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il volto nazionale : articolo 2598 Codice Civile.

2. La disciplina della pubblicità ingannevole.

2.5 il volto nazionale : articolo 2598 Codice Civile.

Nel delineare l’ingannevolezza del messaggio pubblicitario bisogna fare riferimento sia ai soggetti che agli interessi coinvolti, dal momento che può comportare la lesione degli interessi dei concorrenti, ma anche degli interessi dei

consumatori ¹. A livello nazionale il riferimento principale è l’art. 2598 cod.civ. considerato inizialmente soprattutto come strumento di tutela dell’imprenditore, dell’avviamento, della clientela e del rispetto delle regole del gioco, letto in chiave di protezione della correttezza economica. L’attività interpretativa ha riguardato anche la ricerca di altre regole che potessero assicurare protezione ai consumatori o comunque ai destinatari del messaggio pubblicitario ingannevole. Si collocano le

riflessioni sull’utilizzabilità a livello interpretativo di strumenti collegati alla disciplina contrattuale, extracontrattuale o a

quella del fatto illecito. Ne è risultato un approfondimento della stessa nozione di ingannevolezza che si presenta come non univoca e con un “volto” anche diverso da quello emerso in sede comunitaria. Quindi una nozione che risente dei “formanti” che hanno contribuito alla sua configurazione ².

¹ Alessandra di Lauro, Comunicazione pubblicitaria e informazione nel settore agro-

alimentare, Giuffrè, Milano,2005. Vi potrebbero essere ipotesi in cui un messaggio ingannevole lede soltanto i consumatori o in cui nessun imprenditore ha

apprezzabile interesse ad agire contro il messaggio ingannevole del concorrente. ² G.Rossi, la pubblicità dannosa, cit, p. 1 Per la nozione di “formante”, v. le classiche pagine di R.Sacco, Introduzione al

dirito comparato, 5 ed, in Tratt. Di diritto comparato diretto da R. Sacco, Torino,

1992; Id, voce “Formante”, in Digesto IV, Disc. Priv. Sez. civ VIII, Torino, 1992. L’ingannevolezza del messaggio pubblicitaria, trova nel diritto nazionale di un certo periodo, un punto di riferimento nell’art.2598 cod.civ e, in particolare, in quella elaborazione dottrinale e giurisprudenziale che ha assegnato all’art.2598 n.3 cod.civ. la valenza di una “clausola generale”. Il mutamento di impostazione che ruota attorno al parametro normativo della “correttezza professionale”, ha

condotto ad una sostanziale estensione della disciplina della concorrenza presente nel codice, originariamente ideata come meccanismo di controllo dei concorrenti e volta a tutelare gli interessi degli imprenditori. In passato l’esame dell’ingannevolezza del messaggio pubblicitario è stato condotto in chiave di protezione degli interessi imprenditoriali, continua ad avere riflessi sulcontenuto dell’inganno rilevante ai fini della norma civilistica. L’interpretazione

giurisprudenziale sembrava più orientata alla realizzazione di forme di tutela imprenditoriale che alla costruzione di un divieto generale di pubblicità

menzognera. Si valutava la pubblicità in base al “dolus bonus” intorno al quale ruotava anche l’orientamento della Corte Suprema, che riconduceva il mendaceo pubblicitario alla mera lode iperbolica o alla lecita magnificazione del prodotto ¹.

¹ G. Ghidini,Della concorrenza sleale, in Il codice civile. Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 1991, p.262 che, in base alla codificazione 1942, “solo quello che esprima una specifica incursione nella sfera del concorrente è da ritenersi vietato”. In argomento si veda anche A.Vanzetti, “La repressione della pubblicità menzognera”, in Riv. Dir. Civ, 1964, p.584. G.Rossi, “La pubblicità dannosa”, cit. p. 38 parla di “omissioni e ambiguità di disciplina legislativa, programmaticamente orientate a favore di interessi corporativi imprenditoriali (…)” e di “lassismo, conservatorismo o preconcetta benevolenza dei giudici”.

In tempi più recenti si assiste ad una reazione dottrinale all’applicazione del

dolus bonus, poiché non solo rifiuta l’estensione del dolus bonus alle affermazioni

puntuali e /o specifiche che propone, ma anche una sorta di relativizzazione della tutela dell’art.2598 cod.civ. ¹ Il tentativo dottrinale di allontanarsi

nell’interpretazione della ingannevolezza del messaggio pubblicitario dal canone fondato sul dolus bonus è il risultato di un’ampia serie di concause e procede secondo percorsi differenti nei quali vengono a mescolarsi le premesse e i risultati. Il riconoscimento delle capacità persuasive del messaggio pubblicitario si accompagna ad un ripensamento delle teorie fondate sulla c.d. signoria della volontà; alla considerazione della rilevanza dell’inganno pubblicitario nell’ambito delle fasi formative del contratto e fra i vizi degli elementi del contratto, alla riflessione sui possibili rapporti fra mendacio pubblicitario e responsabilità da fatto illecito; all’introduzione di regole di tutela diversificate.

“L’affidarsi ai poteri critici della massa dei consumatori è, quanto meno una

ingenuità”. Così afferma Franceschelli ² e questa espressione può essere considerata

l’estrema sintesi di una riflessione che, da una parte riconosce alla “meravigliosa e

ossessionante tecnica moderna” pubblicitaria una capacità persuasiva in grado di

provocare una propaganda e, dall’altra costituisce il tramonto dell’ideologia della c.d. “signoria della volontà”.

¹ Art.2598 c.c- Atti di concorrenza sleale- << Ferme le disposizioni che concernano la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto, compie atti di concorrenza sleale chiunque:

1)usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un

concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente; Infatti accanto alla riflessione sulla valenza generale o meno della clausola di correttezza professionale, si sviluppa una discussione sulla neutralità della condizione soggettiva delle parti nel momento formativo del consenso e sulla debolezza di alcuni soggetti nell’ambito dei rapporti economici. Questi sono gli anni di un ripensamento della concezione tradizionale dei rapporti economici che,partendo proprio, secondo quanto ritiene la dottrina, dalla crisi della

concezione della libertà della formazione del consenso del consumatore, arriva ad approfondire il tema delle c.d. “asimmetrie informative ³”. La dottrina

incomincia ad ammettere che le tecniche di persuasione pubblicitaria sono in grado di influenzare la scelta del consumatore il quale, spesso, non è in grado di difendersi dall’ingannevolezza del messaggio pubblicitario. Infatti non è solo la disciplina della concorrenza sleale ad essere sottoposta a verifica, ma anche quella dei rapporti contrattuali, precontrattuali ed extracontrattuali in una prospettiva che vede gli studi svolti in modo complementare. 2)diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a

determinare il discredito, o si appropria di pregi di prodotti o dell’impresa di un concorrente; 3)si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda. ² R.Franceschelli, Osservazioni a varie sentenze in tema di rèclame

superlativa, in Riv. Dir. Ind, 1958. ³ G. Rossi, La pubblicità dannosa, cit. p.52 : “oggi la posizione del consumatore di fronte al mercato viene ricondotta al paradigma delle asimmetrie informative, all’epoca dei primi attacchi dottrinali alla regola del ‘dolus bonus’ si poneva invece l’accento proprio sulla non completa libertà della formazione del consenso del consumatore”. Però in giurisprudenza vi sarebbe tutt’ora, una sostanziale tendenza, a lasciare prevalere una lettura della norma basata sul ricorso del c.d. dolus bonus ¹. Questo canone interpretativo avrebbe lasciato il segno nella definizione dell’ingannevolezza vanificando, in parte, lo sforzo interpretativo dottrinale di coinvolgere nell’individuazione del concorrente qualunque destinatario del messaggio pubblicitario² e di dare interpretazione estensiva al parametro della “correttezza professionale”. La definizione di ingannevolezza presente nell’applicazione giurisprudenziale della norma civilistica sembra non risentire del dibattito complessivo, svoltosi a livello dottrinale. A partire dagli anni Sessanta, la dottrina appare propensa ad

un’interpretazione estensiva della norma, considerando il mezzo pubblicitario capace di indurre in errore e di forgiare false rappresentazioni della realtà, sotto il profilo operativo, l’ingannevolezza vede limitati i propri effetti, ma anche il suo stesso contenuto, dalla regola del dolus bonus che continua talvolta a manifestare il proprio influsso. ¹ G. Rossi, La pubblicità dannosa, cit. 2000 : secondo l’autore si tratta di “aporie” dell’ordinamento italiano in materia di pubblicità ingannevole. La prima aporia sarebbe costituita dal fatto che nella repressione del danno

pubblicitario arrecato ai singoli consumatori non vengono risarciti, o almeno considerati risarcibili, i danni subiti da ciascuno dei consumatori, dalla somma dei quali dovrebbe ricavarsi il diverso danno, pacificamente ingiusto e quindi

risarcibile, e nella pratica risarcito, subito dal concorrente di chi compia atti pubblicitari ingannevoli. La seconda aporia , sarebbe costituita dal

consolidamento giurisprudenziale in materia di concorrenza sleale, che esclude l’applicabilità della c.d. exceptio veritas (l’eccezione fondata sulla rispondenza al vero dei fatti screditanti affermati) al caso di affermazioni denigratorie a carico del concorrente inserite in atti pubblicitari, anche di tipo comparativo, fondandosi sull’asserita illeceità, per contrarietà alla correttezza professionale di qualsiasi attacco alla “fama di un prodotto” condotto in un contesto pubblicitario. Secondo l’autore , all’atto pubblicitario non verrebbe riconosciuta alcuna valenza

informativa e, in ogni caso, provenendo la comunicazione da un concorrente, Infatti il dolus bonus presuppone che difficilmente il destinatario del messaggio possa essere ingannato in quanto egli è normalmente avveduto e non può non accorgersi che il messaggio contiene comunicazioni di carattere promozionale alle quali, quindi, non può richiedere o assegnare valenza informativa. La presunzione può essere superata dalla constatazione del verificarsi di uno sviamento di clientela o dal riconoscimento dell’efficacia denigratoria della comunicazione ¹,ma ciò presuppone che venga in rilievo l’inganno perpetrato sui consumatori di media avvedutezza. La situazione è cambiata alla luce della giurisprudenza autodisciplinare e di quella più recente sulle regole nazionali in tema di pubblicità ingannevole si registra un ampliamento degli interessi tutelati dalla norma, che non è corretto ricondurre, come spesso viene fatto, ad

un’interpretazione estensiva dell’art. 41 della Costituzione. Il consumatore scelto come riferimento nella valutazione dell’ingannevolezza secondo gli strumenti codicistici resta un “consumatore medio” permane il problema di individuare la “media” dei consumatori e quello, ben più complesso, di stabilire il tipo di approccio del consumatore al momento dell’acquisto. L’inganno pubblicitario riconosciuto finisce per essere ricondotto alla falsità; alle false affermazioni sulla composizione del prodotto, alle false indicazioni sull’origine del prodotto ². D’altra parte si è assistito ad uno scarso ricorso all’art.2598 cod.civ. da parte dei consumatori, tanto da portare all’affermazione che “il contenzioso pubblicitario impresa/consumatori non ha mai raggiunto intensità significative, e il danno da pubblicità ha continuato a rimanere a carico dei danneggiati. La distorta percezione del fenomeno pubblicitario sottesa all’impostazione del dolus bonus, ben lungi dall’essere ridotta ad un fantasma, sopravvive e continua ad esercitare, scopertamente o meno, la sua influenza ³” ² R.Franceschelli,Concorrenza

sleale, Enc. Giur. Roma, 1998. È certo che il parametro di riferimento

generalmente preso in considerazione non è teoricamente quello di un

consumatore dotato di conoscenze e capacità particolarmente elevate, ma è certo che si registra la tendenza a non considerare la velocità con le quali vengono effettuate le scelte e a chiedere al consumatore diligenza nella ricerca dei dati, nella lettura e nella decodificazione degli stessi. Inoltre si chiede al consumatore di essere “smaliziato” di fronte al fenomeno pubblicitario con il quale è chiamato a

confrontarsi in una sorta di contraddittorio che dovrebbe condurre in senso critico, pronto a non credere alle vanterie generiche e prive di aspetti screditanti del prodotto altrui, ma anche a non cadere in inganni pubblicitari più sofisticati.

Capitolo I

Sommario: 3. Tutela amministrativa e giurisdizionale. Il ruolo

dell’Autorità Garante e le competenze del giudice ordinario. 3.1 Istituto dello IAP e Codice di Autodisciplina della Comunicazione Pubblicitaria (CAP) 3.2 La tutela collettiva davanti al giudice ordinario. Il ruolo della <<class action>> in ipotesi di pratiche commerciali scorrette.

3. Tutela amministrativa e giurisdizionale.