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La costruzione dell’ εἰκὸς del discorso.

Il rapporto fra διήγησις e ἱστορία nei Προγυ'νάσ'ατα di Elio Teone.

III. La costruzione dell’ εἰκὸς del discorso.

Prima di passare all’analisi separata e puntuale delle tre virtù della narrazione, Teone offre un piccolo cappello introduttivo, affermando che una narrazione ideale dovrebbe assicurare la compresenza di tutte e tre le ἀρεταὶ (εἰ δυνατόν ἐστιν, ἁ,άσας τὰς ἀρετὰς ἔχειν δεῖ τὴν διήγησιν). Teone però è ben consapevole che questo non è sempre possibile. Quando non è possibile, l’oratore deve fare una scelta, modulando i criteri di chiarezza e concisione sulla natura del racconto: ad esempio, se la vicenda da narrare è di per sé complicata, si dovrà puntare alla chiarezza e alla verosimiglianza (εἰ 'ὲν εἴη τὸ ,ρᾶγ'α φύσει ,ερισκελές, ἐ,ὶ τὴν σαφήνειαν ἰτέον καὶ ,ιθανότητα), mentre se i fatti sono

                                                                                                                         

semplici, l’oratore sarà libero di concentrarsi sulla concisione e sulla verosimiglianza (εἰ δὲ ἁ,λοῦν καὶ 'ὴ ,ολύ,λοκον, ἐ,ὶ τὴν συντο'ίαν καὶ τὴν ,ιθανότητα). E’ evidente che l’unico criterio che deve essere sempre presente è quello della verosimiglianza, rispetto alla quale chiarezza e concisione sono da considerarsi come virtù ancillari. Esse, in mancanza della ,ιθανότης, possono addirittura peggiorare la qualità del racconto rendendolo ancor più inverosimile (καὶ τούτου 'ὴ ,ροσόντος αὐτῇ, ὅσῳ ἂν 'ᾶλλον σαφὴς καὶ σύντο'ος ᾖ τοσούτῳ ἀ,ιστοτέρα τοῖς ἀκούουσι καταφαίνεται). Come fa notare Patillon81, la preoccupazione di Teone per la presenza dell’elemento verosimile

rende chiaro come il retore, quando parla di διήγησις, abbia in mente soprattutto una narrazione di tipo giudiziario, in cui rendere i fatti credibili è l’unica condizione necessaria per convincere l’uditorio ed avere la meglio nel processo. In questo Teone sembra seguire la lezione di Teodoro di Gadara, il quale sosteneva che la verosimiglianza, con la conseguente persuasione dell’uditorio, fosse l’unico criterio per misurare l’efficacia della narrazione82. Vi è anche il caso in cui la narrazione sia già di per sé credibile e questa è la

tipologia narrativa in cui è più facile che l’oratore possa servirsi di tutte e tre le virtù (Ἐὰν δὲ τὸ ,ρᾶγ'α φύσει ,ιθανὸν ᾖ, χρηστέον ,ῆ 'ὲν τῇ συντο'ίᾳ, τὸ δὲ ,λεῖστον τοῖς κατασκευάζουσι καὶ εἰς ,ιθανότητα ἄγουσι τὸ ,ροκεί'ενον).

Successivamente Teone si occupa dei ,άθη dell’uditorio e a questo proposito egli rende chiaro come l’uso della brevitas non sia sempre una regola immutabile, ma debba talora tener conto dei gusti e dei sentimenti del pubblico. L’oratore dovrà essere conciso laddove parli di argomenti che possono arrecare dolore a chi ascolta, mentre si dovrà soffermare più a lungo su quegli aspetti che procurano piacere agli ascoltatori. Teone porta due esempi contrari tratti da Omero: nel caso della morte di Patroclo, il poeta è stato lapidario (κεῖται Πάτροκλος), mentre ha dedicato ampio spazio alla narrazione fatta da Odisseo

alla corte dei Feaci. Non deve sorprendere, come fa notare Patillon83, che il retore si serva

di due esempi tratti dalla letteratura e in particolare da Omero: l’oratore infatti, in maniera non troppo dissimile dal poeta, deve misurarsi con i gusti di chi lo ascolta e cercare di essere persuasivo giocando anche sull’elemento emotivo dell’uditorio. Inoltre, era molto più semplice attingere da testi letterari piuttosto che dall’oratoria per trovare esempi su un uso adeguato della parola.

                                                                                                                         

81  Patillon  (1997),  p.  140  

82  Cfr.  Quint.  Inst.  Or.   4.   2   .32:  Theodorei   quoque   solam   relinquant   ultimam   partem   (=   verosimiglianza),   quia   nec   breviter   nec   dilucide   semper   sit   utile   exponere;   Cfr.   Anonym.   Seguer.   103:   Ὁ   δὲ   Γαδαρεὺς   Θεόόδωρος   τὴν   πιθανόότητα  µμόόνην  ἀρετὴν  νοµμίίζει  τῆς  διηγήήσεως,  τὰς  δὲ  προειρηµμέένας  ἀρετὰς  ἰδίίας  µμὲν  µμὴ  εἶναι  µμόόνης  τῆς   διηγήήσεως,  κοινὰς  δὲ  ἅπαντος  τοῦ  λόόγου.    

Teone passa poi ad un’analisi dettagliata delle tre virtù della narrazione partendo dalla chiarezza. Il retore separa subito la chiarezza derivante dai fatti da quella del linguaggio (Σαφὴς δὲ ἡ διήγησις γίνεται διχόθεν, ἐξ αὐτῶν τῶν ἀ,αγγελλο'ένων ,ραγ'άτων, καὶ ἐκ τῆς λέξεως τῆς ἀ,αγγελίας, ἧς τὰ ,ράγ'ατα). La distinzione fra ,ράγ'ατα e λέξις non è un tratto originale di Teone, ma risale alla nascita stessa della teoria delle ἀρεταὶ: questa distinzione si ritrova già, infatti, nella Rhetorica ad Alexandrum84 per passare

poi anche alla trattatistica romana (nella Rhetorica ad Herennium e nel De inventione), la quale però rimanda la trattazione sulla λέξις agli studi sull’elocutio.

Successivamente Teone si serve dell’exemplum negativo di Tucidide per mostrare ciò che può compromettere la chiarezza della narratio: lo storico, dividendo la sua monografia in estati e inverni, si è trovato nella condizione di dover narrare più fatti contemporaneamente, compromettendo in questo modo l’unitarietà del racconto e rendendo quindi le vicende ἀσαφῆ. La scansione cronologica tucididea interrompe continuamente i fatti narrati e Teone sottolinea come lo storico abbia avuto bisogno talora di tre o quattro inverni o estati per portare a termine il racconto di una determinata vicenda (ἐνίοτε δὲ καὶ τρίτου καὶ τετάρτου [καιροῦ] ἐδεήθη, 'έχρις ἂν εἰς τέλος ,ροέλθῃ τοῦ ,ράγ'ατος). La critica di Teone è analoga a quella mossa da Dionigi di Alicarnasso, anch’egli severo censore del modus operandi di Tucidide, ritenuto assolutamente inadeguato soprattutto per una narrazione di tipo storico, dal momento che rende ardua la comprensione di fatti già di per sé difficili da ricordare85.

All’interno della riflessione sulla σαφήνεια, Teone affronta anche l’eventuale collocazione della ,αρέκβασις e della sua utilità. Teone non si dice assolutamente contrario all’uso della digressione, anche se ne raccomanda un utilizzo moderato: la digressio non deve essere troppo lunga perché questo distoglierebbe l’attenzione dell’uditorio dall’argomento oggetto di giudizio (Παραιτητέον δὲ καὶ τὸ ,αρεκβάσεις ἐ,ε'βάλλεσθαι 'εταξὺ διηγήσεως 'ακράς) e renderebbe necessaria la ripetizione di un concetto già detto. L’esempio addotto è di nuovo un esempio negativo e si tratta dello storico Teopompo. Tuttavia, una digressione di non vaste dimensioni, si rende talvolta addirittura necessaria, dal momento che contribuisce a rilassare temporaneamente la mente degli ascoltatori e ad

                                                                                                                          84  Cfr.  Rhet.  Alex.  30.  6:  Σαφῶς  µμὲν  οὖν  δηλώώσοµμεν  ἀπὸ  τῶν  πραγµμάάτων  ἢ  ἀπὸ  τῶν  ὀνοµμάάτων.   85   Cfr.   Dyon.,   Thuc.,   24   ss:  ἂρξοµμαι   δ'ʹἀπὸ   τῆς   διαιρέέσεως,   προσειπὼν   ὅτι   τῶν   πρὸ   αὐτοῦ   γενοµμέένων   συγγραφέέων   ἤ   κατὰ   τόόπους   µμεριζόόντων   τὰς   ἀναγραφὰς   ἤ   κατὰ   χρόόνους   εὐπαρακολουθήήτοθς   ἐκεῖνος   οὐδετέέραν   τούύτων   τῶν   διαιρέέσεων   ἐδοκίίµμασεν   [...]   καινὴν   δέέ   τινα   καὶ   ἀτριβῆ   τοῖς   ἂλλοις   πορευθῆναι   βουληθεὶς   ὁδον   θερείίαις   καὶ   χειµμερίίοις   <ὥραις   ἀκολουθῶν>   ἐµμέέρισε   τὴν   ἱστοριαν.   ἐκ   δὲ   τούύτου   συµμβέέβηκεν  αὐτῷ  τοὐναντίίον  ἤ  προσεδόόκησεν.  οὐ  γὰρ  σαφεστέέρα  γέέγονεν  ἡ  διαίίρεσις  τῶν  χρόόνων  ἀλλὰ   δυσπαρακολουθητοτέέρα  κατὰ  τὰς  ὥρας.  

evitare un sovraccarico di emozioni derivante dal ,άθος scaturito dalla narrazione dell’argomento principale. Quintiliano, probabilmente quasi contemporaneo di Teone, attribuisce alla ,αρέκβασις un valore ancor più pragmatico, dal momento che essa deve essere funzionale alla causa processuale86.

La trattazione della σαφήνεια a partire dai fatti si conclude con la raccomandazione di evitare l’ellissi e l’allegoria, quest’ultima da intendersi alla lettera come espressione che parla “altrimenti” dei fatti narrati87.

Successivamente Teone passa all’analisi della chiarezza nella λέξις, suddividendo ulteriormente la sua trattazione in una sezione dedicata alla chiarezza lessicale e in un’altra riservata a quella sintattica. In entrambe le sezioni il modus operandi del retore avviene in maniera negativa, dal momento che si raccomanda di evitare tutto ciò che compromette la chiarezza. Partendo dalla parte riservata al lessico, Teone prescrive di evitare l’uso di parole poetiche, inventate, figurate, arcaiche, straniere e ambigue (Κατὰ δὲ τὴν λέξιν φυλακτέον τῷ σαφηνίζοντι τὸ ,οιητικὰ ὀνό'ατα λέγειν καὶ ,ε,οιη'ένα καὶ τρο,ικὰ καὶ ἀρχαῖα καὶ ξένα καὶ ὁ'ώνυ'α). E’ interessante notare che anche Quintiliano, nella sua analisi sulla chiarezza lessicale, procede in maniera analoga a Teone e suggerisce di eliminare dal discorso ogni parola arcaica, straniera e ambigua,

presentando la stessa sequenza di Teone88. Questa comparazione potrebbe avvalorare

l’ipotesi di una vicinanza temporale e ideologica dei due autori, come già sostenuto da Patillon, i quali si riferirebbero ad una teoria dei ,ρογύ'νασ'ατα simile e già consolidata alla loro epoca e quindi a loro anteriore89.

Oltre alla sequenza comune con Quintiliano, Teone cita, fra le parole da evitare, anche quelle poetiche (κρήγυον, ἀλεγίζειν, 'άρνασθαι) e quelle desuete (κέλαδος, κόναβος, κελαρύζειν). Per quanto riguarda le parole poetiche esse sono presenti in Omero90,

                                                                                                                         

86  Quint.,  Inst.  Or.,  4.  3.  14:  Parekbasis  est,  ut  mea  quidem  fert  opinio,  alicuius  rei,  sed  ad  utilitatem  causae  pertinentis,   extra  ordinem  excurrens  tractatio…  

87  Patillon  (1997),  p.  42.  

88  Quint.,  Inst.  Or.,  8.  2.  12-­‐‑13:  At  obscuritas  fit  verbi  iam  ab  usu  remotis  […]  Fallunt  etiam  verba  vel  regionibus   quibusdam  magis  familiaria  vel  artium  propria  […]  Quae  vel  vitanda  apud  iudicem  ignarum  significationem  earum  vel   interpretanda  sunt,  sicut  in  iis  quae  homonyma  vocantur…  

89  Sulla  vicinanza  dottrinale  fra  Teone  e  Quintiliano  insiste  molto  anche  Butts  (1986),  370-­‐‑386,  il  quale  riporta  

nel  suo  commento  numerosi  esempi  tratti  dall’Institutio  oratoria  proprio  per  rimarcare  le  molte  somiglianze   fra  le  teorie  dei  due  autori.  

90  Κρήήγυον  si  trova  in  Il.  1.  106,  quando  Agamennone  si  riferisce  a  Calcante  come  profeta  di  sventure:  µμάάντι   κακῶν,  οὐ  πώώ  ποτέέ  µμοι  τὸ  κρήήγυον  εἶπας.  ̉Αλεγίίζειν  si  trova  in  Il.  1.  160,  quando  Achille  si  scaglia  contro  

Agamennone,  accusandolo  di  egoismo  e  di  non  tener  conto  che  gli  Achei  lo  hanno  seguito  in  una  guerra  nata   per  questioni  personali:  τῶν  οὐ  τι  µμετατρέέπῃ  οὐδ'ʹἀλεγίίζεις.  Infine,  µμάάρνασθαι  si  trova  in  Od.  3.  85  quando  

mentre quelle ricercate sono parole onomatopeiche e per questo particolarmente oscure91.

Per offrire un esempio di linguaggio figurato, anch’esso accuratamente da evitare, Teone ricorre al responso dato dall’oracolo agli Ateniesi durante le guerre persiane (τεῖχος

τριτογενεῖ ξύλινον διδοῖ εὐρύο,α Ζεύς) come riportato da Erodoto92. Come fa

giustamente notare Patillon93, Teone si è avvalso non casualmente di una metafora, la cui

oscurità è aumentata dal fatto di trovarsi sotto forma di enigma: questo conferma come la dottrina retorica tradizionale non considerasse affatto bene la metafora stessa.

Per le parole arcaiche l’esempio fatto da Teone è tratto dalla Contro Aristocrate di Demostene, in cui l’oratore stesso spiega, in riferimento alla legislazione di Dracone, che ἄ,οινα era il termine usato dagli antichi per designare il denaro in luogo del moderno χρῆ'α.

Si può notare come gli esempi fatti da Teone fino ad ora siano tratti da fonti molto variegate: si spazia da riferimenti a parole appartenenti alla lingua omerica, ad un esempio tratto da Erodoto, fino ad arrivare a Demostene. La varietas di Teone attesta quindi che il retore, oltre a combinare tradizioni di tipo diverso, ha intenzione di fornire alla trattazione dei ,ρογυ'νάσ'ατα un respiro più ampio, dimostrando il proposito teorico, espresso nelle premesse dell’opera, di rivolgersi non solo agli addetti ai lavori, ma a tutti coloro che vogliono acquisire l’arte retorica mediante l’incontro con testi appartenenti a generi letterari diversi.

Dopo aver parlato delle parole alloglotte e degli omonimi, si esaurisce la parte della λέξις dedicata al lessico e si passa alla sezione dedicata alla chiarezza sintattica. Anche in questo caso Teone procede in maniera analoga a quanto aveva fatto nella sezione lessicale, dal momento che oggetto delle sue considerazioni sono quei fenomeni che creano oscurità e che pertanto debbono essere evitati. Per prima cosa Teone si occupa dell’anfibologia proponendo tre esempi di diverso tipo: nel primo caso l’ambiguità del significante è data dal diverso e ugualmente possibile raggruppamento di parole (ΑΥΛΗΤΡΙΣ ,εσοῦσα δη'οσία ἔστω oppure ΑΥΛΗ ΤΡΙΣ ,εσοῦσα δη'οσία ἔστω) ed è un testo che deve essere letto come un testo di legge. Nel secondo esempio a rendere problematica l’interpretazione

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    Telemaco  si  presenta  al  cospetto  di  Nestore  dicendo  che  suo  padre  Ulisse  ha  combattuto  al  suo  fianco  nella   guerra  di  Troia:  σὺν  σοὶ  µμαρνάάµμενον  Τρώώων  πόόλιν  ἐξαλαπάάξαι.  

91  Anche  queste  tre  parole  si  ritrovano  in  Omero:  κέέλαδος  compare  in  Od.  18.  402,  quando  i  Proci  maledicono  

l’arrivo  dello  “straniero”  Odisseo  senza  il  quale  non  ci  sarebbe  stato  alcun  tumulto:  τῷ  κ̉  οὔ  τι  τόόσον  κέέλαδον  

µμετέέθηκε.  Κόόναβος  si  trova  in  Od.  10.  122,  nel  racconto  di  Ulisse  alle  prese  con  i  giganti  Lestrigoni:  ἄφαρ  δὲ   κακὸς   κόόναβος   κατὰ   νῆας   ὀρώώρει.   Κελαρύύζειν   compare   in   Od.   5.   323,   nella   descrizione   della   tempesta  

scatenata  da  Poseidone:  πικρήήν,  ἤ  οἱ  πολλὴ  ἀπὸ  κρατὸς  κελάάρυζεν.  

92  Her.  7.  141.  

sono possibili raggruppamenti sillabici (ΟΥ ΚΕΝΤΑΥΡΟΙΣ ὁ Ἡρακλῆς 'άχεται oppure

ΟΥΚ ΕΝ ΤΑΥΡΟΙΣ ὁ Ἡρακλῆς 'άχεται). Infine, il terzo esempio, tratto dall’Iliade94,

presenta invece un’ambiguità puramente sintattica (οἱ δὲ καὶ ἀχνύ'ενοί ,ερ ἐ,’ αὐτῷ ἡδὺ γέλασσαν), poiché ἐ,’ αὐτῷ, come spiega Teone, può essere riferito o a Tersite (cosa non vera) o alla messa in mare delle navi. La trattazione sull’anfibologia si conclude con

un altro esempio tratto da Omero95 (δῆ'ον Ἐρεχθῆος 'εγαλήτορος, ὅν ,οτ’ Ἀθήνη

θρέψε ∆ιὸς θυγάτηρ, τέκε δὲ ζείδωρος ἄρουρα), che fornisce lo spunto a Teone per citare l’autore oscuro per antonomasia, ossia Eraclito (Παρὰ ταύτην δὲ τὴν ἀ'φιβολίαν τὰ Ἡρακλείτου τοῦ φιλοσόφου βιβλία σκοτεινὰ γέγονε κατακόρως αὐτῇ χρησα'ένου ἤτοι ἐξε,ίτηδες, ἢ καὶ δι’ ἄγνοιαν).

Per quanto riguarda la figura dell’iperbato, Teone ne raccomanda un uso moderato, condannando chi, come Tucidide, ne usufruisce eccessivamente96. Dopo aver ripetuto il

precetto già espresso prima sull’impiego misurato della digressione, Teone conclude le sue argomentazioni sulla chiarezza trattando l’ambiguità dei casi paralleli attribuiti a persone diverse. Il retore, tramite esempi tratti dalla Contro Midia di Demostene (ὡς ,αρὰ ∆η'οσθένει κατὰ Μειδίου, ἴσασιν Εὐαίωνα ,ολλοὶ τὸν Λεωδά'αντος ἀδελφὸν ἀ,οκτείναντα Βοιωτὸν ἐν δεί,νῳ) e dal secondo libro delle Storie di Erodoto97 (εἰσὶ δὲ

καὶ Αἰγύ,τιοι Κολχοί) vuole sottolineare, forse in polemica contro altri teorici della

dottrina retorica98, che l’ambiguità dei casi è presente in maniera incontestabile per quanto

riguarda l’accusativo, mentre sul nominativo e sugli altri casi il possibile equivoco può essere superato facilmente con l’aggiunta dell’articolo. Ancora una volta è evidente l’analogia con la trattazione di Quintiliano, che nella sua discussione sull’ambiguità derivante dall’attribuzione dei casi, si occupa solo dell’accusativo99   sostenendo la

soluzione del problema tramite l’uso dell’ablativo.

L’analisi sul concetto di συντο'ία è strutturata secondo la distinzione fra ,ράγ'ατα e λέξις, distinzione già utilizzata da Teone per la virtù della chiarezza. Per quanto riguarda la concisione derivante dai fatti narrati, la trattazione di Teone è senz’altro molto più canonica rispetto alle argomentazioni proposte sulla σαφήνεια e richiama concetti molto

                                                                                                                         

94  Hom.,  Il.,  2.  270.   95  Hom.,  Il.,  2.  547-­‐‑548.  

96  Analoga  critica  era  stata  mossa  a  Tucidide  da  Dionigi  di  Alicarnasso  (Thuc.  31).   97  Her.,  2.  104.  

98  Si  veda  Patillon  (1997),  pag.  45.  

99   Quint.,   Inst.   Or.   7.   9.   10:   Accusativi   geminatione   facta   amphibolia   solvitur   ablativo,   ut   illud   “Lachetem   audivi   percussisse  Demean”  fiat  “a  Lachete  percussum  Demean.    

vicini alla teoria classica della concisione del racconto presentata nella Retorica ad

Alessandro e passata poi a Roma nel I secolo a. C. nella Rhetorica ad Herennium e nel De inventione. Teone invita infatti a non togliere ciò che è necessario alla narrazione delle

nostre vicende, a non aggiungere il superfluo ('ήτε ,ροστιθεὶς τὸ 'ὴ ἀναγκαῖον 'ήτε ἀφαιρῶν τὸ ἀναγκαῖον κατὰ τὰ ,ράγ'ατα καὶ τὴν λέξιν), a non aprire narrazioni parentetiche all’interno del racconto principale (Ἐκ 'ὲν οὖν τῶν ,ραγ'άτων, ὅταν 'ήτε συλλα'βάνω'εν ἅ'α [τὰ] ,ολλὰ ,ράγ'ατα, 'ήθ’ ἑτέροις ἐ,ε'βάλλω'εν) e a non cominciare da troppo lontano ('ήτε ,όρρωθεν ἀρχώ'εθα), ma a tenere presenti sempre i fatti principali del racconto, secondo precetti analoghi a quelli già analizzati nelle opere sopra citate. E’ molto importante la distinzione fatta fra ἱστορία e διήγησις: citando come esempio la vicenda di Cilone, Teone, attraverso indicazioni che prefigurano quasi una sorta di esercizio retorico vero e proprio, definisce la διήγησις come narrazione particolare di una sezione o episodio della vita di un personaggio, separandola nettamente dalla ἱστορία che nelle parole del retore non indica una narrazione di tipo storico nel senso classicamente inteso, ma sembra quasi assumere il significato di narrazione biografica. A questo proposito è indicativo sottolineare come in questo passaggio siano citati due storici, Erodoto e Tucidide, entrambi autori di racconti sul sacrilegio di Cilone, non come esempi di autori di narrazioni storiche canoniche, ma come paradigmi di racconto narrativo finalizzato a mettere in rilievo un aspetto della vita di un personaggio.

Αnche per quanto concerne la λέξις, le indicazioni di Teone non si allontanano molto dalla precettistica tradizionale e sembrano quasi offrire un compendio di tutta le nozioni teoriche analizzate fino a questo momento. La prima raccomandazione di Teone,

attraverso la citazione delle Olintiache di Demostene100 (δαι'ονίᾳ τινὶ καὶ θείᾳ

,αντά,ασιν ἔοικεν εὐεργεσίᾳ) è quella di evitare sinonimi. Il retore poi invita a servirsi di un termine anziché di una frase, secondo una tecnica già conosciuta e riportata nella

Retorica ad Alessandro ed enunciata anche da Aristotele.

Teone raccomanda poi, dove possibile, l’uso dell’ellissi con la conseguente eliminazione di tutto ciò che è sottointeso e di usare parole semplici e brevi.

Significativa è la notazione finale nella quale il retore sottolinea come l’eccessivo desiderio di brevità e semplicità possa compromettere la chiarezza (εὐλαβητέον δὲ ὅ'ως 'ὴ λάθῃ

                                                                                                                         

100   Patillon   (1997),   p.   148   fa   giustamente   notare   come   l’esempio   tratto   dalle   Olintiache   sia   stato   da   Teone  

assolutamente   estrapolato   dal   contesto:   in   realtà,   il   raddoppiamento   dato   dalla   coppia   sinonimica   “soprannaturale   e   divino”   è   finalizzato   nel   contesto   dell’opera   di   Demostene   ad   una   maggiore   enfatizzazione,  motivo  del  tutto  giustificabile,  poiché  l’oratore  ateniese  si  trovava  nel  momento  culminante   della  perorazione.  

τις ἐ,ιθυ'ίᾳ συντο'ίας εἰς ἰδιωτισ'ὸν ἢ ἀσάφειαν ἐκ,εσών). In questo modo Teone ribadisce il legame indissolubile esistente fra σαφήνεια e συντο'ία, riprendendo in maniera opposta un concetto già espresso in ambiente romano da Cornificio e da Cicerone, che ribadiscono come una narratio dilucida scaturisca in gran parte dalla brevitas. Teone qui mette invece in guardia dall’eccessivo desiderio di brevità (ἐ,ιθυ'ίᾳ συντο'ίας), ribadendo comunque la correlazione fra le due virtutes della narrazione.

Riguardo alla verosimiglianza le argomentazioni di Teone si muovono sia nel solco della tradizione sia attraverso l’apporto di alcuni elementi di novità. La sezione dedicata alla verosimiglianza si divide infatti, in maniera del tutto originale, in una prima parte puramente teorica e tecnica e in una seconda in cui viene offerto ai lettori un vero e proprio ,αράδειγ'α di quanto prima sostenuto teoricamente. La novità più importante proposta da Teone è quella di aver offerto un esempio concreto di applicazione pratica di principi teorici con cui maestri e allievi potessero costantememente confrontarsi.

Nella sezione precettistica della sua trattazione sulla ,ιθανόθης Teone elimina la consueta distinzione fra ,ράγ'ατα e λέξις. Teone ribadisce che un racconto deve essere verosimile nei fatti e nel linguaggio (καὶ ἁ,λῶς στοχάζεσθαι ,ροσήκει τοῦ ,ρέ,οντος τῷ τε ,ροσώ,ῳ καὶ τοῖς ἄλλοις στοιχείοις τῆς διηγήσεως κατά τε τὰ ,ράγ'ατα καὶ κατὰ τὴν λέξιν), tuttavia credibilità delle vicende e verosimiglianza delle parole sono criteri che debbono essere osservati nella loro totalità e nella loro concordanza. Teone esplicita in maniera chiara un concetto già di per sé evidente dell’idea di verosimiglianza, ossia che la credibilità lessicale è conseguente alle vicende che si vogliono narrare e ai personaggi che prendano eventualmente la parola (Ὑ,έρ γε 'ὴν τοῦ ,ιθανὴν εἶναι τὴν διήγησιν ,αραλη,τέον λέξεις 'ὲν ,ροσφυεῖς τοῖς τε ,ροσώ,οις καὶ τοῖς ,ράγ'ασι). Rispetto alla Retorica ad Alessandro i principi di verosimiglianza sono maggiormente chiarificati, dal momento che Teone introduce in maniera esplicita degli elementi di credibilità linguistica che riguardano non solo le vicende e i personaggi, come sopra detto, ma anche i luoghi e le circostanze dell’azione (Ὑ,έρ γε 'ὴν τοῦ ,ιθανὴν εἶναι τὴν διήγησιν ,αραλη,τέον λέξεις 'ὲν ,ροσφυεῖς […]καὶ τοῖς τό,οις καὶ τοῖς καιροῖς). Teone afferma poi che a questi criteri devono essere aggiunte anche le cause che determinano le vicende (δεῖ δὲ καὶ τὰς αἰτίας βραχέως ,ροστιθέναι τῇ διηγήσει). Il rispetto di queste cinque regole (persona, vicenda, luogo, azione e cause) determina nella sua globalità il principio di εἰκὸς, e nell’osservanza di questi principi Teone sembra definire non solo e non tanto una διήγησις tout court, ma in particolare un racconto breve di stampo quasi giornalistico, che tenga inevitabilmente conto dei tempi processuali. Si può quindi affermare a buon diritto che dentro il criterio di verosimiglianza, così come

viene definito da Teone, sono racchiusi anche le prime due ἀρεταὶ, la chiarezza e la brevità, le quali scaturiscono in maniera naturale da un racconto verosimile. Teone dunque ribadisce implicitamente il concetto già noto ed analizzato della subordinazione gerarchica di chiarezza e brevità rispetto alla ,ιθανόθης. Una definizione di verosimiglianza, che rispetti i cinque principi sopra citati, ritorna in maniera ancor più chiara nell’Anonimo Segueriano, un testo molto importante nella storia della dottrina retorica101:

Πιθανὴ δὲ διήγησις γίνεται, εἰ ,άντα ὃσα λέγει τις, ἐξο'οιοῦν ,ειρῷτο τοῖς ἀληθέσι. Τοῦτο δέ, φησί, γένοιτ'<ἂν> ἐὰν 'ὴ ψιλὰ τὰ ,ράγ'ατα τιθῶ'εν, ἀλλὰ καὶ τὰ 'όρια αὐτὰ ,ροσλα'βάνω'εν, ἐξ ὧν ἡ διήγησις ,ληροῦται. Μόρια δὲ διηγήσεως ,ρόσω,ον, ,ρᾶγ'α, τό,ος, <τρό,ος>, χρόνος, αἰτία.

Esaurita la parte puramente teorica, Teone offre l’esempio concreto di come i concetti che concorrono a determinare la verosimiglianza possano trovare un’applicazione pratica: l’esempio offerto è il famosissimo episodio narrato da Tucidide dell’agguato notturno fatto

dai Tebani ai Plateesi durante la guerra del Peloponneso102. Teone vede infatti nel racconto

tucidideo l’esempio perfetto di διήγησις coerente in cui vengono rispettate tutte le regole prima da lui enunciate. Sono presenti il fatto e i protagonisti (l’agguato reso dai Tebani ai Plateesi), il tempo (il momento iniziale della guerra del Peloponneso), il luogo (la città di Platea) e il movente (i Tebani attaccano a sorpresa i Plateesi perché vogliono prevenire una guerra scatenata dai Plateesi stessi)103. Nel suo resoconto del passo tucidideo Teone fa

significativamente dipendere tutto il periodo dalla formula sintattica εἰκὸς ἦν, come a voler sottolineare la veridicità e la coerenza interna di ogni elemento del racconto dello storico. La prospettiva di analisi del testo fatta da Teone non guarda naturalmente al Tucidide autore di ἱστορὶαι, ma al Tucidide autore di διήγησις: oggetto del giudizio di Teone in questo caso, cioè, non è l’oggettività storiografica di Tucidide, ma la sua qualità puramente letteraria, e quindi artistica, di saper rappresentare in maniera credibile e verosimile un singolo episodio all’interno di un’ampia narrazione storiografica. Non vi è quindi contraddizione fra la condanna espressa prima da Teone nei confronti del Tucidide storiografo, reo di compromettere l’unitarietà del racconto dividendo la narrazione in

                                                                                                                         

101  Anonym.  Seguer.  89-­‐‑91.  Per  quanto  riguarda  la  traduzione  e  il  commento  dettagliato  dell’opera  si  rimanda  

all'ʹesauriente  trattazione  di  Vottero  (2004).  

102  Questo   celeberrimo   episodio   è   narrato   nel   secondo   libro   dell’opera   tucididea.   A   questo   proposito   si  

rimanda  al  commento  di  Fantasia  (2003).  

103  Butts   (1986),   pp.   385-­‐‑386,   evidenzia   proprio   come   Teone   metta   in   risalto   il   rispetto   di   Tucidide   per   le  

estati e inverni, e la lode espressa adesso in merito all’abilità dello stesso storico nell’aver saputo tratteggiare un singolo racconto secondo i criteri di verosimiglianza.

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