5. INDICATORI FISIOLOGICI UTILIZZABILI PER LA VALIDAZIONE
5.2 LA FRUTTOSAMINA
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all’individuazione delle seguenti condizioni standardizzate raccomandate: iniettare una bassa dose di ACTH (solo 20 mcg/iniezione), poiché i massimi livelli di cortisolo, all’interno di ciascun soggetto, non sembrano differire ad un più elevato dosaggio di ACTH; controllare il livello di cortisolo fino al suo ritorno a livelli basali (circa 3 ore dopo il picco); valutare l’area sottesa dalla curva dopo il picco, che noi suggeriamo essere il reale indice di reattività dell’animale al challenge.
Usando questa procedura, i primi risultati ottenuti in prove sperimentali condotte presso l’Istituto di Zootecnica hanno mostrato che la risposta al challenge con ACTH misurata come l’area sotto la curva è risultata significativamente più elevata negli animali in stadio avanzato di lattazione e questo valore scarsamente influenzato dai livelli basali (Bertoni et al., 2006); mentre è risultata più bassa in bovine fresche (30-40 DIM) specialmente se presentano una marcata condizione infiammatoria immediatamente dopo il parto (Trevisi, dati non pubblicati), che è stata misurata in accordo con l’indice della funzionalità epatica (LFI) (Bertoni et al., 2006b).
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catena β (in cui il composto intermedio subisce un riarrangiamento detto di Amadori) formando una chetoamina stabile (Chandalia H.B. and Krishnaswamy P.R., 2002).
Nell’uomo, l’emoglobina glicata ha mostrato valori molto bassi nei soggetti normali (4-6%
dell’emoglobina totale) ed elevati nei soggetti colpiti sia da diabete di tipo 1 che 2, ma anche in soggetti esposti a condizioni stressanti (per esempio stress psicogenico). In particolare, la concentrazione di emoglobina glicata è proporzionale alla concentrazione di glucosio media dei due mesi precedenti il prelievo (Daniel et al., 1999). La misura dell’emoglobina glicata è utilizzata nei pazienti con diabete mellito, soprattutto al fine di sorvegliare il controllo glicometabolico nel medio - lungo periodo (Sacks DB et al., 2002; American Diabetes Association, 2004); un ulteriore utilizzo di tale parametro è quello di fornire una misura del grado di qualità delle cure prestate ai pazienti con diabete da parte del personale medico e paramedico.
La fruttosamina è una chetoamina stabile derivante da una reazione non enzimatica irreversibile tra una molecola di glucosio con un gruppo amminico libero dei residui di lisina di una molecola proteica (Ambruster, 1987). Il processo biochimico che porta alla formazione della fruttosamina è rappresentato dal formarsi di un legame di tipo covalente fra il gruppo aminico della proteina e il gruppo carbossilico dello zucchero. Il prodotto che si forma è una base di Schift (aldimina) altamente instabile dal punto di vista biochimico; tale reazione può anche essere reversibile secondo la legge dell’azione di massa e secondo i livelli glicemici. Dopo la formazione dell’aldimina, in presenza di una costante iperglicemia, la reazione può accedere alla seconda fase del processo, dove il composto intermedio subisce un riarrangiamento (detto di Amadori), caratterizzato dall’
ossidazione del carbonile glucidico vicino al punto di reazione, e da riduzione del legame gluco – amidico con formazione di un derivato stabile chetoaminico (Dominiczak, 1991) o fruttosamina (Restori G., 1989).
Le fruttosamine derivanti dalle proteine del sangue tra cui le albumine sono conosciute come Glycated Serum Protein (GSP) o Glycated Albumin (Delpierre et al., 2002). Durante stati prolungati di iperglicemia, come nel diabete, le aldimine (basi di Schiff) rappresentano le basi per ulteriori riarrangiamenti molecolari che portano alla formazione degli AGEs (Advanced Glycation Endproducts, prodotti derivanti da un meccanismo di glicazione avanzata) (Brownlee M. et coll., 1988). Tali trasformazioni possono avvenire a livello dei fosfolipidi, dei nucleotidi e delle proteine, preferibilmente su quelle proteine che hanno un basso grado di ricambio fisiologico. Dopo alcuni giorni le basi di Schiff possono formare composti più stabili chiamati prodotti di Amadori. Affinché si possano formare gli AGEs sono necessarie trasformazioni più avanzate che durano settimane e che implicano reazioni di deidratazione, condensazione, frammentazione ossidazione e
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ciclizzazione. La formazione di tali composti provoca una disfunzione endoteliale, reazioni infiammatorie e stress ossidativo (Meerwaldt et al., 2008).
La concentrazione di fruttosamina nel sangue periferico è una misura della glicazione di tutte le proteine del siero; approssimativamente il 80-90% di esse, nell’uomo, è attribuibile alla glicazione delle albumine (Johnson et al., 1982; Kennedy, 1992). Conseguentemente i principali fattori che influenzano la formazione della fruttosamina sono l’emivita delle siero albumine (che è riportata essere pari a 19 giorni nel cavallo, Mattheeuws et al., (1966)) e la media della concentrazione di glucosio a cui l’albumina è esposta mentre è in circolo. Pertanto, la concentrazione di fruttosamina nel sangue periferico, varia in accordo con il livello di glucosio valutato nel lungo periodo e/o il metabolismo proteico di un individuo.
I vantaggi della determinazione della fruttosamina rispetto a quelli dell’emoglobina glicata sono molteplici: facile eseguibilità del test per la sua determinazione, possibilità di stoccaggio dei sieri che consente una raccolta più agevole per la determinazione in un unico tempo (standardizzazione dell’errore metodologico). A differenza del dosaggio dell’emoglobina glicata, la fruttosamina sembra essere più fedelmente correlata alle fluttuazioni glicemiche e metaboliche del diabete probabilmente per la sua breve emivita; altri vantaggi sono rappresentati da: una maggiore rapidità nel raggiungimento di un compenso glicemico (dopo circa solo 7 giorni) mentre per ottenere una normalizzazione del valore di emoglobina glicata occorrono oltre quattro settimane di euglicemia, maggiore potere discriminante tra soggetti sani e soggetti diabetici,maggiore facilità e rapidità di dosaggio.
Secondo Malik et al. (2000) la determinazione dell’emoglobina glicata avrebbe una maggiore sensibilità rispetto alla fruttosamina per il controllo glicemico nei soggetti diabetici. Infatti in molti soggetti con elevati valori di emoglobina glicata si sono osservati normali livelli di fruttosamina. La specificità è risultata elevata per entrambi gli indicatori. Tuttavia l’emoglobina glicata può risultare alterata nei soggetti che hanno riportato perdite di sangue recenti, anemia emolitica o emoglobinopatia come la anemia falciforme. Questi soggetti non sono adeguati per essere sottoposti ai metodi che si usano per la valutazione della glicosilazione dell’emoglobina che tengono conto dell’elevato turnover della stessa emoglobina.
Esistono però anche alcuni limitazioni, infatti l’attendibilità del risultato è correlata al tasso delle proteine sieriche, in tutte la condizioni in cui esiste una ipoprotidemia o un aumento del tur-over metabolico delle proteine; per converso esiste una ottima correlazione tra tale indagine e la glicemia post prandiale, la glicemia media e quella a digiuno.
Dalle ricerche condotte nell’uomo sull’emoglobina glicata e sulla fruttosamina, è stato evidenziato che ogni modificazione di 3.3 mmol (60 mg/dl) nella media dei livelli di glucosio comporta un
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aumento del 2% di emoglobina glicata (HbA1c) e 75µmol dei valori di fruttosamina (Bartol, 2000).
Comunque, il limite più elevato dei lavori di riferimento di molti laboratori è pari a 285 mmol/l come equivalente del 7,5% di HbA1c piuttosto che il 6.5%.
In una ricerca di Wahid et al. (2001) nell’uomo si è indagato sulla relazione fra stress, iperglicemia, e rischio di una futura insorgenza di diabete mellito. I risultati hanno mostrato che i valori di fruttosamina in questi soggetti iperglicemici sono più correlati con la successiva insorgenza di diabete rispetto ai valori di glucosio. L’obesità non sembra interferire con i valori di fruttosamina dei soggetti diabetici e non diabetici (Woo et al.,1992). Sempre nell’uomo, i livelli di fruttosamina sono stati indagati da Tahara et al.(1995) come markers di stress cronico osservato in precedenza nei medesimi soggetti
Nell’uomo, non è presente un range di riferimento disponibile per interpretazione dei dati di questo parametro. I valori di riferimento dipendono da diversi fattori: età del paziente, sesso, campione della popolazione e la tipologia del test che viene utilizzato. Quindi, ciascuna relazione di laboratorio dovrebbe includere gli specifici range di riferimento del test.
Recentemente un numero di ricerche nella medicina veterinaria, hanno riportato il soddisfacente utilizzo della determinazione della concentrazione di fruttosamina per monitorare il controllo terapeutico della iperglicemia dei cani affetti da diabete mellito (Jensen and Aes, 1992; Jensen, 1992; Reusch et al., 1993; Graham, 1995) e dei gatti (Kaneko et al., 1992; Reusch et al., 1993).
Viceversa, Cantley et al (1991) hanno riportato che la concentrazione di fruttosamina nel siero è diminuita in pecore con una tossiemia gravidica come conseguenza di un prolungato stato di ipoglicemia.
Hogan e Phillips (2008) hanno proposto l’utilizzo della fruttosamina come indicatore per individuare precedenti situazioni di malnutrizione (in particolare carenza di energia). Sempre con lo scopo di analizzare in modo retrospettivo il livello medio di glucosio ed ottenere informazioni sul metabolismo energetico e sui disordini metabolici associati, la fruttosamina è stata oggetto di ricerche nelle bovine da latte in fase di transizione. Oppel et al. (2001) hanno osservato una significativa correlazione fra i livelli di fruttosamina nel plasma con i livelli medi di glucosio nelle due settimane precedenti il controllo. Gli stessi autori hanno riscontrato una correlazione significativa anche fra i livelli di emoglobina glicata con valori medi di glucosio delle 4 settimane precedenti il controllo.
Infine i livelli di fruttosamina nel periodo di transizione sono stati studiati in allevamenti con elevata prevalenza di dislocazione dell’abomaso (Stengärde et al.,2008). In queste condizioni sperimentali (allevamenti privati) non è stata trovata una relazione stretta fra fruttosamina e livelli di glucosio precedenti; gli autori ritengono che la mancata correlazione sia principalmente
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conseguente alla scarsa variabilità della glicemia nella bovina. Tuttavia in queste condizioni di campo altri fattori potrebbero alterare la glicemia (tempo intercorso tra pasto e prelievo, tempo intercorso tra prelievo e centrifugazione). Nell’uomo la fruttosamina è stata utilizzata come indicatore per lo studio della quota di carboidrati presenti nella dieta, in particolare degli zuccheri semplici (Misciagna et al., 2004). Da questo studio si è osservata una maggiore utilità della fruttosamina rispetto all’emoglobina glicata.
Al contrario, Sorondo e Cirio (2009), non hanno trovato in bovine da latte sistematiche correlazioni significative fra la fruttosamina ed i livelli medi di glicemia nelle 3 settimane precedenti. In questa ricerca alcuni fattori di disturbo potrebbero aver influenzato i livelli di glucosio. Inoltre, la determinazione del glucosio è stata effettuata sul siero, con possibile effetto sul livello di glucosio nel tempo necessario per la sierizzazione.
Nel periodo di transizione si possono frequentemente osservare situazioni di stress ossidativo di entità variabile. Lo stress ossidativo promuove la formazione di fruttosamina. Una stretta relazione fra lipoperossidi e fruttosamina è stata osservata in pazienti non diabetici, non dializzati e con danni renali cronici (Selvaraj, 2002). Una stretta relazione fra fruttosamina e malondialdeide è stata osservata in pazienti anemici (Sundarm, 2007).
In aggiunta a questa applicazione nel monitoraggio della glicemia, è stato proposto che la misura della fruttosamina possa riflettere le alterazioni del tasso del turnover proteico (Heath and Connan 1991). Infatti i valori di fruttosamina tendono a diminuire con un aumento del turnover delle proteine plasmatiche. Così Heath e Connan (1991) hanno osservato una riduzione dei livelli di fruttosamina nel plasma in presenza di parassiti gastrointestinali, come conseguenza della “perdita”
di proteine per effetto della gastroenteropatia. Tali circostanze non sono peraltro frequenti nelle lattifere e le variazioni non sono rapide.
Infine, Jensen et al (1993), hanno proposto come range di riferimento per il bovino le concentrazioni comprese tra 213,3 µmol/l e 265 µmol/l. Questi autori hanno osservato che i valori non sono influenzati dalle variazioni acute della glicemia senza osservare quindi variazioni circadiane. Valori molto più ampi come range di riferimento (183-365 µmol/l) sono stati proposti da Hogan e Phillips (2008) per i bovini da carne.
77 6. 6. SCOPO GENERALE
La problematica della valutazione del benessere degli animali è alquanto complessa e dibattuta poiché il termine benessere viene definito ed affrontato in modi diversi, ed è quindi imperativo per la sua valutazione che si giunga ad una minima condivisione sul significato di benessere animale. E’
ampiamente accettato che una più accurata valutazione del benessere si ottiene con una combinazione di differenti tipi di rilievo: descrizione del sistema di allevamento e del suo management (indicatori indiretti) e risposta degli animali alle condizioni in cui vengono allevati (indicatori diretti); tuttavia l’impiego dei soli indicatori diretti, non consente di evidenziare le cause di riduzione di benessere in allevamento. Pertanto in un modello di valutazione del benessere animale, occorre quindi aggregare i diversi aspetti del benessere in un valore complessivo e includere livelli soglia in termini di benessere accettabile e non accettabile, fissando anche standard minimi per i singoli aspetti.
Alla luce di tutte le difficoltà messe in luce precedentemente è evidente che il modello di valutazione del benessere necessita di una validazione. Anche da quest’ottica, le difficoltà sono numerose dal momento che non esiste un gold standard di riferimento per il benessere e per i suoi diversi aspetti; alla luce di questo è necessaria una validazione. Pertanto, gli obiettivi che le nostre ricerche si prefiggono, si possono così riassumere:
studiare indicatori di tipo biochimico-fisiologico utilizzabili per una valutazione più oggettiva del benessere/malessere degli animali, con il principale intento di evidenziare soprattutto le situazioni di stress di tipo cronico. Questi indicatori, insieme ad altri già consolidati con precedenti ricerche, potranno essere di aiuto per la validazione dei modelli di valutazione -certificazione del benessere di allevamento utilizzabili in campo;
impiego di questi indicatori per contribuire alla validazione del modello SDIB di valutazione del benessere negli allevamenti di bovine da latte messo a punto dall’Istituto di Zootecnica.
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