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Il contributo di Nuvolone alla teoria delle condizioni di punibilità.

Un ulteriore passaggio fondamentale nello studio del ruolo condizionale della sentenza dichiarativa di fallimento è rappresentato dall’opera del Nuvolone: questo Autore muove da una nozione peculiare del fallimento, poiché ritiene che esso «non rende procedibili dei reati già perfetti, ma

rende punibili dei fatti che non costituiscono ancora quel reato»96. Su tali basi, la condizionalità viene postulata non rispetto al reato di bancarotta, ma al fatto, poiché ove esso fosse privato della punibilità, non avrebbe rilevanza penale. Così concepito, il fatto condizionato di bancarotta

94 Cfr. CONTI L., 1955, pp. 82-84, il quale argomenta anche in base alla norma dell’art.

158, 2° comma c.p., che sarebbe inutile ove il reato si integrasse con la condizione.

95 Cfr. CONTI L., 1955, p. 87. 96 Cfr. NUVOLONE P., 1955, p. 13.

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vedrebbe retroagire l’illiceità penale al momento della realizzazione della condotta prevista dalla norma, conformemente al modello generale della condizionalità di cui all’art. 1360 c.c., mentre la determinazione del momento consumativo si avrebbe al momento della declaratoria medesima, essendo questa condizione “intrinseca” di punibilità97.

L’insigne Maestro introduce, per tale via, un’importante distinzione in materia condizionale: le condizioni di punibilità, infatti, si distinguerebbero in “intrinseche” o “estrinseche” a seconda che attualizzino e qualifichino la lesione dell’interesse giuridico tutelato, ovvero nulla aggiungano, rendendo semplicemente punibile la lesione già attuale di un interesse98: queste ultime, a detta del Nuvolone, presenterebbero peraltro sensibili analogie con le condizioni di procedibilità99.

La distinzione tra le due tipologie di condizioni si ricava mediante la valutazione dello scopo complessivo della norma, sia guardando al suo contenuto intrinseco di valore, sia rispetto all’ordinamento in generale: tale metodologia, peraltro, appare pienamente conforme alla normalità degli adempimenti esegetici che incombono all’interprete. Orbene, l’affermazione di un contenuto qualificante proprio della dichiarazione di fallimento emergerebbe, secondo questa dottrina, da due considerazioni: da un lato, non sarebbe vero che la condizione di punibilità sia sempre estranea al nesso di causalità materiale e al nesso di causalità psichica;

97 Cfr. NUVOLONE P., 1955, p. 14. In senso analogo, LA MONICA M., 1972, p. 25, il

quale tuttavia assume una diversa impostazione in merito agli scopi del fallimento: a suo dire, infatti, è immanente ai creditori «un generico interesse al corretto svolgimento dei

rapporti giuridici processuali», quasi un interesse metagiuridico che si concretizza con

la sopravvenienza dell’insolvenza. Questa progressione logica, che fornisce una concezione unitaria dell’interesse protetto, fa sì che i fatti potenzialmente lesivi siano riconosciuti come reato sin dalla loro commissione.

98 Sostanzialmente, il Nuvolone raffina la teoria di quella dottrina che aveva criticato la

riconduzione delle condizioni di punibilità fra gli elementi costitutivi della fattispecie. Cfr., ex plurimis, ALIMENA F., 1938, p. 156; ANTOLISEI F., 2008, p. 53; DELITALA G., 1976c, p. 870.

99 Cfr. Cfr. ANGIONI F., 1989, p. 1455, che sottolinea le difficoltà conseguenti a tale

bipartizione per quanto attiene alla distinzione rispetto alle condizioni di procedibilità e agli elementi costitutivi del fatto in senso stretto.

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dall’altro la legge non intenderebbe «paralizzare l’attività dell’impresa

con una serie di incriminazioni incondizionate, che prescindano dalla vera essenza dell’illecito tipico del debitore», ma piuttosto, subordinando la

punibilità all’insolvenza, «crea una zona di rischio penale per garantire

nei limiti del possibile, con la minaccia di un’eventuale sanzione penale, i creditori dal pericolo di inadempimento»100.

Quanto al primo aspetto, si evidenzia che è ben possibile riscontrare ipotesi di connessione causale e psichica tra la condotta dell’imprenditore e il successivo fallimento, ma ciò sarebbe irrilevante per la sussistenza del reato, appartenendo detto nesso alla fattispecie concreta e non alla fattispecie astratta, essendo cioè un risultato eventuale e non tipico dell’azione.

Riguardo, invece, alla “zona di rischio penale” essa appare concettualmente legata ad un’oggettività giuridica diversa dalla tutela della garanzia dei creditori, perché essa prima del fallimento non rivestirebbe interesse penale, mentre a seguito dell’insolvenza sarebbe sostituita dal “nuovo” diritto alla distribuzione concorsuale dei beni: effettivamente, si è potuto constatare supra che Nuvolone ricostruisce la fattispecie di bancarotta come reato contro l’amministrazione della giustizia e al contempo si è potuto rilevare la fallacia di tale ricostruzione, che non spiega come siano incriminabili le condotte anteriori all’insolvenza. Invero, la delimitazione della zona di rischio penale è svolta sulla base di alcuni parametri ritenuti risolutivi, che tuttavia appaiono piuttosto il frutto di opzioni apodittiche: così sono posti come limite sia gli «atti che, per loro natura e per direzione soggettiva, tendono

a creare una situazione di squilibrio tale fra attivo e passivo che, in rapporto alla capacità dell’impresa e alle normali vicende commerciali, si può ritenere insuperabile», sia quelli che aggravino il passivo o rendano

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più aleatorio l’adempimento delle obbligazioni di un’impresa già “malata”101.

Pur condividendo l’esigenza di evitare la retroattività ad libitum dell’indagine penalistica, contraria in quanto tale ai canoni di una piena razionalità giuridica102, non possiamo accogliere una simile prospettazione della “zona di rischio penale”, perché essa non si basa su parametri legali certi e definiti, ma onera l’interprete di una valutazione discrezionale del merito dell’attività d’impresa, senza richiedere la prova di una ricaduta sull’attualità dello stato di insolvenza, come accertato nella sentenza dichiarativa del fallimento103. Del resto, una tale esigenza è avvertita dallo stesso Nuvolone, laddove delinea i parametri di delimitazione dell’area di rilevanza penale delle condotte, poiché il riferimento agli “atti aventi natura e direzione soggettiva tendente alla creazione del dissesto” testimoniano il riconoscimento di una causalità necessaria tra condotte e insolvenza, analogamente a quanto si desume dal riferimento agli atti aggravanti il dissesto, che devono incidere su un’impresa già in crisi.

101 Cfr. NUVOLONE P., 1955, p. 29.

102 Cfr. NUVOLONE P., 1955, p. 24. Un’analisi interessante è svolta da PERDONÓ G.L.,

2004, pp. 463 e ss., per il quale la dichiarazione di fallimento includerebbe un quid ulteriore di offesa rispetto alla mera finalità di meritevolezza della pena espressa dall’elemento condizionale. Tuttavia, il medesimo autore, sulla scia della sentenza costituzionale 364/1988, reclama l’esigenza di un’imputazione colpevole in termini di rappresentazione possibile dell’evento-insolvenza.

103 Cfr. PEDRAZZI C. – SGUBBI F., 2003, p. 448; PEDRAZZI C., 1991, pp. 342 e ss.

Dello stesso avviso, ammettendo che il pericolo sussistente al momento della dichiarazione di fallimento, possa selezionare ex se le condotte penalmente rilevanti MEZZASALMA E., 1970, p. 24; SCALERA I., 1969, p. 85. Concorda con l’opzione della condizione di punibilità estrinseca, pur criticando l’attribuzione di concreta lesività alla fattispecie oggettiva, DE SIMONE G., 1992, pp. 1162 e ss. Contra, GIULIANI BALESTRINO U., 1991, p. 50.

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Le ulteriori concezioni dottrinarie: soluzioni alternative