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Nelle Marche centrali un’incompiuta del set- set-tecento: il collegamento della via clementina

Nel documento E LA CRISI DELL’UOMO MODERNO (pagine 97-117)

tra fiumesino ed il porto di Ancona

Sergio Salustri

Nel breve racconto “A cena dal marchese” la scrittrice1 immagina un improbabile incontro tra l’ispettore pontificio Virgilio Bracci e Francesco Trionfi marchese di Rocca Priora alla foce dell’Esino, nel dicembre del 1776.

L’architetto Bracci alle dipendenze della Congregazione del Buon Governo riceve l’incarico di verificare le strade dello Stato all’indomani dell’editto di Clemente XII dell’agosto 17332; il mar-chese Trionfi, mercante e affittuario della tenuta più importante della comunità anconetana, è “intraprendente e perspicace” ideato-re di bonifiche di terideato-reni paludosi ed incolti trasformati in moderna azienda agricola.

I due, durante la cena offerta come ospitalità nella prestigio-sa dimora, sono protagonisti di un dialogo con un finale ricco di spunti sulla situazione del territorio della Marca anconetana:

“la rete stradale3 dovrebbe insinuarsi a pettine nel territorio attraver-sandone la morfologia, i piccoli paesi sparsi verrebbero legati tra loro e inseriti nel circuito della vita urbana costiera” osserva l’architetto Bracci.

1 Laura Appignanesi, 24 secoli di storia, Ancona in racconti, Ancona 2013, pp. 83-93 2 Il Chirografo di Clemente XII datato 30 agosto 1733 è un editto per l’apertura di un

nuovo tracciato della via consolare clementina.

3 Ibidem, p. 92

“… perché la via Clementina4 che parte da Nocera Umbra, cioè dal cuore montuoso dello Stato, si ferma qui a Falconara? Perché non arri-va al porto? (…) se si spingesse fino ad Ancona, i carri colmi di merci potrebbero arrivare dritti sulle banchine e le merci passare facilmente dai mezzi-terrestri a quelli navali come in un unico sistema di co-municazione dove terra e mare si integrano nella geografia globale.

La via Clementina diventerebbe la via del mare. Nasce dai monti, e poi dritta, sfocerebbe sul porto. E magari potrebbe partire dalla costa tirrenica e collegare i due mari. Vedo già carrozze cariche di ogni ben di Dio, provenienti dai Pirenei e dalla Provenza. Con merci sbarcate a Civitavecchia, caricate sui carri lungo la nuova Clementina e via verso Ancona, ricaricate ancora, le vedo veleggiare verso la Grecia e la Turchia, spinte dal vento del progresso!” ribatte il marchese e aggiun-ge concludendo: “altro che burchielle a fare la spola dallo scoglio della Volpe alla foce dell’Esino. Fiume, strade e porto, lettere diverse nell’al-fabeto del libero commercio.

Con perspicacia la scrittrice coglie nell’immaginato incontro di due reali personaggi il nesso centrale tra memoria storica e nodi irrisolti dell’infrastruttura portuale anconetana.

La storia delle problematiche di sviluppo del porto interseca da sempre la storia della città e del suo hinterland: entrambe le storie si riverberano nelle forme urbane e nelle scelte politiche e sociali della comunità intera.

1. La problematica delle strade nella Vallesina con particolare rife-rimento a una nuova via di comunicazione che colleghi direttamen-te Ancona, centro portuale, alla Flaminia e quindi a Roma emerge nello Stato pontificio solo nei primi decenni del Settecento verso la fine di una lunga fase di stagnazione economico-produttiva. Sono gli anni in cui tra continue discussioni senza concrete proposte per fronteggiare il deficit della bilancia commerciale, affiora nelle

me-4 Ibidem, pp. 92-93

morie e nelle inchieste ufficiali promosse dalla Congregazione “del sollievo5”, la consapevolezza del ritardo rispetto ad altri stati euro-pei e italiani.

Con il pontificato di Clemente XII (l’esperto e vecchissimo car-dinale Lorenzo Corsini6) vengono attuati numerosi tentativi per il risanamento finanziario dello Stato quali provvedimenti per il commercio, interventi nell’amministrazione con una speciale at-tenzione per i lavori pubblici. Strade, ponti ed opere pubbliche diventano oggetto di interesse, nonostante i frequenti passaggi di truppe straniere, data la situazione di conflittualità a livello euro-peo, nei progetti e nei restauri nelle visite e nei sopralluoghi che l’autorità centrale promuove a vantaggio delle province.

I suddetti provvedimenti trovano una maggiore e più chiara comprensione nell’editto del febbraio 1732 che concede la fran-chigia al porto di Ancona7. La scelta ha, assieme al risollevamento dell’economia dello Stato, l’obiettivo ambizioso di una possibile emulazione delle ben più importanti piazze mercantili di Trieste, Livorno e Marsiglia.

5 M. Caravale – A. Caracciolo, Lo Stato pontificio da Martino V a Pio IX, Torino 1978, p.450: La “congregazione del sollievo” viene istituita da papa Albani, Clemente XI, nel febbraio del 1701. Per qualcuno è la “prova della valida azione riformatrice di quel papa”,per Caravale e Caracciolo è invece “una nuova prova – se si vuole persino nel titolo prescelto dalla Congregazione – della drammatica congiuntura in cui si dibatte il paese”.

6 Il cardinale fiorentino Lorenzo Corsini viene eletto papa, con il nome di Clemente XII, nel 1730. Si circonda di uomini validi ed esperti e sceglie come segretario di Stato prima il cardinale Banchieri e poi dal 1731 il cardinale Giuseppe Firrao. Negli stessi anni un suo nipote, Nereo Corsini, è abate-commendatario dell’abbazia di Chiaravalle.

7 La franchigia concessa al porto di Ancona, con motu proprio 14 febbraio 1732, ri-entra nel gruppo di provvedimenti che hanno l’obiettivo di “restituire allo Stato la capacità di far fronte al mercato mondiale sempre più dinamico e concorrenziale, sia pure ricercando l’attrazione di mercanti e di traffici dall’estero”. M. Caravale – A.

Caracciolo, op. cit., p. 470 e M. Natalucci, La vita millenaria di Ancona, Città di Castello 1975, I, pp. 410-416.

Il porto-franco, a parte le notevoli difficoltà del momento, ac-cresce entro pochi anni di molto i suoi traffici ed assume un nuovo ruolo nell’Adriatico, in specie negli scambi commerciali con le aree dalmate ed il vicino Oriente; le conseguenze si fanno valutare nell’e-spansione edilizia, per la città, che oltrepassa la vecchia cinta mura-ria, nella crescita della popolazione della Marca anconitana e, più in generale, nello spostamento dell’asse economico dell’intero Stato8. 2. Nel quadro economico delineato, caratterizzato da un tentativo di “decollo” e di sviluppo commerciale, si inserisce il chirografo di Clemente XII, datato 30 agosto 1733: un atto di precisa volontà politica per l’apertura di un nuovo tracciato9 della strada di fon-dovalle dell’area esina che permetterà un facile collegamento dei centri abitati con Ancona porto-franco e con la grande viabilità per la capitale attraverso Fabriano e Nocera10.

8 M. Caravale – A. Caracciolo, op. cit., p.473

9 Anticamente la strada Flambengna si dipartiva, dirigendosi da una parte verso Osimo, dopo essere passata accanto alla città di Jesi, e da Osimo scendeva ad Ancona e il mare;

dall’altra si dirigeva verso Chiaravalle ma non proseguiva sull’attuale tracciato sino a Rocca Priora; essa superata l’abbazia, piegava a sinistra (lungo la strada che conduce al cimitero di Chiaravalle stessa) percorrendo quella che era chiamata la via dei cata-sti, per giungere attraversando le case di Gabella, oggi frazione di Montemarciano, e che prendeva quel nome proprio perché lì venivano pagati dazi e pedaggi, sino a Casebruciate. Jesi utilizzò quest’ultima località quasi sempre per i suoi commerci marittimi in forza dei favorevoli accordi commerciali stipulati con Senigallia. C’è da tener presente inoltre che l’antica strada costiera non camminava sul tracciato della moderna strada Adriatica, costeggiando il mare, ma si addentrava nell’interno verso la collina, e probabilmente passava all’altezza della località ove oggi sorge la moderna Manifattura Tabacchi”: V. Uriel, Jesi e il suo contado, vol. I, Jesi 1974, pp. 221-427;

si veda inoltre il saggio di F. Bonasera, Una antica carta geografica conservata nella biblioteca comunale di Jesi, in “rendiconti”, vol. XXI (1961), Istituto Marchigiano di scienze, lettere, arti, Ancona 1962, dove la vallata dell’Esino, dal mare fino all’attuale centro abitato di Chiaravalle, è rappresentata come un’intera selva in cui si snoda una strada diretta tra l’Abbazia di Santa Maria di Castagnola e Jesi. La via al mare passa per ovvie ragioni di sicurezza, completamente all’esterno della selva stessa.

10 Sergio Salustri, Infrastrutture viarie nella vallesina fra Settecento e fine Ottocento in Nelle Marche centrali. Territorio, economia, società tra Medioevo e Novecento:

La strada, onorata dallo stesso pontefice del nome di “Via con-solare Clementina”, diviene un’importante arteria di traffico, rete di solidi interessi in un tessuto territoriale e insediativo estremamente omogeneo.

Dal punto di vista tecnico, non pochi sono i problemi risolti, so-prattutto per le aree di media ed alta collina e per la zona appenni-nica del percorso, al fine di rendere possibile l’utilizzo delle vecchie parti del reticolo viario, mai abbandonate ma di facile deperimento stagionale.

La presenza di numerosissimi corsi d’acqua a carattere torren-tizio e di una serie di “vallati”, canali di alimentazione di mulini a palmenti, lungo il bacino dell’Esino, richiede costosi ponti e opere di protezione per gli argini dei fossi onde evitare, durante periodi piovosi nei mesi autunnali e invernali, la tracimazione dell’acqua sopra la sede stradale e la conseguente rovina della “imbrecciatura”.

La tecnica primitiva adottata in tutte le costruzioni stradali del Settecento, prevede l’uso della “breccia” cavata dal fiume per il fon-do della carreggiata e di sostanze pozzolaniche per costruire muri di sostegno, poco adatte in presenza di un clima marittimo caratte-ristico delle valli marchigiane.

I lavori sono condotti a termine nel volgere di pochi anni e le disposizioni del Segretario della Congregazione Acque e Strade, cardinale Raffaello Bussi Fabretti, delegato con pieni poteri alla vi-sita della nuova strada, consentono di eseguire le abituali pratiche per non dovere operare continue “riparazioni” : i coloni sono soliti lavorare con l’aratro anche i cigli dei greppi dei terreni confinanti con la strada, gettare la terra di scavo delle “carbonare” e riversale l’acqua dei fossi a protezione dei campi sopra la medesima.

Oltre alle disposizioni tecniche, il cardinale Fabretti si preoccu-pa di mantenere uno stato di vigilanza sulla perfetta manutenzione della via Clementina e ordina che vengano eletti, dai consigli delle

l’area esino – misena. Tomo secondo, cassa di risparmio di Jesi 1979.

singole comunità interessate dei deputati con l’obbligo di riferire al locale magistrato, senza possibilità di ricusazione, sotto pena di interdizione dai pubblici uffici e di pagamento di 50 scudi d’oro a favore della suddetta strada.

Lavori di costruzione non eseguiti a regola d’arte (già dopo alcu-ni analcu-ni si lamentano i primi danalcu-ni) e lavori di manutenzione inter-rotti per il passaggio di truppe durante gli anni delle guerre di suc-cessione, con conseguenti continue devastazioni sul sistema viario, sono causa del rapido declino delle fortune della “Via Clementina”, per larga parte legate a quelle del porto-franco di Ancona.

3. Con la pace di Aquisgrana, le comunità locali, liberate dalle pesanti fiscalizzazioni per ospitare le truppe straniere, possono di-stogliere uomini e risorse finanziarie dalla produzione cerealicola per impegnarla nella ristrutturazione della rete viaria: tuttavia il problema registra ancora per molti anni un ritardo dovuto alle que-rele e dispute con le autorità centrali per la ripartizione delle spese.

Il rigido centralismo della Sacra Congregazione del Buon Governo non lascia molto spazio alle autonomie locali e ogni co-munità è portata a non guardare oltre i propri confini territoriali:

fin dall’inizio, la via Clementina rimane un’infrastruttura viaria di valore locale, assoggettata, per le spese ordinarie, alle esigue casse locali e, per quelle straordinarie, alle superiori autorizzazioni; di fatto, è necessario ricorrere ad una speciale ed adeguata tassa per le strade, di difficile attuazione data la presenza di privilegi di antica memoria.

Si può affermare che la “Clementina” determina solo trasforma-zioni territoriali limitate rispetto all’importanza dell’opera eseguita;

la struttura viaria minore, estremamente fitta ed omogenea, priva di gerarchie significative, fa riferimento ad un sistema di centri distri-buiti in modo molto equilibrato; la struttura urbana conserva una relativa staticità e gli interventi riguardano sostituzioni di singoli elementi edilizi ed architettonici. Una direttrice privilegiata,

tratta-ta con la massima cura, rimane la strada litoranea, la vecchia strada di Francia, via di accesso al porto di Ancona e di comunicazione con i grandi centri del nord: il commercio del grano e di altri generi verso l’Italia settentrionale fanno assumere al nodo infrastrutturale del ponte sull’Esino un’importanza strategica.

Verso gli ultimi decenni del secolo XVIII si ha un nuovo rilan-cio del problema della viabilità. Da Roma partono ispettori con il compito di approntare dettagliate relazioni sullo stato in cui si trovano le strade: la via Clementina, secondo la descrizione fattane dall’architetto Virginio Bracci, già nel novembre del 1785, è quasi nell’intero percorso, a parte il tratto della gola della Rossa sotto la competenza di Fabriano ed altri lungo la vallata del territorio di Jesi, sufficientemente mantenuta in un regolare stato d’uso.

Del resto, negli anni precedenti si registra una lunga polemica tra la comunità jesina e la Congregazione del Buon Governo, circa la spe-sa straordinaria ed il modo di condurre i lavori di totale rifacimento della strada. Si tratta di perizie e di controperizie, di visite di diversi architetti inviati dalla capitale per ispezioni e pareri sulle quantità e qualità delle opere stradali descritte nei preventivi. Questi docu-menti si rivelano di particolare interesse sulla questione dei ponti ad occhio murati contrapposti ai ponti roversi a traverso, sui fossi e canali di spurgo laterali alla carreggiata che devono avere una consi-stente scarpata per sponda. Altre considerazioni si possono fare, sia in relazione alla perizia Ciaraffoni dell’8 aprile 1783, sul preventi-vo delle spese occorrenti, sia alla copia del verbale della seduta del consiglio della città di Jesi del 28 aprile 1784, inviata alle autorità romane, quale richiesta di commutare l’obbligo delle giornate di lavoro gratuito in contributo monetario.

Giova ricordare il sostanziale fallimento dell’editto Casali, Prefetto del Buon Governo, che obbliga anche gli esenti possessori di in-veterati privilegi a concorrere alle spese per il mantenimento della rete viaria.

4. Nonostante questa attività nel settore dei lavori pubblici, l’eco-nomia non è in una fase di espansione dal momento che, mentre si attenuano lungo l’arco del secolo gli effetti positivi del porto-franco di Ancona, della conseguente vivacità commerciale delle fiere di Senigallia e dei mercati di Recanati e dei livelli produttivi delle manifatture jesine, affiorano i limiti e gli aspetti negativi dei prov-vedimenti presi.

La stessa crescita demografica dell’intera Marca è rallentata ri-spetto ai ritmi della prima metà del secolo; i centri abitati, allineati lungo le nuove direttrici di espansione, con imponenti costruzioni di edifici pubblici si ritrovano in una situazione di staticità edilizia.

Il territorio, oggetto di tutta una serie di piani, progetti tendenti a razionalizzare e ristrutturare le vie di comunicazione con il resto della regione, si degrada, allo stesso modo dei suoli, con forti con-trazioni della resa in agricoltura e rende sempre più problematica quella possibilità di far viaggiare celermente i carri da trasporto lun-go le vie consolari ed attraverso i passi appenninici. Per quelle stesse strade, imbrecciate o meno, slamate o acquitrinose, avanzano nel febbraio del 1797 i soldati francesi.

5. All’indomani della repubblica romana in fase di prima restaura-zione, l’autorità centrale affronta la questione del riordino dell’am-ministrazione e tenta, di nuovo, di risolvere il problema viario: la costituzione di Pio VII – 30 ottobre 1800 – affida in tutto il terri-torio dello Stato la cura delle strade nazionali alla Congregazione del Buon Governo che, quasi immediatamente, riprende le sue funzioni. Le strade sono divise in tre categorie: le consolari o posta-li o corriere, di competenza della Congregazione, conducono dai confini dell’agro romano a quelli dello Stato; le provinciali, di com-petenza delle relative province, si diramano dalle postali e servono direttamente le comunità; le territoriali, di competenza di utenti privati, sono tutte le altre. La costituzione trova piena applicazione nelle disposizioni operative nell’editto del cardinale Ignazio Busca,

nelle quali si introducono nuovi metodi che dovrebbero avere una diversa efficacia sullo stato di consistenza della rete viaria. Una no-vità particolarmente interessante è il regolamento per gli appalti dei lavori stradali; a funzionare i provinciali, “deputati alle strade”, è affidata la sorveglianza tecnica con l’incarico di effettuare tutte le ispezioni opportune a vigilare sullo stato di manutenzione della rete viaria e a proporre i modi e i tempi per le riparazioni con la minor spesa possibile per la comunità. Il 2 maggio 1804 si ha una visita dell’architetto Pietro Ghinelli il quale, nella relativa relazione, mette in evidenza gli aspetti negativi di questa infrastruttura viaria:

impraticabilità di lunghi tratti durante il periodo invernale, nella zona dei monti della Rossa, per la presenza di slamature, di buche, di cumuli di breccia trasportata dall’acqua piovana con pericolo per i carri da trasporto e passeggeri di cadere nei precipizi; corrosione del fiume Esino in altre parti intransitabile per movimenti di pie-trame e conseguente necessità di costruire deviazioni e strade prov-visorie; pericolosità di tutti i vecchi ponti “roversi” e di quelle parti in forte pendenza, dove mancano il fondo stradale e i fossi di scolo.

La relazione individua il carattere essenzialmente locale del-la strada: l’unico tratto in ottime condizioni è quello che da Jesi conduce al mare dove, sotto la deputazione del marchese Pianetti, vengono fatte di continuo opere di ordinaria manutenzione. Cioè, venuta meno la caratteristica di grande via di comunicazione, si finisce col tenere in piedi una valida arteria di fondovalle che per-metta sicuri e veloci collegamenti tra l’area medio-bassa vallesina e il mare.

Non in migliori condizioni si trova la strada consolare Fla-minia, come si rileva dalla relazione del conte Fabio Fossa per la visita fatta nell’ottobre dello stesso anno 1804 e dalla perizia di Francesco Bellomo nel tratto “dal ponte della Palombella al ponte di Casebruciate”. In questo lungo tratto di strada viene denunciata l’assenza di nuovi ponti già preventivati e lo stato di abbandono di quello di legno alla foce dell’Esino, privo dei “parapetti in legno

di rovere assai necessari per la sicurezza dei passeggeri” e con il fondo pieno di buche d’acqua stagnante che provoca seri danni al tavola-me della struttura.

Le notevoli deficienze legislative, la mancanza di personale qualificato e di fondi a disposizione, l’elevato costo dei trasporti e l’insicurezza delle strade per incidenti frequenti e per aggressioni banditesche, sono i motivi per cui, la rete stradale dell’area si trova, al momento della seconda occupazione francese, in condizioni di poco migliori di quelle del secolo precedente.

6. L’importanza nella Vallesina di una rete stradale moderna viene riconosciuta quando, dopo l’annessione delle Marche al Regno d’I-talia, nell’aprile del 1808, con una divisione amministrativa di tipo dipartimentale, la via Clementina diviene, sulla base di un prece-dente decreto di classificazione, strada nazionale che “passando per Serra San Quirico e Albacinasi divide poi in due rami, uno che si av-via verso Fabriano, Cancelli e Gualdo e l’altro che attraverso Cerreto, Matelica, Castelraimondo e San Severino, giunge fino a Macerata”.

Una delle principali caratteristiche dell’amministrazione napo-leonica è il fatto di essere dinamica e capace di azioni a largo raggio nella pianificazione del territorio: per le strade, nello stesso anno, vengono emanati avvisi per il loro immediato ristabilimento. Deve essere data la precedenza alle vie che conducono al capoluogo di dipartimento, e a quelle che collegano il capoluogo di distretto e di cantone. Il problema del personale specializzato a cui affidare i compiti di progettazione, direzione e sorveglianza dei lavori strada-li, viene risolto con l’istituzione del “corpo degli ingegneri di Acque e Strade” composto, in ciascuno dei tre dipartimenti, di un ingegne-re-capo coadiuvato da un ingegnere ordinario di prima classe, uno di seconda e due aspiranti.

Altri aspetti ricalcano il passato modo di amministrare: si devo-no requisire, da parte delle rispettive autorità comunali, gli animali da soma per il tempo necessario assieme alle prestazioni di due

Nel documento E LA CRISI DELL’UOMO MODERNO (pagine 97-117)