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5. INDICATORI FISIOLOGICI UTILIZZABILI PER LA VALIDAZIONE

5.1 CORTISOLO

Il cortisolo, ormone steroideo prodotto dalla porzione corticale delle ghiandole surrenali, (sia i livelli basali che le sue variazioni dopo l’ACTH challenge) è un possibile indicatore per la valutazione dello stress cronico. Sebbene un aumento di tale ormone si verifichi dopo uno stress acuto, esso mostra una qualche variazione molto prolungata prima e durante il distress, che sembrano essere ragionevolmente collegata ad una condizione di cattivo adattamento, cioè allo stress cronico (Mc Ewen, 1998; Lay and Wilson, 2004). Infatti un elevato livello di cortisolo sembra essere mantenuto quando c’è l’incapacità di riacquistare l’omeostasi o dopo uno stress ripetuto. Tuttavia, alcuni risultati contraddittori emergono dalla letteratura relativi agli animali da allevamento. Broom (1988) osservò una iper-reattività negli animali sottoposti ad una condizione di stress cronico dopo alcuni challenges con ACTH e supporta la relazione tra elevati livelli di cortisolo basali e stress cronico, mentre Weiss et al. (2004) considera la iper-reattività conseguente

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ai challenges con ACTH essere vera nei suini ma non nei bovini. Indubbiamente, l’interpretazione del cortisolo basale non è facile poiché è influenzato da una varietà di fattori, tra cui: il ritmo circadiano (Möstl and Palme, 2002); il campionamento (Negrão et al., 2004); la fase della lattazione (Bertoni et al., 2006a); il coito e l’allattamento (Manteca, 1998); la mungitura (Bertoni et al., 2005a;

Rushen et al., 2007); il grado di abitudine dell’animale (von Borell, 2001; Smith and Dobson, 2002), ma anche altri ormoni (per esempio la vasopressina), possono potenziare la secrezione di ACTH; Rushen et al., 2007); le infezioni nonché le endotossine (Bertoni et al., 1991; Rushen et al., 2007).

Come altri ormoni, i glucocorticoidi hanno un ritmo circadiano che è stato riscontrato in numerose specie tra cui suini (De Jong IC, e coll., 2000), bovine da latte e tori (Thun R., e coll., 1996), pertanto questa ritmicità comporta un frequente campionamento. Si deve inoltre considerare che il prelievo di un certo numero di campioni comporta spesso il confinamento con conseguente cattura degli animali, operazioni che comportano uno stress per gli stessi e che possono quindi determinare un’ alterazione dei risultati (Hopster H., e coll., 1999). Per superare le difficoltà legate sia alla interpretazione dello stress dovuto al contenimento ed al prelievo di sangue che dei livelli basali di tale parametro, alcuni autori hanno studiato delle procedure di campionamento non invasive e quindi la sua determinazione in matrici biologiche differenti dal plasma tra cui: le urine (Hay M., Mormede P., 1998), la saliva (Cooper TR., e coll, 1989), il latte (Shutt and Fell, 1985; Verkerk GA, e coll., 1998) e le feci (Morrow et al., 2002; Möstl and Palme, 2002).

Il livello di cortisolo è in equilibrio con i differenti compartimenti e il campionamento di questi ultimi materiali è generalmente considerato poco invasivo. In questi materiali, il rilevamento e l’interpretazione, non sono tuttavia semplici per diverse ragioni. Prima di tutto, il livello può essere più basso rispetto a quello del sangue (per esempio è circa 10 volte meno nella saliva; Negrão et al., 2004); l’ormone può essere coniugato prima dell’escrezione nelle urine o nelle feci (Möstl and Palme, 2002), e ancora trasformato dai batteri nell’intestino; inoltre il livello può anche mostrare delle fluttuazioni nelle feci (Möstl and Palme, 2002) e l’escrezione può essere ritardata (di circa 12 ore nelle feci), sebbene quest’ultimo punto non abbia rilevanza durante una condizione di stress cronico poiché i livelli attesi si suppone che siano permanentemente elevati.

Pertanto, i dati disponibili rimangono ancora insoddisfacenti, nonostante alcuni sforzi verso la standardizzazione (per esempio il rilevamento dei metaboliti del cortisolo nelle feci, Möstl and Palme, 2002; Morrow et al., 2002). Tra questi differenti materiali biologici la valutazione del cortisolo o dei suoi metaboliti nelle feci sembra essere promettente; essa prevede una misura integrata della produzione di ormone lungo un periodo esteso di tempo. Per questi motivi, Morrow et al. (2002) hanno proposto l’utilizzo di questa tecnica non invasiva per il monitoraggio dello stato

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di salute e di benessere nella bovina da latte, ma in combinazione con altre misurazioni fisiologiche e comportamentali. Comunque, questi risultati non sono molto chiari e ulteriori studi sono necessari prima di sostituire la determinazione del livello di cortisolo nel plasma, che rimane l’indice fisiologico più comune.

In aggiunta ai livelli basali di cortisolo, si è prestata molta attenzione alla reattività della ghiandola surrenale dopo un challenge con ACTH, sebbene il conseguente livello del cortisolo nel plasma rimanga un punto controverso. A questo proposito, sembra utile considerare i risultati ottenuti con un metodo riconosciuto di valutazione della sensibilità della corteccia surrenale nei vertebrati: il challenge con ACTH (Verkerk et al., 1994) o un suo analogo (ACTH 1-24 tetracosactide).

La somministrazione dell’ACTH mima una usuale risposta allo stress provocando un aumento rapido nel livello di cortisolo circolante, seguita da un ritorno ai valori basali entro poche ore.

Sebbene questo challenge venga spesso utilizzato, ciò avviene con differenti protocolli: dosi diverse, tempo di prelievo, variabili differenti della risposta (per esempio il picco del cortisolo, tasso di incremento, tempo di ritorno ai livelli basali). I dati disponibili in letteratura sono stati recentemente riesaminati da Rushen et al. (2007) e hanno confermato la complessità del sistema ipotalamo-ipofisi-surrene.

Anche gli studi condotti presso l’Istituto di Zootecnica hanno evidenziato che il cortisolo basale valutato nel plasma può essere un indicatore molto utile per la valutazione della condizione di stress cronico e di conseguenza di benessere negli allevamenti di bovine da latte (Trevisi et al., 2005) confermando quanto riportato in letteratura. Tuttavia, è necessario evidenziare che l’interpretazione dei risultati richiede cautela perché ci sono numerosi fattori che possono alterare il risultato finale.

Un altro indicatore che può essere utile per la valutazione della condizione di stress cronico è la sensibilità delle ghiandole surrenali. Questa aumenta durante i primi giorni dello stress ripetuto sequenziale (prolungato aumento del livello di cortisolo dopo il challenge con ACTH), mentre tende a ridursi successivamente (veloce riduzione del livello del cortisolo raggiunto dopo il challenge con ACTH).

Questo implica che, in accordo con i precedenti autori, uno stress acuto ripetuto (successivo al challenge con ACTH) non necessariamente evolve in uno stress cronico, quando gli animali mostrano un adattamento e quindi il livello di cortisolo plasmatico si riduce gradualmente; al contrario, nel caso in cui sia abbia un cattivo adattamento dell’animale, la sensibilità della ghiandola surrenale rimane sostenuta e di conseguenza il livello di cortisolo sarebbe più elevato. I risultati non sono conclusivi e le modificazioni del livello di cortisolo in conseguenza del challenge con ACTH possono dipendere dall’importanza dello stress e dall’intervallo tra i gli stressori successivi.

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In questo contesto, e in accordo con quanto riportato da Rushen et al. (2007), alcuni risultati provenienti dalla letteratura non sembrano essere così contraddittori; in particolare, i dati provenienti da Ladewig and Smidt (1989) hanno mostrato un più basso rilascio di cortisolo in risposta alle iniezioni con ACTH in tori apparentemente adattati alle condizioni di stress; questo suggerisce una riduzione della sensibilità della corteccia delle surrenali al challenge con ACTH. Al contrario, Munksgaard e Simonsen (1996) non hanno osservato una riduzione nel rilascio del livello di cortisolo nelle bovine da latte dopo una prolungata condizione di stress (3 settimane in cui le bovine erano state private della possibilità di coricarsi per 14 ore al giorno o erano sottoposte ad isolamento sociale): quindi il primo caso è un caso in cui l’animale si adatta alla condizione di stress, mentre il secondo potrebbe essere una condizione di stress cronico; tuttavia non tutti i ricercatori sono d’accordo con questa idea e suggeriscono che la condizione di stress cronico

“dovrebbe risultare da un aumento iniziale della sensibilità della ghiandola surrenale seguito da una sua diminuzione” (Rushen et al., 2007).

Questi risultati che riguardano i livelli di cortisolo dopo ACTH challenge possono essere giustificati, in maniera analoga come le loro variazioni del livello basale da diversi fattori in grado di incidere sulla risposta delle surrenali. Tra i maggiori fattori vengono compresi: l’ambiente (inteso come stagione e temperatura), fisiologici (produzione di latte, età, momento della lattazione;

Hasegawa et al. 1997; Bertoni et al., 2006a), genetici (Weiss et al., 2004; Kosti et al., 2006).

Uno dei più affascinati aspetti è stato mostrato da Kosti et al. (2006) i quali hanno trovato un notevole rilascio di ACTH dopo 30 minuti in conseguenza di uno stress da contenimento, ma solo un po’ più elevato aumento del corticosterone, in una tipologia di ratto caratterizzata da un maggiore comportamento ansiogeno confrontata con quella non reattiva.

Questi risultati potrebbero infatti suggerire una bassa sensibilità delle ghiandole surrenali durante lo stress in soggetti che hanno uno stato ansiogeno, ma questo potrebbe anche comportare il raggiungimento di un plateau del livello di cortisolo nel plasma pertanto indipendente dal grado dello stimolo dell’ ACTH. Quest’ultima ipotesi è stata parzialmente dimostrata presso il laboratorio dell’Istituto di Zootecnica di Piacenza (Bertoni et al., 2005b) conducendo una prova sperimentale su bovine da latte a cui è stata somministrata una differente dose (da 20 a 1000 mcg) di ACTH sintetico. Sorprendentemente,sia la dose più elevata che quella più bassa hanno provocato aumenti molto simili del livello massimo di cortisolo nel plasma, se si considera il picco; al contrario le dosi più elevate sono responsabili dei valori che rimangono più elevati per un tempo più prolungato.

La scarsa standardizzazione del challenge con ACTH (per esempio dose, momento in cui viene fatto il prelievo, tipo di risposta misurata) sembra, pertanto la più importante causa della variabilità del risultato. L’esperienza ottenuta presso l’Istituto di Zootecnica (Bertoni et al., 2005b) ha portato

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all’individuazione delle seguenti condizioni standardizzate raccomandate: iniettare una bassa dose di ACTH (solo 20 mcg/iniezione), poiché i massimi livelli di cortisolo, all’interno di ciascun soggetto, non sembrano differire ad un più elevato dosaggio di ACTH; controllare il livello di cortisolo fino al suo ritorno a livelli basali (circa 3 ore dopo il picco); valutare l’area sottesa dalla curva dopo il picco, che noi suggeriamo essere il reale indice di reattività dell’animale al challenge.

Usando questa procedura, i primi risultati ottenuti in prove sperimentali condotte presso l’Istituto di Zootecnica hanno mostrato che la risposta al challenge con ACTH misurata come l’area sotto la curva è risultata significativamente più elevata negli animali in stadio avanzato di lattazione e questo valore scarsamente influenzato dai livelli basali (Bertoni et al., 2006); mentre è risultata più bassa in bovine fresche (30-40 DIM) specialmente se presentano una marcata condizione infiammatoria immediatamente dopo il parto (Trevisi, dati non pubblicati), che è stata misurata in accordo con l’indice della funzionalità epatica (LFI) (Bertoni et al., 2006b).