I. La continuità aziendale come punto focale della gestione
I.1 Continuità aziendale, perdita della continuità e rappresentazione di bilancio
La nozione di continuità aziendale è una nozione di matrice contabile, utilizzata principalmente nelle scienze aziendalistiche, e fa riferimento alla capacità dell’impresa di mantenersi in attività (104). Ai sensi del principio contabile di revisione internazionale (ISA Italia) n. 570 sulla continuità aziendale, il presupposto della continuità è che l’impresa sia in grado di svolgere le proprie attività in un prevedibile futuro.
La trasposizione giuridica del principio si ritrova attualmente nell’art. 186-bis, l. fall., in riferimento al concordato con continuità aziendale, nel quale, al comma secondo, lettera b), si fa, infatti, riferimento alla prosecuzione dell’attività, funzionalmente al miglior soddisfacimento dei creditori. Alcuni elementi dell’attivo del patrimonio, infatti, quali l’avviamento o le informazioni riservate sul processo produttivo, risultano valorizzati dalla continuazione dell’attività d’impresa, mentre verrebbero dispersi se la stessa venisse interrotta.
Per comprendere il significato della continuità aziendale è necessario far riferimento al concetto di equilibrio prospettico, consistente in una previsione di equilibrio nel prosieguo dell’attività
2004; per una prospettiva legata alla buona gestione nella società in crisi si rinvia a BOZZA, Diligenza e responsabilità degli amministratori di società in crisi, in Fallimento, 2014, 1097 ss.
(102) Sul punto anche CARDARELLI, Insolvenza e stato di crisi tra scienza giuridica e aziendalistica, in AAVV, La nuova disciplina delle procedure concorsuali, Torino, 2019, 165 ss.
(103) NIEDDU ARRICA, I principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale nella prospettiva della tutela dei creditori, Torino, 2016, 45 ss., per il quale i compiti dell’organo gestorio connessi alla continuità aziendale e volti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale si sostanziano non solo nell’astensione da condotte pregiudizievoli, ma soprattutto nella predisposizione di una struttura organizzativa che sia consona alle esigenze, oltre che alle dimensioni e alle caratteristiche proprie di ciascuna impresa, e nella vigilanza sull’equilibrio aziendale.
(104) È infatti la dottrina aziendalistica, mediante l’analisi dei flussi di cassa prospettici, a identificare la continuità aziendale come il criterio di differenziazione tra la fase fisiologica e quella patologica dell’attività dell’impresa. Così CARDARELLI, Insolvenza e stato di crisi tra scienza giuridica e aziendalistica, in AAVV, La nuova disciplina delle procedure concorsuali, Torino, 2019, 156 ss.
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d’impresa. Perché l’impresa possa operare in continuità è necessario che vi sia e che permanga l’equilibrio finanziario, economico e imprenditoriale.
Il termine equilibrio riferito all’attività d’impresa, attività ontologicamente dinamica, non va inteso in modo statico ma, trattandosi appunto di un contesto in continua evoluzione e influenzato da elementi endogeni ed esogeni, è da intendere come una condizione ideale alla quale tendere costantemente (105).
L’equilibrio economico consiste nella idoneità a remunerare congruamente i fattori produttivi adoperati e lasciare, allo stesso tempo, all’imprenditore, un margine di reddito. Un tale equilibrio non deve essere immediato o continuativo, ma “tendenziale” e deve essere raggiunto nel medio/lungo periodo. L’economicità va quindi valutata in ottica prospettica.
L’equilibrio finanziario (106) riguarda la sincronia tra entrate e uscite finanziarie e si realizza quando l’impresa ha la liquidità necessaria per far fronte alle proprie obbligazioni. Per mantenere l’equilibrio finanziario è necessaria un’attenta attività di pianificazione, in quanto si tratta di un equilibrio che deve verificarsi in modo continuativo.
L’equilibrio reddituale attiene maggiormente al parametro patrimoniale e deriva da un rapporto equilibrato tra capitale proprio e capitale di credito e sussiste ove l’impresa sia dotata di un capitale proprio adeguato agli investimenti posti in essere (107). Si tratta perciò di un equilibrio di carattere strutturale.
Per quanto riguarda l’equilibrio aziendale (o imprenditoriale), si tratta, invece, di un fattore legato alla capacità dell’impresa di operare nel mercato. Indici della mancanza di equilibrio imprenditoriale possono essere, ad esempio, l’allontanamento di amministratori o dirigenti strategici, la risoluzione di contratti con fornitori importanti o la perdita della clientela.
È con il d.lgs. 9 aprile 1991, n. 127, in attuazione della Quarta direttiva di armonizzazione in materia societaria (Dir. 78/660/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1978) e della settima direttiva 83/349/CEE del Consiglio del 13 giugno 1983, relative ai conti annuali e consolidati, che è stato introdotto nell’ordinamento giuridico italiano, con la modifica dell’art. 2423-bis c.c., il concetto di continuità aziendale, quale punto centrale nella redazione del bilancio di esercizio (108) delle società di capitali.
La formulazione della norma mette al primo posto la prospettiva di continuazione dell’attività, in una logica di continuità sostanziale (109).
(105) SAVIOLI, Crisi e risanamento dell’impresa, Milano, 2019, 11. (106) SAVIOLI, Crisi e risanamento dell’impresa, cit., 13.
(107) SAVIOLI, Crisi e risanamento dell’impresa, cit., 14.
(108) NIEDDU ARRICA, I principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale nella prospettiva della tutela dei creditori, cit., 46; RACUGNO, Venir meno della continuità aziendale e adempimenti pubblicitari, cit., 208 ss.; RORDORF, La continuità aziendale tra disciplina del bilancio e diritto della crisi, in Società, 2014, 918.
(109) Per DI SABATO, Diritto delle società, Milano, 2011, 414, «il principio del going concern è implicito nella definizione ragionieristica di bilancio di esercizio quale bilancio di funzionamento»
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Il bilancio dà evidenza contabile della gestione della società in continuità aziendale (110) e svolge una funzione di rendiconto sull’operato degli amministratori, oltre a una funzione organizzativa, in quanto i risultati patrimoniali e reddituali che dallo stesso emergono vanno posti alla base delle decisioni da assumere (111). In particolare, il rendiconto finanziario (112) è la cartina di tornasole della gestione della società poiché si tratta di uno strumento mediante il quale è possibile valutare se la società sta operando in continuità aziendale e su questa base parametrare le mosse successive.
Esso permette, infatti, attraverso il monitoraggio delle disponibilità dell’impresa, di conoscere come essa sia finanziata e come siano investite ed utilizzate le risorse e, in tal modo, di cogliere i segni prodromici dell’insolvenza. Con il rendiconto si misura, dunque, la performance dell’impresa (113), alla luce della quale si possono formulare previsioni sugli sviluppi dell’iniziativa, secondo una valutazione ex ante, in linea con una visione dinamica dell’attività. L’utilità del rendiconto finanziario per il monitoraggio dell’eventuale insorgere della crisi, induce la dottrina ad auspicare l’estensione dell’obbligo di redazione dello stesso anche alle società per cui non è previsto, quale misura a vantaggio delle stesse imprese (114).
Tuttavia, il bilancio e il rendiconto finanziario (115) sono strumenti consuntivi, che non sono direttamente funzionali a prevenire lo stato di insolvenza, ma solo di riscontrare un eventuale stato di crisi, in quanto dagli stessi emerge ciò che già si è verificato (116).
Va inoltre sottolineato che i criteri di redazione del bilancio possono variamente configurarsi a seconda della funzione che, di volta in volta, lo stesso assume (117): nel bilancio “ordinario” di esercizio devono emergere i valori d’uso e funzionamento, in rapporto alla attività svolta e, secondo il principio contabile internazionale IAS 1, n. 23, esso deve essere redatto secondo la
(110) Prima del codice della crisi l’attenzione alla continuità aziendale emergeva sicuramente in relazione agli obblighi di redazione del bilancio, ma non rientrava nel parametro di diligenza e corretta gestione se non in fase patologica, sul punto CINCOTTI, NIEDDU ARRICA, La gestione del risanamento nelle procedure di concordato preventivo, in Giur. Comm., 2013, I, 1238 ss.
(111) RACUGNO, Bilancio e libri sociali, in Pratica professionale. Società di capitali diretta da R. Rordorf, Milano, 2019, 5.
(112) la previsione, nell’articolazione della documentazione di bilancio, del rendiconto finanziario, fa sì che, ad oggi, emergano e si tenga conto anche dei flussi finanziari: così DE MATTEIS, L’emersione anticipata della crisi d’impresa: modelli attuali e prospettive di sviluppo, Milano, 2017, 250.
(113) SPIOTTA, Continuità aziendale e doveri degli organi sociali, cit., 66 ss. (114) SPIOTTA, Continuità aziendale e doveri degli organi sociali, cit., 70.
(115) Sul rendiconto finanziario si veda RACUGNO, Il rendiconto finanziario secondo le nuove norme sul bilancio di esercizio, con una postilla sui flussi finanziari derivati, in Giur. comm., 2016, I, 270 ss., e più in generale sulle politiche relative al bilancio RACUGNO, Politiche di bilancio, in Giur. comm., 2013, I, 732 ss. (116) Come si vedrà meglio in seguito (v. § IV) si rivela, invece, utile l’utilizzo di strumenti prospettici, che siano in grado di programmare l’attività in un periodo più o meno lungo. Gli stessi in caso di impresa in bonis sono utili alla programmazione dell’attività, in caso di impresa in stato di crisi e di pre-insolvenza sono strumenti d’allarme di uno stato di difficoltà dell’impresa e permettono di gestire la crisi evitando l’aggravarsi dell’insolvenza stessa.
(117) In tema di compiti assolti dalle diverse tipologie di bilancio, e in particolare, di quello “speciale” di liquidazione, v., da ultimo, NICCOLINI, Contributo allo studio del bilancio finale di liquidazione delle società di capitali, Torino, 2019, 7 s.
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prospettiva della continuazione dell’attività, con la finalità di rilevare l’utilità che i beni possono fornire all’impresa in esercizio (118), a meno che non si intenda liquidare l’entità o interrompere l’attività (119). Dal bilancio “speciale” di liquidazione, redatto quando ormai la prospettiva di continuità non è più praticabile, o quando il mantenimento dell’attività non risponde più all’interesse dei soci, benché esso si presenti a struttura sostanzialmente libera, deve, invece, emergere il valore di cessione a terzi degli asset e il risultato economico complessivo dell’intera gestione, mediante l’indicazione di tutte le entrate e di tutte le uscite prodotte a seguito delle operazioni poste in essere dalla società (120). In altri termini, poiché nella fase fisiologica la prospettiva che guida la gestione deve essere quella di un’impresa in funzionamento, alla quale si contrappone l’attività di un’impresa in stato di liquidazione, dal bilancio dovranno emergere i valori di funzionamento degli elementi patrimoniali in rapporto alla loro attitudine a produrre reddito (121); solo se viene meno la prospettiva di continuità aziendale allora si adotteranno i criteri propri del bilancio di liquidazione (122).
Nel caso in cui vi sia una fase di disequilibrio che non si sia ancora tramutata in una perdita definitiva della continuità (c.d. precrisi), dovrà essere adottato, invece, un criterio mediano di redazione del bilancio rispetto ai due fin ora individuati.