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Il modello paradigmatico della bancarotta impropria di cui agli artt 223 e 224 l.f.: peculiarità e analogie rispetto alla

bancarotta dell’imprenditore individuale.

La novella del D.lgs. 11 aprile 2002, n. 61 ha incisivamente segnato la fisionomia delle fattispecie di bancarotta c.d. impropria di cui agli artt. 223 e 224 L.f., ridefinendo l’insieme dei reati presupposto dell’ipotesi di bancarotta societaria e stabilendo un nesso causale tra questi e il dissesto, configurato quale evento del reato. La statuizione del nesso eziologico in tale ipotesi rappresenta l’aspetto di maggiore distanza rispetto alla fattispecie di bancarotta fraudolenta individuale e presenta taluni profili critici nel raffronto con la previsione del cagionamento del fallimento “con dolo o per effetto di altre operazioni dolose”: nondimeno, l’intervento normativo ha consentito il superamento delle perplessità che erano state avanzate durante la vigenza della precedente formulazione dell’art. 223 L.f., che non chiariva la necessità del collegamento causale e lasciava presupporre che i fatti societari venissero oggettivamente aggravati dalla mera sopravvenienza del fallimento61.

Innanzitutto si rende opportuna una precisazione terminologica, poiché gli artt. 223, 2° comma, n.1 e 224, n.2 L.f. individuano come evento del reato il dissesto e non anche l’insolvenza: laddove non si vogliano ritenere contenutisticamente equivalenti questi due riferimenti62, si deve

considerare che il secondo termine rappresenta una nozione ampia, in cui il dissesto rientra come componente statica indicativa dello sbilancio tra attivo e passivo. La fattispecie, quindi, facendo riferimento ad esso, appare ispirata ad una maggiore determinatezza rispetto alla precedente

61 Cfr., in giurisprudenza, Cass., Sez. V, 28 maggio 1996; Cass., Sez. V, 29 novembre

1993; Cass., Sez. V, 26 giugno 1990; Cass., Sez. V, 26 aprile 1990. In dottrina avanzava forti motivi di perplessità SANTORIELLO C., 2000 p. 194. Secondo NUVOLONE P., 1955, p. 349, il fallimento nell’ipotesi in esame costituiva una condizione di maggior punibilità.

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formulazione, cogliendo anche il profilo di variazione quantitativa della situazione patrimoniale63.

Il dissesto divisato dalla disposizione, peraltro, è solo quello determinante la necessità della dichiarazione di fallimento, i.e. una situazione di squilibrio irreversibile64, perché altrimenti non si riuscirebbe a comprendere come l’aggravamento di pena conseguente al cagionamento si possa giustificare qualora l’evento fosse in realtà reversibile: a fortiori una dottrina argomenta la necessità che il dissesto sia ufficializzato dalla declaratoria fallimentare giacché «verso una tale conclusione inclina

anche la ricomprensione, nel novero dei reati contemplati dall’art. 223, 2° comma, n. 1), anche di fattispecie nelle quali le condotte di elisione o di risarcimento del danno cagionato fungono da causa sopravvenuta di esclusione della punibilità» per cui «sarebbe contradditorio “recuperare”

ex post [la punibilità] in conseguenza del sopravvenire di una declaratoria

fallimentare che sia comunque avulsa da un reato societario ormai “riparato”»65.

Ciò posto, va ivi rilevato come la selezione dei reati societari, al di là della forse improvvida inclusione delle false comunicazioni sociali66, si lasci

apprezzare per l’idoneità delle condotte a ledere direttamente il patrimonio sociale e sia peraltro riferita ai “fatti” e non ai “reati”: questo elemento chiarisce la relazione che si instaura con il dissesto, poiché dal punto di vista dei soggetti attivi, le singole fattispecie societarie non subiranno estensioni in dipendenza della previsione del successivo fallimento, essendo il soggetto attivo elemento del fatto; non altrettanto potrà invece postularsi in relazione alla procedibilità, la quale attenendo piuttosto al reato come fattispecie, risulterà disciplinata dalla disposizione fallimentare, i.e. sarà officiosa.

63 Cfr. PERINI A., 2004, pp. 726 e ss. secondo DONINI M., 2011, p. 49, è ipotizzabile

insolvenza senza dissesto, ma non il contrario.

64 Cfr. PEDRAZZI C., 1991, p. 906. 65 Cfr. PERINI A., 2004, p. 728.

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Questa circostanza, peraltro, consente di riconoscere l’autonomia strutturale dell’art. 223, 2° comma, n. 1 L.f., che non può essere pertanto ricondotta pedissequamente ad una mera ipotesi aggravata dei reati societari richiamati67: consegue a tale conclusione che, qualora si accogliesse la tesi per cui le soglie di punibilità dei medesimi debbano essere qualificate come elementi del fatto tipico, l’eventualità che ipotesi “sotto soglia” siano assunte a base della disposizione fallimentare dovrebbe essere recisamente esclusa, salvo un’eventuale autonoma considerazione ai sensi dell’art. 223, 2° comma, n.2. L.f. Del pari, deve ritenersi che il meccanismo delle condotte post factum determinanti l’esclusione della punibilità non estenda i propri effetti al segmento fallimentare: d’altra parte, in tal caso la garanzia contro il perseguimento di vicende inoffensive si recupererebbe mediante una rigorosa valutazione dell’incidenza eziologica sul fallimento68.

A tal proposito la dottrina si è lungamente soffermata sulla modalità di accertamento della causalità: l’esclusione del paradigma condizionalistico, presupponente l’affermazione della natura condizionante delle condotte societarie rispetto al dissesto, ha imposto di ricercare una soluzione attraverso l’elaborazione di leggi di copertura idonee a spiegare l’eziogenesi di questo evento complesso, colto nella sua dimensione temporale e quantitativa all’atto della sentenza dichiarativa di fallimento. In questo senso, collocandosi il dissesto come momento statico nel più ampio concetto diacronico di insolvenza, sembra postulabile la conclusione per cui l’incidenza causale del reato societario possa essere riconosciuta quand’anche essa abbia solamente modificato il quando e il

quantum del dissesto69: condividiamo quindi l’osservazione secondo cui

«in una prospettiva attenta all’offensività della fattispecie di bancarotta,

67 Cfr., ex plurimis, BRICCHETTI R.– TARGETTI R., 2003, p. 118; MEZZETTI E.,

1990, p. 291. Secondo LANZI A., 2002, p. 22, vi sarebbe, anzi, rapporto di specialità tra le distinte previsioni.

68 Cfr. PERINI A., 2004, p. 732.

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[non] potrebbe ritenersi che il cagionamento di un dissesto

(apprezzabilmente) maggiore, […] possa assumere i connotati della “modalità irrilevante” rispetto alla descrizione dell’evento»70. Non

sembra, infatti, che a questa conclusione sia obiettabile che il termine “cagionamento” escluda i fenomeni di mero aggravamento del dissesto, essendo questo autonomamente prevista all’art. 224, n. 2 L.f., poiché la norma de qua in realtà ambisce all’onnicomprensività, distinguendosi dalla fattispecie di cui all’art 223 L.f. per il diverso coefficiente soggettivo richiesto, i.e. la colpa71.

Nondimeno, la difficoltà principale che incontra la previsione del nesso di causa tra i reati societari e il dissesto dell’impresa discende dalla necessità di ritrovare leggi di copertura causale a carattere probabilistico, dotate di un elevato grado di attendibilità ed idonee ad escludere la punibilità laddove lo stato di decozione sia dipeso da autonomi fattori eziologici: a tal proposito, e come da noi proposto con riguardo alla bancarotta dell’imprenditore individuale, si afferma che il giudice debba fare riferimento alle generalizzazioni proprie dell’economia aziendale, mediante il conferimento di un incarico a perito per la ricostruzione della dinamica del dissesto, e al contempo valutare l’idoneità di fattori esterni a porsi come eventi interruttivi della serie causale ex art. 41, 2° comma c.p.. Tale aspetto, peraltro, segnala un passo avanti nella direzione del superamento delle motivazioni giurisprudenziali apodittiche o presuntive del rapporto di condizionamento, imponendo al giudice di giustificare il proprio percorso argomentativo nell’accertamento della causalità del

70 Cfr. PERINI A., 2004, p. 736. Contra, DONINI M., 2011, p. 48, secondo il quale

l’aggravamento del dissesto non può concepirsi in tale ipotesi come mero aumento delle passività che, in occasione di un futuro fallimento, rilevino come aggravio dell’insolvenza, perché in tal modo si ritorna surrettiziamente alla logica di responsabilità oggettiva antecedente la riforma del 2002.

71 Cfr. FIORELLA A., 2013, p. 330, che ritiene l’ipotesi dell’art. 224, n.2 L.f. a carattere

doloso, per essere l’inosservanza di obblighi imposti dalla legge mera notazione normativa dell’elemento materiale della fattispecie.

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dissesto72: emblematica è la vicenda dell’accertamento dell’incidenza del reato di false comunicazioni sociali sul cagionamento dell’insolvenza, che ammette, per esempio, il rapporto eziologico nell’ipotesi di comunicazione mendace utilizzata come strumento per l’ottenimento di finanziamenti altrimenti non erogabili, ovvero nell’ipotesi in cui la falsità di bilancio sia assunta a copertura di una causa di scioglimento della società, determinando un dissesto maggiore a causa della sua protrazione diseconomica73.

Secondo una dottrina, il nuovo assetto della bancarotta societaria appare conforme al canone costituzionale della personalità della responsabilità penale, giacché la qualificazione del dissesto come evento della fattispecie escluderebbe qualsivoglia riferimento alla categoria dei reati aggravati dall’evento74; parimenti, la perdurante esigenza che il dissesto sia

giudizialmente dichiarato, in analogia con la previsione di rinvio di cui all’art. 223, 1° comma L.f., riconosce alla pronuncia del tribunale fallimentare l’efficacia di condizione obiettiva di punibilità (estrinseca) e quindi il ruolo di rendere opportuna la perseguibilità del fatto75.

Tuttavia, non facile appare il coordinamento che la novella del 2002 impone all’interprete rispetto all’ipotesi di cui all’art. 223, 2° comma, n. 2 L.f.76: l’identità del requisito del cagionamento del dissesto ha spinto

taluno a ravvisare un rapporto di genus ad speciem tra il n. 2 e il n. 1

72 Emblematica per l’attenzione all’eziogenesi del dissesto è Cass., Sez. V, 28 marzo

2003.

73 Cfr. PERINI A., 2004, pp. 744 e ss.

74 Cfr., per l’opinione che qualificava il fallimento come circostanza aggravante dei reati

societari, ex plurimis, CADOPPI A., 1981, pp. 795 e ss.; MELCHIONDA A., 1980, p. 161, il quale ritiene che il richiamo alla dichiarazione di fallimento contribuisca ad individuare la zona di rischio penale tipico della bancarotta societaria, i.e. l’insolvenza.

Contra, Cass., Sez. V, 28 gennaio 1980, con nota adesiva di GIULIANI BALESTRINO

U., 1983, pp. 66 e ss.

75 Cfr. SANTORIELLO C., 2003, pp. 374-375; MUCCIARELLI F., 2002, p. 449. 76 Cfr. DONINI M., 2011, pp. 59 e ss., per il quale «l’art. 223, legge fall., ha oggi, nel suo complesso, un assetto che rimane chiaramente incongruo», stante la possibile

sovrapponibilità di talune fattispecie nelle distinte previsioni della disposizione: si pensi alla restituzione di conferimenti ex art. 2626 c.c. che configura de plano un’ipotesi di distrazione.