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contrarium est, ut ex eorum definitionibus inspectis manifeste apparet,

impossibile est illis principiis quae ratio naturaliter cognoscit, praedictam veritatem fidei contrariam esse): Summa contra gentiles, I, 7, n. 2.

52 «Videtur quod credibilia non sint per certos articulos distinguenda. Eorum

enim omnium quae in Sacra scriptura continentur, est fides habenda. Sed illa non possunt reduci ad aliquem certum numerum propter sui multitudinem. Ergo superfluum videtur articulos fidei distinguere»: Summa theologiae, II-II, q. 1, a. 6 Utrum credibilia sint per certos articulos distinguenda.

guendo tra gli enunciati (credibilia) che devono essere creduti perché oggetto di fede in sé e gli enunciati che devono essere creduti perché complementari rispetto a quelli: ai primi appar- tengono articoli dogmatici quali la distinzione di Dio in tre persone e la sua onnipotenza, ai secondi eventi desumibili dal- la parola di Dio, come ad esempio il fatto che Abramo ebbe due figli. I primi sono necessari per conseguire la vita eterna, e per questo sono espressi nella forma chiara e comprensibile degli articoli di fede del Simbolo, mentre i secondi si limitano a rendere più manifesta la verità della Scrittura.53

Con questa distinzione era riconfermato in termini logico- razionali il nesso teologico fondamentale tra la salvezza indi- viduale e l’autorità della Chiesa. Solo a quest’ultima, infatti, competeva la dichiarazione degli articoli di fede, contro l’idea che solo la Scrittura fosse regula fidei e per questo non potesse essere investito di valore dogmatico alcun enunciato non esplicitamente presente in essa (di nuovo, un tema che sarebbe riemerso nell’età confessionale): «La Chiesa univer- sale non può errare perché è governata dallo Spirito santo, che è spirito di verità […]. Il Simbolo è dichiarato con l’autorità della Chiesa universale, per cui in esso non si trova nulla di inopportuno».54 Soprattutto, il Simbolo aveva la

53 «Aliqua sunt credibilia, de quibus est fides secundum se; aliqua vero sunt

credibilia, de quibus non est fides secundum se, sed solum in ordine ad alia; sicut etiam in scientiis quaedam proponuntur ut per se intenta, et quaedam ad manifestationem aliorum. […] Per se ad fidem pertinent illa quae directe nos ordinant ad vitam aeternam; sicut sunt tres personae, omnipotentia Dei, mysterium incarnationis Christi et alia huiusmodi; et secundum ista distinguuntur articuli fidei. Quaedam vero proponuntur in sacra Scriptura ut credenda, non quasi principaliter intenta, sed ad praedictorum manifestationem: sicut quod Abraham habuit duos filios […]; et secundum talia non oportet articulos distinguere»: ibid.

54 «Ecclesia universalis non potest errare, quia Spiritu sancto gubernatur, qui

est spiritus veritatis […]. Sed Symbolum est auctoritate universalis Ecclesiae editum. Nihil ergo inconveniens in eo continetur»: ivi, a. 9, Utrum convenienter

propria ragion d’essere nell’oscurità della Bibbia, il cui senso non poteva essere penetrato se non «con lungo studio ed esercizio» e per questo era precluso alla maggioranza dei credenti, rendendo necessario «che dalle frasi della Scrittura fosse raccolto sinteticamente qualcosa di manifesto da pro- porre a tutti affinché vi credessero».55

La natura enigmatica della parola divina era quindi già sta- ta identificata dalla scolastica del XIII secolo come motivo ermeneutico di conservazione della separazione cetuale fra clero e laicato, accanto al più tradizionale motivo sacramenta- le. Non soltanto: la dottrina giungeva a identificarsi con la Chiesa stessa, nel senso che la fede espressa negli articoli dog- matici (la fides formata) era la fede proclamata dalla Chiesa, cui tutti i suoi membri erano tenuti a credere; con la conse- guenza che credere nella Chiesa corrispondeva a credere la verità nel suo complesso.56

Si trattava di una fede concepita come verità storicizzata, nel senso che l’interpretazione della Scrittura era vista come un processo esegetico costante volto a porre in luce dogmi che nella Scrittura erano contenuti solo implicitamente, e che il perenne proliferare delle eresie rendeva indispensabile definire in termini chiari: «Con il passare del tempo è necessaria la spiegazione della fede contro gli errori che sorgono».57 Il de-

55 «Veritas fidei in sacra Scriptura diffuse continetur et variis modis, et in

quibusdam obscure […] et ideo fuit necessarium ut ex sententiis sacrae Scripturae aliquid manifestum summarie colligeretur quod proponeretur omnibus ad credendum»: ibid.

56 «Confessio fidei traditur in Symbolo quasi ex persona totius Ecclesiae, quae

per fidem unitur. Fides autem Ecclesiae est fides formata, talis enim fides invenitur in omnibus illis qui sunt numero et merito de Ecclesia»: ibid. Sul tema v. anche A. Lang, Die Entfaltung des apologetischen Problems, cit., 88 ss.

57 «In doctrina Christi et apostolorum veritas fidei est sufficienter explicata.

Sed quia perversi homines apostolicas doctrinas et ceteras Scripturas pervertunt ad sui ipsorum perditionem […] ideo necessaria est, temporibus procedentibus, explanatio fidei contra insurgentes errores»: II-II, q. 1, a. 9,

cimo articolo della quaestio chiudeva infine il circolo, espri- mendo in termini istituzionali il nesso tra conoscibilità della fede e autorità: in quanto supremo giudice della Chiesa, al quale competono le cause maggiori, spetta al papa, secondo Tommaso, definire i nuovi dogmi «affinché siano tenuti da tutti con fede incrollabile».58

13. Se compiamo un salto di tre secoli e dalla Summa theolo-

giae ci volgiamo ai suoi commentatori dell’età della Controri-

forma ci accorgiamo di come la grammatica teologica della questione non sia mutata più di tanto. A segnare una profonda diversità, determinata dal retroterra storico del conflitto con- fessionale cinquecentesco, è invece la torsione impressa agli obiettivi del discorso: se al centro della riflessione di Tommaso si collocava la questione del rapporto tra Scrittura, dogma e autorità della Chiesa nella definizione del dogma, ora è la stes- sa legittimità della Chiesa visibile a dipendere per intero dal problema metodologico della regula fidei e dall’interrogativo originario circa la corretta interpretazione della Scrittura.59

58 «Nova editio Symboli necessaria est ad vitandum insurgentes errores. Ad

illius ergo auctoritatem pertinet sententialiter determinare ea quae sunt fidei, ut ab omnibus inconcussa fide teneantur. Hoc autem pertinet ad auctoritatem Summi pontificis, ad quem maiores et difficiliores Ecclesiae quaestiones referuntur»: ibid.

59 In questo senso Gerhard Heinz, Divinam christianae religionis originem

probare. Untersuchung zur Entstehung des fundamental-theologischen

Offenbarungstraktates der katholischen Schultheologie, Mainz, Matthias-

Grünewald, 1984, 51, nota come uno specifico genere ecclesiologico all’interno della teologia cattolica (i trattati de Ecclesia) sia maturato soltanto nella tarda modernità, mentre in precedenza, almeno fino al XVII secolo, il tema dei poteri nella Chiesa sia stato demandato ai commentari scolastici alla

quaestio de fide della Summa theologiae (ma fanno eccezione, va detto, la con-

troversia De conciliis et Ecclesia delle Disputationes di Bellarmino e la già citata

Hierarchiae ecclesiasticae assertio di Albert Pigghe). Da questo punto di vista

credo possa essere fondatamente messa in dubbi la tesi di Richard H. Popkin,

Fra il 1562 e il 1568 a commentare la Summa di Tommaso nelle aule del Collegio romano è Francisco de Toledo, uno tra i grandi maestri della scolastica gesuitica nei suoi anni di for- mazione, allievo di Domingo de Soto, insignito del cardinalato nel 1593 – primo cardinale nella storia della Compagnia di Gesù: ma fortemente inviso all’ordine per la sua autonomia d’azione e la duttilità diplomatica dimostrata in questioni capi- tali come la riconciliazione di Enrico di Navarra con la Sede apostolica.

Nel commento alla quaestio de fide della Secunda secundae Toledo dedica un’attenzione tutta speciale all’analisi del con- cetto di fede, indicandone le diverse accezioni (la fede come sincerità, come obbligazione, come fiducia); è uno tra questi significati a costituire il punto di partenza del suo ragionamen- to: «La fede può essere intesa come l’assenso che diamo a quanto un altro dice: e come tale esso si distingue dall’opi- nione per il fatto che, mentre quest’ultima è un assenso che procede dalle ragioni addotte, la fede è determinata dall’au- torità di chi la pronuncia».60

Nel caso della fede negli enunciati divini, che è propria del discorso teologico, tale autorità è Dio stesso: ma, come ormai ci è ampiamente noto, con questo il problema è soltanto aper- to, poiché la controversia verte proprio sulla modalità secondo