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Un contributo alla storia del lavoro

Nel documento LA LEYENDADEL INDIO DORADO (pagine 26-34)

Leggendo, tempo fa, mi sono imbattuto in un testo molto antico, che risale al 1556, intitolato “De Re Metallica”, scritto da Georg Bauer (Giorgio Agricola nella nonimazione italiana). Quest’opera è una delle prime, anzi a me risulta essere davvero la prima, la più remota, che abbia mai affrontato dal punto di vista scientifico i temi della sicurezza del lavoro e della salute dei lavoratori.

L’autore in quest’opera dedica uno specifico capitolo alle miniere viste come ambiente in cui si svolge l’attività lavorativa ed affronta questioni come la salubri-tà di quegli ambienti, le principali e più gravi malattie che possono attecchire in quelle condizioni, le situazioni di rischio e di pericolo che possono danneggiare l’incolumità degli addetti alle miniere. Il capitolo VI del “De Re Metallica” rove-scia per la prima volta il punto di vista che aveva orientato gli autori fino a quel momento. In quelle pagine l’uomo viene posto al centro dell’attenzione. L’uomo come persona e come lavoratore, gli viene resa la dignità di essere del Creato, di Creatura Divina, quella dignità che gli schiavi, prima di allora, non avevano mai guadagnato nell’ambito delle culture classiche, greca e romana, né concretamen-te goduto come plebe, o gleba fino al medioevo.

Ma con Bauer siamo ormai nel Rinascimento maturo, il Rinascimento delle Arti e delle Scienze che aveva posto l’uomo al centro del Creato.

Ritrovare quelle pagine, per me è stato davvero come un sogno, ha messo in moto mille riflessioni ed ha fatto nascere la voglia di condividerle con qualcuno: voglio dire che ho maturato la convinzione che tutti noi, persone comuni, normali cittadi-ni, abbiamo il dovere di riprenderci in mano le redini della storia, offrendo alla società il contributo delle nostre capacità, anche di pensiero, per piccole che siano.

Dobbiamo tornare ad interessarci delle cose che ci riguardano davvero da vicino.

In altre parole, penso che dobbiamo partire alla conquista della memoria. Lì si posso-no trovare frammenti, tessere, schegge del passato, che appartengoposso-no a tutti, che ci riguardano direttamente. Perché è dal passato che veniamo tutti. Il passato è il terreno comune che dà alimento alle nostre radici, che offre nutrimento alla nostra cultura.

Questo può sembrare ovvio e poi non è il centro delle mie riflessioni.

Meno scontata mi sembra, invece, la consapevolezza che il futuro che ci sforzia-mo di costruire con le nostre stesse mani, il futuro per noi e per le generazioni che verranno dopo di noi, dipende fortemente da come sapremo coltivare i terri-tori riconquistati della memoria, da quante cure ed attenzioni sapremo dedicarvi.

È a questo che intendo dare evidenza nelle pagine che seguono.

Da tempo rifletto sul tema della memoria storica.

Non intendo dire che ho voltato le spalle al presente né che ho chiuso gli occhi alla vita. Anzi, mi sento proiettato verso il futuro con tutti i sensi e tutta la forza della ragione. Non mi sono chiuso in una gabbia di ricordi. Non vivo prigionie-ro dei fantasmi del passato. La nostalgia non è un sentimento che giudico positi-vamente nè mi solletica spesso. Non vivo di flashback. Né di rimpianti.

Credo, però, che sia necessario conoscere il passato, non solo quello che ci riguarda direttamente, che nutre le nostre radici personali, ma anche l’altro, che prende il nome di Storia, e che nutre le radici dell’umanità intera.

La memoria storica è una fonte di insegnamento e di esempio per ogni uomo e per ogni popolo.

È la sorgente della cultura che irrora la vite degli uomini. È il faro che illumina il loro cammino. È la dea nel cui nome si festeggia o si celebrano sacrifici.

Senza memoria storica non potrebbe formarsi nessuna coscienza sociale. Gli uomini non potrebbero unirsi in gruppi, né piccoli nè grandi. Né famiglie, né bande, nè tribù, né popoli.

L’idea di umanità non potrebbe declinarsi né al singolare né al plurale.

La memoria storica si nutre di uomini e nutre gli uomini stessi.

Il suo ventre è gonfio di milioni e milioni di uomini, piccoli esseri, pieni di vita, che formicolano sulla terra e tentano di costruire la propria strada. Inconsapevoli del proprio destino, per lo più.

La strada che stanno costruendo, quella strada, è la via per il Futuro.

Perché sia possibile immaginare un futuro, per non restare irretiti nella lotta quo-tidiana per la sopravvivenza, è necessaria la memoria.

La potenza della memoria compone gli idiomi diversi della Razza nella lingua unica dell’Uomo. Mescola le esperienze di ognuno nel processo universale del-l’evoluzione. Combina il genoma nell’inconfondibile spirale della Razza Umana.

È questa la forza chimica della memoria. Il risultato di migliaia e migliaia di sconfitte e di migliaia e migliaia di vittorie. I successi e le sconfitte di una folla di piccoli uomini, che deposita nel tempo un residuo resistente, un sedimento fos-sile che concresce costantemente. Questo accumulo, questo ammasso, costituisce la materia di cui è composta la materia umana.

La memoria ha la veste di una Musa e la forza di una dea.

Con i piedi affonda nella Terra, come una radice; è grave, pesante, non si può sol-levare, non si riesce a spostare. Da essa nascono vestigia, monumenti, resti di città, templi, statue, tombe, palazzi…

Il suo corpo, invece è trasparente, lo puoi guardare attraverso, non si oppone ai tuoi occhi, non lascia neanche una sensazione sulle dita, se lo tocchi. Come una fiamma, spicca verso l’alto. Si può afferrare soltanto con il Senso e la Ragione.

Eppure, non si può sfuggire alla presa ferrea dei suoi artigli, non si può scappare dal suo morso tenace. Tutti, tutti gli uomini vengono stretti dai suoi tentacoli.

Ragioni per riflettere su questo tema ce ne sono molte, oggi. Quella che

m’inte-ressa di più, che mi sembra più urgente, guardandomi intorno in questo presente tanto vanesio è la constatazione che, sempre più spesso, il senso ed il significato delle cose si sono persi, annegati in un presente infinito, onnivoro, che ruba l’ani-ma e la nasconde sotto un velo di oblìo, piatto ed incolore. Mio l’ani-malgrado, assi-sto - non voglio essere partecipe - alla folle corsa dell’uomo verso il Nulla ed il Vuoto, sono testimone di una realtà confusa che schizza via, disperata, senza meta e priva di direzione, senza forma e senza sostanza, lanciata all’inseguimen-to della chimera di una tecnica senza logica e priva di senso. Così, si è perduall’inseguimen-to ogni significato dell’esperienza di vivere.

Così si è persa anche la Memoria, che segna la Provenienza ed indica la Rotta.

Rincorrendo le volgari apparenze materiali della gloria, della razza, del trionfo, dell’ideologia, o ancora della ricchezza, del denaro, del possesso sproporzionato, si è perduto il valore reale dell’opera degli uomini, il sapore del frutto dei solchi scavati nella terra, il significato eterno della fatica e del sacrificio quotidiano di milioni e milioni di braccia possenti.

La memoria storica dobbiamo tirarla fuori dal buio, esporla alla luce più intensa, renderla chiara e mostrarla, ben visibile, a tutti.

C’è una poesia di Bertolt Brecht, “le domande di un lettore operaio”, che riassu-me tutto questo, che scavando al di sotto delle apparenze, invita a guardare la vera realtà delle cose:

Tebe dalle Sette Porte, chi la costruì?

Ci sono i nomi dei re, dentro i libri.

Son stati re a strascicarli, quei bloc-chi di pietra?

Babilonia, distrutta tante volte, chi altrettante la riedificò? In quali case

di Lima lucente d’oro abitavano i costruttori?

Dove andarono, la sera che fu termi-nata la Grande Muraglia,

i muratori? Roma la grande è piena d’archi di trionfo. Su chi trionfarono i Cesari? La celebrata Bisanzio

aveva palazzi solo per i suoi abitanti?

Anche nella favolosa Atlantide

La notte che il mare li inghiottì, affo-gavano urlando

Non aveva con sé nemmeno un cuoco?

Filippo di Spagna pianse, quando la flotta

Gli fu affondata. Nessun altro pianse?

Federico II vinse la guerra dei Sette Anni. Chi,

oltre lui, l’ha vinta?

Una vittoria ogni pagina.

Chi cucinò la cena della vittoria?

Ogni dieci anni un grande uomo.

Chi ne pagò le spese?

Quante vicende, quante domande.

Nei versi del poeta la memoria prende la forma di vecchia città, di eroi e genera-li; ma il punto di domanda con cui si chiudono gli inesorabili interrogativi scava in profondità, al di sotto delle apparenze, per mostrare lo stretto legame che uni-sce la Storia al lavoro degli uomini, la Gloria al dolore e al Sacrificio. La Fame con la fatica ed il sangue. Lo scorrere del tempo con l’opera dell’Uomo. Ecco scoperta la vera natura della Memoria.

Ma, ogni giorno, non si occupa, forse, il nostro Istituto, del dolore, della fatica e del sangue, in una parola, della vita di quelli che costruiscono materialmente la Storia?

Non è forse così?

Allora, ecco, il rapporto fra l’Istituto ed i lavoratori è anche un rapporto con la memoria, con il suo senso più intimo.

Tutti possono dare un contributo alla memoria collettiva, tutti possono concorre-re alla costruzione di una grande banca della memoria.

Memoria storica è anche metodo, organizzazione. È una rete, una immensa rete, che pesca nel mare del tempo.

È ingegneria, per tracciare ponti e strade ed unire ciò che nasce diviso.

È architettura, per costruire case e città per l’uomo che abita la storia.

A questo tutti dobbiamo contribuire. Questo è il nostro destino.

Si devono conoscere e coltivare i territori sconfinati della memoria e della storia.

Si devono rendere civili e sicuri gli spazi immensi della coscienza e dei valori.

Dobbiamo costruire immensi opifici per questo.

Dobbiamo cercare, scavare, tra i resti dei cantieri, nelle viscere delle fabbriche. La storia del lavoro è anche storia del benessere, dello sviluppo, del progresso. Benessere per ogni uomo, sviluppo per la coscienza dei popoli, progresso per l’intera umanità.

La ricerca della storia, la costruzione di una memoria condivisa sono il nostro vero modo di essere. Sono un modo, il solo modo, per guardare dentro noi stessi.

Non vi scorgeremo, come Caravaggio, l’incubo mostruoso della Medusa che impietrisce, della Gorgone che inghiotte. Non avremo l’incubo del vuoto che sof-foca l’uomo per sempre. L’incubo del vuoto presente che inghiotte il tempo, e con esso il significato della vita.

Al contrario. Leggere nel nostro libro avrà finalmente un senso, un significato.

Avrà il valore dell’unica via sicura, della strada che conduce l’uomo alla sua identità più intima, alla sua piena realizzazione, alla sua felicità più vera.

Fatta questa premessa per rendere chiaro il senso dell’operazione di scavo che ho avviato, posso assolvere, a questo punto, al mio dovere personale, posso offrire il mio contributo.

Già in passato, la “Rivista” ha ospitato miei contributi. Sono grato all’Istituto per con-tinuare ad offrirmi questa possibilità di manifestare pubblicamente i miei pensieri.

La prima volta, ho puntato l’attenzione su alcune suggestioni che legano la sto-ria dell’INAIL ad un famosissimo autore, Franz Kafka, impiegato dell’Istituto per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro di Boemia, a Praga.

È cominciato, da lì, un viaggio personale nella memoria, che è andato sempre più indietro nella scala del tempo.

Nell’articolo: “L’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Tracce tra mitolo-gia e storia”, ho scavato, metaforicamente, poiché non sono un archeologo ed ho incontrato testi e personaggi nati all’alba della storia dell’occidente. Negli scrit-ti dei nostri anscrit-tichi progenitori Greci e Lascrit-tini, tra i racconscrit-ti della loro

meraviglio-Antonello da Messina - S. Gerolamo nel suo studio

Fonte: http://www.torrese.it/images/SanGerolamoStudio.jpg

sa mitologia che ancora nutrono la nostra psicologia e la nostra cultura, ho trova-to alcuni testi che parlavano della fatica e del lavoro, delle opere e dei giorni, del senso più profondo dell’Uomo.

Incuriosito, ho continuato a viaggiare ancora più indietro nel Tempo ed ho sco-perto, letteralmente scosco-perto, altri testi scritti, altre testimonianze documentate, molto più antichi, scavati nella storia millenni prima dell’epoca dei Greci.

Nell’articolo: “La corvèe degli dei” ho riportato il racconto della Creazione dell’Uomo che gli scribi della città di Babilonia avevano ricopiato, in caratteri cuneiformi, più di quattromila anni fa, trasponendo su tavolette di argilla cotte dal tempo e dal sole storie mitologiche di epoca ancora più remota, giunte così, mira-colosamente, fino a noi. Queste storie descrivono la missione, il compito, dell’uo-mo sulla terra, con una lucidità di pensiero che, quasi cinquemila anni fa, era già pura e adamantina. Ho trovato in quei racconti saggezza, profondità di significati, manifestazioni dei valori umani, già nobilissime, alte ed evolute. Così come si con-viene all’Uomo. Ad un Uomo già perfetto, integro e completo fin dalla nascita.

Tutto ciò mi ha stregato, riempiendomi di meraviglia. E mi ha segnato, in qual-che modo, per sempre. Mi ha fatto percepire una nuova dimensione dell’uomo, uno spessore, una profondità mai immaginati prima.

Continuando la ricerca, si sono composte davanti a me le parti di un discorso unico, di una specie di “filosofia dell’Uomo”: fin dalle origini della Storia, gli uomini coi loro primi testi incisi nelle tavolette cuneiformi sumere e babilonesi, o dipinti nei primi geroglifici egizi, e poi, più su nel tempo, coi miti esiodei e le letterature più moderne, hanno saputo testimoniare l’immenso patrimonio di valori che vivifica il concetto di Umanità Universale. E con riferimento a quello che è stato chiamato l’homo faber, che interessa più da vicino la presente ricer-ca, hanno tracciato, attraverso le gesta immortali di dei ed eroi, da Enki a Gilgamesh, da Efesto a Prometeo, da Dedalo ad Apelle, la storia eterna delle arti e del pensiero, della vita e del lavoro. Storia eterna che è la storia degli uomini stessi, d’altronde. E di tutto ciò, già i primi scribi sumeri ed egizi, cinque o sei mila anni fa, avevano un’idea di chiarezza assoluta.

Durante questo viaggio ho provato emozioni vere, che mi hanno fatto capire che il lavoro, il lavoro dell’uomo sulla Terra, serve per costruire l’edificio dell’intera Umanità e che da tutto ciò derivano implicazioni profonde, che coinvolgono cia-scuno di noi.

Così ho sentito il bisogno di comunicare agli altri tutto ciò. Ho compreso che tutto questo riguardava il senso della Storia, il Tempo, la Memoria. La storia, il tempo, la memoria miei, ma, anche dell’intera Umanità.

Così ho capito che dovevo coltivare questa pianta. Coglierne i frutti. Offrirli a chiunque ne volesse gustare il profumo.

Memoria è il nome di questa pianta. Il domani, i secoli a venire, il futuro; la conqui-sta dei pianeti, delle galassie, l’assoggettamento degli spazi, i suoi frutti. Tutto sarà possibile, ogni desiderio si potrà esaudire se l’uomo coltiverà la memoria della sua

storia. Tutto, allora, si potrà raggiungere, la realtà avrà spessore, forza, estensione, spazio, larghezza, peso, profondità, massa.

La memoria in questo senso, si compone delle storie di tutti gli uomini. Dal grembo fertile della Storia si diparte il filo di ogni vita. Tutti noi, tutti noi uomini, siamo suoi figli. Siamo al mondo grazie a questo misterioso legame che ci permette di essere consapevoli della nostra immagine, orgogliosi delle nostre gesta, coscienti delle nostre esistenze, quasi mai eroiche, eppure sempre uniche, irripetibili, esemplari.

Questa memoria è la madre delle nostre storie, la nostra grande madre. Mette insie-me gli ormoni dello Spirito, del Pensiero e della Ragione, li insie-mescola e li feconda.

Senza di lei non sapremmo nulla delle storie dei viaggiatori, da Gilgamesh ad Odisseo, da Sinbad ad Achab.

Non sapremmo nulla dei nostri re e dei nostri califfi. Delle nostre divinità Onnipotenti e delle nostre Fedi infinite.

Senza memoria neanche scorrerebbe il sangue delle nostre vene. Si decompor-rebbero i nostri geni. Il nostro DNA decadrebbe ad una stringa di vani tentativi, di errori di una Natura priva di senso.

Col suo concorso sono stati selezionati i fattori che hanno fatto evolvere la nostra specie e senza di lei, oggi, saremmo ancora cellule senza progetto, mattoni spar-si, rami spezzati, gocce perdute. Senza memoria.

La memoria unisce gli Oceani, tiene insieme le Stelle, congiunge gli Spazi, fonde gli Uomini, salda i Destini.

Senza di lei neanche gli dei potrebbero conoscere la divinità del mondo da cui pro-vengono. Né potrebbero mai farsi consapevoli che è stato lo Spirito dell’Uomo ad averli innalzati, lassù, sull’alto dell’Olimpo, in un pantheon eterno ed universale.

Botticelli - Nascita di Venere

Fonte: http://www.sbac.edu/~palmergw/botticelli.venus.jpg

Mi piacerebbe dare un contributo a questa memoria, lasciare un’impronta, seppure piccola, come può essere la mia.

Ecco di cosa si tratta. Vorrei condividere il mio viaggio, l’esperienza fantastica che si materializza in queste pagine.

Vorrei partire dall’opera del Bauer, dal “De Re Metallica”.

Nelle parole dedicate ai lavoratori, alle loro sofferenze, alle loro malattie, ai loro pericoli, troviamo un pezzo della nostra storia. Un pezzo che viene da molto lon-tano, da un’epoca ormai passata.

Ho tradotto personalmente dalla lingua originale di latino alcune pagine di quel-l’opera, aiutandomi anche con una versione inglese molto famosa, una versione speciale. Mi scuso quindi, subito, degli eventuali errori.

Ho scelto, dalle fonti reperibili nella rete, alcune parti dell’opera, quelle che ho ritenuto utili per questo lavoro.

La rete, il web, Internet, sta diventando uno strumento prezioso, una fonte di sapere, magari ancora disordinata e forse rischiosa, dalla quale però si può attin-gere un’infinita ricchezza.

A partire dalle pagine del “De Re Metallica” è iniziata un’altra tappa del mio viaggio.

Dalle descrizioni delle condizioni di lavoro contenute nell’opera di Giorgio Agricola si propaga un’eco che raggiunge il nostro tempo presente e non si è ancora acquietata.

Oggi si parla ancora degli stessi temi e si scrive progettando modelli di sicurez-za, di vita e di lavoro.

Ancora oggi, nonostante sia consolidato il convincimento che la storia sia mae-stra di vita, che l’istruzione sia un investimento per il futuro dei nostri figli, dei popoli e dell’umanità intera, ancora oggi, siamo costretti a contare vittime, feri-ti, dolore e paura, come se nessun insegnamento la storia avesse saputo darci.

A tutto questo ho voluto aggiungere qualche immagine e qualche volto, per dare una certa consistenza alla fantasia e un po’ di dati.

Da qui parte il nostro viaggio.

Un viaggio che continua su una navicella aperta a tutti.

Nel documento LA LEYENDADEL INDIO DORADO (pagine 26-34)

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