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Corsari e Pirati nel nostro Mare

Nel documento E LA CRISI DELL’UOMO MODERNO (pagine 117-135)

Marina Turchetti

Introduzione

“Corsari e Pirati nel nostro Mare” è il titolo di una mostra (Mole Vanvitelliana, 7 - 29 novembre 2015), presentata dal “Comitato Museo del Mare di Ancona”, parte di un vasto programma di even-ti a sostegno della proposta d’iseven-tituzione di un Museo del Mare in Ancona, come riscoperta di un glorioso passato da non disperdere, come elemento propulsore nel recupero del rapporto tra la Dorica e il suo mare, come offerta culturale e turistica degna del capoluogo della Regione Marche e della Macroregione Adriatico-Ionica.

L’intento dell’operazione nel suo complesso era e rimane mo-strare come – da qualsiasi parte la si consideri – la storia millenaria di Ancona nel suo rapporto con il mare presenti una straordinaria ricchezza di aspetti, che meritano di essere studiati, ri-conosciuti e fatti conoscere, a livello scientifico e anche divulgativo, come può accadere soltanto se esiste una istituzione museale viva e attiva che sostenga la ricerca, il coordinamento e il coinvolgimento della cit-tadinanza e delle varie agenzie interessate.

La mostra, realizzata con il Patrocinio del Comune di Ancona, ripercorreva il fenomeno della pirateria e delle guerre di corsa, nel contesto della nostra storia marinara, proponendo all’attenzione ac-cadimenti considerati marginali dalla grande storia e quasi del tutto sconosciuti alla maggior parte della popolazione, ma evocativi di vi-cende drammatiche che per secoli, fino ad epoche non troppo lon-tane, hanno costituito una componente costante della nostra realtà.

Il nucleo iniziale dell’esposizione era costituito dalla mostra

“Corsari nel nostro mare”, organizzata dal Museo della Marineria di Cesenatico, direttore Davide Gnola.

Al percorso iniziale, ho affiancato una decina di pannelli con ampi riferimenti alla storia locale, arricchiti da preziosi contributi messi a disposizione dall’Archivio di Stato di Ancona e dalla Biblio-teca Comunale ‘L. Benincasa’ di Ancona, nonché da altre numero-se organizzazioni locali.

Il materiale che presento non ha alcuna pretesa di essere origina-le o di esaurire l’argomento, che è ricco di vicende e colorigina-legamenti per molte parti già approfonditi da noti studiosi, da alcuni dei quali ho tratto spunti e notizie (cito, a puro titolo di esempio, S. Alfieri, M. Moroni, A. Palombarini): naturalmente, le eventuali impreci-sioni sono solo mie.

Di seguito, presento all’attenzione dell’Accademia di Scienze Lettere Arti il contenuto di quei pannelli, frutto di una persona-le compilazione necessariamente sintetica, nella convinzione che senza consapevolezza del passato non si costruisce futuro, senza co-noscenza del percorso storico e culturale che ha plasmato il nostro ambiente e prodotto cultura, materiale e immateriale, non si pa-droneggiano gli strumenti per costruire l’identità di cittadini attivi né per “investire” sulle risorse del territorio. Anche le storie di pirati e corsari rappresentano una tessera del mosaico che costituisce il passato, un patrimonio da non disperdere.

Pirati e Corsari

Al di là dell’immaginario collettivo, fondato su celebri romanzi o film, i pirati furono e rimangono comuni banditi, predoni di mare, che agivano di propria iniziativa e per proprio vantaggio, aggredendo e predando le imbarcazioni che incontravano – senza alcuna distinzione di appartenenza – e talvolta operando incursioni lungo le coste.

Anche se non sempre era facile distinguere nettamente (e per chi era aggredito la differenza risultava davvero irrilevante) la figura del

corsaro aveva, invece, la copertura di una lettera di marca o patente di corsa, emessa dal governo di uno stato, che autorizzava o addirit-tura incaricava privati, armatori o capitani di bastimenti, appunto alla “guerra di corsa”, e cioè ad effettuare attacchi improvvisi a cen-tri rivieraschi o a catturare vascelli commerciali di paesi nemici, con un patto di suddivisione del bottino tra lo Stato e il Corsaro.

Si trattava quindi di una guerra legittimata (i corsari catturati erano assimilabili a prigionieri di guerra) e combattuta ufficialmen-te, in nome della religione (come, di fatto, nel caso dei Saraceni) o degli interessi di uno stato, lungo il confine (marca) di un territorio rivendicato da un governo costituito. Esistevano tribunali per sta-bilire se era stata fatta una “buona preda” (nel senso che erano state rispettate le regole della patente di corsa) o una “mala presa”.

Pirati in Adriatico

In Adriatico, i pirati hanno una storia antica, già documentata, ad esempio, nella celebre stele di Novilara, conservata al Museo Oliveriano di Pesaro (VII/VI sec. a. C.), che raffigura in maniera eloquente tre imbarcazioni: una grande nave oneraria greca a vela quadrata e, in primo piano, quello che è stato interpretato come lo scontro tra due imbarcazioni con armati a bordo. A destra, i pirati illirici procedono in senso contrario alla nave greca; a sinistra, i difensori piceni si battono, interessati a proteggere i traffici con i mercanti dell’Egeo. I pirati hanno la peggio: si vedono uomini in mare e la nave ha perso il timone. Tutto intorno, la mercanzia com-merciata: animali, prodotti della terra, schiavi in catene.

Sin dal V-IV secolo a. C. i reperti archeologici testimonia-no che anche navigatori-pirati dell’Italia meridionale, di origi-ne greca, bordeggiavano lungo le coste adriatiche. Con l’esten-dersi del dominio di Roma e il conseguente potenziamento del commercio marittimo tra Occidente ed Oriente, si verificò uno spaventoso incremento della pirateria, che i Romani contrasta-rono con determinazione; in particolare, in Adriatico le

ope-razioni contro i pirati illirici erano già in atto sin nel 229 a.C.

Nel 178 a.C., durante la guerra istriana, i duumviri Gaio Furio e Lucio Cornelio difendevano la costa adriatica dalle scorrerie delle tribù illiriche che esercitavano la pirateria di professione. Con la loro flotta di 20 navi che aveva sede ad Ancona, controllavano il primo la costa a Nord fino ad Aquileia, il secondo a Sud fino a Taranto (LIVIO XLI.1.3).

L’impero romano pacificò i mari, ma con la sua decadenza – dopo un periodo in cui il decremento dei traffici marittimi rese meno lucrosa la pirateria – il fenomeno riprese con grande virulen-za e continuò per tutto il Medioevo.

Non è da credere che i pirati provenissero solo dall’altra spon-da: all’inizio del 1300 Roberto d’Angiò esercita rappresaglia contro Ancona per le azioni piratesche di alcuni suoi cittadini, anche con-tro le popolazioni adriatiche del regno angioino.

Al termine di vicende belliche durate quattro secoli, nel 1480 Venezia comprò la Dalmazia dal re d’Ungheria e rese più sicure le vie marittime da pirati Narentani, Almissani, Uscocchi di Segna e Mori di Dulcigno.

Fig. 1 - Trasposizione grafica della Stele di Novilara. (Museo Oliveriano - Pesaro).

Dall’espansionismo islamico del IX secolo alle Crociate

Con l’affermarsi dell’espansionismo islamico, le aggressioni a co-ste e navigli iniziano ad assumere diverso aspetto e a imporsi come guerra di corsa. Ancona aveva rapporti di commercio estesi e attivi con tutti gli scali del Mediterraneo e del Levante: colonie e consoli proprî a Costantinopoli, in Acri, in Romania. Il suo fiorente porto non poteva certo scampare alle temute incursioni: per tutto il IX secolo sono documentati storicamente numerosi saccheggi, assedi (come quello da parte del terribile Barbarossa, Grande Ammiraglio della flotta turca) ed invasioni della città, che nell’839 fu completa-mente devastata da pirati condotti dall’ammiraglio saraceno Saba, con irreparabili distruzioni nella parte più antica, risparmiata dalle invasioni di Goti e Longobardi, allora ridotta ad un cumulo di rovine.

Nel 841 e di nuovo nel 845 Ancona è devastata; nel 848, dopo lungo assedio, fu completamente rovinata dai Saraceni. Nel 850 e nel 877 sono documentati altri sbarchi nella città, che, risorta dalle rovine, respinse ancora, con l’aiuto del marchese di Toscana e del duca di Spoleto, i Saraceni che tornarono ad assalirla nel 917.

Ma, oltre agli assalti in forze contro il porto di Ancona e l’arco della città chiusa entro le mura, da parte dei pirati Barbarossa o Saba o Dulcigno, chissà quante volte sarà risuonato un grido come

“Mamma, li Turchi!” anche durante scorribande nelle campagne, quando la stagione estiva rendeva più facile la navigazione e i con-tadini erano occupati nel loro duro lavoro. E’ facile volare con la fantasia a immagini di Saraceni, armati fino ai denti, che si arram-picano rapidi e silenziosi, ad esempio là dove la falesia del Passetto rende più agevole la risalita, per dilagare nella Piana degli Orti e depredare e catturare schiavi. Ed è plausibile che non siano rimaste tracce documentali di singole azioni contro barche di pescatori.

Esse erano condotte con peculiare tecnica: i pirati si nascondevano lungo la costa, quando le barche da pesca uscivano in mare scatta-vano, interponendosi tra lido e barche e così tagliandole fuori da ogni scampo.

Dal secolo XI al XIV, sotto l’egida del papato, le potenze cri-stiane dell’Europa combatterono numerose guerre, conosciute con il nome di Crociate, con l’intento di liberare il Santo Sepolcro ca-duto in mano musulmana. La passione religiosa diede vita ad un vasto movimento di reazione degli organismi politici europei per la riconquista del Mediterraneo, dopo il ripiegamento avvenuto nei secoli dal VII al IX sotto la spinta delle forze islamiche. Si affronta l’Islam nei luoghi nei quali è più radicato e si cerca di riguadagnare il terreno perduto (per fare un esempio, i Normanni cacciano gli Arabi da Palermo nel 1072). Si vuole rafforzare la coscienza di una superiorità dei popoli europei, ma insieme anche rendere più sicure le vie dei traffici, ripresi nel Mediterraneo in particolare per opera delle città marinare italiane, tra le quali Ancona.

Ancona partecipa alle Crociate, mandando due galee e molte navi onerarie alla prima, e contribuendo alle successive, in partico-lare alla seconda.

Fig. 2 - Angelico, San Francesco davanti al Sultano, 1435-1440 ca, Lindenau Museum, Altenburg.

Anche San Francesco nel 1211 si era imbarcato per la Siria dal porto di Ancona, ma era stato spinto dai venti in Dalmazia e co-stretto a tornare; ripartì dal porto di Ancona nel giugno del 1219 e arrivò a Damietta, durante la tregua nel corso della quinta crociata per riprendere Gerusalemme. In questo clima di guerra, Francesco si recò disarmato in territorio nemico, con il desiderio di predicare il Vangelo tra i musulmani, in una prospettiva interreligiosa attuale a tutt’oggi; fu ascoltato dal sultano d’Egitto Malik-al-Kamil e potè ritornare al campo.

Da Ancona sarebbe partita, nel 1212, secondo una delle ver-sioni della controversa storia/leggenda, la Crociata dei Bambini, organizzata dal dodicenne pastorello tedesco Nicholas, che aveva raggruppato 8.000 coetanei raccontando che “avrebbe camminato sul mare” e avrebbe convertito al cristianesimo gli infedeli in Terra Santa. Naturalmente il mare non si aprì, molti bambini si sposta-rono a Brindisi e, dopo aver subito ladrocini e violenze, fusposta-rono venduti come schiavi in Oriente.

Fig. 3 - “Pro armando Galeam comunis ad persequtionem pirratarum”.

Il Verbale del Consiglio Comunale del 30 maggio 1390, tra al-tre cose, riporta la proposta di armare una galea per contrastare le scorribande dei pirati che hanno inferto grandi danni lungo la costa anconitana e assalito barche e mercanti davanti al porto di Recanati. Confidando che si ripagheranno le spese con il bottino, il Consiglio approva con 57 voti contro 27. Con Atto successivo, il Consiglio decide di mantenere la galea armata per ogni evenienza futura1.

Dal secolo XV al sec. XVIII: il rischio e la paura

La guerra di corsa ha nuovo incremento con l’accrescere del-la potenza dell’impero ottomano, che copre, sotto del-la sua egida le popolazioni della costa settentrionale africana, nel complesso, note come Saraceni. Le coste europee sono sottoposte a rischio continuo, e una serie di eventi scatena la paura tra gli “infedeli”:

per quanto riguarda la penisola italiana, la conquista di Otranto (1480); per quanto attiene all’intera storia mediterranea, la con-quista turca di Costantinopoli (1453) ma anche la cacciata dalla Spagna, nel 1492, dei Mori, che si riversano sulle coste dell’Africa settentrionale, formando appunto gli stati barbareschi, con un ef-fetto di diffusione.

Tutti sono esposti al pericolo: chi vive e si muove lungo le coste, i pellegrini, i naviganti.

È chiara la connotazione corsara delle incursioni saracene, che aggredivano solo coste e naviglio cristiani, come parte di un dise-gno più ampio di espansione e dominio, e coerente la scelta degli obiettivi. Nel nostro territorio, grande è l’apprensione per Loreto, principale luogo di culto mariano di tutta la cristianità e sede della casa di Maria, trasportata nel 1294 a Loreto da Nazaret, territorio allora sotto il potere ottomano, dopo che nel 1291 i Crociati erano

1 ASAN-Archivio di Stato di Ancona, ACAN-Archivio Comunale di Ancona – Antico Regime, Consigli n. 5, 1390 – carta 82 versus e 83 recto

stati cacciati definitivamente dalla Palestina. I pellegrini che arriva-no via mare soarriva-no in costante pericolo e la chiesa viene fortificata nel XV sec., divenendo una arx munitissima.

Nelle nostre acque, una brutta avventura capitò al pittore Fi-lippo Lippi, nel 1430 circa, secondo quanto racconta il Vasari. Il Lippi si trovava a soggiornare nella Marca di Ancona e aveva deci-so di uscire a pesca in barca con alcuni amici, ma in quei difficili tempi anche una simile innocente attività poteva rivelarsi foriera di drammatici imprevisti. Fu, infatti, catturato dai pirati saraceni, tenuto prigioniero per 18 mesi, e riguadagnò la libertà solo grazie alla sua bravura nel dipingere un ritratto del padrone al quale era stato venduto schiavo.

Nel 1464 muore ad Ancona il papa Pio II (Enea Silvio Piccolo-mini), che aveva – in verità senza grande risposta – qui convocato le potenze cristiane per la partenza di una nuova crociata per liberare Costantinopoli, da 11 anni nelle mani dei turchi.

Anche l’entroterra sostiene la guerra contro i turchi: nel 1472 Fabriano invia ad Ancona 180 salme di grano come contributo.

Fig. 4 - Pinturicchio, Pio II in Ancona, Libreria Piccolomini, Duomo di Siena.

Nel 1479 è assalito il Castello di Grottammare e la comunità decide di stabilire una vigilanza armata presso il Castello del Porto e la Torre dell’Aspio.

Nel 1485 si verificano incursioni a Mondolfo, Montemarciano e Marzocca.

Nel 1487 si avvia un piano, che fallisce ma suscita enorme im-pressione: Boccolino di Gozzone da Osimo, per brama di potere, si

allea con il sultano Bajazet II, per fare di Osimo una nuova Otranto e cioè una testa di ponte sulla costa adriatica per la conquista della penisola, secondo un’idea da sempre centrale nella politica turca.

Nel 1488 settecento corsari devastano le campagne di Senigallia (la città non viene espugnata) e catturano un numero elevato di contadini.

Numerosi sono gli accordi degli stati cristiani a tutela dei traffici commerciali, ma i trattati diplomatici con l’impero ottomano non tutelano contro la guerra di corsa di singole navi ottomane, che non conoscono e non rispettano l’ufficialità.

Dal XV al XVIII secolo continuano sulle nostre coste le incur-sioni, rimanendo aperto lo scontro tra potenze cristiane e impero ottomano: cade Belgrado (1521), è sottomessa l’Ungheria (1526), Vienna subisce un primo assedio (1529), Venezia perde Cipro (1573) e Candia (1669), Vienna è di nuovo assediata (1683).

Di seguito, una cronologia di eventi documentati lungo la no-stra costa.

1518 - si verifica un assalto al Castello del Porto di Recanati, pericolosamente vicino a Loreto, con danni e morti, ma anche con preoccupazione per la Fiera. Di fronte agli affari, anche papa Leo-ne X si risolve a garantire sicurezza ai mercanti levantini che vo-gliano partecipare. È da dire che, in campo commerciale, pericolo per i traffici recanatesi viene soprattutto da Ancona, che vuole una Fiera sua propria e si accorda con Solimano, offrendo condizioni di favore ai mercanti levantini, a riprova del rapporto ambivalente tra mondo cristiano ed islamico, quando si tratta di far commercio.

Nello stesso 1518 corsari turchi, con una vasta operazione, as-salgono anche Senigallia, e con sette fuste saccheggiano la chiesa di S. Maria di Portonovo e colpiscono il Poggio, facendo prigionieri.

Intanto, ad Ancona, Clemente VII, col pretesto dei Turchi, fa costruire una nuova fortezza sul colle Astagno. Le sue truppe entra-no di sorpresa nella città il 20 settembre 1532, senza colpo ferire:

scompare il libero comune o, come alcuni intendono con termini moderni, la repubblica marinara.

Negli anni successivi al 1550, Ancona fortifica la piazza, anche per parte di terra, “con grande timore per lo straordinario armamento del turco”.

1558 - la chiesa di Portonovo è di nuovo incendiata dai Saraceni.

1561 - quasi a esorcizzare la paura di scontri reali, Ancona e Ascoli Piceno organizzano la “Giostra del Saracino” e un combatti-mento simile è organizzato a Jesi nel 1616.

1562 - nei pressi del Conero sono intercettate due fuste, una delle quali spinta a terra, dove i contadini sterminano parte dell’e-quipaggio, e l’altra catturata in mare, poi condotta nel porto di Ancona con le teste dei turchi esposte sul ponte; nello stesso anno sono attaccate Porto Recanati e Loreto.

1566 - una grossa nave è predata davanti ad Ancona ed è di nuovo attaccata Senigallia.

1587 - a Senigallia i turchi, sbarcati presso la torre feltresca, sono linciati dalla popolazione.

Fig. 5 - Il Kitab-i-bahriye (Il Libro della Marina)2.

2 È un portolano della cartografia cinquecentesca turca, composto in due riprese, nel

1656 - il porto di Ancona è saccheggiato da dieci galeotte.

1658 - vengono armati vascelli contro il turco, che aveva preso prigionieri 70 pescatori quasi tutti di Senigallia, dove nel 1670 si verifica un nuovo attacco.

1686 - Ancona partecipa con tre giorni di festeggiamenti alla riconquista di Buda.

1712 - sotto attacco è di nuovo Senigallia, e così nel 1715, con molti pescatori catturati.

1716 - tale Domenico Pampanone da Sirolo, scoperto che si faceva aprire le porte di case isolate e faceva entrare i turchi con cui era in combutta, viene impiccato e squartato.

Schiavi

All’inizio soprattutto indirizzata alla conquista di un bottino, la corsa presto diventa un’industria finalizzata a reperire schiavi, per i quali chiedere un lucroso riscatto o da applicare ai remi delle galere.

L’Archivio di Stato di Ancona conserva numerose Suppliche ri-volte nel XVI secolo dai familiari di persone rapite dai turchi al Magnifico Consiglio del Comune, perché contribuisca almeno in parte alla raccolta della somma necessaria (solitamente 100 scudi) per riscattare il loro parente.

Si riportano due esempi tra i tanti (le trascrizioni dei testi sono tratte da: Archivio di Stato di Ancona, Suppliche al Comune di An-cona (sec.XVI), Inventario a cura di Gianni ORLANDI, Ministero Beni e Attività Culturali, 2001).

1521 e nel 1526, da Piri Re’is (1470, Gallipoli sui Dardanelli-1554, Egitto), ammi-raglio e cartografo del sultano Solimano il Magnifico: per i cristiani un corsaro, per i turchi un eroe. In un’epoca nella quale la maggior parte delle conoscenze geografiche si trasmettevano oralmente e il segreto era la regola dei marinai perché essenziale per conservare la padronanza assoluta dei mari, lo straordinario portolano, assieme alle carte nautiche italiane, contribuì alla nascita della moderna geografia del Mediter-raneo e fu a lungo anche utile strumento ai corsari. Gli autografi sono conservati al Museo Topkapi di Istanbul, ma si conoscono ventidue copie della prima versione e una decina della seconda, sparse in biblioteche di tutto il mondo.

Questa riprodotta (la Fortezza di Ancona) è tratta dal manoscritto W.658 (17° sec.), che raccoglie 240 mappe ed è conservato al Walters Art Museum di Baltimora.

Fig. 6 - 30 dicembre 1568 – Pier Andrea Pilestri e Anton Giacomo Brondolini schiavi degli infedeli, venuti a conoscenza che buona parte della somma destinata al loro riscatto era stata spesa altrimenti, chiedono che vengano ancora destinati 50 scudi per la loro liberazione. (accolta).

Fig. 7 - Simona di Giovanni chiede una sovvenzione per liberare un suo figliolo dalla schiavitù di Gurgut rais turco in Tripoli di Barberia. (respinta).

Ma la tratta in schiavitù è vicenda che riguarda nella stessa mi-sura entrambe le parti. I Cavalieri di Malta e l’Ordine di Santo Stefano sono tra i più attivi protagonisti della guerra di corsa nel Mediterraneo. Salvatore Bono calcola che dal XVI sec. al 1830 sia-no finiti in schiavitù nel solo bacisia-no mediterraneo – da una parte e dall’altra - dai tre ai quattro milioni di persone.

Numerosi sono gli schiavi della più varia provenienza che sono comprati e venduti in Ancona, uno dei centri più fiorenti per questo commercio, dove è facile incontrare donne dai lineamenti esotici, vuoi “etiopi” (come allora erano chiamate le africane) vuoi asiatiche, in schiavitù al servizio di famiglie benestanti cittadine o indirizzate in particolare al mercato fiorentino.

Nella Dorica, la legislazione si occupa di emanare disposizioni a tutela dei proprietari di schiave, addirittura istituendo la pena di

Nella Dorica, la legislazione si occupa di emanare disposizioni a tutela dei proprietari di schiave, addirittura istituendo la pena di

Nel documento E LA CRISI DELL’UOMO MODERNO (pagine 117-135)