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Il fenomeno migratorio secondo David Miller (breve anticipazione)

Alla luce di quanto appena spiegato, la mia tesi esamina la logica di David Miller sul tema dell’immigrazione, nel suo libro Strangers in Our Midst. Il Professore fornisce agli Stati liberaldemocratici la sua difesa del controllo delle frontiere con lo scopo non di avanzare cambiamenti politico-diplomatici ma sostenendo quattro valori principali: il cosmopolitismo debole, l’autodeterminazione, la correttezza e l’integrazione. Miller tocca tutti i macro-argomenti spiegati nei paragrafi precedenti, attraverso la sua teoria basata su una prospettiva realistica. Date le circostanze del momento storico che stiamo vivendo, gli Stati non possono eludere la questione sul se e come affrontare il problema migratorio.

Pioniere dei Closed Borders, da realista, ma anche da filosofo politico, Miller spiega perché è necessario che il fenomeno migratorio venga regolato. Prima di dimostrare il suo argomento ritengo preferibile chiarire cosa si intende per Open Borders, concetto tralasciato in Stranger in Our Midst.

Innanzitutto, la tesi supportata dai sostenitori dei ‘confini aperti’ non significa apertura sregolata né tantomeno, come credo che a volte il libro tenda ad implicare, che i confini sono o aperti o chiusi. Gli Stati hanno il diritto non solo di escludere le persone dall’entrare nel proprio territorio ma, hanno

39 Environmental Migration Portal, Knowledge Platform on People on the Move in a Changing Climate <

https://environmentalmigration.iom.int/environmental-migration >

anche la libertà di determinare le condizioni per cui gli stranieri possono entrarvi e rimanerci. Questa, tuttavia, non è una questione così semplice dal momento che il diritto internazionale complica in misura significativa l’autorità di uno Stato di fissare le condizioni di ingresso o anche di escludere i cittadini stranieri dal suo territorio. Per esempio, i 144 Stati firmatari della Convenzione del 1951 sui rifugiati sono vincolati dai termini dell’accordo, almeno nella misura in cui hanno ratificato l’atto, a concedere asilo politico alle persone che lo richiedono.

Nessun confine si può quindi definire completamente chiuso o aperto e ciò è vero non solo come una questione di diritto ma anche vista la pratica della vita quotidiana. Ogni giurisdizione vede persone entrare e uscire dalla propria nazione tutto il tempo come turisti, diplomatici, commercianti, etc.

Dunque, non si tratta di stabilire se le frontiere devono essere aperte o chiuse, bensì quanto dovrebbero esserlo. Stando agli Open Borders l’apertura delle frontiere serve a ridurre le barriere non solo all’ingresso ma anche alla partecipazione e all’appartenenza ad una società. D’altro canto, per i Closed Borders la chiusura dei confini non è atta ad eliminare i valichi di frontiera ma piuttosto a controllare l’ingresso di alcune categorie di persone e limitare i diritti legali di quelli già ammessi in un paese. 40

Gran parte di Strangers in Our Midst è dedicato a difendere l’affermazione che uno Stato ha il diritto di escludere. Assunto che gli Stati hanno alcune potestà di determinare chi può o non può entrare e di decidere di quali diritti godono coloro che vengono ammessi, la prospettiva realista non ritiene necessario servire delle giustificazioni: viviamo in un mondo di Stati e gli Stati hanno l’autorità e la capacità di controllare le proprie frontiere.

Questo è il punto di partenza che mi permette di passare all’analisi del libro e alla comprensione dei motivi e delle riflessioni offerte da Miller che dovrebbero aiutare a tratte conclusioni adeguate quando si prendono in considerazione circostanze particolari.

40 C. Kukathas, Citizenship, borders and human needs, Pennsylvania State University Press, New York, pp. 324-342

CAPITOLO II

DAVID MILLER SUL CONTROLLO DELL’IMMIGRAZIONE

2.1 Strangers in Our Midst: The Political Philosophy of Immigration

Tra le tante sfide che le democrazie liberali devono affrontare oggigiorno, il tema dell’immigrazione è uno tra i più sensibili in quanto mette in discussione uno dei principi fondamentali su cui si basano gli Stati occidentali: l’eguale valore morale degli esseri umani. Gli stati democratici riescono a mantenere il controllo dei propri confini, senza dimenticare questo concetto egualitario?

David Miller, nel suo libro Strangers in Our Midst: The Political Philosophy of Immigration, cerca di trovare una risposta sostenendo la sua posizione da leader dei Closed Borders.

Nonostante i cosmopoliti possano trovarsi in disaccordo e ritenere insoddisfacente la tesi di Miller, vale la pena notare la sua ambizione nel voler sostenere e rendere coerenti tra di loro quattro principi per lui essenziali: il cosmopolitismo debole, l’auto-determinazione nazionale, “l’equità” e l’obiettivo di formare una società integrata.

L’immigrazione ha acquisito col tempo sempre più rilevanza, tale ormai da essere considerata un problema comune. Si intreccia, inoltre, con diversi temi sensibili alla teoria politica come la giustizia globale e la cittadinanza, richiedendo la realizzazione di politiche molto specifiche.

Insomma, la questione migratoria ha tutte le caratteristiche necessarie per suscitare il nostro interesse:

da un lato, grazie alla sua connessione con la giustizia globale rappresenta un’ottima opportunità per riconsiderare le credenze tradizionali delle nostre società (come l’idea che gli stati abbiano un diritto al controllo del territorio); dall’altro lato, è collegato alla questione dei confini e all’interpretazione classica dei principi di uguaglianza e libertà.

Teoricamente, gli Open borders ed i Closed borders rappresentano i due poli opposti di un ventaglio di opzioni politiche che hanno generalmente l’obiettivo di mantenere il controllo del territorio nazionale, senza tralasciare l’importanza dei diritti fondamentali dell’uomo. È questo che in realtà ha spinto i sostenitori degli Open borders a sfidare le ragioni della “giurisdizione territoriale” e a delineare la differenza tra i rifugiati e i migranti economici. Perché mentre il primo punto sembrerebbe rappresentare una condizione necessaria del diritto degli Stati ad escludere gli stranieri;

il secondo considera la difesa dei diritti umani.

Solitamente, invece, la posizione dei Closed borders è identificata con il diritto degli Stati di controllare i propri confini, invece che chiuderli definitivamente.

Nel suo libro, due sono le tesi forti che Miller difende: il diritto degli stati di controllare i propri confini e lo status particolare dei rifugiati.

Strangers in Our Midst può essere quindi diviso in tre parti rispetto alle tematiche affrontate. Dopo una breve introduzione, i capitoli iniziali si concentrano sulle argomentazioni a favore della chiusura dei confini rispetto all’apertura delle frontiere. La parte centrale inquadra le figure dei rifugiati e dei migranti economici, esponendo le differenze tra i due. Infine, Miller cerca di sviluppare la questione principale su come dovrebbero essere trattati gli immigrati una volta che hanno oltrepassato i confini degli stati democratici, quali diritti dovrebbero avere e come dovrebbero essere integrati all’interno della società che li riceve.

Il capitolo che svilupperò di seguito si concentrerà sull’analisi del pensiero di Miller, approfondendo ed indagando ciascuna di queste parti.