LE RELIGION CLAUSES NELLA
1. Che cosa intendo dire
Mi è stato chiesto di riflettere su tre pronunce della US Supreme Court, decise tra il 2009 e il 2014: Pleasant Grove City, v. Summum (555 U.S. 2009); Salazar, v. Buono (559 U.S. 2010); Town of Greece, v. Galloway (572 U.S. 2014).
Tali decisioni - affrontando, a vario titolo, il tema
1 Ricercatrice di diritto costituzionale, Università degli Studi di Bologna.
dell’esposizione di simboli religiosi (Pleasant Grove City v. Summum e Salazar v. Buono) o dell’uso della preghiera (Town of Greece v. Galloway) nello spazio pubblico - offrono l’occasione per allargare la riflessione che ha interessato il dibattito italiano, ed europeo, in tema di laicità e simboli religiosi nello spazio pubblico: su entrambe le sponde dell’Atlantico, si può concludere, questioni di tale tipo risultano divisive e scivolose2.
Due delle tre pronunce prese in considerazione, Town of Greece v. Galloway e Salazar v. Buono, riguardano direttamente le cd. religion clauses3,
mentre la terza, Pleasant Grove City v. Summum, solo indirettamente. Esse dimostrano che l’attuale interpretazione, in particolare, della Establishment Clause non gode di un solido consenso in seno alla Corte Suprema: invero i diversi test e distinguo, utilizzati dai giudici per argomentare la loro posizione, non sembrano essere ancorati a un solido riconoscimento, né tantomeno avere, come è inevitabile, lo stesso significato per tutti e nove, come dimostra anche il fatto che vengano utilizzati per arrivare a conclusioni opposte4.
2 A tale proposito, mi sia consentito un caveat che ritengo necessario, considerata la complessità del tema e della giurisprudenza che lo tratta: la mia indagine è condotta in un’ottica di studiosa di diritto costituzionale che si è occupata di queste tematiche con riguardo all’ordinamento italiano, francese e nell’ambito del cd. sistema CEDU. Mi riprometto dunque di pormi nella prospettiva di chi cerca di riflettere in quale misura i modelli argomentativi utilizzati dalla US Supreme Court potrebbero essere utili al dibattito in altri contesti.
3 Le ben note cd. religion clauses sono la Free Exercise Clause, ‘Congress shall make no law …. Prohibiting the free exercise [of religion]’, e la cd. Establishment Clause, ‘Congress shall make no law respecting an establishment of religion’. Le due previsioni sono da considerarsi complementari, avendo come scopo quello di proteggere la libertà religiosa da interferenze governative. In particolare, l’Establishment Clause protegge la libertà di coscienza, assicurando che il governo non sia allineato con una particolare religione o con la religione in generale e che, allo stesso tempo, non proibisca il libero esercizio di essa. In questa ottica la Establishment Clause risulta servente all’inclusione, consentendo a tutti i cittadini di percepirsi come parte stessa della nazione.
4 Cfr. M. Nussbaum, Liberty of Coscience. In Defense of America’s Tradition of Religious Equality, Basic Books, New York, 2008, p. 227 e ss.; ma anche R. Garnett, Symposium: Religious Pluralism, civic unity, and the judicial role, in “Supreme Court of the United States Blog”, 8/5/2014, disponibile su: http://www. scotusblog.com/2014/05/symposium-religious-pluralism-civic- unity-and-the-judicial-role/): «Now as before, when it comes to
La dottrina maggiormente critica con l’attuale Corte Roberts mette in evidenza che l’idea della Establishment Clause, intesa, in particolare negli ultimi decenni5, come garanzia di uno spazio
pubblico equidistante rispetto ai cittadini delle differenti fedi e a quelli che non ne professano nessuna, è sotto attacco6. Che ciò sia vero o meno
non c’è dubbio che la accomodation of religion, dacchè era considerata una peculiarità statunitense che godeva di grande consenso7, è al momento
‘caduta in disgrazia’ anche a causa dell’ascesa di una incisiva forma di legal egalitarianism che la giudica discriminatoria nei confronti delle diverse minoranze che compongono la società.
Certamente dalle tre decisioni che qui si commentano appare evidente la spaccatura di vedute (De Girolami parla in sostanza di due opposti ‘blocchi di voto’) tra la componente liberal e quella conservative, composta dal Chief justice Roberts, e dai justices Scalia, Alito, Thomas
public-religion cases, no single “test” controls, no one factor is decisive, and not much confidence is warranted about the outcome of the next case». Secondo P. Horwitz, The Lobby test, in Harvard Law Review, vol. 128, 2014, p. 154 ss. se è vero che la Corte è periodicamente criticata per l’incoerenza della sua giurisprudenza in materia di religion clauses, è però altrettanto vero che, nonostante le diverse posizioni sostenute dai giudici, in linea generale il «judicial treatment of the American church-state settlement has been relatively stable».
5 Sul punto si veda almeno F. Onida, Il fenomeno religioso nei sistemi giuridici extraeuropei, in F. Margiotta Broglio, C. Mirabelli, F. Onida, Religioni e sistemi giuridici, Bologna, 2004; più in generale sul ruolo delle fedi religiose nello sviluppo della democrazia americana si rinvia a T. Bonazzi, Introduzione alla Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, Venezia, 1999, p. 47 ss. nonché al classico testo di G. Jellinek, La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, nella versione italiana a cura di G. Bongiovanni, Roma-Bari, 2002, p. 37 ss. 6 Secondo M. Nussbaum, op. cit., p. 231, alcune tesi radicali sostenute un tempo solo da un certo tipo di dottrina, sono ora entrate in seno alla Corte. Lo stesso M. O. De Girolami, nel suo scritto, afferma che si sta assistendo a una restrizione del portato della establishment clause. Rimando anche alle note posizioni di E. CHEMERINSKY espresse nel capitolo dall’icastico titolo Dismantling the Wall Separating Church and State, in The Conservative Assault on the Constitution, New York, 2010, p. 101 ss. 7 P. Horwitz, op.cit., in particolare pp. 167-172, che, esemplarmente, richiama P.A. Hamburger, A Constitutional Right of Religious Exemption: an Historical Perspective, 60 The George Washington Law Review 915, 916-17, 929-30 (1992).
e, almeno per quanto concerne i casi oggetto di questa analisi, anche Kennedy. Di tale divisione vi è chi, in questo stesso volume, dà un’interpretazione diversa: la giurisprudenza Roberts si potrebbe cioè spiegare come condizionata dalla storia personale dei giudici e dalla comprensione del contesto storico in cui la Corte opera, ancor più che dalle dottrine sull’interpretazione costituzionale8.
Almeno due tra le posizioni espresse dai giudici di maggioranza, apertamente ostili alla nozione della separazione tra church e state, vanno richiamate: quella, del justice Thomas, perché radicale (anche se solitaria in seno al collegio), sostenuta ripetutamente (anche in Town of Greece v. Galloway), in base alla quale egli nega che la Establishment Clause si applichi agli stati, arrivando a sostenere che ciascuno di essi possa proclamare un credo religioso statale (così ad es. lo Utah si potrebbe dichiarare mormone, o il Connecticut cattolico)9; quella portata avanti da
Kennedy, perché sostanzialmente condivisa dalla maggioranza, in base alla quale l’Establishment Clause non proibirebbe certamente il supporto governativo che si esprima nell’endorsement della religione in generale o, anche, in particolare, ma solo quello che arrivi a coartare la partecipazione a una religione o quello che corrobori la affermazione vera e propria di un credo. Il cd. non-coercion test sviluppato, in particolare, nelle opinions redatte da Kennedy dà risultati anche molto diversi nelle singole specificazioni che ne danno i giudici conservative, perché diverso è il significato che ognuno di essi dà alla coercizione. Questa teoria suscita diverse perplessità come e, forse più, di quella del nonpreferentialism10, usata
nell’ultima parte del mandato del Chief justice Rehnquist, in base alla quale sarebbe permesso
8 A. Pin, Quando la storia decide il caso. La libertà religiosa ai tempi della corte Roberts, in questo volume.
9 Questa posizione radicale, al momento isolata nella Corte, non è però da sottovalutare, come mette in evidenza M. Nussbaum, op. cit., p. 266, tanto che l’A. ritiene importante sincerarsi, nel procedimento di scelta dei giudici della Corte Suprema, che i candidati non mettano in discussione la incorporation doctrine. 10 Come per es. in Wallace v. Jaffree, 472 U.S. 38 (1985).
al governo supportare e finanziare la religione, purché in modo equidistante rispetto alle differenti fedi. È abbastanza auto evidente, almeno per la dottrina critica11, che entrambi questi test non
assicurano affatto che decisioni e politiche a favore dell’establishment di una religione siano dichiarate incostituzionali.
Per parte sua, la cd. liberal wing della Corte non si spinge ad affermare che lo scopo della Establishment Clause sia quello di perseguire una neutralità dello spazio pubblico simile a quella francese: essa non appartiene di certo alla realtà sociale, politica e giuridica statunitense, basti pensare che lo stesso governo Obama, nel caso Town of Greece v. Galloway, ha presentato una memoria a sostegno della cd. legislative prayer. Del resto, in passato, anche i giudici più attaccati al linguaggio che implicava la separazione church- state (De Girolami ricorda, a tal proposito, le Corti dei Chief justice Vinston e Warren) hanno sostenuto che alcuni tradizionali riferimenti a Dio nella vita pubblica nazionale sono costituzionali, basti pensare alle opinioni espresse dal justice O’Connor. Come si vedrà nel paragrafo che segue i giudici considerati appartenenti alla liberal wing si sono soprattutto riconosciuti nel test dell’endorsement e del rational observer, generalizzando, in base a questo test sono incostituzionali le decisioni e le politiche che agli occhi di un reasonable observer facciano endorsement della religione in generale o di un particolare credo12.
11 Che non manca di sottolineare come entrambi questi approcci siano spesso collegati all’interpretazione originalista del testo costituzionale, come del resto dimostra anche l’opinione di maggioranza nel caso Greece, infra.
12 Si può ricordare anche il cd. test del legal judgment, elaborato da Breyer nel caso Van Orden v. Perry, 545 U.S. 677. Nella sua concurring opinion, dopo aver concluso che si trattava di un caso borderline, Breyer sostenne che nessuno dei test elaborati dalla Corte poteva sostituire the exercise of legal judgment: piuttosto cioè che stabilire il messaggio che i dieci comandamenti veicolavano, occorreva esaminare in quale modo il testo dei comandamenti era usato, questa indagine richiedeva di considerare il contesto nel quale era esposto il monumento. L’elemento significativo della mancata violazione della Establishment Clause era dato dal fatto che, nei quaranta anni di esposizione del monumento tra l’edificio del Texas Capitol e quello della Corte Suprema, non era mai stato oggetto di controversie giudiziali.