Unico nel suo genere, il Contamination Lab Torino (CLabTo) ha avviato i lavori nell’ottobre 2017 quale parte di un progetto nazionale più ampio finanziato dal MIUR, come raccontato nel paragrafo precedente. Il programma coinvolge due atenei piemontesi: il Politecnico di Torino e l’Università degli Studi di Torino, interessando potenzialmente circa 100.000 tra studenti e dottorandi, che ogni anno popolano e vivono il territorio, divenendo parte integrante del metabolismo urbano, nonché fucina di futuribili e visionarie strategie di sviluppo innovativo e sostenibile.
Se da un lato la collaborazione e la coordinazione tra due istituzioni tanto dissimili per tempistiche, mezzi, competenze e approcci, è cosa assai complessa da gestire ed equilibrare, dall’altro l’opportunità di ragionare insieme sul futuro della formazione e della didattica, sperimentando nuovi modelli di apprendi- mento, e la possibilità di offrire un ventaglio disciplinare completo e variegato, hanno decretato il valore aggiunto di strutturare il programma sulla collabora- zione interateneo, a prescindere dalle difficoltà prospettate.
L’obiettivo del programma è stato duplice. Siamo partiti con l’intento di migliorare le competenze specialistiche nonché l’intenzione imprenditoriale in senso stretto, per poi parallelamente guidare gli studenti nello svilupparne di nuove, maggiormente legate all’attitudine personale, tra cui annoveriamo la capacità di comunicare e raccontarsi, lavorare in team eterogenei, la capacità di affrontare situazioni nuove, mutevoli, complesse e/o caratterizzate da un impli-
cito grado di fallimento, ma reali. Il tutto, come vedremo in seguito, attraverso il bilanciamento di aspetti propedeutici, teorici, pratici ed esperienziali. Aspetti qualificati, anzi amplificati, dalle caratteristiche fisiche del CLabTo in generale, quale spazio aperto, dinamico, nel quale lo studente è libero di sbagliare e spe- rimentare, in cui si promuove uno scambio e una contaminazione costante tra studenti, docenti e aziende. Un sistema basato sul concetto di sfida e di labora- torio, quale rappresentazione del più ampio concetto di apprendimento pratico- esperienziale, con la promessa di insegnare agli studenti il controllo e la gestione di una complessità della domanda imprenditoriale sempre crescente. Aspetti que- sti, come vedremo nelle sezioni a seguire, ulteriormente valorizzati dalla struttura e dall’organizzazione del CLabTo.
2.2.1 Lo spazio: un sistema dinamico nella forma e fluido nei contenuti
Spesso le università non hanno spazi appropriati per ospitare al meglio program- mi di questo genere. I molti spazi messi a disposizione sono ancora basati su arre- di tendenzialmente fissi, orientanti in un’unica direzione, ovvero verso il docente, quale unico centro attrattivo sopraelevato (Nielsen e Stovang, 2015).
La sede in cui si è svolta la maggior parte della didattica del CLabTo, ov- vero una sala all’interno del Rettorato dell’Università di Torino, è stata pensata proprio per ovviare questa tendenza e per divenire uno spazio fisico, talvolta digitale, dinamico in cui i differenti attori coinvolti potessero collaborare con maggiore sistematicità, stringendo relazioni, condividendo orientamenti, momen- ti ludici e/o formativi, creando una vera e propria cultura comune. Per questo motivo si è optato per progettare ex novo gli interni, dotandoli di grandi tavoli da lavoro mobili e sedie con rotelle, per consentire, di volta in volta e in base alle esigenze del docente o delle attività, una configurazione veloce e effortless.
Nonostante non esista una struttura e un’organizzazione validata per supportare al meglio l’apprendimento, il riscontro è stato immediato; se alcuni docenti, infatti, hanno mantenuto un’impostazione tradizionale per le loro lezio- ni, altri hanno scelto di prendere parte al lavoro sedendosi direttamente tra gli studenti, e altri ancora hanno preferito creare cerchi o semicerchi con l’arredo per poi girarvi intorno.
La possibilità di sperimentare e variare la conformazione della sala, inoltre, è risultata particolarmente vincente durante tutte le attività di networking e team building.
Infine, come approfondiremo nel Capitolo 3, oltre al luogo fisico, che ha permesso di ospitare catering e momenti conviviali persino oltre l’orario consue-
to, anche la flessibilità dell’infrastruttura IT ha completato la possibilità di una fruizione mista, da remoto e in presenza, qualificando ulteriormente la dinami- cità del programma.
2.2.2 Un focus sul ruolo della sostenibilità, di Paolo Tamborrini
Come si è intuito dalle parole della coordinatrice della rete italiana dei Conta- mination Lab, ogni università ha scelto di dare vita al CLab della propria città secondo obiettivi strategici e modelli formativi molto differenti. Nella definizione del progetto del CLab torinese si è scelto di porre la sostenibilità ambientale alla base di tutte le attività formative e progettuali. La sostenibilità ambientale, da limite culturale o vincolo procedurale, diviene driver per abilitare processi di in- novazione sociale ed economica.
In un recente rapporto, McKinsey3 ha stabilito che le aziende che sono ca-
ratterizzate da una elevata competenza di design al loro interno, quantificata con il McKinsey Design Index (MDI), presentano una crescita annuale di fatturato e di ritorno di investimento agli azionisti mediamente doppie rispetto alla media delle aziende. Secondo la World Design Organization (www.wdo.org), il design è strategico per la risoluzione dei problemi, guida l’innovazione, crea successo aziendale e conduce a una migliore qualità della vita attraverso prodotti, sistemi, servizi ed esperienze innovativi.
In questo contesto, oggi, si inquadra anche l’European Green Deal, re- centemente lanciato dalla Commissione Europea, che detta le linee guida per affrontare la sfida globale di uno sviluppo sostenibile in un mondo con risorse limitate e in esaurimento. Già nel 2015, la Commissione Europea con “Design for Enterprises” (#Design4Enterprises) ha realizzato un programma formativo gratuito per avvicinare le piccole e medie imprese al mondo dell’innovazione, mostrando come questa possa essere la chiave per migliorare l’efficienza, la com- petitività e la sostenibilità. Uno sviluppo delle capacità imprenditoriali guidate dalla sostenibilità.
E così, per ogni challenge, che sia sulle forme di mobilità del futuro, sulla lotta allo spreco alimentare o per veicolare contenuti in modo più trasparente, il CLab Torino indaga la sostenibilità nella sua accezione più ampia e complessa. Il
3 www.mckinsey.com/business-functions/mckinsey-design/our-insights/the-business-value-of- design#signin/%2F~%2Fmedia%2FMcKinsey%2FBusiness%20Functions%2FMcKinsey%20 Design%2FOur%20insights%2FThe%20business%20value%20of%20design%2FThe-business- value-of-design-full-report.pdf/1.
fil rouge dell’intero programma è l’attenzione alle esigenze dell’utente e i possibili impatti futuri del progetto in un’ottica specifica di innovazione sostenibile.
Una sostenibilità che trova un equilibrio tra la dimensione sociale, ambien- tale ed economica.
Una sostenibilità la cui prerogativa e il cui fine ultimo è proprio innovare per e con il territorio, generare valore per le aziende e quindi per i luoghi su cui si insediano. Una sostenibilità che qualifica quotidianamente l’uso sistemico delle risorse, nonché un approccio collaborativo e partecipativo.
Il design sistemico come strumento per gestire la complessità
Dal luglio 2014 le strategie e le azioni politiche in ambito ambientale in Europa (ma possiamo dire anche a livello mondiale) si fondano sui principi della circular
economy, con l’intento di produrre secondo un modello economico in grado di
non generare sprechi, con materie prime riutilizzabili e riciclabili continuamen- te all’interno di un circolo chiuso. Ma quali conseguenze si sono generate con l’applicazione di questo modello economico? Certamente, ne è scaturita una maggiore consapevolezza sulla questione ambientale e si è consolidato il rapporto tra economia e questione ambientale, sovente visto, fino ad allora, come impra- ticabile. Tra le conseguenze, lo sviluppo di nuove tecnologie ma raramente di nuove tipologie e, purtroppo, dobbiamo anche registrare come, in taluni casi, l’economia circolare generi soprattutto aberrazioni materiche, con la scusa di dare nuova vita a tutto a ogni costo.
Se la circular economy è un modello economico, quale modello attuare per progettare e produrre innovazione e imprenditorialità? L’Ecodesign non è più sufficiente, agisce in maniera corretta ma puntuale senza avere la forza di definire i cambiamenti radicali oggi necessari. Servono approcci e metodologie per agire sulla complessità: progettare le relazioni tra le persone, le attività e le risorse di un territorio per produrre sviluppo e benessere per il singolo e il collettivo.
Partendo dall’assunto per cui non esiste una soluzione univoca per rispon- dere alle istanze ambientali, il design sistemico è una forma mentis che agisce a partire da un approfondito studio e dalla mappatura dell’ambito in cui è neces- sario agire: la possibilità odierna di raccogliere, incrociare, visualizzare e studiare le informazioni quantitative e qualitative del contesto e i loro pattern è diventata strategica per la riuscita di nuovi progetti e per la loro applicazione.
Attraverso un approccio definito “sistemico”, si intende promuovere una cultura della responsabilità orientata al cambiamento per generare progresso. Pro- muovere il pensiero sistemico significa creare nuove opportunità a partire dalla forza delle relazioni che esistono tra tutti gli attori e gli elementi di un sistema (Bi-
stagnino, 2011). Una visione sistemica guidata dal design richiede un cambiamen- to di paradigma, una progettazione di soluzioni radicalmente alternative, nonché una crescente attenzione verso l’interazione tra i processi coinvolti, l’ambiente e gli attori di un territorio. L’approccio sistemico può anche condurre a nuove forme produttive e a nuovi modelli di business, inclusivi, partecipativi e relazionali.
Inoltre, trattare i sistemi produttivi come sistemi complessi di attività complementari e simbiotiche piuttosto che entità disconnesse è fondamentale per condividere risorse, know-how e tecnologie. A lungo termine, ciò significa abbat- tere le motivazioni competitive della crescita delle singole realtà a scapito di altre (Bistagnino, 2017). Le relazioni generate all’interno del sistema lo fanno diven- tare un sistema che tende a evolvere in modo autonomo e a difendersi mutando all’insorgere di cambiamenti dovuti a crisi, a trasformazioni culturali o sociali. Considerare le realtà produttive come sistemi adattivi complessi genera un nuovo modello di gestione in grado di produrre benefici economici, sociali e ambientali (Pisek e Wilson, 2001). Questo approccio è modellato sul comportamento auto- organizzativo dei sistemi viventi che mostrano una “resilienza” intrinseca mani- festata in proprietà fondamentali, quali la diversità (esistenza di molteplici forme e comportamenti), l’efficienza (prestazioni con un consumo modesto di risorse), l’adattabilità (flessibilità al cambiamento in risposta a nuove pressioni) e la coe- sione (esistenza di forze o collegamenti) (Fiksel, 2004; Barbero, 2012).
Abilitare un’innovazione sostenibile attraverso il design sistemico è, e ancor di più sarà in futuro, un’opportunità strategica che coinvolgerà tutti i settori interni alle imprese, diventando una competenza sempre più vicina al core business dell’a- zienda (Gaiardo, Tamborrini, 2017). Già trent’anni fa il Rapporto Brundtland evidenziava la necessità di superare i confini del proprio settore per considerare le ripercussioni delle proprie azioni sulle altre aree e l’importanza di non lavorare in silos: “Sectoral organizations tend to pursue sectoral objectives and to treat their impacts on other sectors as side effects, taken into account only if compelled to do so. […] Sustainable development requires such fragmentation be overcome”. Come allora, oggi risulta fondamentale rispettare l’interdipendenza dei settori, se si vuole accogliere la sfida della complessità dell’Agenda 2030 e dei relativi 17 SDGs.
L’approccio sistemico prevede di lavorare in team eterogenei, di sviluppare un’elevata conoscenza dei contesti di riferimento tramite lo strumento del rilievo olistico e, al contempo, sviluppare un’elevata empatia, senza peccare di compe- tenza tecnica, acume commerciale o pensiero strategico. Per questo, e attraverso il modello del Contamination Lab Torino, possiamo ipotizzare che l’educazione imprenditoriale debba diventare un processo sempre più dinamico, in grado di garantire la giusta flessibilità e aderenza al bisogno emergente della nostra società, intrinsecamente dominata dal cambiamento.