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Capitolo 3: LA SINTASSI DELLA FRASE COMPLESSA

3.1 Costrutti condizionali

Mi procurai anch’io, a suo tempo, un’infarinatura di psicanalisi, ma pur senza ricorrere a quei lumi pensai presto, e ancora penso, che l’arte sia la forma di vita di chi veramente non vive.1

«È cioè riconosciuta, tra arte e vita, una relazione asimmetrica: nella prima confluisce la seconda e vi si risolve. L’eros montaliano sopravvive in virtù di questo spostamento»2. A differenza di Leopardi, in cui la scrittura poetica presuppone una solidità di pensiero e di architettura, il « “relativismo probabilistico” di Montale, invece, espressione di una soggettività minacciata, doveva cedere alla realtà e lasciare che la forma ne fosse contaminata: da cui la sua debole ricaduta argomentativa, piuttosto autoreferto e testimonianza che deposito di una qualsiasi verità»3. Lui stesso nell’Intervista immaginaria del 1946 afferma:

No, non penso a una poesia filosofica, che diffonda idee. Chi ci pensa più? Il bisogno di un poeta è la ricerca di una verità puntuale, non di una verità generale. Una verità del poeta-soggetto che non rinneghi quella dell’uomo-soggetto empirico. Che canti ciò che unisce l’uomo agli altri uomini ma non neghi ciò che lo disunisce e lo rende unico e irripetibile.4

Contini suddivide la poesia di Montale in tre momenti salienti: una prima fase definita negativa e distruttiva, in cui non si ritrova un oggetto, una realtà su cui avere fiducia (Ossi di seppia); una seconda costruttiva e positiva per cui «nel tessuto insensato del mondo si schiude, sia pure improbabilmente, il sospetto d’un’eccezione significativa»5 (Le Occasioni); infine una terza fase, coincidente con La Bufera, libro che diviene «la sede d’un discorso non solo condannato a catalogare l’identità, ma neppure teso esclusivamente, volta per volta, attorno al

1 Montale Intervista immaginaria 1946, in Il secondo mestiere p. 1476. 2 Bozzola 2006, 112.

3 Bozzola 2007, 119-120.

4 Montale Intervista immaginaria 1946, in Il secondo mestiere. Arte, musica, società 1996, 1479. 5 Contini 2002, 80.

nucleo momentaneo dell’occasione che riscatta»6, in cui si presenta una realtà in forma di mito. Lo stesso Contini riscontra una differenza fondamentale tra Montale e i suoi contemporanei: l’incertezza del reale.

La differenza costitutiva fra Montale e i suoi coetanei sta in ciò che questi sono in pace con la realtà (a più forte ragione col mondo immaginario se il loro è un universo fittizio), mentre Montale non ha certezze del reale.7

L’incertezza del reale percorre tutte e tre le raccolte qui esaminate, quasi una sorta di ridondante e insistente dubbio sotteso a tutti i versi che leggiamo. Luperini, discutendo riguardo alle Occasioni, scrive: «I dubbi di Tempi di Bellosguardo sono temporaneamente rimossi, non cancellati: nel profondo, essi continuano a macinare le precarie certezze che l’autore accampa a conclusione del libro, quale estrema difesa contro una realtà ineludibile e ormai soverchiante»8. Quando si fa menzione dei dubbi di Tempi di Bellosguardo (O), ci si riferisce a precise espressioni: «Derelitte sul poggio / fronde della magnolia / verdibrune se il vento / porta dai frigidari / dei pianterreni un travolto / concitamento d’accordi […]»; «e fors’entra / nel chiuso e lo forza con l’esile / sua punta di grimaldello.» Si tratta di un testo che si articola in tre tempi caratterizzati ciascuno da un diverso ritmo: la descrizione di un istante di pace, ovvero la sera che cala su Firenze; un secondo tempo dal ritmo incalzante e nervoso che racchiude la dicotomia “vita-morte”, un vento gelido si abbatte sulla magnolia; un terzo tempo intimo e pensoso dopo la bufera, in cui ci si chiede se siano davvero spariti i segni della civiltà, se siano «finiti per sempre i tempi di quella civile bellezza che è Bellosguardo»9. Il lettore avverte che, dietro ad ognuno di questi tre tempi, si insinua una incertezza, un senso di precarietà acuito anche dall’interrogativa diretta (terzo tempo, v. 14) o dalle congiunzioni disgiuntive, che esprimono per l’appunto un dubbio.

6 Contini 2002, 80. 7 Ibidem, 82.

8 Luperini 1986, 108. 9 Isella Occ., 130.

A livello tematico la poesia doveva fare da pendant di Mediterraneo, nell’Intervista immaginaria del ’46 Monttale afferma:

Negli Ossi di seppia tutto era attratto dal mare fermentante, più tardi vidi che il mare era dovunque, per me, e che persino le classiche architetture dei colli toscani erano anch’esse movimento e fuga. E anche nel nuovo libro ho continuato la mia lotta per scavare un’altra dimensione nel nostro pesante linguaggio polisillabico, che mi pareva rifiutarsi a un’esperienza come la mia.10

Nella poesia montaliana la dimensione del provvisorio occupa uno spazio rilevante. L’espressione più completa per la dimensione di provvisorietà riguarda l’ampio utilizzo delle frasi condizionali in poesia. È abbastanza irrilevante riportare il numero preciso di queste per ogni raccolta, basterà dire che si tratta di numeri pressoché uguali che, dunque, manifestano un utilizzo abbastanza costante di questo costrutto. Per quanto riguarda l’impiego di costrutti possibilistici e il loro evolversi è importante sottolineare e riportare un passo di Seminario montaliano di Bozzola:

[…] gli Ossi di seppia sono il più leopardiano dei libri di Montale. Questo taglio assertivo sembra evolversi, verso le Occasioni, in coincidenza con l’assunzione deuteragonistica della figura di Clizia, insomma con l’assunzione a testo della possibilità del senso. La quale, minacciando la durezza di diamante di quel pensiero negativo, importa nella poesia figure sintattiche nuove, espressione della tensione interrogativa, dell’incertezza, della “durata” del desiderio, dell’attesa. Incrinato il “delirio d’immobilità”, viene meno, in un certo senso, la solidità delle costruzioni sintattiche, che, prima impiantate sui pilastri del periodo classico, ora piegano verso nuove strutture, nelle quali acquistano maggiore spazio i costrutti del probabilismo e dell’approssimazione: condizionali in serie, sintassi aperta, frammentazione della linea melodica, eccetera.11

Ci si concentri sulle condizionali: analizzando attentamente queste strutture si nota un’evoluzione nel metodo con cui vengono costruite nel testo. Infatti l’ordine consueto prevede che la condizionale, introdotta da “se”, preceda la reggente. Benché, naturalmente, prevalga questo ordine, vi sono comunque casi in cui si assiste ad una inversione: ovvero viene anticipata la reggente rispetto alla condizionale. Non solo, se si prende in esame la prima raccolta e

10 Montale Intervista immagina del 1946, in Il secondo mestiere. Arte, musica, società 1996, 1482.

l’ultima (gli Ossi e La Bufera), si osserverà come nella Bufera le frasi condizionali occupino spazi diversi, venendo inserite all’interno di ad esempio, oppure venendo lasciate in sospeso a causa una massa, nominale o subordinativa.

Innanzitutto presento alcuni casi di frasi condizionali costruite secondo l’ordine usuale. Si prenda in esame l’ultima strofa dell’osso Ciò

che di me sapeste…

Se un’ombra scorgete, non è un’ombra – ma quella io sono. Potessi spiccarla da me, 20 offrirvela in dono.

Il periodo ipotetico occupa metà strofa: prima si riscontra la protasi («Se un’ombra scorgete») e poi l’apodosi («non è un’ombra – ma quella io sono»). Dopo la proposizione ipotetica, inizia un secondo periodo che presenta in prima posizione una ottativa: si rimane dunque sul piano dell’incertezza, dell’approssimazione. Esprime un desiderio destinato a restare tale, a non trovare realizzazione: il poeta vorrebbe staccare da sé «l’ombra» che, secondo Luperini, è divenuta «la sua vera sostanza»12 a causa della quale non potrà mai avverarsi la «realizzazione di sé»13. Staccare da sé l’ombra, l’unica parte conoscibile del poeta, e donarla al prossimo equivale a donare se stessi.

Anche in Debole sistro al vento (OS) l’ipotesi occupa un’intera strofa, la terza per la precisione:

Se tu l’accenni, all’aria 10 bigia treman corrotte

le vestigia

che il vuoto non ringhiotte.

Anche qui la condizionale precede, come di consueto, la reggente a sua volta seguita da una relativa. La condizione probabilistica espressa riguarda la realtà, vissuta come un qualcosa di impossibile da fissare, da ingabbiare.

12 Luperini 1986, 35. 13 Ivi.

Altri esempi tratti dagli Ossi si ritrovano in Incontro, nell’attacco della terza strofa: «Se mi lasci anche tu, tristezza, solo / presagio vivo in questo nembo, sembra / che attorno mi si effonda / un ronzio qual di sfere quando un’ora / sta per scoccare»14. Qui la condizionale inizia il periodo e costituisce un appello alla tristezza. La posizione della proposizione ipotetica è cruciale perché introduce il momento più profondo di abbattimento del poeta. Esprime, come spesso avviene, un’«attesa che sarà delusa»15 che «assume la consistenza sonora del ronzio d’una pendola prima che scocchi l’ora»16. Si rileggano anche gli ultimi due versi di Vasca: «se lo guardi si stacca, torna in giù: / è nato e morto, e non ha avuto un nome»17.Versi che chiudono il componimento e che, come talvolta accade, si caricano di un particolare significato: in questi versi si delinea una esistenza senza identità.

In Stanze, testo tratto dalle Occasioni, alla seconda strofa è presente una proposizione ipotetica:

Pur la rete minuta dei tuoi nervi rammenta un poco questo suo viaggio e se gli occhi ti scopro li consuma un fervore coperto da un passaggio 15 turbinoso di spuma ch’or s’infitta

ora si frange, […].

La condizionale viene introdotta dalla copula e precede la reggente. Dopo la reggente si apre una lunga serie di subordinate che concludono la strofa. Di esempi simili a quelli appena forniti se ne riscontrano molti, anche nella

Bufera. Ad esempio nel finale de La frangia dei capelli si legge: «e s’ora /

d’aeree lanugini s’infiora / quel fondo, a marezzarlo sei tu, scesa / d’un balzo, e irrequieta la tua fonte / si confonde con l’alba, la nasconde»18. Anche in questo caso la condizionale viene anticipata rispetto alla reggente, creando una condizione intonativa lineare e pulita.

In alcuni casi si assiste ad un accumulo di condizionali che, affiancate asindeticamente, si appoggiano su un’unica reggente o ognuna ne presenta una

14 Vv. 28-32. 15 Blasucci 2002, 94. 16 Ivi. 17 vv. 13-14. 18 Vv. 10-14.

per sé. Talvolta a causa di quest’accumulo si crea una distanza tra subordinata condizionale e reggente poco sopportabile: ricordo infatti che le condizionali non accettano di buon grado una distanza troppo elevata dalla loro reggente e, inoltre, faticano a sopportare la moltiplicazione di eventi, dunque l’accumulazione. Uno degli esempi più significativi si ritrova nel già citato Il carnevale di Gerti (O):

Se la ruota s’impiglia nel groviglio delle stelle filanti ed il cavallo s’impenna tra la calca, se ti nevica sui capelli e le mani un lungo brivido 5 d’iridi trascorrenti o alzano i bimbi

e flebili ocarine che salutano

il tuo viaggio ed i lievi echi si sfaldano giù dal ponte sul fiume,

se si sfolla la strada e ti conduce 10 in un mondo soffiato entro una tremula

bolla d’aria e di luce dove il sole saluta la tua grazia – hai ritrovato forse la strada che tentò un istante il piombo fuso a mezzanotte quando 15 finì l’anno tranquillo senza spari.

Prima della frase reggente, che si riscontra al v. 12, si trovano ben tre subordinate condizionali. Tre proposizioni ipotetiche, alle quali sono legate delle coordinate comprendenti altre tipologie di subordinate (es. al v. 6 si trova una relativa «che salutano / il tuo viaggio…»). Dunque un unico periodo di 15 versi che si regge su un accumulo di subordinate condizionali, tutte appoggiate ad un’unica reggente ritardata. Secondo Isella «la congiunzione condizionale è marca caratteristica del costante rapporto di Montale con il mondo, un rapporto critico, fondato sull’improbabile»19. Questo rapporto complesso e incerto con la realtà viene rafforzato e sottolineato dalla presenza dell’avverbio “forse” nella reggente. Proprio questo avverbio, secondo Isella, influenzerebbe il contesto del componimento che esprimerebbe una «possibilità così ripetutamente condizionata (1 se… 3 se… 9 se…), così assortamente

dubbiosa nell’apodosi (12-13 hai ritrovato / forse la strada) da configurarsi piuttosto come del tipo dell’irrealtà»20.

In Serenata indiana (B) le condizionali poste in serie vengono inserite a inserite a destra rispetto alla reggente:

Puoi condurmi per mano, se tu fingi 5 di crederti con me, se ho la follia

di seguirti lontano e ciò che stringi ciò che dici, m’appare in tuo potere […]

La sovraordinata viene anticipata rispetto alla condizionale che si trova in posizione marcata, a destra, modificando la linea intonativa.

Altri esempi simili si riscontrano in Iride (B): Se appari qui mi riporti, sotto la pergola di viti spoglie, accanto all’imbarcadero

del nostro fiume – e il burchio non torna indietro, il sole di San Martino si stempera, nero.

40 Ma se ritorni non sei tu, è mutata la tua storia terrena […];

o in Due nel crepuscolo (B):

[…] s’io levo

appena il braccio, mi si fa diverso 15 l’atto, si spezza su un cristallo, ignota

e impallidita sua memoria, e il gesto già più non m’appartiene;

se parlo, ascolto quella voce attonito, scendere alla sua gamma più remota 20 o spenta all’aria che non la sostiene.

In entrambi i casi si susseguono due condizionali, ambedue a loro volta seguite dalla loro reggente. Si noti in Iride la struttura avversativa che lega le due subordinate condizionali: la seconda viene infatti introdotta dal «Ma» avversativo («Ma se ritorni…»). Entrambi i contesti ipotetici manifestano l’impossibilità di un ritorno del visiting angel: la donna amata non può ritornare e non può rimanere, il distacco è necessario.

Anche riguardo a Due nel crepuscolo si presentano due frasi complesse con una condizionale in prima posizione e reggente a seguire. Inoltre la

condizionale apre le due frasi complesse, di modo che potrebbe funzionare come un’anafora.

Nelle Occasioni si trova l’Elegia di Pico Farnese, che contiene un esempio di accumulazione simile, ma strutturalmente più complesso:

Se urgi fino al midollo i diòsperi e nell’acque specchi il piumaggio della tua fronte senza errore 40 o distruggi le nere cantafavole e vegli

al trapasso dei pochi tra orde d’uomini-capre, (‘collane di nocciuole,

zucchero filato a mano sullo spacco del masso 45 miracolato che porta

le preci in basso, parole di cera che stilla, parole che il seme del girasole se brilla dispere’) 50 il tuo splendore è aperto. […]

Il periodo inizia con una proposizione ipotetica. Ad una lettura più attenta però si individuano tre condizionali, la prima introdotta dalla congiunzione “se”, mentre le altre due sono introdotte dalla copula (“e” nel primo caso e “o” disgiuntiva nel secondo) ed omettono la congiunzione (vv. 38-39 «e nell’acque / specchi il piumaggio della tua fronte senza errore…»; v. 40 «o distruggi le nere cantafavole e vegli / al trapasso dei pochi tra orde d’uomini-capre»). Oltre all’accumulo di condizionali, la reggente viene posticipata ulteriormente a causa dell’inserimento di una parentetica tra le subordinate condizionali e la loro reggente. La parentetica occupa 8 versi, rompe l’andamento sintattico e crea una sorta di sospensione, una attesa della reggente che si manifesta soltanto al v. 50, chiudendo il periodo. Per il lettore l’effetto turbativo della sintassi è accentuato proprio a causa della parentetica, che contribuisce a creare una grande distanza tra le condizionali e la loro reggente: a tal proposito ricordo una affermazione fatta precedentemente, ossia che le condizionali non accettano una grande distanza dalla loro reggente. Dunque, stando a quanto detto, qualora si trovi una condizionale distanziata eccessivamente dalla reggenza, l’effetto che si

potrebbe produrre è quello di una alterazione della lettura e dell’ intonazione, che viene bruscamente interrotta.

Fenomeni di condizionali lasciate in sospeso a causa dell’inserimento di un artificio retorico, quale una parentetica, si riscontrano anche nella Bufera. Si prenda ad esempio Il tuo volo:

Se appari al fuoco (pendono sul tuo ciuffo e ti stellano gli amuleti)

due luci ti contendono 5 al borro ch’entra sotto

la volta degli spini. […]

15 Se rompi il fuoco (biondo cinerei i capelli

sulla ruga che tenera ha abbandonato il cielo) come potrà la mano delle sete 20 e delle gemme ritrovar tra i morti

il suo fedele?

Le condizionali sono poste in prima posizione in entrambe le strofe. Secondo una struttura apparentemente speculare, in ambedue le strofe esaminate dopo la subordinata condizionale si inserisce subito una parentetica che spezza l’andamento sintattico e intonativo. La parentetica ritarda di tre versi nel primo caso e di quattro nel secondo la sovraordinata: «due luci ti contendono…» reggente del primo periodo; «come potrà la mano delle sete / e delle gemme ritrovar tra i morti / il suo fedele?» reggente interrogativa diretta della seconda strofa. Struttura più complessa dunque rispetto ai primi esempi, in cui alla codizionale veniva fatta seguire naturalmente la reggente. Qui per la reggente bisogna attendere, questa è ritardata da un espediente retorico quale la parentetica. .

Si prenda in esame anche la prima parte di A mia madre, poesia tratta da

Finisterre:

Ora che il coro delle coturnici ti blandisce nel sonno sterno, rotta felice schiera in fuga verso i clivi vendemmiati del Mesco, or che la lotta 5 dei viventi più infuria, se tu cedi

(e non è un’ombra, o gentile, non è ciò che tu credi)

chi ti proteggerà? […]

Dopo l’accumulazione di subordinate temporali introdotte dalla formula «ora che», si trova una proposizione ipotetica, una condizionale al v. 5 «se tu cedi / come un’ombra spoglia…». Ancora una volta questa subordinata condizionale viene lasciata in sospeso a causa dell’inserimento di una parentetica che la divide, la distanzia dalla sua reggente.

In alcuni casi la condizionale viene interposta, ne sono esempio la già citata sopra Iride e il mottetto del Ramarro:

[…]

questo e poco altro (se poco

è un tuo segno, un ammicco, nella lotta 10 che mi sospinge in un ossario, spalle

al muro, dove zàffiri celesti

e palmizi e cicogne su una zampa non chiudono l’atroce vista al povero

Nestoriano smarrito); (Iride)

Il ramarro, se scocca sotto la grande fersa dalle stoppie – […]

Il cannone di mezzodì più fioco del tuo cuore e il cronometro se 10 scatta senza rumore –

(Il ramarro, se scocca…)

Se si leggono attentamente entrambi gli esempi, si noterà che le condizionali nel secondo caso vengono lasciate in sospeso. In Iride la condizionale viene inserita all’interno di una parentetica molto lunga, che sospende la reggente in quanto si impone tra un segmento nominale di reggente e il suo completamento predicativo («questo e poco altro» + «è quanto di te giunge dal naufragio / delle mie genti…»21). All’interno della parentetica, dopo la condizionale, si inseriscono una relativa e una

locativa introdotta da «dove» (vv. 10 e 11). Dunque una ipotesi sospesa ed isolata dal resto grazie alla parentetica, tanto che sembra che la dimenzione del probabilistico sia accentuata. Ovviamente anche l’intonazione cambia, soprattutto a causa delle parentesi. Lo stesso avviene nel mottetto del Ramarro, in cui al soggetto, il «ramarro» e il «cronometro», viene fatta seguire una condizionale che viene lasciata in sospeso, senza una reggente. A proposito della movimentazione delle condizionali, riporto una considerazione di Bozzola: «Non è un caso che la mobilità delle condizionali sia molto più limitata negli OS, dove in generale questa tipologia di frase subordinata è meno frequente. Essa dunque sembra crescere con il crescere dell’inquadramento “metafisico” della poesia montaliana: la sua frequenza è inversamente proporzionale al suo svincolarsi del descrittivismo così tipico della prima raccolta»22.

Ci sono casi infine in cui la reggente, viene fatta precedere rispetto alla condizionale. Secondo Bozzola «lo spostamento comporta, dal punto di vista fonologico, una discontinuità intonativa: nella sua posizione normale, la condizionale forma con la reggente un profilo intonativo uniforme […]»23. Si tratta di casi di inversione di cui si riscontrano alcuni esempi. Ne Il giglio rosso, la condizionale viene fatta seguire e non precedere alla propria reggente, viene spostata a destra: «Il giglio rosso, se un dì / mise radici nel tuo cuor di vent’anni […]»24. In tal caso la reggente è di carattere nominale e non è altro che la ripetizione del titolo del componimento. La stessa struttura invertita la si ritrova in Ho sostato talvolta nelle grotte, testo tratto dagli Ossi di seppia: «Ed è vano sfuggirla: mi condanna / s’io lo tento anche un ciottolo / roso sul mio cammino»25. La condizionale in questo testo sembra quasi una sorta di inciso per l’intonazione con cui il lettore è portato a leggerla. Si potrebbe dire che la condizionale assume una intonazione a sé stante, spezzando la fonologia della