• Non ci sono risultati.

1 Le generazioni in Italia: uno sguardo sistemico

Nella prima parte del presente lavoro abbiamo analizzato, in modo diacronico, il passato e il presente della televisione. Si è cercato di dar vita a un’indagine che mettesse insieme due aree disciplinari: nello specifico, la storia sociale dell’esperienza televisiva italiana e la tv del futuro alla luce del paradigma della convergenza digitale. Abbiamo considerato importante e prioritaria un’indagine storico/sociale che prendesse in considerazione soltanto tre soggetti nel processo di comunicazione199: l’emittente, nel

nostro caso le dirigenze televisive (dirigenti, autori, programmisti etc.), il canale, cioè l’apparecchio televisivo, inteso come device tecnologico che consente la trasmissione dei contenuti, e il messaggio, che s’identifica con i programmi televisivi. Abbiamo tralasciato gli altri due soggetti del processo di comunicazione: il destinatario, o meglio i soggetti cui sono indirizzati i messaggi, e gli effetti sociali creati dal processo comunicativo nel suo complesso. Nel nostro caso i soggetti non ancora analizzati sono il pubblico o, utilizzando una parola legata al marketing comunicazionale, le audience, e gli effetti sociali del mezzo, intesi come decodifica, ridefinizione e costruzione dell’universo simbolico della vita quotidiana assunto dalla televisione nel nostro Paese.

Per capire i mutamenti che nel tempo ha assunto la tv e per comprendere le dinamiche del suo pubblico e, conseguentemente, l’attuale allontanamento dei giovani dai linguaggi del generalismo, si è preferito considerare di primaria importanza un approccio generazionale, cioè un’analisi che fosse in grado di confrontare tra di loro le generazioni incrociandole con le tre principali ere televisive (paletv, neotv, multitv). Nel far ciò è opportuno avere come punto di riferimento un’analisi di natura sociologica che sia in grado, anzitutto, di definire il concetto di generazione e, in seconda istanza, di rappresentare e problematizzare la complessità del processo culturale in relazione ai

199 Per ulteriori appofondimenti sul modello della comunicazione di Lasswell, si veda Lasswell H.,

112

media in generale e al caso della televisione italiana in particolare.

Contributi importanti al concetto di generazione vengono da un autore come Karl Mannheim. Nel saggio scritto nel 1928 dal titolo Il problema delle generazioni, il sociologo tedesco si rifà tanto alla tradizione positivistica francese, in particolare a Comte e Mentrè, quanto a quella romantica e storicistica tedesca dell’Ottocento, intessuta di una forte sensibilità umanistica. Secondo l’approccio positivista il concetto di generazione si lega a quello di linearità di progresso. Vi è sempre, infatti, un equilibrio nella contrapposizione dicotomica tra un mondo giovanile innovatore e una generazione più “anziana” conservatrice. La durata delle generazioni è riconducibile ad un approccio biologico e classificabile nell’arco temporale dei trent’anni. L’approccio di stampo storicistico, invece, si sofferma sull’aspetto sincronico delle generazioni. Secondo i romantici esisterebbe un tempo senza tempo, in cui sono avviluppate tutte le generazioni. Vi è un intreccio temporale che segnerebbe quello che Pinder chiama lo Zeitgeist, cioè lo spirito del tempo200. Ciò che emerge con forza nei romantici tedeschi di primo Novecento

è il richiamarsi continuamente a una concezione spirituale dell’esistenza umana. Di fronte all’inarrestabile linearità del progresso e a una concezione positivistica della storia, restituita agli individui come naturale evoluzione scientifica, vi è un tempo della vita che appartiene ai soggetti sociali e che non può essere trascurato. Riguardo ai due modi di concepire le generazioni, Mannheim tenta di individuare una terza via sintetica. Egli muove, infatti, da un approccio sistemico che tiene insieme, in modo olistico, tanto l’aspetto biologico, quanto quello spirituale/romantico della generazione. Per Mannheim s’individuano tre dimensioni del concetto di generazione: la collocazione, il legame e l’unità di generazione. Per collocazione di generazione s’intende lo spazio sociale, storico, simbolico e culturale che unifica l’appartenenza generazionale. Nelle parole di Mannheim:

“La collocazione in termini di generazioni è fondata sulla presenza del ritmo biologico dell’esistenza umana: sulla realtà della vita e della morte, sul fatto della durata limitata della vita, che si sviluppa dalla gioventù alla vecchiaia. Si è collocati in modo affine nello sviluppo storico del processo sociale, per l’appartenenza ad una generazione, ad uno stesso anno di nascita”201.

Bisogna, inoltre, aggiungere che, in un dato momento storico, non esiste una sola generazione ma tante generazioni, ciascuna collocata dentro un universo cronologico e

200 Per ulteriori approfondimenti cfr. Pinder W., Il problema delle generazioni nella storia dell’arte

europea, Berlino, 1926.

113

valoriale ben determinato. Se ragioniamo in termini diacronici, cioè cogliendo l’evoluzione temporale dei soggetti sociali, possiamo considerare ciascuna generazione stratificata sul piano dell’esperienza, e, conseguentemente, l’insieme delle generazioni, come patrimonio di esperienze collettive. Oltre alla dimensione della collocazione, vi è anche quella del legame di generazione. Con tal espressione Mannheim muove da un approccio analitico che va ben oltre la determinazione biologica generazionale. Il sociologo tedesco, infatti, intende far riferimento a un‘idea attiva dell’appartenenza generazionale non solo, cioè, circoscrivibile entro un determinato contesto storico, sociale e culturale, ma comprendente anche altre dimensioni tra cui il condividere la stessa visione del mondo, le stesse pratiche discorsive e i medesimi universi culturali e simbolici comuni. Nelle parole di Mannheim:

“Pertanto noi parleremo di un legame di generazione solamente quando contenuti sociali o spirituali reali costituiscono nel campo del dissolto e del nuovo in divenire un’unione reale fra gli individui che si trovano nella stessa collocazione di generazione”202.

La terza dimensione individuata da Mannheim, cioè l’unità di generazione, può essere letta come qualcosa che va oltre, sia rispetto alla collocazione di generazione, intesa come appartenenza naturale di ciascun individuo entro una coorte d’età ben determinata, sia rispetto al legame di generazione, come momento che individua una sorta di comunanza di mondi culturali comuni. Perché vi sia unità di generazione, infatti, ci deve essere qualcosa di più, una trama connettiva, un quid unificante capace di tener uniti i membri di una stessa generazione. Non basta sentirsi parte di un destino comune. Occorre sviluppare una certa sintonia e avere una certa visione del mondo, oltre che condividere le stesse pratiche discorsive e universi culturali, valoriali e simbolici comuni. Si pensi, a tal proposito, alla coscienza e alla consapevolezza di sposare la stessa idea politica o di far parte dello stesso partito. In uno stesso legame di generazione si possono individuare varie unità di generazione. Come spiega Mannheim:

“ La gioventù che è orientata in base alla stessa problematica storica attuale, vive in un legame di generazione, i gruppi che elaborano queste esperienze all’interno dello stesso legame di generazione in modo di volta in volta diverso formano diverse unità di generazione nell’ambito dello stesso legame di

generazione”.203

Inoltre, secondo Mannheim, le unità di generazione:

202 Mannheim K., op. cit., pag. 74. 203 Mannheim K., ivi., pag. 76.

114

“ Sono caratterizzate dal fatto che non comportano soltanto una partecipazione di diversi individui a un contesto di avvenimenti vissuti in comune, ma individualmente dati in modo diverso, ma anzi significano un reagire unitario, una pulsazione e una configurazione affine di individui all’interno di una generazione”204.

La riflessione più evidente è quella legata all’aspetto cronologico delle generazioni. Potremmo infatti chiederci quanto duri una generazione. E, soprattutto, quale sia il collegamento con l’evoluzione e il progresso sociale. La posizione di Mannheim, sospesa tra positivismo e romanticismo, risolve la questione evidenziando un rapporto di causa ed effetto tra cambiamenti sociali, nei termini di mutamenti o cesure di natura storica, e rotture generazionali. Nello specifico il sociologo tedesco sottolinea come i processi legati ai cambiamenti generazionali, sia sul piano della collocazione sia su quello del legame di generazioni, siano riconducibili ai mutamenti storici, spesso traumatici nel loro verificarsi. Possiamo quindi affermare che i mutamenti storici condizionino la velocità dei cambiamenti legati alle coorti d’età.

I contributi al concetto di generazione vengono anche da altri autori, primo tra tutti Pierre Bourdieu. L’analisi del sociologo francese si muove in una duplice direzione: da una parte condivide con il positivismo classico l’idea che le generazioni siano un fenomeno sociale strettamente naturale, individuando, ad esempio, nelle differenze legate alle diverse coorti d’età (giovani vs anziani) la ragion d’essere delle generazioni stesse; dall’altra lega le generazioni a un più generale concetto culturale. Bourdieu, infatti, tiene conto di uno sguardo sociologicamente sistemico che considera le generazioni come parte integrante di un’unità narrativa e discorsiva legata al tessuto sociale e, conseguentemente, al concetto di classe. Per spiegare ciò e la composizione sociale strutturale della società divisa in classi, Bourdieu elabora e problematizza la questione introducendo il concetto di

habitus. Con tale espressione Bourdieu intende

“ Il principio generatore di pratiche oggettivamente classificabili e sistema di classificazione (principium

divisionis) di queste pratiche. E’ proprio nel rapporto tra queste due capacità che definiscono l’habitus,

capacità di produrre pratiche ed opere classificabili, e capacità di distinguere e di valutare queste pratiche e questi prodotti (il gusto), che si costituisce l’immagine del mondo sociale, cioè lo spazio degli stili di

vita”205.

Per Bourdieu, dunque, l’habitus ha a che vedere non soltanto con la produzione dei diversi gradi di capitale (economico, sociale, culturale e simbolico), ma anche con il

204 Mannheim K., op. cit., pag. 81.

115

principio di distinzione. Si crea quindi una divisione basata sul gusto e ciò fa sì che gli individui si distinguano sul piano dell’appartenenza a diverse classi sociali. A causa della distinzione dei gusti, tipica di individui che appartengono a distinti blocchi sociali, diversi stili di vita vengono riprodotti dentro uno spazio che necessariamente produce conflitto. Per Bourdieu questa dinamica costitutiva di una società stratificata e divisa in classi, si riflette anche sulle generazioni. Quando il sociologo francese afferma che il concetto di generazione ha anche un significato sociale, vuole ribadire l’importanza del condividere le stesse visioni o immagini della realtà, il sentirsi parte di uno stesso spazio simbolico e culturale, insomma, appartenere o meno a un determinato habitus. L’individuazione di un

habitus generazionale produce e riproduce scontri sociali. Il territorio del conflitto non è

soltanto riconducibile al nesso causativo tra generazioni e contesto storico/sociale, per cui a epoche storiche diverse corrispondono sensibilità generazionali diverse, ma anche ai differenti modi in cui i membri di una generazione sentono la propria appartenenza generazionale stessa e all’habitus che essi indossano. Nelle parole di Bourdieu:

“ I conflitti generazionali contrappongono non delle classi d’età separate daproprietà di natura, ma degli habitus che sono prodotti secondo modi di generazioni diversi, vale a dire attraverso delle condizioni di esistenza che, imponendo differenti definizioni dell’impossibile, del possibile, del probabile e del certo, fanno percepire gli uni come naturali o ragionevoli delle pratiche o delle aspirazioni che gli altri avvertono come impensabili o scandalose e viceversa”.206

Sul concetto di generazione riflessioni assai interessanti ci provengono anche da un autore come Pierpaolo Donati207. Egli sviluppa un’idea elaborata sia sul significato terminologico del concetto di generazione sia sulle categorie sociologiche utilizzate per spiegare la complessità di tale concetto. Prendendo spunto dal modello AGIL, teorizzato da Talcott Parsons, egli elabora un approccio sociologico all’analisi generazionale che tiene conto di modi diversi per spiegare il concetto di generazione. Secondo Donati, infatti, si può utilizzare una tassonomia riferita alla coorte d’età, e cioè individuando come generazione l’appartenenza a date di nascita temporalmente simili. Si può anche utilizzare una classificazione di unità storica, per cui il senso di appartenenza generazionale è strettamente correlato a tutti coloro che hanno condiviso un determinato periodo storico. Nel processo di operativizzazione del concetto di generazione, la

206 Bourdieu P., Per una teoria della pratica, Milano, Cortina, 2003, pag. 210.

207 Pierpaolo Donati, sociologo, è anche il teorico della sociologia relazionale. Secondo tale approccio,

elaborato negli anni Ottanta, la società non va analizzata a partire dagli individui o dalle strutture sociale, ma va concepita come insieme di relazioni sociali.

116

tassonomia di Donati non si limita soltanto all’individuazione di queste due importanti dimensioni, ma si spinge oltre e adotta uno sguardo che si muove entro un frame capace di tenere assieme riflessioni legate alla sociologia dei consumi. Si può considerare generazione, infatti, l’appartenere a un gruppo che condivide gli stessi consumi culturali e che si colloca dentro “lo stesso stile di vita rispetto al mercato”208. Il concetto di generazione, tuttavia, ha a che vedere anche con la discendenza familiare, cioè con i livelli di posizionamento che scaturiscono dalle relazioni tra membri della famiglia. Ma, oltre a queste quattro classificazioni del concetto di generazione, Donati ne elabora una che è strettamente correlata al concetto di sociologia relazionale. Secondo questa prospettiva, la generazione deve essere intesa:

“ come relazione sociale che lega coloro che hanno una stessa collocazione nella discendenza familiare (figli, genitori, nonni, bisnonni) rispetto al modo in cui tale collocazione viene trattata dalla società attraverso le sfere sociali che mediano tali relazioni all’interno e all’esterno della famiglia”.209

Questa idea del concetto di generazione, è assai interessante poiché Donati cerca di mettere in comunicazione la relazione tra l’appartenenza generazionale entro il proprio contesto d’origine, la famiglia appunto, con i rapporti sociali che determinano i ruoli assunti dai soggetti all’interno del contesto in cui essi strutturano le relazioni con il mondo esterno. L’originalità di tale approccio, definito a pieno titolo relazionale, sta nella completezza della definizione del concetto di generazione, che, nelle parole di Donati, può essere identificata come “ insieme delle persone che si definiscono rispetto a un prima e a un dopo all’interno del legame di una discendenza familiare, passando attraverso le crescenti mediazioni che la società (in particolare il welfare state) esercita su tali legami”210.

Il punto di vista di Donati, che è quello della sociologia relazionale, pone l’accento sulla centralità della rete dei legami sociali, oltre a una quadripartizione tassonomica che lega le generazioni sulla base di sintonie legate a omologhi stili di vita, sull’appartenenza a valori simbolici condivisi, su similitudini di consumi (siano essi materiali o immateriali) e sul riconoscimento del ruolo all’interno del contesto familiare. Questa divisione quaternaria del concetto di generazione è importante agli occhi dei ricercatori perché consente di segmentare l’indagine sulla base delle aree sociologiche di

208 Donati P., L’equità sociale tra le generazioni: l’approccio relazionale in (a cura di Sgritta G.B.) Il gioco

delle generazioni. Famiglie e scambi sociali nelle reti primarie, Milano, Franco Angeli, 2002, pag. 30.

209 Donati P., ivi., pag. 31. 210 Donati P., ivi., pag. 31.

117

riferimento, che mettono insieme la demografia, la sociologia politica, la sociologia dei consumi e la sociologia dei processi culturali. Tuttavia, se vogliamo interpretare tale concetto in modo sistemico o meglio, come spiega Donati:

“ Nell’ottica delle politiche sociali, e dell’analisi più ampia della società, la definizione relazionale è quella che risulta più capace di farci comprendere come le generazioni siano o non siano tenute in considerazione nelle dinamiche più complesse attraverso cui vengono realizzate le allocazioni di risorse e gli scambi generalizzati”211.

Per Donati, occorre infatti adottare sempre uno sguardo relazionale e considerare le generazioni non come entità a sé stanti rispetto alla società nel suo insieme, ma problematizzare la questione generazionale nella sua complessità. Detto altrimenti è necessario individuare possibili relazioni tra il concetto di generazione e quello di equità sociale al fine di riscrivere un nuovo patto tra individui appartenenti a coorti di età differenti. Per fare ciò, secondo Donati, sarebbe opportuno coinvolgere almeno quattro soggetti, tra loro interrelati e capaci di agire in modo sinergico: lo Stato, impegnato a ridisegnare politiche di welfare per i giovani, il mercato attento ai contratti di solidarietà e ai prestiti per soddisfare i bisogni primari delle nuove generazioni, il privato sociale in grado di attivarsi in termini cooperativi e, infine, la struttura familiare capace di sostenere i figli anche economicamente riducendo in tal modo i gap che possono dilatare, in modo esponenziale, l’area del conflitto generazionale.

Se, oltre alle indagini di Pierpaolo Donati in precedenza esposti, volessimo utilizzare contributi provenienti dalla tradizione sociologica contemporanea sul tema delle generazioni e immaginassimo di metterli in relazione con le analisi sui consumi culturali, dovremmo aprire il grandangolo del nostro sguardo anche sul ruolo assunto dai mezzi di comunicazione di massa e dall’apparato televisivo nel tessuto sociale dell’Italia212. A tal proposito, potremmo considerare assai interessanti le riflessioni e le ricerche portate avanti da Piermarco Aroldi e Fausto Colombo. I due autori, tenendo presente le vicende e i fatti storici accaduti nel nostro Paese, hanno individuato il formarsi di quattro generazioni ben precise: la prima è classificata come generazione del “Dopoguerra” e riguarda chi è nato tra il 1940 e il 1952. Coloro che fanno parte di questa generazione sono nati in un periodo di cesura e contrapposizione ideologica molto forte tra la dittatura

211 Donati P., ivi, pag. 31.

212 Sul rapporto tra generazioni e media, nello specifico tra generazione e Internet, cfr. anche Napoli A.

Generazioni on line, processi di ri-mediazione identitaria e relazionale nelle pratiche comunicative web- based, Milano, Franco Angeli, 2015.

118

fascista, la tragedia e la catastrofe della Seconda guerra mondiale, l’esperienza della Resistenza e la nascita della Carta costituzionale. Esperienze, queste, laceranti e sospese tra l’orrore del vecchio (Fascismo e guerra) e la speranza del tempo nuovo (democrazia e costituzione), capaci di condizionare i giovani tanto sul piano dei valori quanto sui processi di socializzazione. Va inoltre aggiunto che, nonostante il ritorno alle istituzioni democratiche, i nati in questo periodo storico si sono anche scontrati con le condizioni di penuria del primo dopoguerra in un’Italia, nazione poverissima, la cui metafora più evidente è caratterizzata dal capolavoro neorealista di Vittorio De Sica Ladri di biciclette (1948). Occorre anche ricordare che, dalla seconda metà degli anni Cinquanta, congiunture positive, legate allo sviluppo del piano Marshall e a politiche economiche keynesiane, hanno consentito a questa generazione di beneficiare del cosiddetto “miracolo italiano” che ha contraddistinto la storia del nostro Paese per quasi tutto il decennio successivo. Se c’è una trama connettiva che unisce e contribuisce a dare il senso del Noi agli appartenenti a questa generazione è, senza dubbio, la nascita del mezzo televisivo.

L’altra generazione, che comprende coloro che sono nati tra il 1953 e il 1965, è quella dei “Boomers”. La loro vita giovanile e i processi di socializzazione sono stati caratterizzati dall’appartenenza alla cesura del 68’. I sogni adolescenziali e giovanili s’incrociano, oltre che con il cinema e la televisione, con la musica (pop, rock e progressive) capace di diventare a pieno titolo la colonna sonora del tempo libero. Va aggiunto inoltre che c’è un quid che unisce la generazione del “Dopoguerra” e quella dei “Boomers”. Il punto di contatto riguarda l’importanza della televisione sul ruolo della costruzione dell’immaginario collettivo. Come spiega Piermarco Aroldi le generazioni:

“Dopoguerra e “Boomers” costituiscono le prime generazioni dell’Italia repubblicana e moderna; la distanza dai loro genitori è segnata non solo dalla frattura rispetto all’esperienza storica del Fascismo, della Guerra e della Resistenza, ma dall’intero processo di modernizzazione del Paese: scolarizzazione diffusa, inurbamento, industrializzazione, motorizzazione privata, unificazione linguistica, accesso ai consumi, abbandono delle tradizioni, nascita delle culture giovanili e dei movimenti di contestazione, liberazione sessuale e femminismo. In questo contesto la Televisione ha, come noto, svolto una funzione importante di accompagnamento, ammortizzando e guidando insieme il cambiamento sociale”213.

213 Piermarco Aroldi, Ripensare il rapporto tra media e generazioni: concetti, indicatori, modelli in

Colombo C., Boccia Artieri G., Del Grossi Destreri L, Pasquali F., Sorice M. (a cura di), Media e

119

Se la tv si è configurata come mezzo capace di porsi come guida del cambiamento sociale e culturale per tutti gli anni Sessanta e per parte dei Settanta, nel decennio successivo, grazie anche a una rapida diffusione a macchia d’olio delle emittenti private, entra prepotentemente nell’immaginario giovanile, strutturandosi anche come industria del divertimento. Il legame tra televisione e immaginario è molto forte, specialmente per la terza coorte generazionale individuata dai due autori e classificata come “Neo”. Con questa espressione si indicano tutti coloro nati tra il 1966 e il 1978. Questa generazione,