiamo in un significativo rappresentante della cultura umanistica europea, Juan Luis Vives, spunti di riflessio-ne critica sul presente.

In Europa la disputa declina sia come metodo di in-segnamento che di ricerca quando, con la République des Lettres e l’Illuminismo, dapprima in Francia e In-ghilterra, il centro della vita intellettuale si sposta dal-l’Università ai salotti eruditi e alle accademie scientifi-che4. In America, invece, nei colonial chartered colle-ges le attività di dibattito registrano una forte diffusione, dando vita, a partire dalle ultime decadi dell’Ottocento, a competizioni tra prestigiosi circoli universitari e

4 Tale affermazione è relativizzabile per l’Europa mediterranea: sia in considerazione della diffusione della rete di istituti di educazione gesuitici, sia più in generale per la persistenza ottocentesca della pratica nell’inse-gnamento della filosofia nei Licei. Su questo aspetto si consideri l’attestazione, poco indagata, presente nei manuali di filosofia “ad uso delle scuole secondarie”, ad esempio, di Giovanni Lichtenfels (Milano, 1845), di Baldassarre Poli (Padova, 1844), di Giambattista Peyretti (Torino, 1856), di Pier Antonio Corte (Torino, 1862), che descrivono le diverse forme della disputa sia rispetto al suo scopo sia rispetto al suo processo e “come istruire” impiegandola come metodica eterodidattica. Sulla funzione della assidua presenza della disputatio e delle conclusiones nella ratio studiorum dei gesuiti si veda G. P. Brizzi, La formazione della classe dirigente nel Sei-Settecento, Bologna, Il Mulino, 1976, pp. 203-204.

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all’istituzione della Forensics come disciplina5. Proprio in considerazione del fatto che l’attuale competitive de-bate deriva direttamente dalla storia americana della disputa è cruciale studiarne l’evoluzione. Essa è stata descritta in quattro fasi6: prima della comparsa dell’in-tercollegiate debating, come ultima forma della evolu-zione della disputa in America, abbiamo la disputa pra-tica all’interno delle literary societies, che è alimentata da interessi specificatamente politici, e la forensic di-sputation, che sorge nell’ambiente accademico con il declino dell’utilizzo del latino a partire dall’inizio del XVIII secolo. Quest’ultima viene preceduta, come mo-dello originario, dalla disputatio “scolastica”. Sin dal 1642 Harvard prescriveva dispute sillogistiche in latino come esercitazione per le arti liberali con cadenza set-timanale per tutti gli studenti. Poiché il programma di studi di Harvard segue il modello dei colleges puritani di Cambridge, o più in generale ricostruisce nelle nuove terre il patrimonio culturale conosciuto in Inghilterra, sin dalle origini la pratica della disputa in America altro non fa che replicare quanto era prescritto negli statuti delle università europee nella prima età moderna: eser-citazioni nell’ars obligatoria, dispute scolastiche anche come solenni cerimonia d’esame. Ciò è confermato non solo dai libri di testo impiegati - gli Rhetorices Elemen-ta di William Dugard, l’Indice Rhetoricus di Thomas Farnaby e soprattutto le Dialecticae institutiones di Pie-tro Ramo – ma anche dalle procedure adottate nella di-namica tra respondens e opponens7.

5 Per una storia delle attività di speech and debate in America si veda M. Bartanen - R. Littlefield, Forensics in America: A History, Lanham, Md, Rowman and Littlefield, 2014.

6 L’unico riferimento è D. Potter, Debating in the Colonial Chartered Colleges. An Historical Survey, 1642 to 1900 New York, Columbia University Press, 1944.

7 Ibid., pp. 4-14.

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39 Storicamente la pratica universitaria della disputa ha avuto come contrapposizione dialettica nella batta-glia delle idee, in particolare tra la fine del XV e l’inizio dell’XVI secolo, la nuova cultura umanistica. Questa, a partire dal Valla della Repastinatio dialectice et philo-sophie, prevedeva nel suo programma, per la parte de-costruttiva, l’attacco alla logica terministica della scola-stica e alla tradizione sofiscola-stica e occamista inglese, bol-lando come frivoli giochi i “litigiosi” tornei dialettici in uso a Oxford e Cambridge. E, per la parte costruttiva, la produzione di nuovi manuali per esporre una dialettica meno formalistica e in grado di accogliere elementi di retorica e la valorizzazione del dialogo per conciliare le contraddizioni. Dalla nostra prospettiva, studiare stori-camente le critiche umanistiche alla disputa rinascimen-tale permette anche di avere uno sguardo “concretamen-te critico” sul deba“concretamen-te come metodologia didattica d’a-vanguardia per il nostro secolo, nonché esporre pragma-tici moniti didatpragma-tici, senza rinunciare agli aspetti pro-gressisti che il dispositivo della disputa in sé contiene.

Nell’attuare tale operazione scegliamo di analizzare alcuni contributi di Juan Luis Vives, figura interessante in quanto sembra manifestare un volto ancipite nei con-fronti della disputa: da un lato, lo sferzante sarcasmo contro le “barbare” dispute sofistiche del parigino Col-legio di Montaigu esposto in Adversus pseudodialecti-cos (1519); dall’altro, la redazione di innovativi trattati sull’ars inveniendi et disputandi, il De instrumento pro-babilitatis e il De disputatione (1531). Tuttavia, l’e-sposizione dettagliata della posizione vivesiana sulla disputa richiederebbe lo spazio di una monografia. Qui ci limiteremo a commentare soltanto il capitolo VII del libro primo del De causis corruptarum artium8 (1531),

8 Il nostro riferimento per il testo vivesiano sarà l’edizione di Gregorio Mayans: J. L. Vives, Opera omnia, 8 voll., Valencia, 1782-90.

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perché, più di altri testi umanisti, considera le circostan-ze sociali e agli aspetti psicologici determinati dall’ap-plicazione della disputatio come dispositivo didattico.

Nel dettaglio, esamineremo le critiche rivolte alla spet-tacolarizzazione, alla assolutizzazione, alla bellicosità e alla corruzione eristica della disputatio, osservando co-me possano essere recepite dal sistema educativo e dalla comunità italiana di debate come pragmatici moniti di-dattici.

2. Critica alla spettacolarizzazione della disputa

Vives esordisce dichiarando come degno di attenzione il processo attraverso il quale la pratica della disputa, che pure rientra in una tradizione di lunghissima durata, ab-bia ottenebrato il lume delle menti e oscurato la capacità di giudicare9.

Dapprima si sofferma sulle ragioni per le quali sia stato dato avvio alla pratica istituzionale della disputa, distinguendo diverse motivazioni in base al grado di maturazione negli studi dei soggetti partecipanti.

Quando a disputare sono gli studenti, nelle Univer-sità, per apprendere il mestiere di studioso e per ricevere i gradi accademici, la pratica in sé ha un valore e una finalità essenzialmente didattica. Due le motivazioni addotte: la prima, stimolare la alacritas della mente, che tende altrimenti a intorpidirsi e a perdere la sua normale vivacità e reattività; la seconda, accrescere il desiderio di applicarsi negli studi, anche mediante lo stimolo di superare nella competizione intellettuale i propri com-pagni.

Se invece a disputare sono i più dotti e preparati tra gli studiosi e gli esperti di un dato campo, la pratica ha

9 Majansius, 6:49.

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41 un valore e una finalità essenzialmente epistemica: non aggiudicarsi la vittoria nello scontro dialettico, bensì conseguire la vincita che la collatio delle opinioni e del-le ragioni promette: distinguere il vero dal falso. È l’origine stessa del termine che lo certifica, perché «per eas veritas ceu putaretur, ac purgaretur»10. Classica è l’etimologia proposta, tratta dal significato primo di

“putare”: se paragonassimo l’insieme dei giudizi possi-bili alle fronde di una pianta, disputare significherebbe tagliare quei rami che, nella metafora, coincidono con i giudizi falsi, liberando così il vero, purificando e favo-rendo la crescita della conoscenza.

Successivamente Vives espone il suo primo punto:

le finalità didattiche e epistemiche della pratica istitu-zionalizzata della disputa si deteriorano quando ad essa vengono conferiti i caratteri propri dello spettacolo: la prima fondamentale causa della corruzione della disputa come pratica istituzionalizzata è, in sostanza, la sua spettacolarizzazione.

Concettualmente, la disputa non richiede necessa-riamente la presenza di agenti che assistono al suo svol-gimento senza esercitare funzioni deliberative. Non vi può essere disputa senza una giuria, vi può essere dispu-ta senza una platea. Generalmente, tutdispu-tavia, in nessuna epoca un disputante sarebbe sorpreso dal tenere il pro-prio discorso di fronte ad un uditorio che non sia anche giudice. La disputa ha sempre contenuto un aspetto, per così dire, di performance teatrale. Tuttavia, esso inizia a diventare preponderante quando declina nelle università l’ideale della ricerca cooperativa della verità. Ci si per-metta una digressione per evidenziare il ruolo del pub-blico nella storia della disputa.

I duelli dialettici che Aristotele descrive e regola nel settimo libro dei Topici come esercitazioni

10 Ibidem.

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miche sono dibattuti in pubblico, sebbene questo fosse un ristretto circolo di studenti. Nella tarda antichità si sviluppa una solida tradizione di dispute pubbliche fuori dalle scuole e dai circoli dei filosofi e dei giuristi: le controversie teologiche, tra ebrei e cristiani e anche tra diverse sette cristiane. Mentre le dispute nei circoli filo-sofici prevedevano la presenza di un pubblico ristretto ai più dotti, le dispute teologiche e le controversie dot-trinali erano generalmente tenute davanti a un ampio uditorio11. Un esempio classico di controversia teologica tra ebrei e cristiani nel tardo antico è riportato da Tertul-liano nel suo Adversus Judaeos: la disputa, che durò l’intero giorno, fu caratterizzata dai rumori del pubblico che «oscuravano la verità»12. E Agostino ha offerto te-stimonianza del suo ardente zelo e della sua eccitazione giovanile per le vittorie pubbliche nei certamina quoti-diani su questioni aporetiche13. In generale, i dibattiti pubblici si distinguono storicamente dalle dispute sia perché spesso non seguono alcune regole formali sia perché non si caratterizzano come giostre dialettiche di fronte ad un ristretto uditorio di studenti ma come con-troversie reali al cospetto di un’ampia platea14.

Nel basso medioevo si denominava disputatio so-lemnis la pratica universitaria delle dispute in pubblico, regolate secondo il formato scolastico, che solitamente avevano luogo una volta a settimana, organizzate da uno

11 R. Lim, Public Disputation, Power, and Social Order in Late Antiquity, Berkeley/Los Angeles/London, University of California Press, 1995.

12 Tertulliano, Adversus Judaeos, 1,1.

13 Agostino, De duabus animabus, 11.

14 Un esempio notevole di dibattiti nell’alto medioevo che coinvolse un ampio e eminente uditorio è quello tra Gerberto di Aurillac e Otrico, scholasticus di Magdeburgo, a Ravenna nel Natale del 980 al cospetto dell’Imperatore Ottone II sulla divisione della filosofia. Oppure il dibattito tra Berengario di Tours e Lanfranco da Pavia sull’Eucarestia al Concilio di Brionne.

Competitive debate e critiche umanistiche alla disputatio

43 dei maestri alla presenza di tutti i maestri della facoltà e i loro studenti. Tra la fine del tredicesimo e l’inizio del quattordicesimo secolo, «le dispute pubbliche, che riu-nivano tutti i membri della facoltà in lunghe discussioni con diversi partecipanti attivi, non erano solo una parte obbligatoria dell’insegnamento, ma anche un metodo di ricerca»15 collettiva tra dotti per dare una determinatio rispetto ai problemi più discussi e complessi del tempo.

Le ordinarie dispute solenni prevedevano dunque l’intervento di diversi maestri, di tutti gli studenti e la partecipazione di un ampio uditorio e eminenti persona-lità come i prelati. Per questa ragione esse si configura-vano come affascinanti eventi sociali all’interno della comunità accademica.

Diversamente dalle disputationes circulares del maestro con i suoi studenti, la disputa era “pubblica” e solenne anche in occasione dell’esame finale del percor-so di studi e della cerimonia per il raggiungimento del titolo di maestro. Nel corso del rinascimento, soprattutto nelle università tedesche, inizia a diffondersi la pratica di stampare e pubblicare le tesi da difendere in Dispu-tierschriften e dissertationes prima che l’effettiva dispu-ta avesse luogo. Nelle università inglesi e francesi, ad Oxford e alla Sorbonne, anche nel diciassettesimo seco-lo, si continuano a svolgere solenni dispute pubbliche, come attestato dal manuale di logica di Robert Sander-son, Logicae artis compendium, pubblicato nel 1615, ed esercitazioni teologiche e cerimonie d’esame per il con-ferimento del grado di dottore mediante dispute. La fun-zione della disputa, e in essa del pubblico, inizia, però, a mutare: da ricerca cooperativa della verità ad

15 O. Weijers, In Search of the Truth: A History of Disputation Techniques from Antiquity to Early Modern Times, Leuven, Brepols, 2013, p. 123.

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ne del ragionamento personale del disputante durante esami, esercitazioni o cerimonie solenni16.

Della crescente importanza del pubblico nelle di-spute accademiche rimane traccia anche nei manuali moderni che le descrivono e normano: viene specifica-tamente menzionato, accanto alle regole per i diversi attori nella disputa, anche il ruolo del pubblico e il bene-ficio della disputa per gli uditori17. Fuori dal mondo ac-cademico, la disputa poteva rivelarsi un valido strumen-to per presentare le proprie tesi a un più vasstrumen-to pubblico, utilizzando la lingua vernacolare, o, più spesso, per sco-pi polemici tra le diverse fazioni soprattutto in materia religiosa.

Olga Weijers ha evidenziato l’elemento del conte-sto sociale della disputa: esso può limitarsi alla classe, ai membri della facoltà o alla comunità accademica; in altri casi, soprattutto su materie religiose, l’uditorio può essere composto da giuristi e autorità ecclesiastiche e civili. «In quest’ultima situazione, c’era un ovvio ele-mento di serio intratteniele-mento o spettacolo. […] Anche il modo in cui sono descritti i dibattiti pubblici su pro-blemi religiosi o filosofici sottolinea questo palpabile elemento teatrale. Nel contesto accademico la disputa divenne anche un atto sociale. Il duello orale tra il re-spondens e l’opponens e, in alcuni casi, l’intervento di

16 Come per le dispute presentate da ogni facoltà a Cambridge e ad Oxford durante le visite della regina Elisabetta. P. Mack, Elizabethan Rhetoric. Theory and Practice, Cambridge, Cambridge University Press, 2005, pp. 59-60.

17 «Nam non solum disputantes, verum etiam auditores magnam capere possunt ex disputationibus utilitatem. Vident enim, quanam ratione thesis possit infringi, quanam ratione defendi v.g. Si disputatur de communione sub utraque, auditores cognoscere possunt, quanan ratuibe defendi possit. Si disputatur de divinitate Christi, auditores videre queunt, quomodo divinitas Christi a socinianis infringitur & quomodo defenditur [...]» Joannes Fridericus Heine, Methodus disputandi die hodierna ex variis auctoribus collecta, Helmstedt, 1710, p. 30.

Competitive debate e critiche umanistiche alla disputatio

45 altri partecipanti, così come la determinatio finale del maestro: tutto conteneva un elemento di performance.

La disputa non era solo orientata verso la soluzione di un problema, ma era anche un’arena per il successo per-sonale di fronte a un pubblico»18.

Ora, è esattamente l’elemento sociale, di intratte-nimento e di spettacolo, quello verso il quale sono rivol-te le critiche vivesiane alla disputa. Secondo l’umanista valenciano, quando il pubblico, che frequenta le aule universitarie o che assiste e ascolta i discorsi, comincia ad ammirare e a rivolgere un esplicito consenso nei con-fronti del disputante che ha espresso, a suo giudizio, il punto di vista più verosimile, gli animi dei disputanti vengono pervasi da un desiderio smodato e incontrolla-bile di ricompense mondane: l’«aurae popularis», il fa-vore del popolo, o gli onori, il prestigio di una carica, di un alto ufficio, o il denaro. Di qui il pervertimento della disputa, da strumento epistemico a duello senza esclu-sione di colpi: «ut tamquam in pugna sola spectaretur victoria, non elucidatio veritatis»19. Tutte le energie so-no rivolte a ribattere le accuse, e a prostrare e calpestare il rivale. L’abiezione, adulatoria e ripugnante, che rapi-sce gli ingegni in preoccupazioni effimere e fugaci va di pari passo con la mancata intelligentia dell’importanza della probitas e del verum. Così, per massimizzare il profitto, permisero al populus di assistere ai loro certa-mina dialettici: «tamquam spectatores fabulae in thea-trum productae»20. E nessuno proibì ai filosofi di svesti-re la maschera rituale da ricercatosvesti-re del vero, quell’abito serio, solenne, dignitoso, capace di suscitare l’altrui os-sequio, per indossare ed esibire la maschera spettacolare

18 O. Weijers, op. cit., p. 273.

19 Majansius, 6:49.

20 Ibidem.

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dell’histricus, che, simulando platealmente, cerca di im-pressionare il suo non dotto pubblico.

Se, dunque, l’azione dei disputanti è finalizzata a dare spettacolo, «factus est populus spectator, arbiter, iudex». Il climax suggerisce la catena causale del pro-cesso corruttivo: quando i disputanti pretendono di riu-nire in platea un gran numero anonimo e culturalmente non raffinato di persone, trattando gli astanti non solo come “uditori” ma anche come “testimoni” chiamati in

Se, dunque, l’azione dei disputanti è finalizzata a dare spettacolo, «factus est populus spectator, arbiter, iudex». Il climax suggerisce la catena causale del pro-cesso corruttivo: quando i disputanti pretendono di riu-nire in platea un gran numero anonimo e culturalmente non raffinato di persone, trattando gli astanti non solo come “uditori” ma anche come “testimoni” chiamati in

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