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CORSO DEI CAMBI, SBILANCIO COMMERCIALE E CIRCOLAZIONE CARTACEA

(A proposito di una tabella pubblicata dalVon. Nitti).

Riproduco, in calce al presente articolo, dall'allegato 17 alla esposizione finanziaria, tenuta dall'on. Francesco Nitti nella seduta del 19 dicembre 1917 della Camera dei deputati, uno specchio, il quale mi sembra sia il docu-mento più significativo di quanti finora sono stati pubblicati in Italia intorno alla dibattuta questione delle relazioni fra corso dei cambi, ammontare del disa-vanzo della bilancia commerciale ed ammontare della circolazione. Allo specchio io ho aggiunto soltanto le due ultime colonne, nella prima delle quali ho dato di mese in mese l'ammontare della circolazione dei biglietti di Stato e nella seconda il totale della circolazione bancaria e di Stato.

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La tabella è un primo lodevole tentativo di calcolare mese per mese una

bilancia integrale dei pagamenti internazionali durante la guerra. Dò

viva lode all'on. Nitti per questo tentativo, il quale gitta luce su fatti che finora erano rimasti avvolti in una penombra misteriosa. Quando taluno diceva che il rialzo del cambio dipendeva dall'eccesso delle importazioni di merci sulle esportazioni di merci si aveva un bel dire che quell'eccesso non significava nulla, potendo essere controbilanciato da eccedenze favorevoli d'altra natura; poiché non si possedevano cifre rimaneva nel pubblico l'impressione che il fattore essenziale delle variazioni dei cambi fosse quell'eccesso, il solo cono-sciuto. Ora Nitti integra il calcolo con un secondo fattore, il più importante durante la guerra, l'ammontare degli incassi, conteggiati in lire italiane, fatti dal governo italiano per crediti apertici dai governi alleati inglese e nord-americano e per altri minori prestiti conchiusi all'estero. È chiaro che fino a concorrenza di questi incassi (indicati nella colonna 4) lo sbilancio commer-cialo non può agire sui cambi; poiché appunto con quegli incassi il governo pagò quelle merci importate che l'Italia non potè compensare con l'esporta-zione di altre sue merci. La differenza ancora da pagare (i meno dalla colonna 5) è assai inferiore mese per mese al semplice disavanzo commerciale (col. 3) e talvolta si converte in un sovrappiù. Ed anche i meno hanno dimensioni tutt'altro clie paurose.

Il calcolo della bilancia dei pagamenti internazionali, la quale soltanto potrebbe eventualmente avere una influenza sui cambi, mentre lo sbilancio

commerciale è un fatto parziale, per se medesimo privo di significato, non è compiuto, neppure con l'integrazione Nitti. Occorrerebbe poter tener conto di molt'altri elementi, tra cui non trascurabili del tutto all'attivo, sebbene di scemata importanza in confronto al periodo di pace, le rimesse degli emigranti e dei viaggiatori stranieri, i guadagni della marina mercantile, i redditi di titoli e possessi stranieri goduti da italiani o stranieri viventi in Italia ed al passivo gli interessi di debito verso l'estero, il pagamento di titoli italiani rivendutici dagli stranieri e specialmente dai tedeschi, le rimesse di fendi all'estero per conto di stranieri e di italiani impauriti. Ho l'impressione però che siffatte partite ai bilancine od almeno non aggra-vino troppe la differenza finale passiva a nostro carico; la quale invece risul-terebbe probabilmente — certamente, si dovrebbe dire, ma delle verità certe i difficile poter sempre dare la dimostrazione statistica — annullata se si conoscesse all'attivo l'ammontare dei crediti privati ottenuti all'estero da banche, banchieri, industriali e delle fatture scadute per merci importate in Italia, il cui valsente, stilato o trasformato in lire italiane, i creditori stra-nieri preferirono lasciare in deposito da nei, nella sperauza di un ribasso del cambio e di una realizzazione più favorevole in un memento futuro eventuale.

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La tabella, cosi com'è, dimostrerebbe, secondo l'on. Nitti, come il movi-mento dei cambi sia una risultante delle due cause « saldo bilancia commer-ciale » e « supercircolazione monetaria », in quanto si mantiene in costante dipendenza della prima causa, anche quando diventa notevolmente sfavorevole sotto l'influenza della seconda (pag. LXIX degli allegati). E nel testo della esposizione l'on. Nitti ribadisce il medesimo concetto: «Osservando il movi-mento nei prezzi del cambio dell'oro e dei cambi sull'estero, si nota che l'au-mento della circolazione cartacea non è estraneo all'aul'au-mento dei cambi esteri. Il movimento dei cambi si mantiene sempre in costante dipendenza della liquidazione di saldo della bilancia commerciale, in correlazione dei crediti ottenuti all'estero, anche quando diventa sfavorevole sotto l'azione dell'au-mento della circolazione cartacea ».

Sia lecito osservare come — da quel che si può giudicare da una semplice ispezione delle cifre ed in attesa di quella indagine precisa la quale potrà compiersi coll'impiego dei metodi statistici più recenti (1) — lo specchio no» paia condurre logicamente alle conclusioni indicate dal Nitti. Se davvero il corso medio dei cambi — non occupiamoci del eorso dell'oro, il quale ha un significato specialissimo, che meriterebbe uno studio attento, finché

(1) Confido di poter proBsimamonte pubblicaro uno itudio maestrevolmente e finemente condotto dal collega prof. P. Iannaccoue intorno alla correlariono tra eambi, disavanii commerciali e quantità di carta moneta circolante in Italia per un lungo periodo ante-bellico. E mi auguro che a queato primo studio no segua, appena sarà possibile, un secondo relativo al periodo di guerra.

si è ancora in tempo a raccogliere dalla riva voce dei pratici le impressioni e le spiegazioni delle sue variazioni e della sua indole — su Londra e su New York fosse in dipendenza con i disavanzi della parte visibile e nota della bilancia internazionale dei pagamenti, ossia con le differenze positive o negative tra i disavanzi della bilancia cemmerciale propriamente detta e l'ammontare dei debiti contratti all'estero, l'andamento dei cambi avrebbe dovuto essere quello che è indicate sotto col nome di « variazione teorica a cui si contrappone la variazione realmente verificatasi

Condizione della bilancia dei pagamenti internazionali V a r i a z i o n i teoriche Variazioni effettivamente verificatesi Condizione della bilancia dei pagamenti internazionali n e l c o r s o d e i c a m b i 1) l u g l i o 1916 a

gennaio 1916 . Pareggio Stazionario Aumeutn 2) febbraio a

giu-gno 1916 . . . Sbilanci forti Aumento Diminuzione 3) luglio 1916 ad

aprile 1917 . . Sbilanci tenui o moderati Aumento lieve Aumenti sensibilissimi 4) maggio ad

otto-bre 1917 . . . Avanzi notevoli Diminuzione Cambi sostenuti ed in ul-teriore forte tendenza al rialzo

Nel primo periodo, che va dal luglio 1915 al gennaio 1916 i cambi avreb-bero dovuto rimanere stazionari, se fosse vera la teoria della connessione fra disavanzi della bilancia dei pagamenti, quali ci sono rivelati dalle statistiche, ed il corso dei cambi; perchè in quei sette mesi suppergiù i pagamenti esteri si compensarono, potendosi (col. 5) con le differenze attive dei primi quattro mesi far fronte alle differenze passive dei .susseguenti tre mesi. Ed invece il corso dei cambi rialzò di quasi dieci punti.

Nel secondo periodo, che va dal febbraio al giugno 1916 si ebbero i mag-giori disavanzi nella bilancia dei pagamenti. I crediti apertici dall'Inghilterra furono di gran lunga insufficienti a fronteggiare l'eccesso delle importazioni sulle esportazioni. I cambi avrebbero dovuto salire alle stelle. Ed invece ribassarono di quasi sette punti.

Nel terzo periodo, dal luglio 1916 all'aprile 1917, si ebbero in complesso disavanzi moderati, salvo nel febbraio 1917; tali che con un po' di buona volontà da parte delle banche e degli industriali italiani nel cercare aperture di credito o more al pagamento presso i propri fornitori si sarebbero dovuti compensare. Un aumento lieve del cambio, sempre partendo dall'ipotesi della connessione fra cambi e sbilauci, sarebbe stato ammissibile; non un balzo, quale si ebbe, oscillante fra 18 e 26 punti.

Nell'ultimo periodo finalmente, dal maggio all'ottobre 1917, le aperture di credito all'estero sono in media notevolmente superiori agli eccessi delle

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tazioni sulle esportazioni. Le eccedenze attive sono tali che paiono baatevoli a coprire gli eventuali strascichi del periodo precedente ed altresì l'eccesso

invi-sibile delle importazioni sulle esportazioni proveniente dal fatto che nel 1917

le merci importate ed esportate sono ancora calcolate ai prezzi del 1916. I cambi avrebbero dovuto diminuire, tutt'al più rimanere stazionari con ten-denza fiacca. Ed invece rimangono tesi in modo acuto, con tenten-denza a quel rialzo, che poi si verificò nei mesi successivi, non compresi nel quadro Nitti.

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In verità anche i minori e saltuari disavanzi della bilancia dei pagamenti internazionali (col. 5) i quali non furono compensati da precedenti o susse-guenti avanzi, sono stati coperti dall'avanzo delle «altre partite di debito e credito verso l'estero, come apparirebbe chiaro se si possedessero dati suffi-cienti; e quindi non possono influire sulle variazioni dei cambi, almeno al di là dei punti dell'oro. Esaminando qui sovratutto riprove statistiche di verità economiche note, non posso soffermarmi su molti punti ben noti ai teorici (1). Giovi accennare solo in breve alla verità che uno sbilancio effettivo è un assurdo. Se per un istante un paese avesse crediti per 1000 e debiti per 1100, amendue stilati in oro e il cambio fosse al 20 per cento, la richiesta delle divise estere ne farebbe bensì aumentare il prezzo, osBia il cambio; ina l'aumento per se stesso non risolverebbe nè punto nè poco il problema. Sia che i 1000 milioni di lire-oro di divise disponibili all'attivo si paghino al corso di 110 % od a quello di 120 o di 150 o di 200 o di 1000 %, essi rimangono sempre 1000 milioni di lire-oro; e con 1000 milioni non se ne pagano 1100, neanche se per averli si dessero 10.000 milioni di lire carta. Il problema si risolve soltanto quando, attratti dall'alto cambio e dalla probabilità che esso abbia poscia a

ribas-sare, capitalisti, banchieri e fornitori stranieri invece di riscuotere le loro 100

lire-oro si decidono a farsi accreditare di 120 lire-carta, oggi equivalenti alle prime, nella speranza che dopo 6 mesi od 1 anno od altro periodo di tempo, le 120 lire-carta di cui sono creditori, insieme all'interesse, ad es., del 6 % all'anno, e quindi fra un anno le 127,20 lire-carta, si convertano, al cambio ribassato a 116, in 109,65 lire-oro, che per ipotesi devono essere una quantità zuperiore alle 100 lire oro, più gli interessi al 4, o 5 o 6 od 8 per cento all'anno, che il creditore possederebbe se avesse subito esatto il credito e ne avesse impiegato l'importo all'estero.

In condizioni normali, nei rapporti fra paesi assestati economicamente e politicamente, l'accreditamento or detto e quindi la scomparsa del disavanzo della bilancia dei pagamenti si verificano subito, senza provocare alcuna

(1) Sulla verità per eui il rialzo, zuperiore all'aumento del cambio, nel livello relativo dei prezzi nazionali cagionato dall'abbondanza delle emissioni cartacee provoca un aumento nello sbilancio cemmerciale — sbilancio che à perciò con-seguenza e non causa — vedi le belle osservazioni contenute nel recente volume del prof. J. S. NIOIIOLSON, IFor Finance. London, King, 1917, passim.

variazione nel eorso dei cambi, appena il saggio dell'interesse pel paese

debi-tore sia sufficientemente più elevato dei saggio medesimo nei paesi creditori. Se il saggio dell'interesse tarda a variare abbastanza, varia il eorso dei cambi, ma le variazioni di questo sono strettamente limitate entro i punti dell'oro, in guisa che l'aggiustamento della bilancia dei pagamenti tende a provocare preva-lentemente rialzi relativi nei saggio dell'interesse o sconto nei paesi debitori.

In tempo di guerra, lo stesso fatto potrebbe verificarsi. Se il paese debitore di 1100 e creditore di 1000 si decidesse a pagare per i 100 milioni mancanti un saggio sufficientemente remunerativo di interesse, i 100 milioni di accredi-tamenti verrebbero fuori. Disgraziatamente ciò non sempre si fa, sia per non volerlo o sia per non poterlo fare. Tutti gli Stati belligeranti hanno adottate una politica di inflazione monetaria, che rendo abbondantissimo il « denaro », ossia i fondi disponibili a breve scadenza e quindi basso il saggio dello sconto breve. Anche il saggio di interesse lungo non sale abbastanza un po' per l'in-fluenza del saggio breve, un po' per i maggiori risparmi disponibili di parecchie classi sociali. Nè gli Stati amano farsi vedere a pagare sui mutui esteri un saggio di interesse superiore notevolmente al saggio pagato ai risparmiatori nazionali ; anzi ritengono di buon tono annunciare di aver ottenuto crediti all'estero al 3 od al 4 per cento, quando all'interno si paga il 5 od il 6 °/t.

Per ciò l'aggiustamento della bilancia non potendo operarsi per via di un azione sul saggio dell'interesse, si deve necessariamente operare attraverso il corso del cambio. Ripigliando l'esempio precedente, se i capitalisti stranieri reputano che fra un anno il corso del cambio sul paese debitore continuerà ad essere del 20 per cento, in guisa che fra un anno le 127,20 lire carta, che essi avranno diritto di esigere, qualora oggi si decidano a farne accredi-tamento al debitore nazionale, si convertiranno appena in 106 lire-oro, inferiori o non abbastanza superiori alla somma che possederebbero riscuotendo subito il loro credito ed impiegandolo nel loro paese, essi si asterranno dal concedere accreditamenti finché il corso attuale dei cambi non sia salito da 120 a 124,13. A questo corso, essi consentono a convertire il loro credito di 100 lire-oro in 124,13 lire-carta — ovvero qualche banchiere estero o nazionale vede la convenienza di fare, in vece loro, l'operazione per conto proprio — che al 6 °/o di interesse, equi-valgono a fin d'anno a 131,58 lire-carta; e queste, al cambio del 20 per cento, equivarranno a lor volta a quelle 109,65 lire-oro, che, nell'es. ipotetico fatto, erano al capitalista estero sembrate sufficienti per concedere al debitore nazionale il respiro di un anno. Sotto forma di un rialzo nel corso dei carabi, il creditore estero vuole in realtà ottenere un interesse del 9,65 invece che del 6 per cento, quale avrebbe se il cambio rimanesse fermo sul corso di 120. Se il debitore si decidesse a pagare l'interesse-oro del 9,65%, il cambio potrebbe rimanere sta-zionario sul 120; ma poiché si vuole figurare di pagare solo il 6 %, giuocoforza è ehe il cambio salga al corso di 124,13, salvo a ribassare di nuovo poscia a 120. Sarebbe tuttavia un errore affermare che il rialzo dei cambi sia dovuto allo sbilancio nel conto dei pagamenti internazionali. Poiché il riplzo del cambio è l'apparenza, è una di quelle tante « illusioni » economiche e finan-ziarie òhe fuorviano l'opinione, nell'interesse immaginario o reale dei dirigenti,

dall'andare in fondo al problema, e la realtà è invece il rialzo nel saggio dell'interesse, fa d'uopo studiare quali siano le cause di quest'ultimo rialzo in tempo di guerra. Se lo stato debitore avesse fatto una politica finanziaria ottima, ricorrendo ad imposte a mano a mano cresciute in guisa da ridurre al minimo la capacità di consumo della popolazione civile, se avesse, pur ricorrendo ai prestiti, evitato tutte le maniere di indebitamento capaci di condurre ad una inflazione monetaria, se anzi avesse ridotto la massa mone-taria circolante in proporzione alla riduzione nella massa di merci e servizi negoziabili, forsechè il credito dello Stato e dei suoi componenti non sarebbe altissimo e quindi agevole riuscirebbe ad essi di ottenere credito al 6,33 % od anche a meno ? Siffatta eccellenza di condotta economica e finanziaria della guerra sarebbe necessariamente connessa con un alto spirito collettivo di sacri-fìcio, con una classe politica dotata di qualità superiori, con un esercito agguer-rito e saldo. Senza dubbio a quel paese spetterebbe la vittoria militare; e contro di esso i carabi non potrebbero salire.

È illogico identificare tutto questo insieme imponente di circostanze causali del cambio basso — politiche, morali, militari, economiche, finanziarie — con lo sbilancio commerciale od economico. Poiché lo sbilancio commerciale può esistere e per cifre notevoli anche contro uno Stato « ideale » ; ma non può produrre alcuna conseguenza di cambi alti, perché a questo Stato tutti i neutri e gli alleati — non di rado, per interposta persona, anche i nemici — si affrettano a far credito, facendo scomparire così lo sbilancio medesimo. Che se un paese stenta a far scom-parire lo sbilancio, o deve pagare, a tal uopo, alti interessi, sia palesi sia sotto le mentite spoglie di un rialzo nel corso dei cambi, la causa degli alti interessi o degli alti cambi non é lo sbilancio, ma il cattivo credito dello Stato e dei suoi nazionali, che impone un maggior sacrificio per ottenere un intento che, in altre circostanze ed in altri paesi, si raggiunge con un costo di gran lunga minore.

Non è invece illogico identificare quell'insieme di circostanze con la massa monetaria circolante, come fanno per lo più gli economisti. Per discorrere senza impacci, e senza ogni volta fare discorsi interminabili giova adoperare simboli, tra cui perfetti quelli matematici. Ora la espressione: » abbondanza relativa della massa monetaria circolante » è appunto una di queste

espressioni-simbolo. Ottimo simbolo, perché per lunga tradizione, formatasi con

l'espe-rienza storica di secoli, noi siamo condotti quasi spontaneamente a connettere quel simbolo con una situazione di governi che non seppero adottare l'ottima politica economica e finanziaria di guerra, di paesi in cui lo spirito di sacrificio non é perfetto, in cui la popolazione civile non riduce i consumi e non risparmia abbastanza, in cui le classi dirigenti politiche e l'esercito si allontanano dal-l'ideale. Quanto più se ne allontanano, tanto più cresce il simbolo quantitativo che segnala il peggioramento della situazione economica-morale-politica-militare, fino a giungere ai quasi 50 miliardi di carta monetata che alla vigilia del suo disfacimento lo Stato russo aveva gittate sul mercato. Lo « sbilancio » è invece pessimo Bimbolo, perchè le sue variazioni in aumento possono verificarsi in tempi e Stati ottimamente geriti, e quelle in meno in tempi calamitosi ed in Stati avviati alla rovina.

Nè dicasi che, interpretata cosi, la teoria della dipendenza del corso dei cambi delle variazioni della massa monetaria circolante si riduce al nulla. Poiché sempre usarono invece gli economisti, per chiarezza di esposizione, collocare su un diverso piano le cause o le circostanze influenti su dati fatti: collocando in un primo piano le cause prossime o misurabili e in un secondo le cause ri mote o non misurabili in maniera precisa. Nel caso nostro le varia-zioni della massa monetaria circolante sono la causa immediata o prossima delle variazioni dei cambi ; poiché essendo » i corsi dei cambi » un'altra espres-sione per dire « variazioni del prezzo della moneta di carta nazionale espresso in moneta d'oro o in date monete estere » è naturale riflettere che il prezzo di quella moneta cartacea vari, come il prezzo di qualunque altra merce, in funzione della quantità di essa offerta sul mercato. È questa altresì una causa misurabile esattamente, poiché esistono statistiche ufficiali dalle quali si apprende di decade in decade o di settimana in settimana quanta carta siasi emessa e se ne possono paragonare le variazioni con quelle del corso dei cambi. Ma se si chiede : perchè a sua volta, la massa monetaria circolante variò in queste o quelle proporzioni? Ed allora entrano in campo i fattori mediati o remoti che già indicai ed a cui altri si potrebbero aggiungere, come la diffusione di esatte nozioni economiche nel ceto dirigente e nel popolo o la sua mancanza e simili. E questi, oltrecchè fattori mediati, operanti attraverso la massa monetaria circolante, — necessariamente operanti attraverso, si dovrebbe dire, poiché come potrebbe uno Stato fare una cattiva politica di guerra, se non stampasse troppi biglietti? — sono altresì fattori non esattamente misurabili con cifre quantitative, ma a mala pena spiegabili con discorsi più o meno atti a rappresentare al vivo i fotti reali. Perciò talvolta gli economisti, impazienti delle parole vaghe ed amanti dei fatti concreti, non ne parlano. Non già perchè ne disconoscano l'importanza, ma perchè, non avendo la penna adusata a cotali descrizioni, ne lasciano volontieri la cura agli scrittori politici ed agli storici. In una intervista concessa al settimanale inglese Common Sense e nella quale egli insiste, come non vidi sinora da nessuno, sulla necessità che vi sarebbe stata di diminuire, subito dopo scoppiata la guerra, la massa mone-taria. cartacea e metallica circolante, il prof. Edwin Cannan attribuisce il rialzo dei prezzi — di cui soltanto egli si oecupa, ma le sue considerazioni

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