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Contro gli scienziat

Nel documento Anarchia inaudita (pagine 30-34)

E che cosa costituisce oggi, principalmente, la potenza degli Stati? La scienza. Sì, la scienza. Scienza di governo, di amministrazione, e scienza di tosare il gregge popolare senza farlo gridare troppo o, qualora incominciasse a gridare, scienza di imporgli il silenzio, la pazienza e l’obbedienza per mezzo di una forza scientificamente organizzata; scienza di ingannare e di dividere le masse

popolari, di mantenerle sempre in una salutare ignoranza affinché non possano mai, aiutandosi mutualmente e riunendo i loro sforzi, creare una forza capace di rovesciare gli Stati; scienza militare soprattutto, con tutte le sue armi

perfezionate e quei formidabili strumenti di distruzione che «fanno meraviglie», scienza del genio, infine, che ha creato le navi a vapore, le ferrovie e i telegrafi: le ferrovie che utilizzate dalla strategia militare decuplicano la potenza difensiva e offensiva degli Stati.66

Bakunin ritiene che il rapporto tra scienza e umanità si sia capovolto. Un tempo la scienza era al servizio dell'uomo, mentre ora è l'uomo a porsi al servizio della scienza. Questo perché la scienza, dedicandosi all'astrazione, non riesce a cogliere la vita concreta degli individui. In virtù del suo carattere universale, la scienza si presenta come indiscutibile, ed è quindi più difficile da contestare della religione. Ma, come la religione, anche la scienza può abusare del proprio potere a danno dell'umanità. Anzi, qualora gli scienziati avessero potere, finirebbero inevitabilmente per abusarne «secondo quella legge assolutamente umana, incontestabile, fatale, per cui ogni uomo che ha potere non può evitare di abusarne»67. Da ciò, però, non deve derivare una sfiducia nei confronti della

scienza e nemmeno degli scienziati.

65 Ivi, p. 130.

66 M. Bakunin, Libertà, uguaglianza, rivoluzione, op. cit., p. 202-203 67 Ivi, pp. 210-211.

Respingo forse ogni autorità? Lungi da me questo pensiero. Allorché si tratta di stivali, ricorro all’autorità del calzolaio; se si tratta di una casa, di un canale o di una ferrovia, consulto quella dell’architetto o dell’ingegnere. Per ogni scienza particolare mi rivolgo a chi ne è cultore. Ma non mi lascio imporre né il calzolaio, né l’architetto, né il sapiente. Li ascolto liberamente e con tutto il rispetto che meritano le loro intelligenze, il loro carattere, il loro sapere, riservandomi nondimeno il mio diritto incontestabile di critica e di controllo.68

Il punto centrale, per Bakunin, è non sostituire alla religione la scienza, non spazzare via i dogmi religiosi per sostituirli con questa o quella teoria scientifica accettata acriticamente.

Ma non riconosco alcuna autorità infallibile, neppure per le questioni del tutto specialistiche; di conseguenza, per quanto rispetto possa avere per l’onestà e la sincerità del tale o del tal altro individuo, non ho fede assoluta in alcuno. Una fede simile sarebbe fatale per la mia ragione, per la mia libertà e per lo stesso buon risultato delle mie iniziative; essa mi trasformerebbe immediatamente in uno stupido schiavo, in uno strumento della volontà e degli interessi altrui.69

Alla luce di queste parole, emerge chiaramente che l'obbiettivo polemico di Bakunin non è propriamente ciò che intendiamo con “scienza”, bensì ciò che da inizio Novecento viene indicato come “scientismo”, ovvero la credenza che la scienza sia in grado di spiegare i fenomeni umani nel loro complesso. Come ha ben sottolineato Jacques Derrida:

Lo scientismo non coincide con la scienza. I veri uomini e le vere donne di scienza si riconoscono d'altro canto proprio dal fatto di non essere mai, o quasi mai, scientisti. Se lo scientismo consiste nell'estendere indebitamente l'ambito del sapere scientifico o nell'attribuire a teoremi scientifici uno statuto filosofico o metafisico che a questi non è proprio, allora lo scientismo inizia laddove termina la scienza ovvero nel momento in cui si estende un teorema al di là del suo ambito di pertinenza. Lo scientismo finisce dunque per deturpare ciò che vi è di più rispettabile nella scienza stessa.70

Bakunin rileva quindi una contraddizione: da un lato la scienza gli appare 68 M. Bakunin, La libertà degli uguali, op. cit., p. 135.

69 Ivi.

70 J. Derrida–E. Roudinesco, Quale domani?, trad. it. di G. Brivio, Bollati Boringhieri, Torino 2004, p. 73.

indispensabile all’organizzazione razionale della società; dall’altro è incapace di occuparsi di ciò che è vivo e reale.

Questa contraddizione non può essere risolta liquidando la scienza come entità morale esterna alla vita sociale di tutti, anzi è necessario che la scienza non resti più esterna, rappresentata da un corpo di sapienti brevettati, ma si diffonda tra le masse popolari. La scienza, essendo ormai chiamata a rappresentare la coscienza collettiva della società, deve realmente diventare proprietà di tutti. In tal modo, senza nulla perdere del suo carattere universale, che non potrà mai abbandonare sotto pena di cessare di essere scienza, e continuando a occuparsi delle cause, delle condizioni e dei rapporti generali degli individui e delle cose, si fonderà di fatto con la vita immediata e reale di tutti gli individui umani.71

Un simile avvenimento, per Bakunin, sarebbe simile a quanto accaduto con la Riforma protestante. Come il protestante afferma di non aver bisogno di preti, in quanto per la fede non servono intermediari, così l'uomo post-rivoluzionario non sarà vittima degli scienziati divenendo lui stesso, nel suo piccolo, per mezzo dell'istruzione, uno scienziato.

Ma che fare fintanto che le masse non saranno arrivate a questo grado di istruzione? Dovrebbero lasciarsi governare temporaneamente dagli uomini di scienza?

No di certo. Sarebbe meglio per esse fare a meno della scienza piuttosto che lasciarsi governare dagli scienziati. Il governo di questi uomini avrebbe per prima conseguenza quella di rendere la scienza inaccessibile al popolo e sarebbe necessariamente un governo aristocratico, perché l’istituzione attuale della scienza porta a un’istruzione aristocratica. All’aristocrazia dell’intelligenza! La più implacabile dal punto di vista pratico, e la più arrogante e la più insolente dal punto di vista sociale: tale sarebbe il potere costituito nel nome della scienza.72

Bakunin ha ben presente il rischio di una rivoluzione che ponga al centro gli scienziati. Essi, investiti di così tanto potere, formerebbero una nuova casta privilegiata e dominerebbero gli altri. Piuttosto che sprofondare in un simile scenario, meglio sarebbe rinunciare in toto alla scienza. Se un pugno di scienziati 71 M. Bakunin, La libertà degli uguali, op. cit., p. 146.

dominasse il mondo, essi non farebbero altro che scannarsi a vicenda; nel caso in cui si accordassero tra loro, ciò sarebbe solo a danno dell'umanità. Ogni

scienziato, per sua natura, «è portato verso ogni sorta di perversione morale e intellettuale e i suoi vizi capitali sono l'esagerazione delle proprie conoscenze, dalla propria intelligenza e il disprezzo di tutti coloro che non sanno»73. Dare

potere a simili individui sarebbe una sciagura per tutta l'umanità. «Date loro via libera e cominceranno a fare sull'umanità quei medesimi esperimenti che in nome della scienza fanno oggi sui conigli, sui gatti e sui cani»74.

Inoltre, Bakunin è ben cosciente che il sapere scientifico non è definitivo né incontrovertibile.

La scienza umana è sempre necessariamente imperfetta, confrontando quanto ha scoperto con quanto le rimane da scoprire, si può dire che essa è sempre alla sua culla. Di modo che se si volesse obbligare la vita pratica, collettiva e individuale degli uomini, a conformarsi strettamente, esclusivamente agli ultimi portati della scienza, si condannerebbe la società come l'individuo a soffrire il martirio sopra un letto di Procuste, che finirebbe per slogarlo e soffocarlo poiché la parte di vita che rimane fuori della scienza è infinitamente più vasta della scienza.75

Un governo di scienziati, oltre a non giovare al popolo, non gioverebbe neppure alla scienza stessa. Gli scienziati, una volta investiti del potere, smetterebbero di occuparsi della scienza per occuparsi del potere.

Un corpo scientifico, al quale fosse affidato il governo della società, finirebbe presto col non occuparsi affatto della scienza, ma di ben altro affare, che è quello di tutti i poteri stabiliti, si ridurrebbe allo sforzo di eternare se stesso, rendendo sempre più stupida la società affidata alla sue cure e quindi sempre più bisognosa del suo governo e della sua direzione.76

Pertanto:

Rispettiamo gli scienziati come meritano ma, per salvaguardare la loro

73 M. Bakunin, Stato e anarchia, op. cit., p.160. 74 Ivi.

75 M. Bakunin, Libertà, uguaglianza, rivoluzione, op. cit., p. 270. 76 Ivi, p. 271.

intelligenza e la loro moralità, non diamo loro nessun privilegio sociale e non riconosciamo loro altro diritto che quel diritto comune a tutti di professare liberamente le proprie opinioni, i propri pensieri e le proprie conoscenze. Il potere non si deve dare né a loro né a nessun altro perché chi è investito di un'autorità si trasformerà inevitabilmente, secondo una legge sociale immutabile, in un oppressore e in uno sfruttatore della società.77

Al di là di queste critiche, per Bakunin la scienza è destinata a svolgere un ruolo fondamentale nelle vicende umane future. La scienza, tralasciando le false astrazioni teologico-metafisiche, si occupa in modo veritiero della natura e della logica delle cose, perciò: «la scienza costituirà la coscienza collettiva della società»78.

Nel documento Anarchia inaudita (pagine 30-34)