I. La continuità aziendale come punto focale della gestione
I.3 La gestione dell’impresa in bonis e dell’impresa in crisi pre-concorsuale
Il tema poco sopra presentato del possibile cambiamento dell’orientamento della gestione in caso di emersione di rischi per la continuazione dell’attività va meglio precisato. Già da tempo
(140) MUCCIARELLI, Doveri degli amministratori di società in crisi: lex concursus e sovranità nazionale, cit., 698 ss. Se si fa riferimento al solo dovere di perseguire l’interesse sociale, dato che nella fase di crisi entrano in gioco anche interessi diversi come quello dei creditori, è necessario demandarsi in che modo gli amministratori debbano indirizzare la gestione, se puntare alla massimizzazione dell’interesse dei soci o anche tener conto degli interessi di creditori e altri stakeholders. Si può ritenere che le strade percorribili siano sostanzialmente tre: o l’interesse dei soci va considerato sempre prevalente fino al verificarsi dell’insolvenza, o l’interesse dei creditori diventa prioritario fin da quando l’insolvenza è anche solo probabile, ovvero è necessario un bilanciamento fra questi diversi interessi.
(141) Sul punto anche AMATO, SERRA Aggravio debitorio per la tardiva gestione della crisi: profili di responsabilità degli amministratori, dei sindaci e delle istituzioni finanziarie anche alla luce della riforma in corso, 2018, disponibile su www.dirittobancario.it; si ritiene che in riferimento alla crisi d’impresa, le ipotesi di responsabilità degli amministratori possono essere ricondotte all’aver provocato il danno o aggravato la crisi d’impresa; aver percepito troppo tardi i sintomi della crisi e non aver reagito tempestivamente ad essi; non aver saputo correttamente utilizzare gli strumenti per fronteggiare o limitare la crisi. Si veda sul punto anche RORDORF, Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, in Le Società, 2013, 669 ss.
(142) MUCCIARELLI, Doveri degli amministratori di società in crisi: lex concursus e sovranità nazionale, cit., 698 ss.
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la gestione della società si considera una attività dinamica che si svolge in ottica funzionale (144) al perseguimento dell’oggetto sociale e alla continuità. Durante la fase ordinaria della vita della società gli amministratori hanno la massima libertà nella determinazione degli assetti, che risultano adeguati, come si è detto sopra, solo se predisposti mediante un processo di pianificazione strategica. Se viene meno il going concern, a causa di una perdita di capitale, o di una delle condizioni di equilibrio, in particolare di quello finanziario che può portare all’insolvenza, il contenuto dell’attività gestionale necessariamente deve mutare e adeguarsi alle nuove esigenze (145). La tutela del valore del patrimonio sociale permane, ma le si affianca la tutela dell’avviamento, ove ancora sussistente, che diviene in questo modo uno degli obiettivi primari della corretta gestione, e può essere perseguito non solo attraverso la liquidazione ma anche mediante il risanamento o attraverso delle soluzioni ibride e mediane (146).
Tradizionalmente si riteneva che gli amministratori, in caso di insolvenza, perdessero la facoltà di determinare liberamente gli obiettivi da perseguire e che dovessero proseguire le attività di immediata gestione nel tentativo di conservare la consistenza del patrimonio aziendale in ottica liquidativa o, addirittura, instare per il fallimento (147).
(144) GALLETTI, Differenza tra attivo e passivo e quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori (comm. a cass. civ. s.u. 6 maggio 2015, n. 9100), in Giur. comm., 2015, II, 663 ss., il quale evidenzia come mentre nella fase ordinaria e fisiologica della vita della società, l’attività di gestione è determinata con la massima libertà dagli amministratori mediante un processo di pianificazione strategica, necessario per poterla considerare “adeguata”, quando la prospettiva di continuità svanisce, viene dunque meno il going concern value, a causa di perdite che intaccano il capitale sociale o dell’insorgere di uno stato di insolvenza, la cornice funzionale è inevitabilmente destinata a mutare. Infatti, gli amministratori in questo secondo scenario non hanno più la libertà di determinare gli obiettivi da conseguire nell’ottica del conseguimento di un profitto ma sono tenuti a gestire nell’immediato, al fine di conservare il patrimonio aziendale in ottica liquidativa, o nel caso la liquidazione controllata non si rivelasse possibile, adire per il fallimento.
(145) Sui doveri di corretta gestione in caso di assenza di prospettive di continuità aziendale si veda in particolare MAZZONI, La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa priva di prospettiva di continuità aziendale, in Amministrazione e controllo nelle società e negli altri enti commerciali, Liber Amicorum A. Piras, Giappichelli, 2010, 813 ss., per il quale l’accertamento dell’assenza di continuità dovrebbe portare, in gran parte dei casi, a concludere che determinate poste non possano più essere iscritte in bilanci agli stessi livelli di quando l’impresa era in continuità. Si precisa in questa sede che la dottrina si è in particolare concentrata sui doveri degli amministratori nella fase che precede il dissesto (cd. twilight zone), non prestando particolare attenzione ai diritti dei soci durante la medesima fase, i quali hanno principalmente il diritto di essere informati, di potersi esprimere sul piano, o di opporsi allo stesso in quanto interessati, di ricevere, in caso di riorganizzazione, un trattamento almeno equivalente a quello che avrebbero ricevuto con la liquidazione e un diritto sul plusvalore da ristrutturazione, si veda sul punto STANGHELLINI, Verso uno statuto dei diritti dei soci di società in crisi, cit., 295 ss.
(146) Sul punto NIEDDU ARRICA, I principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale nella prospettiva della tutela dei creditori, cit., 8 ss.
(147) Affronta questo tema in particolare DE MATTEIS, L’emersione anticipata della crisi d’impresa: modelli attuali e prospettive di sviluppo, cit., 209. Ci si chiede se in caso di insolvenza operi la business judgement rule: parte della dottrina l’ha ritenuta applicabile, e in particolare si vedano BERTOLOTTI, Poteri e responsabilità nella gestione dell’impresa in crisi, Torino, 2017, 146; BUTA, Tutela dei creditori e responsabilità gestoria all’approssimarsi dell’insolvenza: prime riflessioni, in Società, banche e crisi d’impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, III, Torino, 2014, 2581; GUIZZI, Responsabilità degli
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Tale visione oggi si è arricchita di un ulteriore elemento, proprio in considerazione dell’attuale rilevanza sul piano normativo anche della fase di crisi. In tale fase, di carattere pre-concorsuale, l’attività gestoria deve ritenersi orientata al recupero della continuità aziendale, e cioè diretta a ripristinare l’equilibrio economico-finanziario e l’equilibrio patrimoniale. Se il mantenimento della continuità aziendale, dunque, è l’obiettivo della gestione dell’impresa in bonis e viene perseguito, come si è detto, secondo una pianificazione strategica, il recupero della continuità, mediante una programmazione che tenga conto dei rischi e sappia formulare un giudizio prognostico sulle possibilità di recupero, è invece l’obiettivo della gestione di un’impresa in crisi. Se l’impresa è in bonis l’obbligo degli amministratori è quello di dotarsi degli assetti adeguati, nel caso invece dell’impresa in crisi pre-concorsuale gli obblighi degli amministratori assumono connotazioni più pregnanti. In questa fase gli amministratori sono gravati dall’ulteriore onere di governare la società in maniera più oculata, infatti devono individuare la via da percorrere per affrontare la crisi e risolverla (148). Come si è sopra accennato, si ritiene che nel momento in cui si rilevi la crisi gli obblighi degli amministratori si modifichino e assumano connotati nuovi. Dal momento in cui l’insolvenza diviene probabile, gli amministratori sono tenuti ad attivare tutti gli strumenti volti al superamento della crisi e al recupero della continuità aziendale, devono adottare strategie finanziarie più prudenti, che non accrescano il danno eventualmente cagionato ai creditori e attivare una delle procedure di salvataggio previste dal Codice della crisi (149). L’art 4 del CCII prevede infatti che il debitore ha l’obbligo di fornire informazioni adeguate ai creditori sulla situazione dell’impresa, assumere tempestivamente le iniziative idonee alla rapida definizione delle procedure della crisi, per non pregiudicare i creditori, e gestire l’impresa nell’interesse prioritario dei creditori.
amministratori e insolvenza: spunti per una comparazione tra esperienza giuridica italiana e spagnola, in Studi in onore di Umberto Belviso, II, Bari, 2011, 1235 ss.; LUCIANO, La gestione nelle s.p.a. nella crisi pre- concorsuale, Milano, 2016, 148; ZOPPINI, Emersione della crisi e interesse sociale (spunti dalla teoria dell’Emerging Insolvency), in Tombari (a cura di), Diritto societario e crisi d’impresa, Torino, 2014, 49 ss. Sul tema si veda, inoltre, ANGELICI, Diligentia quam suis e business judgement rule, in Riv. Dir. comm., 2006, I, 675 ss. Altra dottrina ha fatto invece riferimento a un criterio di ragionevolezza che facesse da coordinamento tra diligenza e business judgement rule in particolare NIGRO, “Principio” di ragionevolezza e regime degli obblighi e delle responsabilità degli amministratori di s.p.a., in Giur. Comm., 2013, I, 457 ss. Infine, alcuni interpreti hanno sostenuto che l’amministratore ha l’obbligo di intraprendere la via della regolazione negoziata della crisi, così SANDULLI, POLI, il ruolo del collegio sindacale nelle crisi d’impresa tra regole deontologiche, norme di sistema e prospettive de jure condendo, in Contr. Impr., 2012, 1320 ss. (148) AMATO, SERRA, Aggravio debitorio per la tardiva gestione della crisi: profili di responsabilità degli amministratori, dei sindaci e delle istituzioni finanziarie anche alla luce della riforma in corso, 2018, disponibile su www.dirittobancario.it; si veda sul punto anche CALANDRA BUONAURA, La gestione societaria dell’impresa in crisi, cit., 2596, il quale sostiene che nella fase precedente all’assunzione di decisioni riguardanti la composizione della crisi la gestione imprenditoriale e societaria deve essere improntata al rispetto del dovere di protezione dei creditori e le decisioni degli amministratori non devono alterare l’equilibrio finanziario o il valore patrimoniale della società. Ogni decisione che viola questo principio non è illecita o illegittima ma comporta una responsabilità degli amministratori.
(149) MUCCIARELLI, Doveri degli amministratori di società in crisi: lex concursus e sovranità nazionale, cit., 698 ss.
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Emerge, dunque, nel contesto “patologico” anche il dovere di conservare l’integrità del patrimonio per non arrecare pregiudizio ai creditori (150).
In questo senso può dirsi che se il dovere di diligenza professionale si sostanzia in un dovere conoscitivo preliminare sulla situazione economico-finanziaria dell’impresa, il dovere di auto- responsabilità nel dovere di autocontrollo, il principio del neminem laedere impone di non assumere decisioni che possano apparire pregiudizievoli per la prosecuzione dell’attività (151). Allo stesso modo gli amministratori, nella fase di crisi, sorvegliano continuità, prevedibilità, solvibilità e redditività dell’attività (152), e sono loro contestabili tutte le scelte gestorie irresponsabili o negligenti che concorrano ad aggravare la crisi per difetto di organizzazione (153).
Sia nell’impresa in bonis che in quella in crisi gli amministratori tengono come punto di riferimento la continuità aziendale, anche se ovviamente con una attenzione diversa, parametrata alla situazione in cui la società si trova e al rischio concreto che la continuità venga meno. Da qui la tesi per la quale sarebbe necessario che gli amministratori convochino l’assemblea per adottare opportuni provvedimenti non solo nel caso di perdite rilevanti del capitale sociale, ma anche nel momento in cui si rendano tempestivamente conto di un andamento dell’attività antieconomico, o diseconomico (154).
Prima del formale ingresso della società nella fase di liquidazione, a fronte di una incertezza significativa sull’andamento e sulle prospettive di funzionamento della società, la sottovalutazione della situazione potrebbe portare alla perdita definitiva della continuità aziendale.
In questa situazione il regime di gestione opportuno non è necessariamente quello disgregativo, che anzi potrebbe compromettere il risanamento, ma piuttosto quello volto al recupero della continuità.
Nei casi in cui si verifichino, in società che domandano l’ammissione al concordato preventivo o l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, perdite rilevanti che portino il capitale a ridursi al di sotto del minimo legale, non si devono necessariamente abbandonare i criteri di gestione previsti per l’impresa in funzionamento, infatti, dal momento che ai sensi dell’art. 182 sexies l. Fall., non si applicano, dalla data della domanda e fino all’omologazione, le disposizioni sulla tutela dell’integrità del capitale sociale dettate dagli artt. 2446, commi 2 e 3;
(150) CINCOTTI, NIEDDU ARRICA, La gestione del risanamento nelle procedure di concordato preventivo, cit., 1238 ss.
(151) SPIOTTA, Continuità aziendale e doveri degli organi sociali, cit., 58 ss.
(152) Per favorire il recupero della continuità è necessario che eventuali disequilibri siano individuati e portati alla luce rapidamente, al contrario la negazione del disequilibrio economico-finanziario non favorisce il recupero dell’impresa, e lasciar sopravvivere, senza adottare alcun provvedimento, imprese nelle quali i ricavi non riescono a coprire i costi di produzione significa illudere creditori e dipendenti (153) RORDORF, Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, in Società, 2013, 671.
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2447; 2482-bis, commi 4, 5 e 6; 2482-ter c.c., la causa di scioglimento ex art. 2484, n. 4, c.c., è sospesa (155).
Sotto il vigore della precedente disciplina, invece, era fatto divieto per l’organo amministrativo di porre in essere qualsiasi nuova operazione e gli amministratori, una volta accertata la causa di scioglimento, conservavano il potere di gestione ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, fino alla consegna ai liquidatori prevista dall’art. 2487-bis c.c. Nel nuovo regime gli amministratori possono anche compiere “nuove operazioni” purché le stesse siano strumentali alla conservazione del valore dell’impresa sociale, e, ad esempio, risultare legittimati a operazioni di dismissione di beni, continuare l’attività di impresa, dare esecuzione ai contratti in corso. La responsabilità, nel caso in cui le nuove operazioni violino il limite anzidetto, non dipende dall’operazione in sé, ma dall’eventuale danno che ne discende (156).