Christina Katsiana
1. Il contesto storico
Il regime giuridico relativo ai cittadini greci di religione islamica che risiedono in Tracia risale al 1881 e risulta imperniato sul parziale riconoscimento della giurisdizione confessionale per le questioni di statuto personale. La legislazione in materia ha avuto origine dalla Convenzione di Costantinopoli (1), con cui furono annesse allo Stato greco la regione di Tessaglia e la città di Arta, nelle quali viveva una numerosa comunità musulmana (2). Oltre a definire i nuovi confini dello Stato, la Convenzione riconosceva la minoranza musulmana della Grecia, ne garantiva (art. 8) la libertà di religione e di culto e la facoltà di mantenere i contatti con le guide spirituali, così come assicurava la continuità della presenza delle comunità musulmane (umma) nei loro tradizionali luoghi di insediamento (3).
L’aspetto giuridico-religioso maggiormente peculiare fu il riconoscimento formale della giurisdizione del mufti, considerato quale portatore naturale ed interprete autentico delle tradizioni sacre dell’Islam, a cui venne permesso di continuare a svolgere la propria funzione nei tribunali islamici (cheri). Questa giurisdizione riguardava solo le cause di natura “puramente religiosa” (art. 8, par. 3); nelle stesse veniva compresa anche la risoluzione delle questioni di natura familiare e successoria perché collegate alla religione islamica. Tuttavia le decisioni dei tribunali sciaraitici non producevano effetti giuridici nell’ordinamento dello Stato, perché erano i tribunali ordinari ad applicare direttamente la legge islamica, pur tenendo in considerazione le decisioni ed i pareri emanati dal mufti alla stregua dei principi islamici (4).
Le decisioni del mufti avrebbero acquisito la capacità di produrre effetti giuridici nell’ordinamento greco con la conclusione della Convenzione di Atene (14 novembre 1913), la quale pose fine alla situazione belligerante tra la Grecia e la Turchia e regolamentò ulteriormente le questioni relative alle minoranze di entrambi gli Stati (5). Per quanto riguarda le minoranze musulmane rimaste in Grecia, questo atto internazionale riproduceva quanto previsto dalla Convenzione di Costantinopoli, limitandosi ad apportare alcune innovazioni in ordine alla regolamentazione della figura del mufti. Secondo l’art. 11 i mufti dovevano essere eletti, ciascuno nel proprio distretto, dai cittadini musulmani. Il Gran mufti veniva nominato dal Re, il quale lo sceglieva fra tre candidati precedentemente eletti da tutti i mufti della Grecia (6). Quest’ultima regolamentazione fu modellata sul sistema dei millet (7), in linea con i principi vigenti nell’Impero ottomano. Le decisioni dei singoli mufti venivano recepite dalle autorità competenti dello Stato greco soltanto dopo che erano state revisionate e convalidate dal
Gran mufti.
Il diritto di rivolgersi al mufti per le questioni di statuto personale ed il conseguente recepimento della legge islamica all’interno dell’ordinamento giuridico greco furono consacrati con l’art. 4 della legge n. 147/1914 (emanata proprio per dare esecuzione alla Convenzione di Atene). Tale disposizione, ancora oggi in vigore (8), determina i casi in
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cui il diritto islamico può essere applicato (per esempio nelle questioni riguardanti il contratto e lo scioglimento del matrimonio oppure i rapporti personali tra i coniugi ed i legami di parentela che si regolano e si giudicano sulla base della legge religiosa). Successivamente venne emanata la legge n. 2345/1920, che dava esecuzione al Trattato di Sevrés. Questo accordo internazionale pose fine alla Prima Guerra Mondiale e stabilì i nuovi confini dell’Impero Ottomano annettendo l’intera regione della Tracia e la città di Smirne allo Stato greco. Così un altro gruppo di fedeli dell’Islam venne ad aggiungersi alla minoranza musulmana che già viveva all’interno dei confini dello Stato greco.
Subito dopo la fine della Prima Guerra mondiale, la Grecia ritenne che la situazione politico-militare fosse divenuta particolarmente favorevole ed organizzò una spedizione nell’Asia Minore al fine di espandersi territorialmente. L’esito di questa spedizione fu però la disfatta dell’esercito greco in Anatolia e a Smirne (1922, definita come
μικρασιατική καταστροφή) e la vittoria di Mustafa Kemal Pascià in Turchia (9). A porre
la parola fine allo scontro tra i due Stati intervenne la Convenzione di Losanna (24/7/1923), il cui obiettivo principale fu proprio quello di stabilire una pace duratura nell’area (10). A questo fine, il 30 gennaio 1923 fu firmata la Convenzione per lo “Scambio obbligatorio delle popolazioni tra Grecia e Turchia” (che divenne successivamente parte della Convenzione di Losanna), con cui si volle attuare un processo di nazionalizzazione attraverso l’omogeneizzazione delle popolazioni (11). Infatti, l’art. 1 della Convenzione stabiliva lo scambio obbligatorio (12) dei Greci
ortodossi che vivevano in Turchia e possedevano la cittadinanza turca con i musulmani
che vivevano in Grecia ed avevano la cittadinanza greca. Quest’articolo creò dunque degli immigrati, i quali acquistavano di diritto (art. 7) la cittadinanza dello Stato che li accoglieva al momento del loro arrivo e perdevano quella precedente, così come perdevano anche la possibilità di tornare in futuro nelle proprie abitazioni. Da questa regola generale furono esclusi i Greci ortodossi di Costantinopoli, di Imbros e di Tenedos e, come un simmetrico contrappeso, i musulmani della Tracia occidentale (art. 2) (13). Vennero in questo modo create delle minoranze etniche alle quali fu permesso di rimanere nelle zone in cui abitavano (14). Infatti, quello che fu ritenuto prioritario nelle trattative precedenti la conclusione della Convenzione riguardava proprio le minoranze che sarebbero rimaste in Grecia e in Turchia dopo lo scambio (15) ed, in particolare, la tutela della loro libertà religiosa. In seguito alle trattative si emanarono disposizioni più specifiche a garanzia della libertà delle minoranze religiose. Esse si inserirono nella terza parte della Convenzione di Losanna (artt. 37-45) sotto il titolo: “Protezione delle minoranze”. In particolare, gli articoli 37-44 riguardavano la minoranza non musulmana della Turchia, ossia i Greci, mentre l’art. 45 regolava il principio che avrebbe determinato al contempo il comportamento della Grecia nei confronti della minoranza musulmana.
Va precisato, comunque, che la maggior parte delle facoltà disciplinate da queste disposizioni rimasero lettera morta, a causa della scarsa disposizione dei due Stati, specie quello turco (16), a garantirne una piena ed effettiva applicazione. A conferma di quanto appena affermato, può farsi riferimento alla drastica diminuzione delle popolazioni minoritarie in Turchia e in Grecia. La minoranza greca di Costantinopoli sostanzialmente si è spenta: delle 110.000 persone che la costituivano nel 1923 oggi ne rimangono appena 2.000; il popolo greco di Imbros e di Tenedos è diminuito, nello
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stesso periodo, da oltre 9.000 a 300 unità. La minoranza musulmana nella Tracia occidentale conta oggi un numero di persone leggermente minore rispetto alle 120.000 del 1923 (17). Essa è composta da popolazioni di origine turca (quasi il 50%), Pomachi (35%) (18) e un numero minore di rom (15%) che vivono principalmente nel distretto di Evros (19).