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CORTO VIAGGIO SENTIMENTALE E VINO GENEROSO

LA RIGENERAZIONE DI ITALO SVEVO

CORTO VIAGGIO SENTIMENTALE E VINO GENEROSO

L’interesse che Svevo dimostra in questi anni per le manifestazioni sotterranee della coscienza influenza in modo marcato anche due testi che intrattengono con La rigenerazione legami ancor più profondi e complessi di quelli individuati nella Coscienza: Corto viaggio sentimentale e Vino generoso.

Il primo, un racconto lungo composto probabilmente fra il giugno del 1925 e l’inizio del 1926, affronta con estrema efficacia poetica e lucidità analitica alcuni dei temi del testo teatrale. Il racconto, che si dipana in sette capitoli, percorre le tappe di un viaggio in treno che l’anziano signor Aghios deve compiere da Milano a Trieste con una considerevole somma di denaro per concludere un’incombenza economica di una certa urgenza. Allontanatosi finalmente dalla moglie e dal «groviglio di affari e affarucci che gremivano la vita»200, Aghios sperimenta una inedita solitudine che gli permette di abbandonarsi prima all’osservazione dei compagni di viaggio e del paesaggio che scorre di fronte ai suoi occhi, poi all’analisi della propria condizione esistenziale.

Aghios proprio come il Giovanni della pièce ha la necessità di distaccarsi dalla grigia quotidianità borghese e soddisfare una brama di libertà troppo a lungo soffocata.

Ogni malessere che sentiva il signor Aghios lo diceva vecchiaia, ma pensava che una parte di tale malessere gli venisse dalla famiglia. Sta bene che vecchio come ora non era mai stato, ma mai s’era sentito, oltre che vecchio, anche tanto ruggine. E la ruggine proveniva sicuramente dalla famiglia, l’ambiente chiuso ove c’è muffa e ruggine. Come non irrugginire in tanta monotonia? Vedeva ogni

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M. Lavagetto, L’impiegato Schmitz e altri saggi su Svevo, cit., p. 95.

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78 giorno le stesse facce, sentiva le stesse parole, era obbligato agli stessi riguardi e anche alle stesse finzioni, perché egli tuttavia accarezzava giornalmente sua moglie che certamente lo meritava. Persino la sicurezza di cui si gode in famiglia addormenta, irrigidisce e avvia alla paralisi.201

Il desiderio sensuale, ridestato dalla contemplazione delle figure femminili incrociate lungo il percorso, è uno dei sintomi più chiari di questa ritrovata emancipazione e innesca una serie di riflessioni sulla vecchiaia, sulla moralità, sulle scelte compiute nel passato e quindi sui rimpianti.

La lontananza dalla gabbia famigliare, colma di rancori trattenuti, permette ad Aghios di comprendere quanto lui sia estraneo al mondo cui appartiene caratterizzato da legami convenzionali. Il rapporto interpersonale è alterato da un insieme di cerimoniali e protocolli, da una serie di “puntelli” che impacciano i movimenti: l’individuo, la cui libertà di espressione e azione è limitata, si trasforma in una sorta di sostegno cui gli altri si aggrappano.

Particolarmente forti sono le costrizioni entro le mura domestiche tanto che la moglie e il figlio agli occhi di Aghios appaiono, attraverso il filtro chiarificatore del viaggio, tragicamente incapaci di intuire quanta sete di vita “intensa” ancora si nasconda nell’anziano marito e padre. Egli, circondato solo da un vuoto rispetto, trascina i propri giorni in una monotonia troppo simile all’immobilità della morte.

La moglie, unica donna nell’immaginario del protagonista a essere privata di ogni componente di sensualità, si è trasformata in una premurosa e castrante infermiera che, con le sue continue raccomandazioni, non fa che sottolineare la condizione di vecchiaia del consorte. Nei confronti della moglie si gioca la partita essenziale con la moralità (“giustizia” non a caso è la parola connessa a questo personaggio): Aghios si dibatte dolorosamente fra l’istinto sovversivo e libertario e un castrante senso di responsabilità che impone il ritorno all’ordine e istilla un insinuante senso di colpa. E nel momento in cui il vecchione sveviano riflette sul problema della libertà connesso con quello del desiderio sessuale e della riconquistata giovinezza, sono citati proprio i nomi di Eugen Steinach e Serge Voronoff: in un cortocircuito metatestuale Aghios prende in considerazione quell’operazione di ringiovanimento a cui effettivamente si sottoporrà Giovanni Chierici ne La rigenerazione. A rinsaldare i legami semantici fra le due opere

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79 interviene anche il mito di Re Davide che, come ho già osservato, è uno dei leitmotiv più significativi dell’ultimo Svevo:

Ma pure questo pensiero non era abbastanza libero, perché egli continuava a discutere la propria libertà di amare le donne degli altri. […] Oggidì era acquisito dalla scienza che le giovani e belle donne erano più necessarie ai vecchi che ai giovani. […] Ai vecchi non si concedevano che in casi rarissimi: Gerontomania. Ma se si confermava quello che Woronoff e Steinach asserivano? Meglio di loro, sarebbe servita a ridestare nei vecchi organismi la memoria, l’attività, la vita, una bellissima fanciulla o, più precisamente, una bellissima fanciulla alla settimana. Già i vecchi ebrei pensavano così e per tenere in vita re Davide, gli offersero una bella fanciulla. Ma egli non volle toccarla e dovette miseramente perire.202

La moglie di Aghios, come quella di Giovanni de La rigenerazione e l’Augusta del quarto romanzo, aderisce perfettamente al modello di vita borghese che le è stato affidato e si adegua acriticamente al ruolo e agli obblighi della vita familiare e, a differenza del marito, sembra accettare la propria condizione anagrafica. Come osserva in modo pungente Aghios ella «invecchiava peggio di lui, perché essa poi mancava del suo libero pensiero»203.

Il figlio incarna invece lo iato profondo che separa due generazioni. Il giovane non perde occasione di rimarcare l’inadeguatezza culturale e l’anacronismo delle esternazioni paterne, negando quindi al genitore il ruolo di educatore e di guida che egli si aspetta.

Nettamente divisi appaiono l’universo concreto della realtà e quello astratto del desiderio: il primo statico e abitudinario, il secondo dominato da un’irrequietezza mai paga. E se nella vita coniugale Aghios deve rispondere alle rigide regole morali della fedeltà, nelle sue fantasticherie l’uomo sa di potersi abbandonare senza fallo e rimorsi ai più sfrenati vagheggiamenti di adulterio.

Egli credeva così di essere rimasto sempre un monogamo virtuoso che poteva sopportare lo sguardo sincero della moglie. Essa non c’entrava nel suo mondo ideale. Il reale era tutto suo. Tutto era nettamente diviso, perché nei suoi sogni essa non entrò giammai e adesso, in viaggio, meno che mai, perché il signor Aghios volava come se il treno si fosse mutato in un aeroplano.204

202 Ivi, pp. 522-523. 203 Ivi, p. 523. 204 Ivi, p. 521.

80 La partenza è uno dei tentativi di fuga messi in atto dal vecchio sveviano che rifiuta la propria condizione anagrafica e familiare. Egli quotidianamente sperimenta una scissione dell’io imposta dalle norme del vivere civile e, rimasto solo, spera di riconquistare la propria interezza.

Il viaggio, proprio come ne La rigenerazione l’operazione di ringiovanimento, ha il potere di sostituire la realtà concreta con una dimensione immaginaria popolata da simboli e figure fantasmagoriche. La dimensione teatrale del racconto è spiccata e ad amplificarla entra in gioco la dimensione spaziale dello scompartimento del treno: un luogo chiuso e apparentemente statico ma allo stesso tempo mutevole grazie allo sbocco su un paesaggio sempre nuovo. Lo sguardo del protagonista si moltiplica: dapprima incuriosito dai passeggeri, che in questo microcosmo metonimico incarnano vari tipi umani, l’occhio di Aghios si sposta sull’osservazione del panorama per poi smarrirsi e isolarsi nel riflesso della propria immagine sulla parete specchiante della finestra.

Guardò fuori della finestra e cominciò a contare i pali del telegrafo come andavano via. Poi, per lungo tempo, non li contò più e fu consapevole di essere rimasto nel più assoluto riposo di pensiero a guardare senza vedere. I pali e la campagna o una parte di vita fuggono senz’essere visti o sentiti. Quando ritornò in sé, dubitò che una cosa simile possa esistere, ma non ricordò che ci fosse stato, in quello spazio di tempo, il menomo movimento della memoria o del pensiero.205

Il tragitto concreto del treno si trasforma, allegoricamente, in un percorso onirico e immaginario dove, paradossalmente, è possibile riconquistare l’autenticità smarrita. Svevo mette in atto uno «straniamento analitico dell’io attraverso due topoi speculari, quello del sogno e quello del viaggio, concepiti e costruiti entrambi come luoghi di temporanea sospensione dei parametri reali»206.

Dal momento in cui mette piede nella stazione e sta per separarsi dalla moglie, Aghios avverte la necessità di diventare un altro ed emanciparsi dall’impostura di legami familiari fondati su regole e vincoli del tutto artificiosi:

205

Ivi, pp. 529.

206

C. Verbaro, Il viaggio e il sogno: i modi analitici dello straniamento, in AA.VV., Italo Svevo. Il sogno e la vita vera, cit., p. 95.

81 Bisognava abbreviare quegli addii ridicoli se prolungati fra due vecchi coniugi. Ci si trovava bensì in uno di quei posti ove tutti hanno fretta e non hanno il tempo di guardare il vicino neppure per riderne, ma il signor Aghios sentiva costituirsi nell’animo proprio il vicino che ride. Anzi lui stesso intero diveniva quel vicino. Che strano! Doveva fingere una tristezza che non sentiva, quando era pieno di gioia e di speranza e non vedeva l’ora di essere lasciato tranquillo a goderne. Perciò correva, per sottrarsi più presto alle simulazioni.207

Nel dipanarsi del racconto Aghios metterà in atto più volte questo cambiamento della prospettiva: la sua coscienza come liberata dal vincolo del corpo riesce a dislocarsi di volta in volta in altri personaggi incontrati lungo il tragitto. Non solo lo sguardo ma anche l’identità di Aghios si fraziona ed espande dal momento in cui i suoi compagni di viaggio si trasformano in proiezioni della sua personalità multiforme: questo processo di identificazione e spostamento ricalca il procedimento onirico.

Il treno, piccolo teatro del mondo, riunisce una serie di figure in cui è possibile riconoscere alcune caratteristiche dello stesso Aghios: l’aspetto borghese e convenzionale è incarnato dal signor Borlini, mentre è possibile riconoscere in Bacis gli stessi dubbi che hanno tormentato Aghios negli anni della giovinezza.

Ad essere sottolineato, come ne La rigenerazione, è però il misterioso legame che unisce in una tacita corrispondenza emotiva le due età estreme, la vecchiaia e l’infanzia. Due sono i bambini con cui si identifica Aghios, entrambi oggetto dello scherno degli adulti: la prima è la figlia di una coppia di contadini veneti che per un breve tratto occupano lo stesso scompartimento di Aghios, il secondo è il figlio del signor Borlini, solo evocato attraverso i racconti del padre.

La bambina, mossa da una intensa curiosità ed eccitata dal suo primo viaggio, si affaccia al finestrino del treno dove sperimenta una terribile delusione: deve accontentarsi di osservare il paesaggio che scorre di fronte ai suoi occhi perché non può vedere né il treno né se stessa. Questo personaggio svela da subito il valore metaforico del termine “vedere” che per Aghios, come sarà per Giovanni Chierici, diventa necessità di recuperare la propria interezza attraverso l’indagine della propria coscienza. Solo nella rappresentazione onirica sarà possibile conquistare quella visione completa che permette di osservare e insieme osservarsi dall’esterno.

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82 La piccina guardò la campagna che fuggiva e per qualche minuto stette silenziosa. Poi aderì con tutta la faccia al vetro e il signor Aghios sorrise perché intese che faceva così per vedere meglio. Indi si volse al padre piagnucolando: “Mi voria veder”.

“E no ti vedi?” domandò il padre stupito.

“Mi no che no vedo!” esclamò la fanciulla e volse alla madre i chiari occhi, resi anche più chiari dalle lacrime che cominciavano a formarvici. […] La madre domandò: “Ma coss’ti vol veder? No ti vedi tuto? ”. La fanciulla scoppiò in pianto: “No vedo el treno”. Il Borlini scoppiò in una risata e i genitori risero anche loro, un po’ imbarazzati dalla bestialità della figliuola. Il solo Aghios fu commosso.

Egli solo sentiva e sapeva il dolore di non poter vedere se stesso come viaggiava. Il piacere del viaggio sarebbe tutt’altro se si avesse potuto vedere il grande treno con la sua macchina come procedeva traverso alla campagna, come un serpente veloce e silenzioso. Vedere la campagna, il treno e se stessi nello stesso tempo. Quello sarebbe stato il vero viaggio.

Domandò sorridendo: “È la prima volta che la cara bambina viaggia?”.

“Sì!” disse pronta la contadina. “E se ghe ne parla zà da quindese zorni de sto viagio.” L’Aghios si commosse. Quindici giorni su questo viaggio e trovarsi poi in questa gabbia chiusa! Nella mente giovinetta il viaggio avrebbe dovuto concedere il piacere di una passeggiata senza fatica moltiplicato per infiniti numeri. Quale delusione! 208

Anche ad Aghios il viaggio, chimera di libertà, rivela il proprio inganno e i propri limiti. Le aspettative maturate nell’attesa della partenza sono leopardianamente deluse209: fuggito alla famiglia è comunque intrappolato nelle dinamiche dei rapporti interpersonali che impongono paletti, ipocrisie e menzogne. Neanche nel porto franco del treno il vecchio sveviano riesce a trovare una collocazione adeguata.

Si contrappongono nettamente due concezioni della vita: da una parte il mondo degli adulti accecati dal senso del dovere e dal bisogno di un rigore morale teso a sacrificare gli istinti selvaggi in nome di una posizione riconosciuta dalla società civile; dall’altra l’universo infantile (al quale aderisce intimamente Aghios) dotato di uno sguardo limpido e insieme profondo. Solo Aghios infatti comprende la

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Ivi, pp. 541-542.

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Un atro riferimento leopardiano in Corto viaggio sentimentale è possibile individuarlo nel brano dedicato al piacere intrinseco che si riceve dal solo atto del ricordare: «Ma il dolore ricordato non è sempre dolore. Ora egli vi sentiva la vita intensa. Oh! Se si avesse potuto ricreare tutta quell’impazienza e quel dolore! Quale rinnovamento di vita! La vita non può essere che sforzo, risentimento e attesa di gioia!». Ivi, p. 505.

83 tragedia della bambina tormentata dall’aspirazione di “vedere il treno” mentre c’è dentro.

La complicità, seppur indiretta, che Aghios instaura con l’altro bambino, il figlio minore del signor Borlini, è ancora più forte. Attraverso il racconto paterno di alcuni episodi che riguardano il piccolo Pucci, l’anziano protagonista comprende di condividere con il mondo infantile le stesse paure e i medesimi dubbi, e di vivere in una condizione in cui le categorie di sogno e veglia appaiono contigue. Inoltre anche il Pucci è condannato all’incomprensione e alla derisione di chi, perfettamente inserito nel ruolo che la società gli assegna, confonde una tale acutezza percettiva per puerile capriccio. Del resto lo stesso Aghios subisce un processo di infantilizzazione da parte della moglie che lo considera un uomo distratto (vedremo come tale accusa graverà anche su Giovanni Chierici) da osservare con indulgente compatimento.

Entra in gioco anche nel caso di Pucci un differente modo di “vedere”:

[Pucci] vedeva tutte le cose che non importavano, le automobili che passavano lontane e non quelle che minacciavano di schiacciarlo e il palazzo alto e non la pietra su cui incespicava. “Dovrebbe essere consanguineo di quella bambina che non vedeva il treno” disse il signor Aghios.210

Mentre il suo fratellino maggiore camminava sicuro, attaccato alla mano del padre, Paolucci si faceva sempre trascinare. Era come la moglie di Lot e guardava dietro a sé. Certo per vedere più a lungo le cose.211

Pucci, Aghios e, come vedremo, Giovanni Chierici assumono rispetto alla realtà una prospettiva affatto originale, rovesciata e dilatata: sono personaggi non perfettamente ancorati al presente ma continuamente risucchiati in un passato che si ripresenta attraverso visioni, sogni e ricordi.

Gli incubi che ossessionano il Pucci e il signor Aghios hanno la stessa matrice: la paura della morte, ancora inconscia nel bambino, accompagna i vecchioni sveviani che traducono l’angoscia del trapasso in inquietanti immagini notturne:

L’Aghios lo intendeva, perché anche lui aveva sofferto di paure quando ancora la vita non gli aveva insegnato quanto minacciosa essa fosse. Aveva sognato di quegli animalucci piccoli, rapidi, inafferrabili e schifosi, roditori e insetti quando ancora non

210

Ivi, p. 542.

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84 aveva sospettato che prima o poi l’avrebbero raggiunto, e di grandi oscurità prima di sapere che l’oscurità era la nostra meta.212

Il Borlini raccontò che una mattina Paolucci si destò affannato e raccontò di aver sognato di asini e cavalli, che gli correvano addosso minacciosi, per dargli calci. E il Borlini, vantandosi, raccontò ch’egli interruppe il racconto domandandogli: “Ti davano dei calci con le zampe anteriori o con le posteriori?”. “Con le anteriori!” disse il bambino. “Ebbene!” disse il Borlini. “È un sogno, perché quegli animali non possono dare dei calci con le gambe anteriori.” Il signor Aghios rise, ma pensò: “Povero Paolucci! Una vera crudeltà! Spezzare i sogni dei bambini con la scienza”.213

Il passaggio sopra citato è essenziale per approfondire la distanza che separa la sensibilità infantile da quella adulta. In questa opposizione è possibile riconoscere il medesimo scarto che Svevo ha voluto stabilire tra immaginario poetico e approccio scientifico: l’autore, sottolineando l’aridità del Borlini che pretende di dare una spiegazione razionale al sogno del figlio, ribadisce la libertà dell’artista nel rielaborare e umanizzare il dettame freudiano.

E allo psicoanalista viennese si fa riferimento in modo diretto in uno scambio di battute fra un giovane passeggero e lo stesso Aghios che polemizza aspramente con le nuove teorie.

Eppure, con procedimenti simili a quelli adottati nella Cocienza di Zeno, anche Corto viaggio sentimentale sembra debitore delle teorie freudiane che trovano la loro traduzione letteraria non solo nel resoconto di veri e propri sogni ma nel sottile rapporto che si instaura fra il viaggio e il meccanismo onirico.

La retorica del viaggio nel racconto utilizzerà due dei procedimenti che Freud individua come tipici del sogno: la condensazione e la drammatizzazione che nel racconto modellizzeranno rispettivamente due topoi ben presenti nel racconto […], la deformazione delle immagini e la messa in scena delle parti dell’io attraverso un’esteriorizzazione in personaggi, figurazioni, punti di vista.214

Tale dispositivo troverà l’espressione più congeniale nella forma teatrale dove i fantasmi dell’immaginario, tanto vivi nella mente del personaggio, possono

212 Ivi, p. 543. 213 Ivi, pp. 545. 214

C. Verbaro, Il viaggio e il sogno: i modi analitici dello straniamento, in AA.VV., Italo Svevo. Il sogno e la vita vera, cit.,AA.VV., Italo Svevo. Il sogno e la vita vera, cit., p. 96.

85 conquistare quella concretezza che in narrativa può essere restituita solo indirettamente.

Svevo in Corto viaggio sentimentale e La rigenerazione indaga gli stessi procedimenti psichici di due personaggi che non riescono ad aderire completamente al presente. L’autore dunque rompe la linearità del racconto e del dramma attraverso l’interferenza continua di frammenti di ricordi, di fantasie, revêrie e sogni che si inseriscono, per sconvolgerla, in una struttura apparentemente compatta in quanto limitata dallo stretto scompartimento del treno e dalla breve durata del viaggio.

In realtà il confine angusto ha qui il potere di moltiplicare i piani narrativi, di sconvolgere le coordinate spaziotemporali e di scatenare l’immaginario di Aghios i cui pensieri si lasciano trascinare in una serie di libere associazioni. Il binario su cui corre il personaggio, immagine efficacissima di un percorso esistenziale già segnato da cui è impossibile deviare, si spezza permettendo ad Aghios di assaporare, seppure per poco tempo, una libertà ignota.

Le rotaie sono presenti anche nel sogno descritto alla fine del racconto: Aghios, seduto in un carrello, è scagliato nello spazio libero da ogni vincolo; la sua destinazione è il pianeta Marte, un edenico luogo che il sognatore può plasmare come desidera. La visione dell’assopito viaggiatore non fa che riproporre la ridda di pulsioni, paure e sensi di colpa che tormentano la sua coscienza. Tornano i leitmotiv dell’intera novella quali l’aspirazione alla libertà, l’emancipazione dai rapporti interpersonali destinati all’incomprensione, l’irrompere della figura femminile incarnazione del peccato. Di estremo interesse è proprio la compagna del viaggio onirico di Aghios: essa assume i contorni di Anna che il vecchio ha potuto conoscere attraverso il racconto del giovane Bacis. Il ragazzo destinato a sposare una donna che

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