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La prima parte del libro inizia con una distinzione fondamentale tra una forma di cosmopolitismo più debole e una più forte. Individuare una definizione univoca non è semplice perché per cosmopolitismo si può intendere un’identità, una proposta politica o un punto di vista morale. Nel primo caso, un cosmopolita è colui che dichiara di non essere legato a nessuna cultura o a nessun luogo in particolare ma di poter sfruttare tutto ciò che il mondo ha da offrirgli. Al contrario, il cosmopolitismo politico può prendere diverse forme: una è la difesa di un governo mondiale, l’altra riguarda le persone e il loro approccio politico come ‘cittadini del mondo’.41 Il cosmopolitismo morale, invece, viene definito come «a belief in the equal worth of all human beings»42 ma questo assunto non comunica nulla di così definito, se non che sarebbe inaccettabile trattare diversamente gli individui in base al colore della pelle o al proprio sesso. Essendo che questo tipo di discriminazione è sempre esistito, dichiararsi a favore del cosmopolitismo morale non sarebbe, secondo Miller, una questione banale, bisogna considerarlo però con le giuste misure.

Per questo motivo, l’autore distingue l’esistenza di un cosmopolitismo debole ed uno forte, respingendo quest’ultimo. Il cosmopolitismo ‘forte’ difende l’imparzialità e la noncuranza dell’essere umano, il quale esclude a priori qualsiasi suo interesse e preferenza nei confronti degli altri (famiglia, amici, colleghi), riconoscendo un uguale valore a tutti gli individui.

41 D. Miller, Strangers in our Midst: The Political Philosophy of Immigration, Cambridge, Massachussetts, Harvard University Press, 2016, p. 22

42 D. Miller, Strangers in our Midst: The Political Philosophy of Immigration, Cambridge, Massachussetts, Harvard University Press, 2016, p. 22

Invece, quando si parla di cosmopolitismo ‘debole’ bisogna tener presente che le azioni di ciascuna persona creano conseguenze che ricadono sugli altri, indipendentemente dalla relazione che questi hanno o non hanno con noi. Inoltre, non essendoci differenze tra gli individui, questi dovrebbero essere considerati equamente.

Anche se Miller ha descritto il cosmopolitismo debole in relazione agli individui, il medesimo concetto è perfettamente valido anche per gli Stati. In questo caso, il cosmopolitismo debole richiede semplicemente che gli Stati considerino l’impatto delle loro politiche non solo nei confronti dei loro cittadini, ma anche di coloro che risiedono al di fuori dei propri confini.

Visto così, però, il cosmopolitismo debole appare troppo generico ed ambiguo. Sarebbe di conseguenza interessante trovare una via di mezzo tra le visioni dei due cosmopolitismi, cercando di capire più attentamente in che modo le relazioni tra le persone generano obbligazioni.

Per quanto i difensori del cosmopolitismo forte cerchino di dimostrare la loro tesi sostenendo una

“divisione del lavoro” intesa come responsabilità tra Stati, Miller non riesce a condividerla. In alternativa, si potrebbero considerare gli obblighi che gli Stati e/o gli individui hanno tra di loro, come nascono e dove finisce il loro limite morale.

Il problema, però, emerge pensando alla relazione tra connazionali come multidimensionale, senza comprendere quale tra le varie dimensioni è quella che genererebbe obbligazioni speciali.43

A detta di Miller, ci sono delle relazioni che si creano all’interno dello Stato che comportano questo sistema di fiducia. Innanzitutto, i membri sono inclusi in un modello di cooperazione che fornisce loro diversi servizi: da quelli economici a quelli politico-giuridici, non tralasciando i valori culturali.

Questi principi sono sufficienti a far nascere delle obbligazioni tra cittadini. Aggiungendo a tali presupposti il carattere di «identità nazionale», la relazione tra le persone aumenta di importanza. Gli individui che condividono la stessa ‘identità’ si sentono emotivamente attaccati l’uno con l’altro, non solo per l’esistenza delle istituzioni che li governano ma perché le obbligazioni che si creano coprono tutti i vari aspetti della loro vita relazionale. Per giunta, i cittadini di uno Stato-nazione sono più favorevoli ad accettare le politiche proposte.

Ma quali sono invece le obbligazioni dei cittadini di uno stato nei confronti dei “non-connazionali”?

In questo caso, a livello internazionale si individuano i doveri appartenenti a tutti gli esseri umani e le obbligazioni dovute ad altre comunità politiche, chiamate anche obligation of fairness (obblighi imparziali/equi). Quest’ultima categoria di obbligazioni riguarda le varie interazioni multilaterali tra Stati che comportano costi e benefici da ripartire equamente. In ogni caso, nelle loro relazioni esterne,

43 D. Miller, Strangers in our Midst: The Political Philosophy of Immigration, Cambridge, Massachussetts, Harvard University Press, 2016, p. 26

al di fuori dei propri confini nazionali, gli Stati sono sempre tenuti a rispettare i diritti umani nei confronti di tutti gli individui.

Le Nazioni Unite hanno, nel corso degli anni, redatto importanti documenti concernenti i diritti fondamentali ed il loro rispetto: la Dichiarazione Universale dei diritti umani del 1948, la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici e la Convenzione internazionale sui diritti economici, sociale e culturali, entrambe del 1976. Sebbene questi documenti siano indiscutibilmente rilevanti, necessitano pur sempre di essere interpretati correttamente.

Per questo motivo Miller propone la distinzione tra i diritti umani veri e propri e i diritti dei cittadini.

I primi includono il rispetto delle necessità fondamentali (‘basic needs’) dell’individuo che, devono essere sempre rispettate, essendo che i diritti umani sono condivisi da tutti gli individui, indipendentemente dalla loro cultura o società d’appartenenza. Invece, i diritti di cittadinanza forniscono le condizioni essenziali grazie alle quali un cittadino può partecipare pienamente alla vita politica e sociale del contesto culturale in cui vive e al quale appartiene. 44

Da queste definizioni, si deduce che i diritti umani, contrariamente ai diritti di cittadinanza, determinano doveri internazionali. Sebbene ci siano casi in cui la tutela dei diritti umani ricade sugli individui stessi, l’autore sostiene che sia molto più una responsabilità collettiva e, di conseguenza, che rientri tra gli obblighi dello Stato.

Ciò che Miller intente con basic human needs ovvero le condizioni che permettono a tutti gli esseri umani di vivere una vita quantomeno dignitosa, possono essere identificate in quattro categorie:

1. La prima categoria riguarda i diritti il cui obiettivo è quello di assicurare alle persone i mezzi materiali essenziali come un rifugio, cibo e medicinali;

2. Il secondo gruppo riguarda specifiche forme di libertà (per es. la libertà di parola e di occupazione) che, in base alle capacità di ogni individuo, consentono di impegnarsi nelle attività comunitarie;

3. Seguono i diritti che permettono di creare relazioni sociali come la libertà di associazione, il diritto a sposarti e ad avere una famiglia;

4. L’ultima categoria, infine, riguarda i diritti che non corrispondono strettamente con quelli fondamentali ma che hanno lo scopo di proteggere il godimento di quelli precedentemente elencati. Ad esempio, il diritto all’uguaglianza davanti alla legge, il diritto a un processo equo e il diritto alla partecipazione politica, senza i quali permetterebbero i sistemi politici oppressivi di mettere a rischio di diritti fondamentali.

44 D. Miller, Strangers in our Midst: The Political Philosophy of Immigration, Cambridge, Massachussetts, Harvard University Press, 2016, p. 31

In sintesi, secondo Miller i diritti fondamentali servono ad individuare un limite che non deve essere superato e, per come sono da lui descritti, aiutano a rispondere alle necessità che tutti gli esseri umani condividono, indipendentemente dal backgruond socioculturale. Quindi, l’autore rappresenta i diritti umani come un fondamento solido che deve fornire le condizioni per condurre una vita dignitosa ma niente di più.45

Quale dovrebbe essere l’atteggiamento di uno Stato nel rispetto di tali principi?

Il compito cruciale di ogni Stato si divide tra l’assicurare ai propri cittadini il completo beneficio della cooperazione sociale attraverso politiche redistributive, impegnandosi anche nel permettere l’autodeterminazione dei propri cittadini ed il rispetto degli obblighi internazionali nei confronti degli altri Stati e delle condizioni dei rispettivi cittadini.

In conclusione, definendo il cosmopolitismo debole e i diritti umani fondamentali, Miller afferma che ogni Stato deve accogliere ed ascoltare le richieste di tutti gli individui che richiedono un aiuto, stando alle condizioni di vita dei loro paesi d’origine. Sarà poi a chi di dovere verificare la sussistenza di eventuali violazioni dei diritti umani fondamentali e le condizioni di ingresso e residenza nel proprio Stato. Al contempo, però, ogni governo è libero di rifiutare le richieste d’entrata di determinati stranieri nel proprio territorio, a patto che vengano date giustificate motivazioni.