dell’evento condizionante e il ripudio della causalità e della
colpevolezza.
Al crocevia tra le tesi cc.dd. tradizionali e la riflessione contemporanea sul ruolo della sentenza dichiarativa del fallimento nella bancarotta patrimoniale prefallimentare si colloca la fondamentale analisi del Delitala, che identificò nella sentenza dichiarativa del fallimento una condizione di punibilità della bancarotta.
Questi articola la sua analisi partendo da due premesse di ordine generale: in primo luogo occorre procedere ad un’opera di sistematizzazione dei dati normativi ricercando il fondamento obiettivo della punizione, che come si diceva supra, deve principiare da un attento esame del concetto di obbligazione cui fa riferimento il presupposto sostanziale del fallimento; dall’altra, traendo spunto dalla critica alle concezioni “presuntive” della dottrina c.d. tradizionale, esaminate nel precedente paragrafo, l’insigne Autore manifesta l’esigenza di ricondurre ai principi generali del sistema penale l’intero settore dei reati fallimentari.
In primo luogo questa dottrina evidenzia l’erroneità dei tentativi ermeneutici volti a sostenere l’esistenza di un rapporto causale fra il fallimento, fatto in sé non volontario, ed i fatti di bancarotta, indipendenti dal primo76, dovendo piuttosto ricercarsi quel “terzo elemento” che stia in rapporto di causa ad effetto con il fatto di bancarotta, i.e. l’evento proprio del reato di bancarotta rappresentato dall’offesa ai diritti dei creditori77.
76 Cfr. DELITALA G., 1976c, p. 859. 77 Cfr. DELITALA G., 1926, p. 759.
113
Dall’esegesi della disciplina, tuttavia, emerge con chiarezza che la punibilità delle singole condotte tipiche è condizionata ab extrinseco dalla sopravvenienza del fallimento, che può essere volontario o involontario: l’elemento condizionale del reato tuttavia deve essere chiarito per evitare pericolosi fraintendimenti ermeneutici e soprattutto per enuclearne la specificità rispetto alla tangente categoria delle condizioni di procedibilità, che illustre dottrina tende ad assorbire in un'unica unità dogmatica78. Orbene, «quando si chiama il fallimento condizione del reato, non si
afferma minimamente che esso resti al di fuori del contenuto del reato, ma soltanto si afferma che, per quanto partecipi alla costituzione di tale ente giuridico, non ne costituisce tuttavia né l’azione, né l’evento», attenendo
al singolo reato e non anche al torto in genere: la condizione, pertanto, sarebbe «elemento essenziale quanto alla specie, un elemento eventuale
quanto al genere»79, i.e. sussiste rispetto al singolo reato e non al reato in generale, perché assolve a specifiche funzioni giustificate dalla peculiarità degli interessi tutelati di volta in volta dalle norme.
L’essenzialità ravvisata, nel fallimento si manifesterebbe nella sua capacità di attribuire rilevanza alla condotta del debitore solo in presenza di una situazione di decozione, sicché il fallimento definirebbe l’ambiente tipico del reato di bancarotta: l’esigenza della decozione, come si è chiarito
supra, consegue alla modalità di tutela degli interessi creditorii, perché è
solo con l’ufficializzazione dell’impossibilità della soddisfazione coattiva delle obbligazioni che il danno si concretizza80. Pertanto si comprende la
78 Cfr. CARNELUTTI F., 1933, p. 52, osservando che «la scissione fra i fenomeni giuridici materiali e i fenomeni giuridici processuali è assai meno netta che nel campo del diritto civile, appunto perché la attuazione del diritto penale avviene solamente attraverso il processo». Replica, giustamente il DELITALA G., 1976c, p. 865, che la pur
esistente processualizzazione delle categorie dogmatiche sostanziali non può spingersi sino ad annullare le differenze funzionali tra i due settori dell’ordinamenti: a ben vedere, infatti, «una cosa è non fare il processo perché non è possibile punire, ed un’altra non
punire perché non si può fare il processo».
79 Cfr. DELITALA G., 1926, pp. 759-760. Nello stesso senso, ALLEGRA G., 1950, p.
158.
114
ragione dell’imputazione acausale del fallimento e al contempo si chiarisce l’errore prospettico di quanti assumono il valore condizionale dello stato di insolvenza: esso infatti, può ben essere in relazione eziologica con le condotte illecite, ma non esclude alternative razionali all’adempimento. Queste ultime notazioni, peraltro, consentono al Delitala di replicare alle tesi soggettivistiche della condizione, in particolare alla teoria che identifica nel fallimento una “condizione preliminare soggettiva” dell’esistenza di un atto di bancarotta immediatamente punibile81: a ben vedere, un’impostazione soggettivistica del fallimento, dovrebbe individuare nel fallito l’agens del reato di bancarotta, che invece è normativamente ritenuto essere l’imprenditore. Tuttavia, come si è incisivamente rilevato, la qualità di soggetto agente non può essere posteriore rispetto alla realizzazione della condotta, perché «se la
posizione dell’agente è un elemento, e perciò un requisito del reato, è escluso che ricorra la nozione della legittimazione [i.e. la capacità del
soggetto agente di compiere il reato] quando la posizione rilevante ai fini
della punibilità non venga considerata al momento dell’azione, mentre possa, invece, influire sulla punibilità se anche esista in un momento posteriore»82. Inoltre, tale concezione altera la dinamica del reato, giacché
il fallimento sopravvenuto non si riflette sulla condotta, rendendola illecita, ma sull’evento, rendendone effettiva o possibile la realizzazione, di talché si comprende la ratio della punibilità delle ipotesi postfallimentari e si può più agevolmente argomentare circa l’unitarietà del reato83.
81 Cfr. BINDING K., 1905, pp. 428 e ss. 82 Cfr. CARNELUTTI F., 1933, p. 130.
83 Non va dimenticato, tuttavia, che il riferimento alla unità giuridica del reato di
bancarotta è accolto dal Delitala in termini molto “pragmatici”: ritiene l’Autore, infatti, che la reductio ad unitatem dipenda non tanto dalla natura del reato o dell’offesa, ma da una precisa opzione del Legislatore. La pluralità naturale delle condotte sarebbe quindi assunta ad unità per il solo mezzo della condizione oggettiva di comune punibilità. Cfr. DELITALA G., 1926, p. 761.
115
La tesi propugnata dal Delitala, peraltro, avrebbe a suo dire il vantaggio di offrire una soluzione coerente al problema del momento consumativo del reato, giacché nelle ipotesi prefallimentari il reato si perfezionerebbe con la declaratoria, mentre nelle ipotesi postfallimentari esso sarebbe integrato con la commissione delle singole condotte.
Ad un’analisi più approfondita delle tesi, nondimeno, emerge come l’Autore aderisca, in una prima fase, alla dottrina che distingue tra “condizioni del reato” e “condizioni di punibilità” in senso stretto mentre approdi successivamente alla concezione che ravvisa negli elementi condizionali uno strumento di valutazione e calibrazione della punibilità. Secondo l’impostazione iniziale, comunque, la differenza si situerebbe nel grado di afferenza alla fattispecie tipica, poiché “le condizioni del reato” sarebbero elementi costitutivi, mentre quelle “di punibilità” non afferirebbero alla dimensione dell’offensività, accedendo ad un reato già strutturalmente completo84. Ovviamente le osservazioni svolte risentono del paradigma che rappresenta il reato come unità tripartita, prevalente negli studi di teoria generale85.
Con l’emanazione prima del Codice penale del 1930 e della legge fallimentare del 1942 poi, la dottrina della condizione obiettiva di punibilità ha ispirato diversi autori, che tuttavia hanno apportato talune modifiche alle argomentazioni originarie del Delitala. Sostanzialmente affine alla teoria de qua è stata considerata quella che ha qualificato la sentenza dichiarativa del fallimento una “condizione di esistenza del reato”86, sulle orme della prima elaborazione del Massari in argomento,
mentre taluno ha sostenuto che la declaratoria fallimentare non costituisse
84 In questo senso cfr., con specifico riguardo alla bancarotta, MANZINI V., 1947, pp.
257 e ss.; MASSARI E., 1929, pp. 478 e ss.
85 Cfr. DELITALA G., 1976a, pp. 5 e ss.; VASSALLI G., 1984, pp. 529 e ss.;
FIANDACA G. – MUSCO E., 2010, pp. 179 e ss. Contra, MARINUCCI G. – DOLCINI E., 2001, p. 497, che sostengono viceversa una concezione quadripartita del reato, includendovi come elemento costitutivo anche la punibilità. In senso critico rispetto a questa tesi cfr. DI MARTINO A., 1998, pp. 107 e ss.
116
condizione obiettiva di punibilità della bancarotta, bensì una pregiudiziale alla dichiarazione di responsabilità penale87. A tale dottrina si è tuttavia
obiettato di confondere l’aspetto sostanziale con quello processuale della questione, giacché la pregiudizialità e sì sussistente, ma esiste a livello di diritto sostanziale come condizione all’affermazione di responsabilità88.
Comunque, ai nostri fini ben più rilevante appare la ricostruzione del Conti89. Questi, avendo escluso dalla disamina le fattispecie in cui il fallimento, inteso nel suo aspetto sostanziale, rappresenta l’evento delle fattispecie, accoglie la teoria condizionalistica del fallimento, pur ritenendo doveroso apportarvi delle precisazioni per ciò che riguarda il contenuto dell’istituto descritto all’art. 44 c.p.90 Si distinguono, così, tre
indirizzi ermeneutici, l’uno che sostiene che la condizione obiettiva di punibilità sia un avvenimento futuro e incerto integrante il reato91; un secondo che, viceversa, nega la natura costitutiva all’elemento de quo, pur considerandolo condizionante o accessorio al fatto e influente sulla sua struttura nel momento esecutivo92; un terzo, infine, che inquadra la condizione obiettiva di punibilità come elemento non costitutivo del reato e incidente sulla sola punibilità di una fattispecie già perfetta93.
Conti, dei tre indirizzi descritti, sostiene il terzo, poiché il secondo non distingue efficacemente tra elemento costitutivo e condizione per l’esistenza, mentre il primo qualificherebbe come integrativo un accadimento estraneo e indifferente tanto alla condotta quanto all’evento del reato. A tacer d’altro, poi, è lo stesso art. 44 c.p. a precisare che la condizione determina la punibilità del reato, presupponendolo quindi
87 Cfr. FOSCHINI C., 1952, p. 706.
88 In questo senso, cfr. NUVOLONE P., 1955, p. 12. 89 Cfr. CONTI L., 1955, pp. 81 e ss.
90 Riportiamo ivi il contenuto dell’art. 44 c.p.: «Quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato, anche se l'evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto».
91 Cfr. DELOGU T., 1933; MANZINI V., 1985; MUSOTTO G., 1936. 92 Cfr. DE MARSICO A., 1969; PANNAIN R., 1967.
93 Cfr. ALIMENA F., 1938; ANTOLISEI F., 2008, passim; BETTIOL G., 1986;
117
pienamente integrato94. Su tali basi, e sulle esplicite indicazioni del Legislatore, l’Autore segue il Delitala nel considerare la dichiarazione di fallimento come condizione di punibilità della bancarotta prefallimentare e nell’affermare quindi l’indifferenza causale dello stesso rispetto alle singole condotte tipiche. Diversamente dal Delitala, tuttavia, il Conti esclude che la sentenza dichiarativa di fallimento abbia una qualche capacità di rendere effettiva la lesione alle ragioni creditorie, poiché a suo dire il reato «si perfeziona allorquando il debitore compie gli atti
antidoverosi sui beni stessi, poiché allora si ha la diminuzione o la scomparsa della garanzia di cui all’art. 2740 c.c. e comunque quella sregolata amministrazione che si è inteso colpire con sanzione criminale»95: in quest’ottica, il fallimento avrebbe la mera funzione
condizionante di rivelare e rendere punibile l’offesa, i.e. una funzione accertativa di una realtà economico-sociale già sussistente.