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Controllo della distanza

Durante la scansione la sonda deve rimanere a “stretto contatto” con il campione, in modo da garantire sempre la predominanza degli effetti di campo prossimo. Co- me avviene nelle altre tecniche di microscopia a scansione di sonda, per mantenere la punta a distanza ravvicinata dalla superficie del provino è impiegato un circuito di feedback che monitora costantemente l’entità di una certa interazione a corto o medio raggio e agisce di conseguenza sulla distanza sonda-campione. Fungono solitamente da meccanismo di controllo nello SNOM le cosiddette shear-forces, forze di frizione laterali, che, nel caso la punta venga fatta vibrare parallelamen- te alla superficie del provino ed in prossimità di questa, sono responsabili di uno smorzamento dell’oscillazione.

Tale smorzamento è principalmente dovuto all’interazione tra la punta e il campione attraverso lo strato di aria che è presente tra di essi. Questa spiegazio- ne chiarisce senza riserve il verificarsi del fenomeno in condizioni ambiente. Il

1.7. CONTROLLO DELLA DISTANZA 27

Figura 1.13: Foto ingrandita di una tuning fork di quarzo. Immagine tratta da [11].

meccanismo, purché attenuato, è osservato anche in vuoto dove si ipotizza che sia legato alla presenza di molecole d’acqua adsorbite sulla superficie del campione e sulla punta prima della creazione della situazione di vuoto [11, 37].

Indipendentemente dalla loro natura, le shear-forces rappresentano un’intera- zione ottimale su cui costruire il sistema di feedback. Si osserva infatti sperimen- talmente che, se la punta è forzata ad oscillare parallelamente alla superficie del provino, l’ampiezza delle oscillazioni si riduce al diminuire della separazione tra sonda e campione per distanze tipicamente < 10 nm: per far seguire alla sonda il profilo della superficie ad una distanza fissa è quindi sufficientemente monito- rare sistematicamente l’ampiezza delle oscillazioni che essa compie e correggere in tempo reale la sua posizione verticale (al di sopra del campione) in modo da mantenere costante l’ampiezza delle oscillazioni.

Metodi ottici di misurazione dell’ampiezza dell’oscillazione, che si basano sulla riflessione e diffrazione di un fascio laser contro una qualche porzione me- tallizzata della sonda e sono stati usati nelle prime fasi di sviluppo della tecnica SNOM, interferiscono con gli effetti di campo prossimo. Sono quindi preferibili tecniche non ottiche, le quali fanno in genere uso di un sensore ausiliario co- stituito da un materiale piezoelettrico (tipicamente quarzo) a forma di diapason, denominato tuning fork (vedi figura 1.13), dotato di appropriate metallizzazioni ed elettrodi. Il dispositivo, comunemente impiegato negli orologi al quarzo, è in grado di fornire un segnale di tensione proporzionale, per piccole vibrazioni, al- l’oscillazione dei suoi bracci. La sonda viene incollata sulla tuning fork in modo da essere solidale ad uno dei suoi bracci ed il sistema viene forzato ad oscillare per mezzo di un trasduttore piezoelettrico, che prende il nome di piezoelettrico di dithering8.

Sebbene in linea di principio la tuning fork potrebbe essere messa in oscil- lazione applicando direttamente ad essa una tensione forzante, generalmente si preferisce utilizzare per questo scopo un piezoelettrico esterno, limitando l’uso del materiale piezoelettrico di cui il diapason è costituito a monitorare l’oscilla-

zione. La frequenza dell’oscillazione a cui la tuning fork viene forzata è prossima a quella di risonanza (generalmente attorno 32768 Hz), in modo tale da aumen- tare la sensibilità del sistema. Allo scopo di non alterare la risoluzione laterale, l’ampiezza di oscillazione viene tipicamente mantenuta su valori piuttosto piccoli, quantificabili in pochi nanometri o decine di nm; conseguentemente il segnale di uscita dalla tuning fork è alquanto debole e necessita dunque di una preamplifica- zione a basso rumore per essere misurato in modo agevole. Dal segnale oscillante proveniente dalla tuning fork è normalmente estratto un segnale continuo rappre- sentativo dell’ampiezza di oscillazione attraverso tecniche di demodulazione (ad esempio demodulazione eterodina nello strumento qui impiegato). Questo segnale è quindi connesso ad un circuito di feedback che mantiene stabile la separazione stessa tra sonda e campione durante la scansione.

Operativamente il controllo della distanza è gestito nel modo seguente: per prima cosa si registra il valore dell’ampiezza di oscillazione non smorzata, cioè con la sonda al di fuori della portata delle forze di frizione. Esso serve ad imposta- re il valore di riferimento (setpoint) per il feedback, di norma compreso tra il 70 ed il 90% dell’ampiezza non smorzata (ciò corrisponde, sulla base di precedenti calibrazioni, a distanze tipiche di 5-10 nm). Si conduce quindi la procedura di approccio al campione, che consiste nel portare gradualmente la punta più vici- na alla superficie del provino, terminando l’avvicinamento quando l’ampiezza di oscillazione, costantemente monitorata, si attesta sul valore di setpoint. A questo punto si dà inizio alla scansione, durante la quale l’ampiezza di oscillazione viene continuamente comparata con il valore di riferimento, riposizionando eventual- mente la sonda alla distanza dal campione fissata dal setpoint. Il segnale di errore, ossia di scostamento dall’ampiezza di riferimento, permette di costruire la mappa topografica della superficie osservata.

Il movimento di scansione laterale e di riposizionamento verticale è tipica- mente generato da un unico traslatore piezoelettrico, nel nostro caso costituito da un cilindro cavo di materiale piezoelettrico dotato di opportuni elettrodi di polariz- zazione. La risoluzione del traslatore dipende dalle sue caratteristiche costruttive e dall’elettronica di controllo: per traslatori che consentono spostamenti massimi dell’ordine delle decine di µm la risoluzione effettiva può facilmente arrivare a frazioni di nm.