Se z i o n e Pr i m a
Contenzioso nel sistema della legge istitutiva del 19J,0.
1. - Controversie possìbili. — Secondo il sistema della legge istitu tiva dell’imposta generale sull’entrata (legge 19 giugno 1910, n. 762, che convertiva con modifiche il D.L. 9 gennaio 1910, n. 2), l’applicazione del l’imposta avviene, per regola generalissima, su iniziativa dello stesso contribuente ed in occasione di ogni singolo atto economico. Questo deve, normalmente, essere consacrato in un documento (fattura, nota, quie tanza, bollettario, ecc.) e l’imposta si paga applicando le marche oppure servendosi del servizio dei conti correnti postali (artt. 8 e segg. legge citata e artt. 9-82 del regolamento 26 gennaio 1910, n. 10) (1).
In un sistema del genere, in cui all’amministrazione finanziaria non è attribuito alcun potere di intervento in sede di accertamento dell’im ponibile, non trovano cittadinanza le controversie fra Finanza e contri buente in punto di imposizione giusta. Le dichiarazioni infedeli del contribuente si manifestano sotto forma di mancata od inesatta forma zione del documento in base al quale si esplica l’autoapplicazione del- 1 imposta ed assumono senz altro la Aveste di evasioni che possono essere accertate in via repressiva dagli organi di polizia tributaria (artt. 18 e segg. legge citata).
Ond’è che il legislatore del 1910 si è occupato solo di due categorie di controversie fra Finanza e contribuente : controversie per erronea cor responsione d’imposta (art. 17) e controversie conseguenti all’accerta mento delle evasioni (art. 52).
2. - Controversie per rimborso d’imposta erroneamente pagata. — La cognizione delle controversie per rimborso di imposta erroneamente pagata (rimborso ammesso solo in caso di pagamento a mezzo di conto corrente postale o in modo virtuale ed escluso in caso di pagamento a mezzo di marche, art. 17, comma 1° e 2°) è attribuita all’Intendenza di Finanza se il valore non supera le cinquantamila lire e al Ministero delle Finanze per le somme superiori (art. 10, D.L. 27 dicembre 1916, n. 469, modificativo dell’art. 7, D.L. 26 marzo 1916, n. 221, che a sua volta aveva modificato l’art. 17, comma 5°, della legge istitutiva).
Non è dubbio che, trattandosi di ripetizione di indebito e quindi
(1 ) Per notizie ampie ed organiche su questi punti, consulta Co c ive ba, L imposta gen. sull’entrata, Milano, 1948, pag. 121 e segg.
di esercizio di un diritto subbiettivo, e, di più, in materia die esula dal l’estimazione, le controversie sui rimborsi possano essere portate anche davanti al Tribunale ordinario in base alla norma generale dell’art. 2, legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. Il ricorso all’autorità giudiziaria può avvenire sia dopo la decisione amministrativa sia prima. E’ infatti comunemente ammesso che la proposizione del ricorso gerarchico non sia condizione per l’azione giudiziaria (2); la regola è stabilita espres samente, sia pure per implicito, nella legge del registro (art. 148), ma si tratta di un principio di validità generale. La competenza dell’auto rità giudiziaria discende immediata e diretta dal citato art. 2 dell’all. E ed il subordinarne l’esercizio al previo espletamento del ricorso ammi nistrativo costituisce una deviazione che non può consentirsi se non laddove la legge tributaria lo prescriva espressamente; ciò che non si verifica circa il rimborso dell’imposta sull’entrata erroneamente cor risposta.
Si ritiene pure regola comune che, tuttavia, se il contribuente adisca il giudice ordinario prima di avere sperimentato il rimedio ammini strativo, la Finanza non possa, se soccombente, essere condannata al pagamento delle spese del giudizio (3).
Anche questa norma si trova scritta espressamente nella legge del registro (art. 148). Al riguardo però l’estensione analogica mi sembra assai meno sicura perchè qui la norma della legge del registro non esprime un principio generale, ma anzi un’eccezione alla regola secondo la quale la soccombenza comporta, normalmente, il carico delle spese
(art. 91, cod. proc. eiv.).
Circa il termine per la proposizione di questi ricorsi va osservato che l’art. 47, comma 2° della legge del 1940 stabilisce in un anno la prescrizione del diritto al rimborso. Quindi entro l’anno dal pagamento dell’imposta non dovuta il contribuente può esperire o l’azione giudi ziaria o il ricorso amministrativo. Se adisce senz’altro l’autorità giu diziaria è ovvio che poi non vi è più luogo per il rimedio amministrativo dato il valore preclusivo proprio della cosa giudicata. Se invece ricorre prima in sede amministrativa, resta poi aperta la via giudiziaria.
In questo secondo caso occorre vedere entro quale termine possa es sere adito il giudice ordinario.
Gli autori che trattano la questione con riferimento generico alle imposte che non si riscuotono mediante ruolo, sono portati ad affermare in via generale che l’azione giudiziaria deve essere proposta entro il termine di decadenza di sei mesi dalla notifica della decisione dell’auto rità finanziaria (4). E in effetti simile termine di decadenza è fissato dalla legge del registro (art. 146), da quella sulle successioni (art. 94), da quella sulla manomorta (art. 36 che rinvia alla legge di registro).
(2) Cfr. Gi a n n i n i, Istituzioni di dir. triti., 1948, pag. 160 e 198 ; At.i.orio, Dir. proc. triti., pag. 404 ; Za n o b in i, Corso di diritto amm., II, 431 ; Cocive ra, op. cit., pag. 207-208.
(3) Vedi gli autori citati alla nota precedente.
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da quella sulle imposte ipotecarie (art. 10 che pure rinvia alla legge di registro).
Tuttavia mi sembra che si dovrebbe usare molta circospezione nel generalizzare delle norme che pongono termini di decadenza. Trattasi infatti di apportare restrizioni al libero esercizio dei diritti e quindi non si può, in linea di massima, ricorrere all’analogia (art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, premesse al codice civile). Onde in mancanza di una espressa disposizione che stabilisca un termine di de cadenza per la ripetizione dell’imposta erroneamente pagata a mezzo del servizio dei conti correnti postali o in modo virtuale, mi sembre rebbe preferibile attenersi al termine di prescrizione di un anno di cui all’art. 47, comma 2° della legge istitutiva, quand’anche si adisca il giudice ordinario dopo l’esperimento del ricorso amministrativo.
Il termine decorre dalla notifica della decisione dell’autorità finan ziaria e decorre per intero. Il precedente ricorso amministrativo, in fatti, interrompe il termine che ha preso inizio dal pagamento dell’im posta e, inoltre, il nuovo termine resta sospeso in pendenza dell’esame del ricorso da parte dell’organo finanziario (cfr. l’art. 140 della legge del registro e, più in generale, il principio sancito dagli artt. 2943 e 2945 cod. civ.).
Oltre all’azione giudiziaria ritengo poi che contro la decisione del l’Intendente o del Ministro sia esperibile il rimedio della revocazione per errore di fatto o di calcolo e per rinvenimento di un documento deci sivo, in applicazione degli artt. 6 e 7 del regolamento 22 maggio 1910, n. 316 che, riguardando in via generale i ricorsi amministrativi in materia di tasse sugli affari, ben si adatta anche all’imposta sull’entrata.
3. - Controversie per evasione. — Quanto all’altra categoria di con troversie contemplate dalla legge del 1940, di quelle cioè conseguenti all’accertamento di evasioni operato dalla polizia tributaria, si nota che l’art. 52 di tale legge espressamente prevede, al comma secondo, la proponibilità dell’azione giudiziaria, rendendo così esplicita una regola già ritenuta applicabile di fronte al silenzio, o meglio all’appa rente diniego, della legge fondamentale in materia di violazioni finan ziarie (legge 7 gennaio 1929, n. 4, art. 58) (5). L’azione giudiziaria però non può qui proporsi che dopo l’espletamento del rimedio amministra tivo. Infatti il citato art. 52, comma secondo della legge istitutiva, confi gurando espressamente il reclamo al giudice civile come gravame avverso l’ordinanza definitiva dèll’Intendente o contro il decreto del Ministro, e fissando il termine di decadenza di sessanta giorni con riferimento alla notifica di tale ordinanza o decreto, impone la suddetta soluzione.
Più particolarmente la procedura si svolge come segue. Gli organi di polizia tributaria redigono verbale dell’accertamento dell’evasione d’imposta e lo trasmettono all’Intendente di Finanza (6). Questi notifica
(5) Giannini, I s ti tu z i o n i, cit., pag. 230 ed autori e giurisprudenza ivi citati.
il verbale al trasgressore e lo invita a presentare le sue deduzioni entro quindici giorni (art. 55, comma 1°, della legge 7 gennaio 1929, n. 4).
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presso contribuenti tenuti a corrispondere l’imposta attraverso l’autoapplica- zione su ogni singolo atto economico, pervenga alla rilevazione e quindi con testazione dell’evasione attraverso la valutazione della capacità produttiva media dell’azienda, la conseguente determinazione della presumibile entrata per un certo periodo di tempo e, infine, il confronto fra questa entrata pre sunta e quella, esigua, recata dalle fatture emesse.
Ebbene ho visto contestare, da parte del contribuente, la legittimità di simile procedura di accertamento dell’evasione, assumendosi che l’accertamento medesimo dovrebbe essere compiuto solo in relazione a singoli atti economici che la Finanza provasse, caso per caso, essere stati compiuti senza pagare l’imposta, e non mediante una valutazione complessiva e presuntiva dell’entrata.
Non credo che simile obbiezione sia fondata. E’ bensì vero che il sistema di pagamento dell’I.G.E. secondo le linee della legge istitutiva s’incardina nel singolo atto economico (art. 8 di tale legge). Ma si tratta, appunto, di sistema che concerne il pagamento ; o, più precisamente, le modalità di pagamento. Soggetta all’imposta è però l’entrata, tutta l’entrata (art. 1 della legge isti tutiva). In altri termini il pagamento tramite autoapplicazione su ogni singolo atto economico non è altro che il modo in cui la legge ha voluto che il con tribuente soddisfacesse all’obbligo di corrispondere l’imposta su tutte le en trate che consegue.
Ora quando non di pagamento in via normale si tratti ma di accerta mento di evasioni, da un lato non v’è disposizione alcuna che imponga speciali obblighi o divieti alla Finanza e dall’altro l’opera della polizia tributaria è funzionalmente diretta proprio a controllare se il contribuente abbia pagato tutto quel che doveva. Onde nulla, mi sembra, vieta che tale controllo si esplichi, se necessario, mediante una valutazione complessiva e presuntiva di tutta l’entrata, perchè questa costituisce, appunto, l’imponibile. L’operato della polizia tributaria potrà essere, in sede competente, contestato nel merito ; cioè circa il buon uso dei criteri tecnici di valutazione e quindi circa il risul tato della valutazione stessa (ammontare dell’entrata accertata in via pre suntiva), ma non quanto alla legittimità del procedimento.
Non si può neppure, a mio parere, ravvisare un ostacolo alla legittimità di un accertamento presuntivo dell’evasione, nell’art. 27 comma ultimo della legge istitutiva. Si sostiene talora dal contribuente che tale disposizione, pre vedendo espressamente simile forma di accertamento in ordine ai commer cianti, farebbe comprendere che essa deve essere, viceversa, esclusa per tutte le altre categorie.
Per ritenere valida questa argomentazione occorrerebbe che la presun zione di evasione stabilita dal citato art. 27 ultimo comma, che in effetti ri guarda solo i commercianti, costituisse un’eccezione nell’ambito dell’accerta- mento delle evasioni all’I.G.E. Al contrario, mi sembra che si tratti del l’espressione legislativa di una regola pratica ovvia. Tanto ovvia che se an che non fosse scritta nella legge, la Finanza non potrebbe esitare a seguirla. Certo che se risultano i quantitativi di merce acquistata da un contri buente e se la polizia tributaria controlla, in occasione di una verifica, che tale merce non esiste più e che, d’altra parte, non ci sono nemmeno, in tutto o in parte, le prove della corresponsione dell’imposta, nasce ex rebus ipsis la constatazione che, almeno fino a dimostrazione contraria, quella merce, o parte di essa, è stata venduta evadendo l’imposta. Questa constatazione, niente più e niente meno, contiene l’ultimo comma dell’art. 27 citato.
Da simile norma, espressione di così ovvia regola di controllo delle eva sioni, non vedo come si possa desumere che in ogni altro caso la Finanza non possa procedere ad accertamento presuntivo adottando regole altrettanto logiche.
Alla fine, limitare l’accertamento delle evasioni ai soli casi in cui la Fi nanza riesca a trovare la prova, caso per caso, di ogni singolo atto economico
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Decorso tale termine, l’Intendente, se in base al verbale di accer tamento e in genere a tutti gli atti raccolti dalla polizia tributaria e alle difese che il contribuente abbia eventualmente presentato, si con vinca della sussistenza dell’evasione e della responsabilità della persona denunciata, emette ordinanza motivata con la quale stabilisce ram mentare della pena pecuniaria (art. 55, comma 2°, della legge del 1929) che, com’è noto, è sanzione di natura civile per l’espressa norma del- l’art. 3 della legge ultima citata. Con la stessa ordinanza l’Intendente determina altresì l’imposta e la sopratassa dovute (arg. ex art. 52, comma 2°, e 30, comma 2° e 3", della legge istitutiva).
L’ordinanza è notificata al contribuente. Se la pena pecuniaria edit tale non superi, nel massimo, le cinquantamila lire, l’ordinanza stessa non è impugnabile in sede ammiinstrativa; in altre parole è senz’altro definitiva (art. 52, comma 1*, della legge istitutiva, modificato dall’art. 11, D.L. 27 dicembre 1946, n. 469). Pertanto il contribuente non ha altro rimedio ordinario che l’azione giudiziaria da promuoversi entro ses santa giorni dalla notifica.
Se viceversa la pena pecuniaria edittale sia superiore, nel massimo, alle cinquantamila lire, il contribuente può ricorrere, avverso l’ordi nanza intendentizia, al Ministero delle finanze, nel termine di trenta giorni (art. 56, comma 1°, della legge del 1929). Il Ministro decide con decreto, che è provvedimento definitivo (art. 58, comma 1°, stessa legge), avverso il quale il ricorso al giudice ordinario (civile) è ammesso entro sessanta giorni dalla notifica (art. 52, comma 2“, della legge istitutiva) (7). non assoggettato ad imposta, porrebbe l’amininistfazione di frónte ad ostacoli pressoché insuperabili a causa dell’evidente difficoltà pratica di acquisire tale prova e quindi in gravi condizioni di inferiorità di fronte al contribuente; ciò che sarebbe in contrasto con il sistema tributario, nel quale, al contrario, aii’amministrazione è fatta, di regola, una posizione di preminenza. La regola, anche in materia di imposta sull’entrata, mi pare non possa essere che quella della libertà delle forme di controllo della Finanza ; per vincolare l’ammini strazione ad un obbligo di acquisire la prova dell’evasione in ordine ad ogni singolo atto economico occorrerebbe un’espressa disposizione legislativa che invece manca..
(7) A proposito dell’ordinanza dell’Intendente e del decreto del Ministro, gli artt. 56 e 58 della legge del 1929 parlano di « titolo esecutivo ». Ciò com porta, mi sembra, un’interessante conseguenza.
Una volta che la pena pecuniaria sia stata fissata in via definitiva (o con l’ordinanza dell’Intendente o con il decreto del Ministro), l’amministrazione, a quanto ho potuto constatare, provvede alla riscossione a mezzo di ingiun zione a norma del T.U. 14 aprile 1910, n. 639. Di regola questa ingiunzione, come in genere qualsiasi ingiunzione fiscale, trae la propria forza obbligato ria e cogente per il soggetto passivo dal potere d’imperio dello Stato (cfr. Gi a n n i n i, Istituzioni cit., pag. 217 e segg. ad autori ivi citati).
In altri termini l’ingiunzione fiscale è essa stessa titolo di legittimazione all’esecuzione e non ha bisogno di appoggiarsi ad un titolo esecutivo auto nomo (in quest’ordine d’idee, se non ho mal compreso, sembra essere anche rAnnoKio, op. cit., pag. 231 e segg.).
Ora il quesito che si pone è questo : se l’ingiunzione abbia il suo consueto valore autonomo anche quando sia emessa per la riscossione di una pena pe cuniaria accertata e liquidata nei modi degli artt. 55 e segg. della legge del 1929.
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Può domandarsi se il contribuente, nel caso in cui sia possibile il ricorso al Ministro (pena pecuniaria edittale superiore a cinquantamila lire), debba necessariamente esperire tale ricorso prima di adire la via giudiziaria, ovvero possa ometterlo.
Riterrei preferibile questa seconda soluzione. Il più volte citato art. 52, comma 2°, della legge istitutiva dice die il gravame davanti al giudice ordinario è consentito sia contro l’ordinanza definitiva dell’In tendente che contro il decreto del Ministro.
Non so se il legislatore, nel parlare di ordinanza definitiva, abbia avuto presente solo quella che possiede tale qualità sin dall’origine (ordinanza non impugnabile perchè relativa a pena edittale non
supe-Ritengo che la risposta negativa s’imponga. In effetti se l’ingiunzione con servasse anche in questo caso un valore obbligatorio proprio ed originario, tutte le norme di procedura amministrativa fissate negli artt. 55 e segg. citati sarebbero scritte inutilmente. Perchè la loro inosservanza sarebbe irrilevante di fronte all’efficacia assorbente deH’ingiunzione ; fossero o non fossero, l’or dinanza intendentizia e il decreto del Ministro, divenuti validamente defini tivi e cioè titoli esecutivi, la cosa non avrebbe importanza perchè l’ingiunzione, con il proprio valore autonomo, coprirebbe qualsiasi difetto. Anzi la Finanza, in modo molto più semplice e sbrigativo, potrebbe addirittura omettere in blocco tutta quella procedura ed emanare senz’altro l’ingiunzione. Non ci sa rebbe infatti possibilità, per il contribuente, di lamentare l’inesistenza o la inefficacia del titolo esecutivo (ordinanza o decreto), a questo, o meglio alla sua funzione, provvedendo comunque, ex-novo, l’ingiunzione. Al contribuente l’amministrazione potrebbe sempre rispondere : c’è l’ingiunzione, e cioè una manifestazione immediata del potere statale d’imposizione, direttamente ed originariamente costitutiva del debito di pena pecuniaria, e quindi non resta da discutere che su di essa : sulla sua validità e, nel merito, sull’esistenza della violazione finanziaria.
Ebbene non mi sembra si possa accettare questa conclusione. Se gli artt. 55 e segg. della legge del 1929 sono scritti, essi debbono trovare efficace appli cazione. Onde occorre ritenere che, nel caso di pene pecuniarie, l’ingiunzione della Finanza ha la semplice funzione del precetto, cioè di una intimazione ad adempiere un’obbligazione risultante da un separato titolo esecutivo (l’ordi nanza dell’Intendente o il decreto del Ministro) ; e che nell’ingiunzione me desima non s’impegna il potere d’imperio dello Stato. Essa è semplicemente un atto di parte in posizione paritetica e non sovrana, ed è idonea a condurre legittimamente all’esecuzione solo in quanto riposi su una valida ordinanza o su un valido decreto.
A conferma di ciò mi sembra si possa addurre un argomento letterale non trascurabile. Gli artt. 56 e 58 della legge del 1929 parlano, come ho notato, di « titolo eescutivo ». Simile formula, adoperata così ex-professo, non può ritenersi scritta dal legislatore senza l’esatta nozione del suo significato. Trat tasi infatti di una espressione di carattere tecnico, che ha significato preciso, univoco ed unico. Onde si deve desumere che la legge ha chiaramente voluto che, in materia di pene pecuniarie, debba essere formato un titolo esecutivo secondo una determinata procedura prima di addivenire alla riscossione coatta.
Questi rilievi hanno una notevole portata pratica. Perchè acquista senso giuridico e rilevanza una contestazione circa l’esistenza e la validità dell’or dinanza intendentizia o del decreto del Ministro in sede di opposizione pro posta dal contribuente davanti al giudice ordinario avverso l’ingiunzione della Finanza.
Non posso in questa sede trattenermi sulle eventuali ulteriori conse guenze che possano derivare dalle osservazioni che precedono.
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riore a cinquantamila lire). Ma la legge vale per quel che dice e non per l’intenzione inespressa del legislatore; e poiché l’ordinanza del l’Intendente è definitiva così quando il ricorso al Ministro non sia consentito come quando, pur ammesso, non sia stato di fatto propo sto nei trenta giorni, mi sembra difficile escludere la possibilità del l’azione giudiziaria Omisso medio.
In ogni caso la proposizione dell’azione giudiziaria deve essere pre ceduta dal pagamento dell’imposta e della sopratassa determinate nel l’ordinanza intendentizia o nel decreto ministeriale (art. 52, comma 2°, della legge istitutiva). E’ il solito principio del solve et repete. Da no tare, tuttavia, che mentre si ritiene che, in linea generale, il principio trovi applicazione anche per la pena pecuniaria, data la natura analoga al debito d’imposta che essa presenta (8), qui la legge parla solo del l'imposta e della sopratassa. Non pare si possa interpretare la dizione dell’art. 52 se non nel senso dell’esclusione dell’obbligo del previo paga mento della pena pecuniaria per adire l’autorità giudiziaria. E’ bensì vero che di simile esclusione non è dato trovare la giustificazione in un qualche elemento specifico che differenzi, da questo punto di vista, l’im posta sull’entrata dalle altre imposte; ma d’altro canto la lettera della legge non sembra poter ammettere dubbi. Non si può, in particolare, pensare che il legislatore abbia inteso comprendere nella parola « sopra tassa » anche la pena pecuniaria, perchè si tratta di due termini che