STEFANO BORGIA: Uno degli scritti del Federici, purtroppo rimasto inedito, come abbiamo già visto, è il Convito Borgiano. In esso si traccia la storia di Fra Giocondo, cui si giunge non tanto forse per le sue opere nel campo dell’architettura o dell’idraulica, quanto probabilmente per essere stato anche un grande collezionista di epigrafi e di anticaglie, come si diceva un tempo, ricadendo perciò nel raggio degli interessi precipui del circolo di eruditi che il domenicano evoca nella sua opera e, dove spicca soprattutto la figura del cardinale Stefano Borgia. Sulla sua persona conviene qui spendere più che non vaghi accenni poiché ci troviamo di fronte ad una personalità atipica, sia come alto prelato sia come uomo di vasta cultura ed eclettici interessi. Nacque a Velletri nel 1731 e fu educato dallo zio Alessandro Borgia, vescovo di Fermo. Ricoprì incarichi prestigiosi presso la curia romana, come quello di segretario della Congregazione di Propaganda Fide, che si occupava essenzialmente di gestire le attività missionarie per tutto il mondo. Nominato cardinale divenne responsabile della politica estera dello Stato della Chiesa. Nel 1798, con l’occupazione francese conobbe l’onta dell’ arresto e dell’ esilio, che trascorse prevalentemente a Venezia e Padova. Con il
Concordato del 1801, ritornò a Roma e fu incaricato, assieme ad altri cardinali, di accompagnare a Parigi Pio VII per l’incoronazione di Napoleone, ma nel viaggio di andata, nel novembre del 1804, morì improvvisamente a Lione.
I suoi interessi furono vasti e rivolti anche a culture lontane come la islamica, l’indiana e la tibetana e, per meglio riuscirvi, si avvalse di tutti i contati che aveva con i missionari, invitandoli a raccogliere materiale di cui lui sarebbe stato l’ultimo destinatario. A questo scopo non disdegnò di mantenere attive relazioni con studiosi appartenenti al mondo protestante, fra cui Friedrich Munter1 e Georg Zoega2. Addirittura, giunse, lui che fu anche responsabile della Congregazione dell’Indice, a permettere la lettura di libri già giudicati proibiti, e ciò a dimostrazione del suo amore per lo studio e la cultura, mostrando un atteggiamento decisamente controcorrente e disinibito rispetto alle chiusure reazionarie espresse a più riprese da una Chiesa – e siamo nella seconda metà del settecento –oramai in piena involuzione. Si può affermare con certezza, che le più grandi energie il Borgia le spese principalmente per la creazione del Museo Borgiano di Velletri, che da subito suscitò l’interesse di molti studiosi fra cui Goethe che lo visitò due volte3.
1
Teologo e filosofo danese (1761-1830), amico di Goethe e di molti illuministi, aiutò il Borgia quandi questi, costretto all’esilio e privo di mezzi, era riparato a Venezia.
2Georg Zoega (1755-1809) fu uno studioso danese che, fra le varie cose, si interessò anche di antiquaria e che fu incaricato dal ministro Goldberg di catalogare le monete egizie e romane della collezione di Coopenhagen. Viaggiò molto e finì con lo stabilirsi a Roma ove entrò nelle grazie del cardinale Borgia il quale gli affidò il compito di catalogare le monete egizie e romane della sua collezione. Si diede anche allo studio della civiltà egiziana ed il frutto di questi interessi sarà il De usu
et origine obeliscorum, opera fondamentale per lo studio dei geroglifici.
3
Scrive Goethe nel suo Italienische Reise il 22 febbraio 1787«Velletri è in una bellissima posizione sopra una collina vulcanica che, collegata da altre colline solo verso nord, offre la più ampia veduta verso le tre altre direzioni. Abbiamo veduto il museo del cavaliere Borgia, il quale, grazie alla sua parentela col cardinale e alle sue aderenze colla Propaganda è riuscito a mettere insieme oggetti antichi preziosi ed altre cose curiose: idoli egiziani di pietra durissima, figurine in metallo d’epoca remota e recente, scavate nei dintorni, e quei bassorilievi di terracotta […]. E’ certamente imperdonabile che un tal tesoro, a due passi da Roma, non sia visitato più spesso». Ed ancora scrive in Napoli il 10 luglio «Il nostro viaggio da Roma a Capua è stato oltremodo felice e piacevole. Ad Albano ci ha raggiunti lo Hackert; a Velletri pranzammo dal cardinale Borgia e visitammo il suo museo con sommo piacere perché potei osservare parecchie cose che la prima volta mi erano sfuggite».
Oltre al museo vero e proprio bisogna anche citare il gran numero di preziosi libri, più di diecimila,da lui raccolti. Pochi anni dopo la sua morte, la collezione fu venduta al re Ferdinando IV di Borbone, così oggi essa è divisa fra il Museo Archeologico e Capodimonte. In origine, il Museo Borgiano era suddiviso in dieci classi, andando dalle antichità egizie – fra cui una preziosa raccolta di papiri dove trovasi anche quello denominato “Charta Borgiana” con cui tradizionalmente si ritene nasca la papirologia – alle antichità greche, a quelle etrusche e romane, comprendendo anche oggetti provenienti dal mondo mediorientale, sia assiro-babilonese, sia persiano ed arabo, e pure dall’estremo oriente e dal mondo nordico. Il museo era costituito in prevalenza da reperti di primaria importa, cosicché non riesce difficile comprendere l’interesse da essi suscitato. Nel maggio 2011, nel palazzo Borgia di Velletri, s’è inaugurata una mostra con buona parte delle opere dell’antico museo, cercando di disporle nei vari locali del palazzo rispettandone la collocazione originaria. Alla fine degli anni ’80 Federici si recò a Roma, forse chiamatovi come predicatore, e lì deve avere conosciuto il cardinale Borgia, il quale gli aprì le porte dei più importanti ambienti che contavano dell’ambito curiale; ecco come si esprime a questo proposito, seppur in maniera non esente da iperboli, il nipote Luigi Federici:
[…] quell’uomo (il Borgia) che essendo egli gran cosa nella scienza lo protesse negli altri con impegno il più vivo, ed appassionato rinnovando nel nostro secolo le glorie degli Ipoliti dè Medici, dè Luigi d’Este, dè Scipioni Gonzaga, degli Ercoli Rangoni, degli Alessandri Farnese tutti cardinali di primo rango e amanti li più appassionati degli uomini di studi, e di lettere4 .
L’interesse verso Fra Giocondo, come già affermato, deve essere inizialmente nato grazie alla parte ‘erudita’ della sua opera, allargandosi poi quasi per empatia a comprendere tutto il lavoro di questo grande personaggio, si che «….s’intimò dal Borgia al Federici di stendere un’opera su di questo insigne veronese»5
.
Le ragioni dell’opera sono già state riassunte precedentemente e sono desunte dalle parole espresse da Federici stesso e riconducibili alla prefazione dell’opera6
.
Come è già stato espresso, il ‘Convito’ è steso in forma di dialogo; ma chi sono i partecipanti
4
L. Federici, Elogi istorici de’più illustri ecclesiastici veronesi, Verona 1818, p. 202.
5
Ibidem.
chiamati ad animarlo? Innanzitutto l’abate Gaetano Marini, archivista pontificio7
, poi Seroux d’Agincourt, indi il viaggiatore inglese Francis Ford Hill «che nelle più remote parti del conosciuto mondo rinvenne monumenti egizii»8, poi Domenico Sestini «erudito viaggiatore fiorentino, che né confini europei e nella Grecia raccolse monete antiche e medaglie singolari per formare un ricco museo da essolui con perizia non ordinaria disposto e dispiegato»9. Inoltre troviamo padre Paolino di San Bartolomeo, carmelitano scalzo10, poi il già citato Zoega, il francese Gabriel Fabricy11, Filippo Becchetti, che fu storico della Chiesa12, Domenico Cardelli13 allora giovane studioso di reperti greco-romani, Della Valle e naturalmente Federici stesso.
7
Luigi Gaetano Marini, 1742-1815, si laureò in ‘Utroque Jure’ e grazie all’amicizia dei cardinali Albani e Garampi fu in primo tempo nominato coadiutore del prefetto degli archivi vaticani, che al tempo era Marino Zampini, e successivamente presidente dei Musei e della Biblioteca vaticana. Profondo conoscitore dell’ebraico, del greco e del latino, si interessò anche di archeologia indirizzando il suo interesse soprattutto verso la papirologia e la classificazione di iscrizioni lapidarie.
8 Su questo personaggio non è stato possibile reperire alcunché. 9
Domenico Sestini, 1750-1832, viaggiò molto in oriente, specializzato in numismatica, fu nominato bibliotecario del granducato di Toscana ai tempi della Baiocchi e divenne poi professore all’università di Pisa.
10
Paolino da San Bartolomeo, carmelitano, al secolo Johann Philipp Wesdin, 1748-1806, austriaco, soggiornò in India, nel Malabar, dove studiò il sanscrito. Divenne segretario del Borgia, ed è da ascrivere principalmente a lui quella parte di raccolta borgiana inerente agli oggetti provenienti dall’estremo oriente, soprattutto il materiale di origine indiana.
11
Francese, domenicano, fiero oppositore dei ‘Philosophes’.
12
Domenicano, storico della Chiesa, è principalmente ricordato per aver continuato la monumentale opera del cardinale Giuseppe Agostino Orsi intitolata Storia della Chiesa, che era rimasta incompiuta, portandola fino al 1529. Fu scritta principalmente per contrastare le teorie gallicane del Fleury. Becchetti fu in stretta corrispondenza con Federici al quale indirizzò, per quanto è possibile constatare, 22 lettere che però risultano essere non di facile lettura anche se, pur a grandi linee, è possibile cogliere gli argomenti trattati che vertono principalmente su temi inerenti i Cavalieri Gaudenti e spedizione di libri. Qui e là si citano personaggi conosciuti come l’abate Morelli, Avogaro, Pellegrini, il cancelliere De’ Rossi e lo Svajer.
13
Abbiamo quindici lettere scritte dal cardinale Borgia a Federici, che vanno dal 1796 al 1801 ed il cui contenuto riguarda per lo più il Convito Borgiano. Siccome il detto cardinale muore nel 1804, ed il carteggio, a quanto sappiamo noi s’interrompe nel 1801, viene da pensare che la causa di ciò sia da imputarsi alla mancata pubblicazione dell’opera, fatto questo che avrà causato in lui forte irritazione. Dunque, non è la morte del cardinale che ne impedisce la pubblicazione14, ma una scelta fatta , o subita, dal Federici medesimo il quale avrà desistito per più ragioni fra cui presumibilmente le critiche dell’amico Pellegrini15, lo scarso numero di associati – e di qui vedi le difficoltà oppostegli per la pubblicazione da Giulari16- e la forma dialogica dell’opera, troppo obsoleta ormai per il suo tempo. Per quest’ultimo punto vi è anche il riscontro del canonico Giovanbattista Rossi in quanto custode del manoscritto, come ci ricorda Luigi Federici:
Questa vita (di fra Giocondo) sta nelle mani del signor Canonico Gio:Battista di Trevigi: egli a me scrisse in data 4 Ottobre 1810: «nel conservare però gelosamente il dono dell’amico fu sempre mia intenzione, che quando per l’altre mie cure mi sia conceduto per me, o coll’altrui aiuto di adornarvi l’elogio dando alla luce l’opera che ne è più degna, le memorie che Fra Giocondo, spogliandole della forma del dialogo in cui le scrisse, e restringendola a quella di dissertazione…» conchiude poi :«Ella calcoli sopra la mia sincera disposizione di secondare, e di promuovere giusti, e lodevoli divisamenti, a onore massime di un uomo che tanto meritò verso di questa Patria ove vivrà sempre il suo nome; e su la verace stima con cui mi dichiaro a tutte prove»17.
Dunque l’opinione di Rossi è positiva e ciò non è da poco poiché egli, seppure amicissimo del Federici e perciò magari anche un po’ di parte, è tuttavia studioso dal palato fine che mai avrebbe avvallato la pubblicazione di un’opera se non l’avesse reputatata valida; certo, rimaneva sempre da rimuovere lo scoglio della forma con cui essa era stata stesa.
La prima lettera del cardinale, scritta in Roma e datata 6 febbraio 1796, contiene auguri di pronta guarigione per il domenicano, seriamente infermo, e la speranza che egli possa presto tornare ad applicarsi agli studi, soprattutto al Convito.
14
Cfr. L. Federici, cit. p.203.
15 Si vedrà più avanti come il Pellegrini contesti al Federici certe sue supposizioni da lui ritenute errate. 16
Vedi le lettere del Giulari al Federici.
17
La seconda lettera è scritta da Venezia l’8 ottobre 1997, segno che Borgia è ormai in esilio, e la cosa più interessante che vi troviamo è l’annuncio che un desiderio del Federici è stato esaudito, ossia la possibilità di avere un ritratto di Fra Giocondo per il tramite del cardinale e, come quest’ultimo afferma: «mi fu facile e spedito di far copiare quella testicciola domenicana, dipinta dal gran Raffaello nella Camera Vaticana della Teologia …». Il minuscolo ritratto è contenuto nel manoscritto del ‘Convito’, ma è pura speculazione pensare che sia veramente quello di Fra Giocondo, anche se sappiamo che egli era stato in confidenza con Raffaello. Prove che lo sia non ve ne sono, piuttosto è la tradizione a tramandare ciò; tuttavia nulla vieta che possa anche essere vero il contrario. Il ritratto fatto pervenire al Federici è quello del terzo personaggio vestito da domenicano, posto in seconda fila a partire da sinistra nell’affresco della Disputa del Sacramento. Fra le altre cose, vi è ancora incertezza nello stabilire se Fra Giocondo sia stato francescano o domenicano o, se non vi sia addirittura la possibilità che abbia abbracciato i due ordini in tempi diversi.
Il contenuto della lettera del 22 agosto 1798, spedita da Padova, ci permette invece di sapere che Federici, durante la sua permanenza a Roma, forse non ebbe mai modo di visitare il Museo Borgiano a Velletri, e qui sono date importanti informazioni sulla catalogazione inerente il materiale ivi raccolto, nonché particolari interessanti come la pubblicazione «dell’unico Papiro Greco-Egizio che esiste al mondo, essendo tutti gli altri papiri cogniti frammentati…».
Ma le aspettative del cardinale nei confronti della costruenda opera del nostro domenicano non sono di mera attesa o di semplice sprone al lavoro se è vero che egli gli invia molto materiale su Fra Giocondo, sia di propria iniziativa sia, beninteso, su richiesta dello stesso frate18. Borgia per mostrare tutto il suo desiderio di vedere l’opera conclusa – che lui crede prossima - e di poterne pregustare la lettura, non esita, curiosamente, a ricorrere a metafore culinarie:
cresce in me la voglia di deliziarmi di bel nuovo del ‘Convito’ che ella va esortando con tanto gaudio ed impegno. Solleciti dunque il cuoco per togliermene e sete e fame19 .
E più avanti, nel giugno del 1800, in procinto di ritornare a Roma aggiunge:
Spero che non essendomi ancora potuto saziare di quel ‘Convito’, da lei sì bel disposto e progettato, ne gusterò ben presto in Roma anche per raddolcire le non poche amarezze, che dovremo risentire alla vista di quella funesta straziata capitale del mondo Cattolico.
18
Ad esempio il Novo teatro di Macchina ed Edifici, di Vittorio Zonca, Padova 1621, con disegni di macchine o strutture atte alla regolamentazione delle acque relativamente alla città di Padova e delle chiuse del Dolo.
19
PAOLO CRESPANI: Indirizza a Federici una lettera datata 30 Agosto 1798 contenente notizie varie. Su questo corrispondente non è stato possibile raccogliere altre informazioni. Si da qui di seguito un estratto di tale scritto:
Ecco il disegno topografico della Brentella in tutto il corso, che mi fece travagliare ad…(?)…, ma rinvenuta l’ho fatta copiare: Si ricordi che le ville che hanno il benefizio dell’acqua non sono altro che 57. Furono poi dall’officio compartiti nelle ville alquanti boccaroli di particolari che non sono posti. Spero che questo sarà l’unico mezzo di vera e reale sussistenza presente: Il Co. Tomitano20 sarà avvertito, e del suo ben stare e dell’altre cose […]Continuamente tragittano truppe con qualche danno ai villici, è impossibile che non si risentano …
Per quest’ultima osservazione verrebbe da pensare che Crespani auspichi una rivolta contadina come quella avvenuta ai tempi della Lega di Cambrai!
ISIDORO BIANCHI: Cremonese, 1731-1808, frate camaldolese, fu professore di filosofia e di matematica a Ravenna e successivamente insegnò a Cremona. E’ autore di varie opere fra cui:
Sulla storia delle lettere e delle scienze in Danimarca dopo la metà del sec.XVIII, 1808.
Grande ammiratore di Giuseppe II e della sua politica riformista, scrisse anche Dell’Istituto
dei veri liberi muratori, 1786, Ravenna e fu anche il primo biografo di Pietro Verri21. Nel
Convito Borgiano vi sono due lettere di Isidoro Bianchi , poi la copia di una lettera sempre
scritta da lui al marchese Alessandro Fraganeschi22 ed un estratto di lettera scritta al conte Giulari – che quest’ultimo include in una lettera spedita a Federici - che viene qui parzialmente citata:
Intanto non voglio lasciar di partecipare una interessante notizia che riguarda gli scritti del celebre Fra Giocondo: A lei devono essere noti i due codici di questo insigne scrittore che il Muratori ha ricordato nel Tomo I del suo tesoro delle antiche incisioni, così le sarà noto il Codice che nel 1741 fu del Abate Mattio Turillo, Accademico Ercolanense, regalato alla santità di Clemente XIV. Or sappia che noi ne abbiamo un quarto che è il più bello di tutti gli altri, e col quale si correggono ad evidenza gli abbagli presi dai letterati, che han illustrati i primi tre. Questo quarto codice è stato da me illustrato nel foglio periodico, che anni sono si stampava in Milano intitolato “Estratto della Letteratura europea”23, no. 19 del 1792 …
20
Più avanti si commenterà la sua corrispondenza con Federici.
21 F. Venturi, Settecento riformatore, 1969, vol. I, p.648. L’opera di Bianchi è l’Elogio storico di Pietro
Verri, Cremona 1803.
22
Possessore di un codice delle iscrizioni raccolte da Fra Giocondo.
Vi è poi una lettera, datata 19 settembre 1799, dove Bianchi si rivolge direttamente al nostro autore:
Son io appunto l’amico del P.M. Allegranza, quel che pubblicò i di lui opuscoli … quello che o bene o male ha dato alla luce molti suoi scritti, e quello che ultimamente ha partecipato al conte Giulari la notizia del Codice di Fra Giocondo che qui abbiamo. Io le includo qui il ragguaglio che del codice istesso fu da me fatto, e riferito nel giornale dell’Estratto della Letteratura Europea che stampavasi in Milano anni sono. Ella se ne serva come più le piace. Il Codice, come vedrà è posseduto dal Signor Marchese Fraganeschi mio concittadino che al presente ha fissato il suo soggiorno in Milano. Venendo peraltro egli qui a villeggiare come è solito in tempo di autunno, io gli chiederei di nuovo il codice e farò quelle più precise osservazioni sul medesimo che ella desidera.
Al buon conto ella al presente ha la sicura notizia di un quinto Codice del celebre Domenicano, notizia che può esserle utilissima nella sua intrapresa, ed io godo di averglielo potuto comunicare.
Se ella tiene carteggio col dottissimo Signor Cardinal Borgia, che deve essere in Verona, la prego di rassegnarli il mio più divoto rispetto. Così se Ella è in comunicazione di lavoro [?] col degno Signor Conte Bernardino Tomitano di Oderzo, la prego pure a riverirmelo.
Ho ancora qualche copia degli opuscoli del … P. Allegranza, che sono diventati rarissimi. Se vi fosse in codesti luoghi qualche Amatore io potrei spedirne più di qualche esemplare. Al presente io travaglio sulla ristampa di un’opera mia intitolata Meditazione su vari punti di felicità pubblica
e privata24. Opera da me pubblicata la prima volta 27 anni or sono, che è stata tradotta in varie lingue, e questa è l’edizione ultima che ho arricchito di moltissime aggiunte relative particolarmente al terribile Chaos della presenti rivoluzioni, e che è quasi al suo termine: Spero di mandarle fra non molto il manifesto, perché ella … possa diramarlo, e procurarmi dei compratori…
Dunque, oltre al reciproco interesse legato alla cultura che questi eruditi provano l’uno per l’altro, vi è pure un interesse che potremmo definire ‘di scambio’, laddove essi trovano conveniente pubblicizzare le reciproche opere onde poterne vendere il maggior numero possibile ed ottenere più vasta fama.
24
GIULIO BERNARDINO TOMITANO: Siamo nel Gennaio del 1799 quando Federici è tutto preso dal lavoro su Fra Giocondo, e Tomitano25lo sprona e loda come si evince da questo brano di lettera inviata da Oderzo:
Vi prego di darmi le nuove dei vostri studi, della preziosa vostra salute, e del vostro Fra Giocondo, ch’io così sospiro di vedere e di godere…
Mentre il tono cambia in un’altra lettera del 5 aprile 1800 quando Federici era in piena crisi