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2 Consumi culturali: definizione ed evoluzione nel nostro Paese

Prima di approfondire l’indagine sui consumi culturali nel tempo presente, occorre cogliere l’evoluzione storica o, per meglio dire, diacronica, delle pratiche culturali e mediali, mettendo in relazione lo sviluppo del fenomeno con l’approccio generazionale, questione, questa, assai importante per l’oggetto d’indagine. Pertanto, si rende necessaria una lettura completa e sistemica dei consumi culturali e mediali in modo tale che ciò possa costituire una base fondamentale per estrapolare dalle pratiche culturali il consumo del mezzo televisivo, oggetto della ricerca in questione.

Occorre pertanto comprendere l’importanza dei consumi culturali nel nostro Paese e come questi si siano configurati sempre più come strumenti relazionali in grado di orientare l’agire sociale. La diffusione di massa dei consumi culturali In Italia avviene dunque dagli inizi degli anni Cinquanta, in un periodo storico segnato dall’esito catastrofico della seconda guerra mondiale. Sono quelli, infatti, gli anni in cui comincia a crearsi una sorta di fase embrionale dell’industria culturale che, come ricorda David Forgacs, nonostante il procedere a singhiozzo, causato sia dalla penuria economica che dai valori etici e tradizionalisti prodotti dall’onda lunga della rivoluzione antropologica operata dal fascismo218, viene rafforzata tanto dal consolidamento dell’ascolto radiofonico quanto dalla diffusione del cinema. Il fascino culturale prodotto dalla diffusione dei media di massa, tuttavia, si pone in modo distonico rispetto alle riflessioni intellettuali della Teoria Critica. Il rapporto tra cultura e consumo, infatti, non acquisisce un significato negativo, come nel caso delle riflessioni di Theodor Adorno e Max Horkheimer, ma assume, invece, una valenza positiva grazie alla legittimazione sociale dei prodotti della cultura di massa219. L’interesse e il fascino esercitato dai consumi culturali in Italia, infatti, è molto più in sintonia con le intuizioni di Edgar Morin il quale opera una sorta di riabilitazione dei prodotti della cultura. Occorre soffermarci sull’analisi del sociologo francese per comprendere meglio le dinamiche che hanno portato a una riabilitazione dei consumi culturali. Ciò che viene interamente ripensato da Morin è il concetto umanistico di cultura. Egli afferma che:

218 Sull’industria culturale del primo dopoguerra cfr. Ragone G., Consumi e stili di vita in Italia, Napoli,

Guida, 1985 e Codeluppi V., I consumatori, Milano, Franco Angeli, 1992.

219 Sul concetto di industria culturale cfr. Adorno T. W. e Horkeimer M., L’industria culturale in op. cit.,

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“Gli uomini colti vivono una concezione valorizzante, differenziata, aristocratica della cultura…Gli intellettuali rigettano la cultura di massa negli inferi infra-culturali. Un atteggiamento umanistico deplora l’invasione dei sottoprodotti culturali dell’industria moderna»220.

Lo studioso francese dunque critica i criteri di classificazione utilizzati dagli intellettuali e si domanda se “i valori dell’alta cultura non siano dogmatici, formali, feticizzati”221. Il cambio di paradigma di Morin va nella direzione della legittimazione della cultura di massa, riconosciuta come prodotto culturale in senso stretto, mettendo in evidenza come questa sia il risultato di mescolamenti sociali, di un compromesso tra le estetiche e le culture del consumo e le forme della produzione. Una nuova concezione, quella di Morin, che non si limita a riabilitare soltanto i prodotti di massa (film, programmi tv, canzoni, fotografia), ma che ripensa anche la concezione del tempo libero e del loisir. Una sorta di nuova cultura pop, leggera e immateriale che ridefinisce i limiti e i contorni del divertimento e dello svago. Come spiega Andrea Miconi “Morin parla, infatti, di televisione così come di vacanze e di viaggi. Sarebbe effettivamente impossibile prendere in esame le singole manifestazioni della cultura contemporanea senza riferirsi all’immaginario da cui vengono informate”222.

Questa sorta di legittimazione sociale del consumo è in perfetta sintonia con lo spirito del tempo diffuso in Italia in quegli anni. E’ quello, infatti, il periodo in cui si crea una condizione per cui non soltanto le pratiche mediali ma tutti i comportamenti culturali messi in atto dagli italiani sono in grado di soddisfare i loro bisogni e sono, pertanto, capaci di riempire il loro tempo libero. Il quadro che emerge dalle pratiche culturali degli italiani tra la fine degli anni Cinquanta e il primo lustro dei Sessanta, tuttavia, s’iscrive dentro l’era del primo boom economico, dominato sì da una moderata aperura ai prodotti della cultura di massa (cinema, radio, televisione, giornali, pubblicità etc.), e al consumo di beni durevoli materiali, ma pur sempre in una logica di “sviluppo senza progresso”223. Vi è, infatti, ancora un’idea lineare della modernizzazione del nostro Paese, che agisce solamente sul piano dell’industrializzazione (le fabbriche e la società industriale sono le metafore evidenti di tutto ciò), intesa come superamento di un’economia agricola e coincide principalmente nell’accumulo di capitale economico. Sarà dopo il 1968 e,

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Morin E., L’industria culturale, Bologna, Il Mulino, 1983, pp. 12-13.

221 Morin E., op. cit., pp. 12-13.

222 Abruzzese A., Miconi A., Zapping. Sociologia dell’esperienza televisiva, Napoli, Liguori, 1999,

pag.156.

223 Sulla differenza tra progresso e sviluppo, cfr. Pier Paolo Pasolini, Sviluppo e progresso in Siti W. (a cura

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conseguentemente, in tutto il decennio successivo che cominciano a emergere le prime crepe sia sul piano dei valori sia su quello degli apparati produttivi dell’immaginario. Ciò si esprime anche in un ripensamento più generale di nuovi tipi e forme di comunicazione. Le prime radio libere ma soprattutto la miriade sterminata delle tv private consolidano il formarsi di nuove soggettività e, allo stesso tempo, di una moderna produzione culturale che darà i suoi frutti nel decennio successivo. Dall’inizio degli anni Ottanta l’Italia passa infatti da un periodo di diffusa scarsità o avarizia di consumi, causata anche dalla presenza di industrie culturali relativamente giovani, a un progressivo aumento o boom dei consumi stessi, tanto sul piano della domanda quanto su quello dell’offerta224. Il formarsi di un’industria culturale com’è quella italiana degli anni Ottanta, segnata dalla definitiva maturazione dei media di massa come cinema, radio, giornali e televisioni, a cui si aggiunge un fiorente mercato discografico, legittima socialmente il consumo culturale che, come sostiene Mario Morcellini:

E’ ormai l’orizzonte della vita moderna, lo sfondo in cui si definiscono ed acquistano rilievo intersoggettivo sia le scelte di socializzazione che gli investimenti individuali di tempo di vita e di risorse cognitive ed emotive.”225.

Ciò su cui insiste Morcellini va verso un più generale ripensamento della cultura di massa, interpretata non soltanto come insieme di prodotti creati da potenti industrie culturali, ma anche come “benessere culturale e simbolico di folle di uomini, intrecciandosi con quel bisogno sociale di comunicazione e d’identità che probabilmente definisce uno degli spettri della modernità”226. Come affermano inoltre Romana Andò, Laura Iannelli e Luciano Russi:

“L’individuo moderno, sempre più emancipato dalle forme del potere, dai suoi linguaggi e dalle sue strutture, diventa un consumatore che, con la rivoluzione del tempo iniziata nella modernità industriale, e oggi esasperata dalla società reticolare, impara a costruirsi un palinsesto personale della propria vita. Di fronte al tempo di vita trasformato in un periodo di pura e semplice transizione tra un inizio e una fine……, l’individuo deve rimandare la fine del tempo, gustare le tante piccole eternità, percepire il tempo come bene

224 Sull’evoluzione dei consumi culturali in Italia cfr. Romana Andò, Laura Iannelli, Michele Russi,

Dall’avarizia alla cosmogonia dei consumi culturali: cinema, tv, sport e spettacolo dal vivo nel secondo Novecento italiano in (a cura di) Morcellini M, Il Mediaevo italiano.

225 Mario Morcellini, Mediazioni della cultura. Introduzione all’analisi dei consumi televisivi e culturali, in

Morcellini M. (a cura di), op. cit., Milano, Franco Angeli, 1986, pag. 23.

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sempre più prezioso, da maneggiare con cura e da distribuire equamente e secondo criteri di ottimizzazione razionale tra le tante attività che compongono la vita sociale”227.

L’affermazione dei comportamenti culturali crea le premesse per cui questi fungano da vettore del cambiamento e arrivino là dove la modernizzazione sembra latitare. Si pensi, a tal proposito, ai ritardi di programmazione economica che coinvolgono interi settori come le infrastrutture e i servizi, ma anche alla cappa burocratica che allontana sempre più il cittadino dallo stato centrale. Le pratiche culturali, quindi, si configurano come costitutive e riempitive del tempo libero ma anche come strumenti di guida e di orientamento in grado di offrire all’individuo, avvolto nella nebbia della modernità avanzata, i mezzi indispensabili per l’agire sociale. I nuovi consumi legati al mondo della cultura inoltre riscrivono, servendosi di un nuovo vocabolario, non soltanto il rapporto tra soggetto e industria culturale, ma individuano percorsi e traiettorie comuni tra socializzazione e comunicazione. Da una parte, infatti, rendono centrali le soggettività, restituendo all’individuo contemporaneo la possibilità di manifestare il suo agire attraverso l’acquisizione di nuove pratiche comunicative. Dall’altra, tuttavia, ridefiniscono i confini del capitale sociale, spesso moltiplicandolo e individuando nuovi modi di stare insieme e, quindi, nuove pratiche di socializzazione.

Alla luce di quanto detto finora dobbiamo non soltanto circoscrivere le diffuse pratiche culturali all’interno del binomio cultura-consumo, ma estendere le stesse anche ai processi comunicativi e di socializzazione. Ai fini di una comprensione generale del fenomeno in questione, sarebbe infatti errato tralasciare il nesso tra la comunicazione e i consumi culturali, così come sarebbe miope non intravedere i fattori socializzanti della cultura. Pertanto i consumi dei beni immateriali (culturali e mediali che siano) sono sempre più avviluppati dentro un gioco di specchi incrociati e occupano una posizione di mezzo andandosi a collocare nel punto d’intersezione tra cultura e consumo e tra socializzazione e comunicazione. Inoltre, si crea un gioco di relazioni reciproche tra i quattro soggetti costitutivi delle pratiche culturali: vi è un rapporto d’influenza reciproca tra socializzazione e cultura. Non vi sono, infatti, pratiche culturali non socializzanti, così come non vi possono essere forme di socializzazione che non aumentino il capitale culturale. Lo stesso discorso vale per la relazione tra socializzazione e consumo. Il

227 Andò R., Iannelli L., Russi M., Dall’avarizia alla cosmogonia dei consumi culturali: cinema, tv, sport e

spettacolo dal vivo nel secondo Novecento italiano in (a cura di Morcellini M.), Il mediaevo italiano, pag.

48. Per ulteriori approfondimenti cfr. anche Elias N., Saggio sul tempo, Bologna, Il Mulino, 1986 e Cortese L., Cultura, sport e spettacolo nella pratica e nella spesa per il tempo libero, in “Lo spettacolo” I, gennaio- marzo, 1992, SIAE, pag. 70.

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consumo crea le premesse per un aumento delle forme di socialità che, a sua volta, si alimentano delle pratiche legate al consumo. Vi è, inoltre, una forte relazione tra la comunicazione e il capitale culturale, cioè tutte le pratiche comunicative creano le premesse per un aumento di nuove acquisizioni di conoscenza e di sapere condiviso. Analogamente il substrato della cultura, specie quella di massa, si nutre della comunicazione. Infine, è possibile scorgere il rapporto binario tra consumo e comunicazione: l’individuo contemporaneo, infatti, utilizza beni immateriali servendosi dei principali mezzi di comunicazione. Le pratiche comunicative, a loro volta, hanno bisogno di essere usate, o meglio, consumate affinché esse possano sopravvivere.

Quanto detto può essere sintetizzato dal seguente grafico:

Fig. 3. I quattro elementi costitutivi dei consumi culturali e le loro relazioni

Socializzazione

Cultura Consumo

Comunicazione

Il quadro delineato mostra il rapporto osmotico tra consumo e cultura. Ciò rafforza l’idea di come sia opportuno ragionare in termini sistemici, individuando un unicum tra questi due concetti. Ciò è cosa assai importante sia per sdoganare a livello intellettuale il concetto di cultura, evitando i conseguenti rischi di autoreferenzialità, sia per frenare le tendenze eccessivamente consumistiche che legittimerebbero, ipso facto, azioni e comportamenti individualistici. Parlare di pratiche culturali significa necessariamente trovare un punto di equilibrio tra consumo, mercato e bisogni del soggetto. È proprio la centralità dell’individuo e le sue relazioni sociali ciò che ci spinge a considerare i consumi culturali come veri e propri beni comuni relazionali, rilevando con ciò la tendenza dei comportamenti culturali odierni ad essere al tempo stesso patrimonio socialmente condiviso di una comunità e strumento di socializzazione e, quindi, di

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relazione comunicativa tra gli individui, diventando, per dirla con Francesco Alberoni,

beni di cittadinanza, cioè “patrimonio elementare di beni che costituiscono il segno

distintivo dell’appartenenza a pieno diritto alla comunità e la cui mancanza o il rifiuto è un segno di esclusione o di marginalità” 228. Di fronte allo spaesamento e alla crisi delle certezze per il soggetto sociale come afferma Morcellini “il consumo culturale consiste nella legittimazione dell’esperienza e del “contingente”, e per la società e gli individui nell’attivazione di un codice comprensibile, quasi una nuova moneta di scambio tra gli

individui frutto della riproduzione soggettiva della cultura e della comunicazione e

spendibile nell’interazione sociale”229.

Dopo questa lunga digressione storica e sociologica sui consumi culturali in Italia, è opportuno analizzare lo scenario degli stessi da un punto di vista diacronico dal dopoguerra fino alla fine degli anni Novanta, decennio segnato dall’emergere dei nuovi media e di Internet che, seppur entrambi ancora in fase embrionale, cominciano ad entrare nella dieta culturale delle giovani generazioni. A tal proposito si rende necessario far riferimento alle Statistiche ufficiali, pubblicate dalla Siae e rielaborate dalle indagini multiscopo dell’Istat. A fine dell’indagine risulta pertanto di fondamentale importanza illustrare non soltanto i comportamenti strettamente mediali, ma includere anche tutte quelle pratiche culturali altre legate al tempo libero (cinema, stadi, concerti, musei, mostre etc.) che sono in grado di problematizzare meglio l’oggetto di studio. Si può indagare il fenomeno operando una comparazione tra la spesa dei consumi culturali, sia quelli propriamente domestici (Tv e radio ma anche, come si vedrà in seguito, lettura di quotidiani e libri) che quelli extra-domestici, includendo tra questi ultimi tutte quelle pratiche e attività ricreative che vengono svolte fuori dalla propria abitazione. Occorre, tuttavia, fare una precisazione importante e cioè che l’universo dei consumi culturali va analizzato nella sua complessità. Questo impone uno sguardo sistemico che sappia tenere insieme pratiche domestiche ed extra-domestiche. Come spiega Valentina Martino:

“ La riflessione sul tempo libero è chiamata a tradurre in termini operativi l’idea di un quadro sinergico – piuttosto che competitivo – tra consumi di natura mediale e outdoor, in cui le diverse attività coesistono in un regime di alterità e si alimentano reciprocamente” 230.

228 Sul concetto dei consumi culturali come beni di comunicazione cfr. Alberoni F., Statu nascenti, Bologna,

Il Mulino, 1968.

229 Mario Morcellini, Sul consumo culturale: una moneta di scambio simbolico in op. cit., 1986, pag. 91. 230 Valentina Martino, Le nuove frontiere del tempo libero in Mingo I., Il tempo del loisir. Media, new

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Possiamo, pertanto, sintetizzare lo scenario della spesa degli italiani per i consumi culturali, servendoci dei dati presenti nella seguente tabella:

Tab. 1 - Articolazione della spesa per diversi generi di consumo culturale e di tempo libero dal 1960 al 1999 (per decenni) val %

1960 1970 1980 1990 1999

Attività teatrali e musicali 3,8 3,8 6,4 7,8 9,6 Cinema 56,9 41,8 26,4 11,1 12,7 Sport 6,7 7,8 10,2 14,3 9,4 Trattenimenti vari 9,7 18,3 22,6 33,4 35,7 Abbonamenti radio-tv 22,9 28,3 34,4 33,4 32,6 Totale 100 100 100 100 100

Fonte: elaborazione personale su dati SIAE231.

La tabella mostra un moderato aumento per ciò che riguarda la fruizione delle attività teatrali e musicali. L’escursione di + 2,6% tra gli anni Settanta e Ottanta è direttamente proporzionale alla diffusione capillare della televisione nella società italiana. Il passaggio dalla paleotv alla neotelevisione coincide con una più generale ridefinizione dei generi narrativi e ciò si lega alla diminuzione del tempo che i dirigenti dell’apparato televisivo dedicano al teatro e alla prosa232. Questo mutato scenario riaccende l’interesse degli addetti al settore che decidono di fruire di spettacoli e rappresentazioni teatrali fuori dalle mura domestiche.

231 La tabella è tratta da (a cura di Morcellini M.), Il mediaevo italiano, pag. 54. Va ricordato che il 1999 è

l’anno più recente per una comparazione omogenea dei dati SIAE relativi alla spesa del pubblico per i diversi consumi culturali. Dal 2000 la comparabilità dei dati in termini di serie storica è pregiudicata dall’intervento di una nuova normativa fiscale. Va aggiunto, inoltre, che dal 1991 la spesa del pubblico si riferisce alle sole utenze televisive.

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Per quanto riguarda il cinema, si può ipotizzare che la disaffezione possa essere correlata in modo negativo all’aumento del consumo di televisione. La perdita della spesa per prodotti cinematografici è vertiginosa. In trenta anni si è passati da un 56,9% del 1960 a un 11,1% del 1990, con un’escursione pari a -45,8%. L’intrattenimento cinematografico che aveva connotato la vita di paesi e città in tutta la prima metà del Novecento e che solo nel 1950 aveva toccato quota 68,6%233, è compromesso da un mezzo, come quello televisivo, che entra nell’immaginario collettivo, acquisendo di volta in volta connotati e contorni seducenti, e che al tempo stesso struttura il tempo libero degli italiani. Nonostante tentativi sinergici, basati su logiche di ri-mediazione della tv e dei suoi dispositivi tecnologici (come ad esempio il videoregistratore) con il cinema, si registrano un netto calo e una crisi che riguarda anche le sale cinematografiche. Ad oggi, tuttavia, si assiste a una moderata ripresa della spesa cinematografica ed a una maggiore specializzazione del pubblico, il quale mostra segnali di interesse e di informazione, documentandosi in tv e su Internet sui film che va a vedere.

Se scende la spesa per il cinema, non si può dire lo stesso per i cosiddetti trattenimenti vari. Con questa espressione s’intendono tutte quelle partiche culturali extra- domestiche a carattere ricreativo che includono sagre, mostre, fiere, luna park, concertini, balere, discoteche etc. Il progressivo aumento (+23,7% in trenta anni) e il carattere essenzialmente localistico di tali intrattenimenti, tuttavia, potrebbe apparire distonico sia rispetto alle tendenze culturali della società di massa, sia alle istanze transnazionali delle nuove tecnologie. In realtà tale dato è compensativo. Ciò significa che, a fronte di tendenze globalizzanti, le soggettività cercano sempre più di ancorarsi ai vissuti locali dei territori, marcando la propria appartenenza. Inoltre, specie nell’ultimo lustro degli anni Novanta, si registra un aumento di tali pratiche. Come afferma Valentina Martino:

“ Il trend positivo registrato negli ultimi anni dalle diverse forme di spettacolo e intrattenimento dal vivo induce a riflettere sulla qualità di alcuni cambiamenti e inversioni di gusto che interessano il pubblico: è qui in gioco anzitutto il punto di vista degli attori sociali che, letteralmente, abitano i luoghi – pubblici e privati, localizzati e remoti – del loisir, semantizzandone giorno dopo giorno l’uso sociale”234.

Oltre ai trattenimenti vari, anche la spesa per la pratica culturale sportiva sembra aumentare moderatamente (+ 7,6% dal 1960 al 1990) per poi registrare una moderata flessione nel 1999 (comprende il 9,4% della spesa). Il rapporto tra gli italiani, popolo

233 Fonte: dati SIAE, articolazione della spesa per diversi generi di consumo. Anno 1950. 234 Valentina Martino, op. cit. in Mingo I, op. cit., pag. 246.

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generalmente poco incline alle pratiche sportive individuali, e lo sport in generale e il calcio in particolare è da ricercarsi sia nell’interesse verso un consumo extra moenia (nel caso del calcio allo stadio) in grado di costituire un luogo reale di costruzione del tempo libero sia nella legittimazione sociale operata dalla televisione. Si pensi, a tal proposito, a programmi come Il processo alla tappa (1962), condotto da Sergio Zavoli, La Domenica

sportiva (1954) e a tutte quelle trasmissioni che vanno in onda, fin dai primi anni Ottanta,

nelle piccole emittenti locali che operano una sorta di approfondimento o, meglio, di metacomunicazione attorno al calcio e che sono centrali nella programmazione domenicale. Se a questo scenario aggiungiamo la nascita di nuove piattaforme televisive come Sky, l’avvenimento calcistico si sta configurando come vero e proprio evento mediale, che cambia sia il racconto giornalistico delle partite, che assume una valenza di narrazione sensazionalistica, sia il comportamento dei soggetti (i calciatori in campo) condizionato dalla presenza di numerose telecamere.

Un discorso a parte si può riservare alla spesa per radio e tv, il cui consumo tende ad aumentare con l’aumentare degli anni e con la conseguente penetrazione del medium televisivo nelle case degli italiani. Sospendendo momentaneamente l’analisi sul consumo di televisione che sarà, invece, approfondita in seguito, potremmo soffermarci meglio sulla radio e prendere in esame non soltanto il numero degli abbonamenti ma il consumo del mezzo. A proposito della radio, ad esempio, si potrebbe comparare la sua fruizione con quella di altri media generalisti (tra cui quotidiani e lettura di libri) tra il 1993 e il 2002, come emerge dalla seguente tabella: