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Il consumatore medio come parametro di riferimento per nuove le norme del Codice del Consumo.

2. La disciplina della pubblicità ingannevole.

2.4 Il consumatore medio come parametro di riferimento per nuove le norme del Codice del Consumo.

La nozione di consumatore medio, così come la si ritrova nell’ambito del decreto legislativo 206/2005, ha le sue origini, ovviamente, nella direttiva comunitaria 2005/29 e, con questa nozione, si mira a descrivere un determinato soggetto che presenta la caratteristica di essere normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto nel compiere acquisti. Fin dalla relazione illustrativa della proposta di direttiva si è reso evidente un nuovo approccio dell’Unione europea in merito alla questione relativa ai soggetti che devono essere tutelati da ogni forma illecita di attività commerciale. La Commissione europea, infatti, contemplando due definizioni, una generica per il

“consumatore” ed un’altra per il “consumatore medio” ha subito imposto come parametro di riferimento per tutte le pratiche commerciali scorrette, non il modello del consumatore “debole

e vulnerabile”¹, bensì ha stabilito che si è assumesse come

modello di riferimento un individuo critico e consapevole, in linea con quanto precedentemente descritto dalla Corte di Giustizia. Si è affermato, infatti, nella sentenza della Corte di Giustizia europea del 16 luglio 1998 relativa alle normative comunitarie concernenti i marchi d’impresa, la pubblicità ingannevole e comparativa e la commercializzazione di

peculiari e specifiche categorie di prodotti che “per stabilire se

una dicitura destinata a promuovere le vendite sia idonea a indurre in errore l’acquirente, il giudice nazionale deve riferirsi all’aspettativa presunta connessa a tale dicitura di un

consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto²”. Nell’ambito della stessa sentenza, inoltre, il

giudice ha statuito che le corti nazionali possono avvalersi di sondaggi, ricerche o statistiche al fine di valutare quanto possa influire una condotta posta in essere dal professionista in base alla società dei consumatori alla quale fa riferimento ³. Il Comitato economico europeo, però, esprime un parere negativo⁴ a riguardo sia della sentenza che della proposta di

direttiva presentata dalla Commissione⁵, poiché è forte il timore che adoperare come criterio quello di consumatore medio potrebbe lasciare non tutelati proprio i soggetti che,

concretamente, ne hanno più bisogno: i meno acculturati, i meno istruiti e i meno avvezzi alle pratiche commerciali. Il Parlamento europeo, però, ha confermato lo stesso modello di consumatore medio proposto dalla Corte di Giustizia, invitando solo a formulare meglio la definizione di questo parametro suggerendo di completarla con la seguente perifrasi: “tenuto

conto delle circostanze sociali, culturali e linguistiche” al fine di

rendere la stessa più flessibile e adattabile alle peculiarità di diverse fattispecie. Il canone del consumatore medio si è progressivamente perfezionato acquisendo connotazioni

difformi in base ai beni o ai prodotti e ai soggetti che, di volta in volta, possono essere coinvolti in una transazione commerciale. Sebbene, appunto, solo con il tempo si sia riuscito a migliorare tale concetto, nella redazione della direttiva 2005/29/Ce, il Consiglio ha preferito relegare la definizione di consumatore medio in un apposito “considerando⁶” della normativa piuttosto che inserire tale definizione nell’art. 2, insieme a tutte le altre definizioni nell’ambito delle disposizioni generali.

_________________________________________________________________________ ¹ Si intende per acquirente debole e vulnerabile quel soggetto sprovvisto delle conoscenze, delle competenze e delle informazioni indispensabili che possano garantirgli piena consapevolezza nel prendere le proprie decisioni e che è, inoltre, manchevole di razionalità e senso critico necessarie per assumere scelte ponderate e idonee.

² Cfr. CGE, sentenza del 16 luglio 1998, C-210/96. ³ Cfr. A. Saccomani, op.cit, p. 148. ⁴ De Cristofaro, op. cit, p, 162, nota 43. ⁵ Nella relazione illustrativa della proposta di direttiva, infatti, la Commissione europea afferma che: “la direttiva prevede, come consumatore di riferimento, il consumatore medio nella nozione elaborata dalla Corte di Giustizia e non il consumatore vulnerabile e atipico. Questo criterio, che è un’espressione del principio di proporzionalità, si applica quando una pratica commerciale si rivolge a o raggiunge la maggior parte dei

Il legislatore italiano, in linea con la maggior parte dei legislatori nazionali dei Paesi Ue che hanno già recepito la direttiva nei loro ordinamenti, ha evitato di proporre nel

decreto legislativo 145/2007 un articolo recante la spiegazione di consumatore medio né ha inglobato, in nessun altro modo, il considerando n.18. Si deduce da ciò che i lineamenti del

consumatore medio e l’interpretazione che si deve attribuire a questa figura emergono principalmente dall’esame delle

sentenze pregiudiziali della Corte di Giustizia, sebbene, è da precisare, che queste vengano contestualizzate nelle società in cui devono essere calate. Come riportato nel “considerando” 18, infatti, “la nozione di consumatore non è statica” e di

conseguenza le autorità nazionali devono esercitare la propria facoltà di giudizio per determinare la reazione tipica del

consumatore in ogni specifica fattispecie. Ogni acquirente, infatti, forma un proprio giudizio e si crea opinioni difformi in base alla presentazione, alla natura, alla diffusione del prodotto e un ruolo fondamentale è svolto anche dal luogo di vendita e/o di fornitura.

_______________________________________________________________________ consumatori. Esso subisce un adattamento qualora una pratica commerciale si rivolga specificatamente a un determinato gruppo (ad. es. minori): in tal caso come consumatore di riferimento viene considerato un esponente medio di quel gruppo.”. Cfr. Commissione delle comunità europee, Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio Relativa alle Pratiche Commerciali Sleali tra Imprese e Consumatori nel Mercato Interno, COM (2003) 356 def

⁶ Il considerando 18, così come proposto nella versione definitiva della direttiva 2005/29/Ce, è il seguente: “È opportuno proteggere tutti i consumatori dalle pratiche commerciali sleali. Tuttavia, la Corte di giustizia ha ritenuto necessario, nel deliberare in cause relative alla pubblicità dopo l’entrata in vigore della direttiva 84/450/CEE, esaminare l’effetto su un virtuale consumatore tipico. Conformemente al principio di proporzionalità, e per consentire l’efficace applicazione delle misure di protezione in essa previste, la presente direttiva prende come parametro il consumatore medio che è normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici, secondo l’interpretazione della Corte di giustizia, ma contiene altresì disposizioni volte ad evitare lo sfruttamento dei consumatori che per le loro

I fattori culturali pertinenti di ogni individuo non possono essere tralasciati e quindi è d’obbligo che la nozione di consumatore non sia la stessa in tutti gli Stati membri

dell’Unione Europea. Volendo riportare un semplice esempio, infatti, l’utilizzo di parole straniere da parte di un operatore professionale, in occasione di iniziative commerciali rivolte ai consumatori, potrebbe dare luogo a risultati disuguali in relazione al paese della Comunità Europea considerato: in alcuni luoghi l’utilizzo di una particolare terminologia potrebbe essere considerata decettiva e far ricadere il messaggio

pubblicitario o la presentazione stessa del prodotto nel novero delle pratiche commerciali sleali, mentre in altri non sarebbe possibile rilevare alcun aspetto o profilo di illegittimità. Il legislatore comunitario, in ogni caso, prescrive preganti

obblighi di informazione a carico degli operatori professionali per promuovere la libera concorrenza nel mercato interno e tutelando ogni individuo che in esso opera. Fino a quando non si consolidi la nozione di consumatore medio nei vari

ordinamenti è sempre incerto stabilire quali margini di discrezionalità abbiano i Tribunali nazionali nel prendere e decisioni in merito ai soggetti destinatari di una pratica ______________________________________________________________________________________

caratteristiche risultano particolarmente vulnerabili alle pratiche commerciali sleali. Ove una pratica commerciale sia specificatamente diretta ad un

determinato gruppo di consumatori, come ad esempio i bambini, è auspicabile che l’impatto della pratica commerciale venga valutato nell’ottica del membro medio di quel gruppo. È quindi opportuno includere nell’elenco di pratiche considerate in ogni caso sleali una disposizione che, senza imporre uno specifico divieto alla pubblicità destinata ai bambini, tuteli questi ultimi da esortazioni dirette all’acquisto. La nozione di consumatore medio non è statistica. Gli organi giurisdizionali e le autorità nazionali dovranno esercitare la loro facoltà di giudizio tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia, per determinare la reazione tipica del consumatore medio nella fattispecie”.

commerciale sleale e quanto possa considerarsi “elastica” tale definizione in sede applicativa e nel discernimento delle singole attività⁷. Quand’anche si volesse riconoscere alle affermazioni contenute nel “considerando” 18 un valore vincolante, simile a quello che avrebbe rivestito un articolo inserito appositamente nel Codice del Consumo, non si potrebbe ritenere del tutto risolta la questione relativa ad un chiara determinazione del contenuto di tale nozione, a causa del lessico vago e della portata ampia di alcuni lemmi contenuti nella direttiva stessa. Volendo, infatti, analizzare più dettagliatamente i termini inseriti nel “considerando 18”, si rinvengono avverbi quali “normalmente” e “ragionevolmente”, la cui concretizzazione richiede ineluttabilmente il ricorso a valutazioni di natura discrezionale ed, inoltre, si è già avuto modo di costare come la nozione di consumatore medio sia diversamente declinabile a seconda della pratica commerciale scorretta alla quale è

riferita. L’art. 20 del decreto legislativo 206/2005 indica, per l’appunto, due modelli ideali di consumatore medio per una pratica commerciale⁸: quello individuabile come consumatore medio in un target ampio ed anche disomogeneo, raggiungibile attraverso l’utilizzo di una comunicazione che tende, per la sua penetrazione e diffusione, a rivolgersi ad un numero indistinto di soggetti e quello identificabile in un “determinato gruppo di

consumatori”, in una cerchia più ristretta e con precipue

caratteristiche e peculiarità.

_______________________________________________________________________ ⁷ Cfr. De Cristofaro, op. cit, p. 166

⁸ l’articolo 20 del Codice del Consumo giurisdizionali e le autorità nazionali dovranno esercitare la loro facoltà di giudizio tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia, per determinare la reazione tipica del consumatore medio nella fattispecie”.

La distinzione non è da considerarsi per nulla trascurabile dal momento che è lecito aspettarsi e richiedere un grado di maggior competenza e consapevolezza a quei gruppi di acquirenti che hanno già intrattenuto un rapporto con un determinato professionista e che, proprio a seguito del rapporto instaurato con l’imprenditore (si pensi, ad esempio, agli utenti dei servizi di telefonia, internet o abbonati ad utenze televisive), siano in possesso di maggiori informazioni rispetto a persone che non si sono mai avvicinate ad una pratica commerciale similare. Solo in virtù di tali analisi si potrà stabilire quale

livello qualitativo e quantitativo di informazioni possa reputarsi consono a soddisfare quei requisiti di “normalità” e

“ragionevolezza” previsti dal “considerando” n. 18 della direttiva comunitaria 2005/29. Al fine di garantire una

protezione completa, onde evitare che si concretizzino i timori palesati dal Comitato economico circa un “vuoto” di tutela nei confronti delle persone meno esperte e più necessitanti di un particolare riguardo, il comma 3 dell’art. 20 del Codice del consumo prevede una piccola deroga al parametro di

consumatore medio, introducendo un criterio di maggior rigore nel giudizio di correttezza di pratica commerciale. In tale

comma, infatti, si sono volute regolare tutte quelle pratiche commerciali che, rivolte comunque ad un gruppo indistinto di consumatori, siano atte a falsare il comportamento economico e le decisioni di natura commerciale di persone particolarmente vulnerabili “a motivo della loro infermità mentale, o fisica, della loro età o ingenuità⁹”.

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⁹ Cfr. Ubertazzi, Giurisprudenza completa del Giurì di Autodisciplina pubblicitaria (1977-1985), Ipsoa, 1986. op. cit, p.328.

Il parametro di riferimento per valutare la correttezza, quando si prendono in considerazione delle attività ascrivibili a questa tipologia, diventa il membro medio di questo gruppo di

consumatori vulnerabili. Questo gruppo, però, deve essere individuabile e raggiungibile dalla pratica, sebbene non è necessario che questa stessa sia ad esso espressamente diretta dal momento che il comma 2 dell’art. 20¹⁰ disciplina già questa eventualità. Il comma 2 appena citato, infatti, impone di

considerare sempre il membro medio del gruppo cui la pratica commerciale viene indirizzata e, di conseguenza, qualora i destinatari dell’attività commerciale dovessero far parte di una sorta di “categoria protetta”, verrebbe applicato il giusto metro di giudizio senza ricorrere a quanto predisposto dal comma 3. La vera portata del comma 3 trova la sua valenza, dunque, proprio nel fatto che nonostante la pratica sia rivolta alla generalità del mercato, si può applicare la nozione di consumatore vulnerabile quando il professionista può “ragionevolmente prevedere” che la sua condotta influenzi soggetti più deboli e posti al di sotto della soglia normalmente intesa prevista per quella determinata fattispecie. L’onere di dimostrare che il professionista, applicando la giusta forma di diligenza professionale, avrebbe potuto prevedere di

intercettare anche segmenti più vulnerabili del mercato,

attraverso la propria attività commerciale, è a carico di coloro i quali intendono denunciare una pratica come scorretta, in base ai criteri stabiliti dal Codice del consumo.

_______________________________________________________________________ ¹⁰Art.20, comma 3, del decreto legislativo 206/2005 <<divieto pratiche commerciali scorrette>>Le pratiche commerciali scorrette sono vietate. 2. Una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il

Si presenta anche in questo caso una difficoltà definitoria non irrilevante e in cui la discrezionalità nel prendere decisioni è senza dubbio predominante. La nozione di consumatore medio e la sua collocazione nel Codice del consumo, per concludere, non trova molti consensi, infatti, si considera “nella sua

assolutezza inadeguata sia rispetto alla multiforme realtà delle pratiche commerciali, sia rispetto alla possibile varietà dei contesti nell’ambito dei quali potrebbe rendersi necessario valutare la correttezza di una pratica commerciale ¹¹”.

______________________________________________________________________________________________ che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori. 3. Le pratiche commerciali che, pur raggiungendo gruppi più ampi di consumatori, sono idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vulnerabili alla pratica o al prodotto cui essa si riferisce a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità, in un modo che il professionista poteva ragionevolmente prevedere, sono valutate nell'ottica del membro medio di tale gruppo. È fatta salva la pratica pubblicitaria comune e legittima consistente in dichiarazioni esagerate o in dichiarazioni che non sono destinate ad essere prese alla lettera. 4. In particolare, sono scorrette le pratiche commerciali: a) ingannevoli di cui agli articoli 21, 22 e 23 b) aggressive di cui agli articoli 24, 25 e 26. 5. Gli articoli 23 e 26 riportano l'elenco delle pratiche commerciali, rispettivamente ingannevoli e aggressive, considerate in ogni caso scorrette. ¹¹ Cfr. De Cristofaro, op. cit, p.170.