GIOVANNI ANTONIO BROCCHI: Poeta ed erudito vicentino (1756-1834), di lui abbiamo due lettere1 indirizzate a Federici, e riguardano l’argomento dei Cavalieri Gaudenti, soprattutto in relazione a quanti della sua famiglia possano aver appartenuto a quest’ordine. Ma non è tanto ciò che qui interessa ricordare, quanto invece la sua ammirazione per Voltaire. Come si sa il filosofo francese aveva concepito una grande ammirazione per il sistema di governo in Cina - chiaramente con la percezione limitata ed idealizzata che se ne aveva allora in occidente - che in qualche maniera dava forza agli argomenti volterriano sul dispotismo illuminato2. Anche i suoi scritti concorsero al grande diffondersi in occidente delle cineserie, soprattutto negli arredi e nella decorazione. Il famoso ciclo pittorico della foresteria di villa Valmarana a Vicenza, opera di Giandomenico Tiepolo (se si esclude la stanza a carattere mitologico, opera del padre), sembra riflettere questa moda che oramai valica i confini francesi per invade il resto d’Europa. Questi affreschi diventano soggetto di un poemetto dedicato alla padrona di casa da parte del Brocchi. Lui questi dipinti li poteva tranquillamente leggere nella chiave socio-economica suggerita dal filosofo francese3:
S’indi mi reco alla disgiunta mole/ Sacra a ospitalità [la foresteria] quivi novello/ magici incanto mi rapisce sensi/ E mi trasporta al popoloso regno/ Per la remota antichità sì chiaro/ Dove rimane di Confucio il nome/ E dove fuor dell’ampia sua Pekino/ Nell’aperta campagna il vomer greve/ Guida il Chinese imperator, e onora/ L’utile agricoltura, a Lei porgendo/ La regia mano a trattar scettro avvezza4
.
1
Scritte da Vicenza; una porta la data del 6 giugno 1786.
2
Vedi a questo proposito i tentativi fatti da Luigi XV , anche in chiave fisiocratica, di imitare gli imperatori cinesi, i quali erano soliti inaugurare in prima persona i momenti più importanti legati all’agricoltura.
3
Ginetta Auzzas, Gallomania e mode culturali, in Storia della Cultura Veneta, 5, Il Settecento 1, Venezia 1985.
4
G.A. Brocchi, San Sebastiano villa suburbana a Vicenza della nobile famiglia Valmarana: Versi, Vicenza, Vendramini Mosca 1785, pp.6, 15 e n.6.
EUSTACHIO D’AFFLITTO: Nasce a Rocca Gloriosa in provincia di Salerno da famiglia nobile nel 1742 e muore nel 1787. Nel 1761 entra nell’ordine domenicano, studia teologia a Roma e a Perugia. Tornato a Napoli si laurea e si dedica all’insegnamento. Fra le sue opere spicca la Biblioteca degli scrittori del Regno. Sarà anche vicebibliotecario della Farnesiana e, più tardi anche custode del Museo e della Quadreria di Capodimonte. Viaggia per l’Italia ove stringe amicizia con i più grandi eruditi dal tempo. In un breve soggiorno a Padova, probabilmente presso il convento domenicano di Sant’Agostino, il confratello Federici lo introduce alla più belle menti locali come Toaldo, Cesarotti, Sibilati e Vallisneri. Ciò, oltre a dimostrare le importanti frequentazioni di Federici, ci dice molto di quanto dagli eruditi la città di Padova fosse preferita a Venezia. Non è un caso che D’Afflitto si dichiari sommamente deluso dalla città lagunare.
Così avessi io avuto tempo di profittare di così dotta compagnia, e della conversazione di ciascheduno in particolare. Mi strapparono da costà quelle benedette Feste di Venezia, dove non avendo avuto un Amico del vostro calibro, nulla o quasi nulla trovai di mio piacere. Un difficile Bibliotecario si degnò appena di additarmi la stanza dei Manoscritti della Pubblica Libreria: in due volte mi riuscì dopo molta fatica di entrare una volta in quella della Salute, ed avere un Laico che mi favorisse. Quella di San Giorgio fu impenetrabile. Viddi ed osservai bene solo quella delle Zattere. Dissi più volte come Diogene, nomine quaero. Ma trovai tutti prattici de’Caffè, e de’Casini, ma nissuno conosceva ciò, che voleva io conoscere: Immaginatevi il mio dispiacere d’aver lasciata Padova [ove si era trattenuto per soli 5 giorni]. Ma via non ne sia più; sper, se non mi canzonano la morte e la borsa, di emendare l’errore5
.
Nelle sue lettere egli cita spesso «quel beato sito del Prà della Valle»6 e la sottoscrizione per il suo radicale rinnovamento voluta da Andrea Memmo, ed è con accorati accenti che invita Federici ad associarsi minacciandolo poi, tra il serio e il faceto, in caso non lo facesse, di raccomandarsi al «Santo abate Cesarotti che vi satirizzi non in tre lingue, come fu fatto a Cristo, ma in quattro, Greca, Ebrea, Latina ed Italiana»7. D’Afflitto poi, è buon conoscente dell’abate Galiani, il quale si era oramai stabilito definitivamente a Napoli. Inoltre, nel breve
5
Napoli, 3 dicembre 1776, sta in Manoscritti 165, BCT.
6
Ibidem.
arco della sua vita, sarà in corrispondenza con Tiraboschi8, Affò, Bandini ed altri eruditi importanti. Per quanto riguarda il suo atteggiamento nei confronti della riforme, che in taluni stati d’Europa, fra cui anche quello del regno delle due Sicilie, si stanno attuando, o si tenta di attuare, nel segno di un ridimensionamento dei poteri della Chiesa, fra cui quello della soppressione di molti conventi e dell’ordine gesuitico, egli mostra d’essere ambivalente, in quanto, se da un lato traspare dai suoi scritti la sua assoluto opposizione verso la Compagnia del Gesù, dall’altro gioisce quando Tanucci, che era stato il principale fautore della soppressione di tale ordine nel regno, viene allontanato dal potere, e qui scatta un curioso ribaltamento dell’opinione comune quando dice che:
Ancora il mondo è sotto sopra per la mutazione del ministro. Cadde l’infame Colosso, Persecutore della Gente dabbene, e consacrata a Minerva. Invece di un matto pedante si stia [sic!] nel Casentino, abbiamo per ministro un signore pieno di gentilezze e di lumi [Acton]9.
Non tralascia di aprire al Federici il proprio animo quando quest’ultimo gli chiede lumi a proposito dell’eresia di cui era tacciato Tommaso Antonio Contin10
:
Il P. Contini ha avuto la lettera di Storia Ecclesiastica: Ma è poi Eretico il Contini come dice? Le sue riflessioni sul Breve di Parma non contengono errori; e delle sue lettere al Marmache ne lessi, quattro anni orsono, in Roma il primo tomo; e nemmeno v’erano errori ereticali: Lo sarà forse perché impugnò una violenza Gesuitico-Rezzonica? O perché ha scritto contro un Greco- Teologo, di cui la fede a chi non è palese? Io non entro nel suo merito, il quale invero non mi sembra grandissimo; ma mi sembra strano, che anche oggi debbasi chiamare eretico chi non è persuaso di una decisione di una truppa di animali rossi [cardinali?], al più consigliati da un gregge
8 Tiraboschi, parlando del 1^ volume della Memoria degli scrittori del Regno di Napoli, Napoli, 1782 lo
giudica:«scritto assai bene comunemente e con molta esattezza: mi spiace solo la troppa voglia di rilevare gli altrui errori, benché talvolta leggerissimi». La citazione è tratta da Lettera di G Tiraboschi a
padre Ireneo Affò, a cura di C. Frati, Modena 1895, pp. 174-175.
9
Cfr. Il riformismo nel regno delle due Sicilie: Bernardo Tanucci, in Il Settecento: l’età dei lumi, Utet-De Agostini, Novara 2004, pp. 183-187.
10 Probabilmente per aver attaccato il papa che aveva ribadito il suo appoggio ai gesuiti, nel 1765 fu
convocato a Roma dal sant’Uffizio, ma fu salvato dal governo veneziano che gli proibì di lasciare Venezia.
di animali schiavi , o neri o bianchi e neri, o bigi ecc… Vi sarà in taluno de’ scrittori Anti-Romani dell’ imprudenza, del fuoco , dell’ardire; dunque dell’ Eresia ancora? Un buon logico non può tollerare, una tal conseguenza. Chi scrive più arditamente dei curialisti Romani, i quali decidono di Dio de’Popoli, e dè Principi, come degli Ebrei del Ghetto; eppure nissuno de’ Principi ha inventato un Index Expurgatorius colla pena di una cannonata[…]. E’ certo che nessun Monarca tratta i vescovi così dispoticamente, come il Papa, il quale non è più, nel suo carattere, di un Vescovo; e non è nell’ecclesiastico padrone assoluto de’ Vescovi, e della Chiesa, come lo è il Principe del suo Regno, e de’suoi sudditi, tra i quali entra il Vescovo. Ma voi avete lumi bastanti, e credo, che i Professori di Padova ne danno, e ne confessano il vero11.
Egli dunque prende decisamente le parti di Contin contro Papa Rezzonico e la Curia accusati di arrogarsi il diritto di giudicare su tutto. La franchezza con cui D’Afflitto esprime le sue aspre critiche, presuppone da parte sua che Federici perlomeno simpatizzi con lui e ciò va a conferma di come quest’ultimo, al di là delle difese d’ufficio, non appartenga alla categoria degli ecclesiastici bigotti, tradizionalisti e sostanzialmente ipocriti. La vicenda del Contin è emblematica degli irrisolti problemi che il giurisdizionalismo metteva in luce, nel caso specifico delle tensioni fra Venezia e Roma per le riforme attuate dal Tron, cui non furono secondarie le consulenze di Contin. Egli, novello Paolo Sarpi, si erge a difensore delle prerogative legislative dello stato contro le intrusioni del diritto ecclesiastico e non esita, nel procedere della sua battaglia, a puntare al cuore delle armate curiali denunciando trame e strapotere gesuitico ed attaccando lo stesso papa Rezzonico che, nella “Apostolorum pascendi”, aveva ribadito il suo appoggio a quest’ordine. Contin, inoltre, ebbe un ruolo di primo piano nell’ambito degli illuministi veneti. Nella sua veste di «censore dei libri e riviste licenziati dai riformatori dello studio di Padova, che tra l’altro gli consentì di essere a tempestiva conoscenza delle novità librarie italiane e straniere, interpretò coerentemente la linea di condotta della Repubblica, aperta e tollerante verso la diffusione di libri ed idee eterodossi …»12. Permise la traduzione del testo di D’Alembert: «Sur la destruction des
Jesuites en France»; diede il suo assenso alla pubblicazione a Venezia del «Corrier Letterario» del Graziosi e del «Giornale letterario» del Pilati, giornali che riprendevano molte delle tesi
11 Da San Domenico Maggiore in Napoli lì 17 marzo 1777. 12
dell’Encyclopedié e del Caffè dei fratelli Verri. Fu intimo di Gaspare Gozzi, Alberto Fortis e Gianfrancesco Scotton e si sa quanto questi intellettuali fossero impegnati a svecchiare il clima di stantio immobilismo che gravava sulla Serenissima.
Del Contin abbiamo una lettera indirizzata al Federici, il cui contenuto però esula da questo contesto, ma è inseribile in un altro che verrà trattato più avanti.
ALBERTO FORTIS: Padovano13 (1741-1803), fu uno dei più attivi fra i riformisti veneti ispirati dall’Illuminismo, noto anche come geologo e naturalista. Famoso soprattutto per il suo “Viaggio in Dalmazia” del 1774, che fu subito tradotto in varie lingue, più forse perché faceva scoprire una parte d’Europa dimenticata, che per i suoi indubbi meriti scientifici. Vi è una sua lettera indirizzata a Federici14, ma i due probabilmente si erano conosciuti personalmente già durante il soggiorno padovano del nostro domenicano.
La lettera del Fortis risale ad un periodo in cui la rottura con i suoi superiori agostiniani si era già consumata, ed erano oramai espliciti i suoi interessi verso al scienza15, della quale difendeva l’autonomia nei confronti del sapere teologico. L’argomento della lettera è tuttavia di carattere prettamente letterario e verte su alcune delucidazioni che egli desidera avere da Federici a proposito di certi punti dell’opera di Venanzio Fortunato16
. L’atteggiamento con cui si rivolge a Federici è di grande rispetto e considerazione per la sua cultura letteraria, e ciò ci fa riflettere su quella che doveva già essere la grande stima in cui egli era tenuto, considerando che in quel periodo il Fortis era già abbastanza famoso come polemista e uomo di scienza. La lettera è molto ben scritta, il tono è lieve, quasi scherzoso - vedi il ‘Fratone Campanella’ cui si contrappone il ‘piccolo prelato Fausto Venanzio’- e per quanto egli protesti scarse conoscenze
13
Per avere notizie generali sulla sua vita ed opere, vedi in Dizionario biografico degli italiani illustri, 1997, tomo 49.
14 Scritta in Venezia lì 22 aprile 1774, Ms.165 B.C.T. 15
Per i suoi interessi rivolti alla geologia fu molto influenzato da Giovanni Arduino (1714-1795), fra i suoi vari meriti scientifici vi è quello di aver fondato la cronologia stratigrafica, e da G. Vio per la paleontologia e la zoologia marina.
16
E’ proprio nel primo brano poetico di Venanzio citato da Fortis, che stanno le ragioni per cui gli storici ritengono che questi sia nato a Valdobbiadene, anche se poi la parte più lunga e più importante della sua vita, come è risaputo si svolse nelle Gallie.
in campo letterario, il suo contenuto testimonia del contrario. Eccola qui di seguito:
Ad un uomo così versato come voi siete nelle Storia Letteraria di Trevigi sarebbe per avventura fare un torto sanguinoso il chiedere se conosce fra i poeti trevigiani un certo Venanzio Onorio Fortunato Clemenziano, che morì vescovo di Poitou17verso la fine del secolo VI della nostra Redenzione: Il vizio che io ò di comperare talvolta anche i libri che non conosco, e di leggerli come i poveri uomini sogliono fare m’à fatto trovare nella vita di San Martino scritto dal vostro trevigiano questi versi, ne’quali l’autore parla al suo libro:
“ Qua mea Tarvisus residet si molliter intras “ Illustrem socium Felicem quaeso require “ Cui meco lumen Martinus redditi olim; “ Per semitam gradiens, et amicos Duplavenenses „ Qua natale solum est mihi, etc…
Vi è anche un tratto relativo alla Storia Ecclesiastica di Padova, ch’io non so d’aver veduto nei nostri scrittori:
“ Si patavina tibi pateat via, pergis ad urbem “ Huc sacra Justinae rogo lambet sepulchra beatae “ Cuius habet paries Martini gesta figures, etc…18
Voi troverete che lo stile del vostro D. Venanzio Duplevenense non è precisamente quello di Virgilio, e così parve anche a me sin dal primo verso del suo Poema Eroico:
“ Altithronus postquam repedavit ad aethra Christus;
Ma ad onta di questo non vorrete sprezzarlo. Io lò letto a dispetto della cattiva sintassi e della carneficina ch’ei vi fa della Grammatica. Non so se sia stato illustrato: ma se nol fosse stato la Repubblica deli Commentatori à il torto. Dalla ruggine di questo Poeta Cristiano v’avrebbe di che illustrare molti punti importanti della storia Ecclesiastica di que’tempi. Voi sapete ch’io sono (non so se per mia disgrazia, o per mia fortuna) dato ad altri studi totalmente, e quindi se ritroverete ignorante su di quanto riguarda le illustrazioni di Venanzio non ve ne vorrete scandolezzare.
17
Per studi recenti su Venanzio Fortunato cfr. Venanzio Fortunato tra Italia e Francia, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Valdobbiadene 17 maggio 1990 – Treviso 18,19 maggio 1990, particolarmente alle pp. 267-272 della relazione di Ivano Sartor: Venanzio Fortunato nell’erudizione,
nella tradizione e nel culto in area veneta, ove però mai si cita il Fortis.
18 Ibid, p. 39, nella relazione di Guido Rosada: Il “viaggio” di Venanzio Fortunato ad Turones: il tratto
O’ scritto alla madre mia19
che vi preghi a renderle il manoscrittino autografo del Fratone Campanella al piccolo prelato Fausto Venanzio, ond’io possa riunirlo alla Corte Venanziana che trovasi appresso di me, farlo ripassare al legittimo posseditore […]. Addio. Nella notizia trevigiana aggredisca il mio amichevole desiderio di servirvi, anche se vi riuscisse vecchia: State sano ed amate.
Da rilevare l’interesse di Federici verso Campanella, uomo che seppe tenere alta la bandiera della libertà di pensiero, e la cui opera è ben in consonanza con le aspirazioni del circolo culturale patavino della seconda metà del settecento. Dal canto suo, Fortis mostra un interesse per la medaglistica e la storia antica che lo accumuna ai tanti eruditi allora in circolazione, inteso però che egli è poi, ed anche, molto più che non un semplice erudito.
GIUSEPPE GENNARI: Nacque a Padova nel 1721 e ivi morì nel 1800. Fu un intellettuale di spicco e in contatto con le migliori menti italiane del tempo, pur rimanendo freddo nei confronti delle idee illuministe. Benzoni dice di lui:
Non l’empito aggressivo della ragione dardeggiante lumi, ma al più, la ragionevolezza riecheggiante spunti offerti dalla multisecolare prassi giurisdizionalistica della Serenissima può indurre l’abate Gennari ad osservare che, «mentre ministri papali proibivano il contributo del clero alla urgenza dello stato, essi poi lo smungevano et affogavano con diverse generazioni di tagli e di gravamenti»20. Non è il caso di sospettare in tale pungente constatazione spruzzate di libero pensiero. Gennari resta pienamente nel solco dell’ortodossia…21.
Fu fine letterato, ad esempio tradusse l’Elegia del Gray e fu intimo del Foscarini22
.
Tre sono le lettere da lui scritte a Federici e risalgono agli anni ’83, ’84. Sono trascrizioni di documenti medioevali relativi a lasciti testamentari ove si certificano donazioni all’ ordine dei Frati Gaudenti. Sulle lettere Gennari appose solo data e firma, ma i due sicuramente si dovevano già conoscere sin dal periodo del soggiorno del domenicano a Padova.
19
Francesca Maria Bragnis che in seconde nozze sposò il conte Capodilista e animò unsalotto frequentato da molti intellettuali riformisti come il Vallisneri, il Cesarotti ecc…
20 G. Gennari, Dell’antico corso dei fiumi in Padova, Padova 1766, p.107. 21
G. Benzoni, Pensiero storico e storiografia civili, sta in Storia della cultura veneta, vol.II, pp. 89-90.
22
EMANUELE GAGGI: In una delle tre lettere inviate da questo frate domenicano al Federici si trova un accenno riguardo al grande scienziato Alessandro Volta. Ecco qui un estratto della lettera scritta in Pavia in data 11 agosto 1779:
Caro amico, ho inteso dal Sig. Professore D.Alessandro Volta che il sig.Abbate D.Angelo Teodoro Villa, Professore di Eloquenza nell’Università di Pavia vuole stampare la storia della medesima università. Io ve ne do avviso, tanto più volentieri quanto ho sentito dal suddetto Dott. Alessandro che le idee vostre concorrono con quelle del Signor Villa Intorno l’Epoche delle Università volendole fissare contro l’opinione di molti havessi assai posteriormente di quelle vengono da loro fissate…
Era questo il periodo in cui Federici stava tentando di scrivere sia la storia della facoltà di teologia dello Studio Patavino che quella dell’università di Treviso23
; avrà perciò cercato contatti presso altre università per il lavoro che intendeva svolgere.
GIOVANNI RANZA: (Vercelli 1741, Torino 1801). Fu sacerdote, Tipografo e libraio. Sposò la causa della rivoluzione francese e si adoperò fino alla morte per realizzare in Italia i principi di libertà democratica, senza tuttavia mai mettere in dubbio la religione cristiana, seppur le critiche che porta all’istituzione religiosa non siano da poco. Federici aveva trascorso un certo periodo a Vercelli come predicatore e ci piace pensare che questi abbia conosciuto Ranza nella sua libreria ed abbia avuto modo di apprezzarlo anche per le sue idee illuministe.
Il tema della lettera, scritta in Vercelli il 16 agosto 1788, è quello dei Cavalieri Gaudenti: Dal libraio Toscanelli ho ricevuto i due volumi della Storia dei cavalieri Gaudenti che alla V.P. Reverendissima è piaciuto di regalarmi. Io sono sensibilissimo a questo tratto di parzial gentilezza che mi assicura della sua buona memoria; ma più all’altro di aver voluto far di me ricordanza nella Prefazione24 fra tanti molti [sic!] personaggi, i quali coadiuvarono il suo lavoro; Quando io sono rimasto col solo desiderio. Ho dato di volo un’occhiata a questa sua opera; e veduto con quanta diligenza e finezza di critica ha saputo illustrare tanti punti, che danno gran luce alla storia dei bassi tempi. La nostra Italia deve saperle bun grado di così illustre fatica; ma specialmente la sua patria, a cui torna il maggiore onore…
23
Per quest’ultima vedi il manoscritto 576 custodito presso la BCT.
24
V