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Corpi a lavoro nello spazio domestico

Nel documento — corpi al lavoro (pagine 109-112)

Il lavoro della conoscenza e gli effetti di smaterializzazione dell’esperienza

2 Corpi a lavoro nello spazio domestico

Le mie ultime ricerche sulla precarietà e il lavoro indipendente hanno te-nuto come filo comune una prospettiva molto particolare, quella del lavoro da/a casa. È una condizione che sta ritrovando una straordinaria attualità, esito di quella riterritorializzazione del lavoro che si è prodotta negli ultimi anni. Nella storia del lavoro femminile la commistione fra spazio dome-stico e lavoro per il mercato (accompagnato ovviamente dal lavoro per la famiglia) è nota. Oggi – via precarietà e sviluppo tecnologico – investe un nuovo segmento di lavoratrici, quelle con livelli di istruzione avanzati e che compongono variamente l’universo diffuso della cosiddetta ‘economia della conoscenza’: redattrici, giornaliste, traduttrici, progettiste, consu-lenti, project manager, formatrici, lavoratrici del web, dalle grafiche alle

copy passando per tutte quelle professioni che ancora non hanno un nome o una definizione standard.

Negli ultimi tempi la condizione di chi lavora da/a casa (potremmo chia-mare queste figure homeworkers, prendendo a prestito da una lingua straniera una definizione sufficientemente ampia da tenere dentro una pluralità di profili), comincia a essere vista e nominata. Nella maggior parte dei casi si tratta di lavoratrici a Partita Iva o collaboratrici che lavorano da esterne a organizzazioni che affidano loro incarichi e progetti da portare a compimento. Sono collaboratrici e consulenti, ma anche libere professioni-ste o micro-imprenditrici che sviluppano servizi e professionalità a partire dalle proprie competenze.

Raccogliere le storie di queste lavoratrici mi è sembrato utile per varie ragioni: per raccontare l’estrema frammentazione del mercato del lavoro; per evidenziare la capacità dei singoli di inventare strategie di ‘resistenza’ (l’esistenza di esperienze di produzione dentro e fuori il mercato, in cui accanto a situazioni estremamente dipendenti – tutto il lavoro esternalizza-to – ne esisesternalizza-tono altre che rivendicano indipendenza nella sperimentazione di modelli di auto-produzione); per mettere a fuoco le caratteristiche del riproporsi degli intrecci fra il lavoro e la casa nell’esperienza femminile (per questo mi sono fermata in particolare sulla dimensione di genere, particolarmente legata nell’esperienza e negli studi a questo tema) (cfr. Burchi 2008).

Quello che è evidente in questa condizione di lavoro che definirei ‘estre-mamente autonoma’, tanto da essere sviluppata e realizzata in un ambiente domestico, è quello che già nell’ormai classico The corrosion of character, Richard Sennett chiamava il «tenere insieme tutti i pezzi» (1998, p. 26)

e il «fare tutto da sé» (p. 19).1 La pluralità di operazioni gestite e tenute

sotto controllo dalle homeworkers che ho intervistato danno indicazioni sui mutamenti profondi dello statuto stesso di quello che siamo stati abi-tuati a chiamare ‘lavoro’. Il processo produttivo è interamente a carico dei soggetti e si rivela molto ridondante nella cura delle condizioni stesse del lavorare: dall’allestire un luogo in cui lavorare (spesso si tratta di uno spazio mobile o trasformabile come un angolo della casa, una zona di pas-saggio, un tavolo multifunzione), a ideare una routine organizzativa (sia giornaliera sia complessiva), a tenere i contatti necessari con le molteplici committenze. Un’operazione quotidiana di micro-management dello spazio e del tempo necessaria per dare forma ai contenuti di lavoro e realizzare concretamente progetti e prodotti.

Se tempo e spazio sono chiamati in causa, nelle interviste, come dimen-sioni rilevanti da tenere sotto controllo, la ‘fatica’, raccontata, non è mai

1 Le espressioni a cui si fa riferimento all’interno di questo contributo sono state tradotte

dall’inglese all’italiano dall’autrice stessa. Del testo inglese (cfr. Sennett 1998) esiste tut-tavia una traduzione in italiano (cfr. Sennett 1999).

nominata come tale e la particolare concentrazione di cose da fare in uno spazio privato, connesso via tecnologia mobile a uno spazio intermedio (quello della rete), tende a creare una percezione di sradicamento e di perdita di fisicità.

Con l’intento di approfondire e riflettere intorno a queste questioni, terrò come sfondo due ricerche sul campo: Lavorare per sé: Indagine sul fabbisogno formativo delle lavoratrici autonome svolto in Provincia di

Bolzano (http://www.donne-lavoro.bz.it/287d7736.html) e Sguardi di

donne sulle crisi: House and work. Lavori estremamente autonomi svolta in Provincia di Pisa (cfr. Burchi 2014). All’interno di un corpus di oltre 30 interviste saranno presi in esame e analizzati i ‘pieni’ e i ‘vuoti’ intorno al tema della corporeità per evidenziare gli effetti di ‘smaterializzazione’ che si producono all’interno dell’organizzazione autonoma del lavoro (so-prattutto nell’ambito del lavoro della conoscenza) e le strategie attivate per rispondere al quel «bisogno di realtà» spesso nominato dai soggetti intervistati. In termini metodologici, l’utilizzo di un approccio biografico e narrativo ha consentito di comprendere i vissuti delle donne intervistate, a partire dai significati attribuiti soggettivamente alle proprie esperienze lavorative e alla particolare collocazione del lavoro nello spazio domestico. L’analisi delle interviste ha restituito un quadro di insieme della dimen-sione e dell’attraversamento dei singoli vissuti e dei rapporti che i sog-getti hanno con i loro mondi di riferimento. Da questo punto di vista, le narrazioni si configurano come uno strumento adatto a rompere il quadro paradigmatico dei tradizionali studi sul lavoro, dove si procede facendo del lavoro e delle lavoratrici (o lavoratori) degli oggetti di analisi e studio, anziché farli parlare in prima persona. Il focus dunque non è rendere conto in astratto delle trasformazioni che attraversano il lavoro (fra cui quella fra lavoro e corporeità) ma di come vengono dette, interpretate ed elaborate dai soggetti che ne sono coinvolti. In particolare l’analisi si soffermerà su un’intervista, che tratteremo – per il particolare riferimento al tema del

corpo – come un ‘caso studio’.2

2 L’intervista in questione (intervista a C., 2012, Pisa) è stata fatta ad una giornalista,

caporedattrice di una rivista presente in rete, che si è molto soffermata, in maniera del tutto auto-diretta, sui temi della corporeità e dell’esperienza del corpo nel lavoro online. Nel corso dell’articolo si farà particolare riferimento a questa intervista (all’interno del testo, ‘intervista a C.’) e a quella, realizzata nello stesso periodo, a un’altra giornalista, con un’esperienza di responsabile di agenzia web (intervista ad A., 2012, Viareggio).

Nel documento — corpi al lavoro (pagine 109-112)