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La costruzione dell’Impero fascista

3.1Lanecessitàfascistadell’Impero

Il 25 ottobre 1924, pochi mesi prima della svolta autoritaria operata dal fascismo, Benito Mussolini pronunciò nell’aula del consiglio comunale di Busto Arsizio un breve discorso, con cui illustrò ai presenti il programma politico per l’avvenire dell’Italia. “Talora ho il pensiero orgoglioso che se per cinque anni o dieci anni ci lasciassero lavorare in pace – affermò il capo del governo – l’Italia sarebbe in grado di guidare la civiltà del mondo”1.

Le parole pronunciate da Mussolini a Busto Arsizio, seppure non richiamano direttamente l’interessamento fascista per l’Etiopia, appaiono rilevanti e chiarificatrici per comprendere alcuni concetti fondamentali che accompagneranno, per tutto il suo corso, la politica coloniale fascista.

Infatti il riferimento alla civiltà italiana, che nel volgere di un decennio si sarebbe rivelata come il faro del mondo, richiamava direttamente uno dei presupposti sulla base del quale, nell’ottica fascista, era del tutto giustificabile l’occupazione dell’Etiopia.

1 D. SUSMEL E E.SUSMEL (a cura di), Opera omnia di Benito Mussolini, vol. XXI, La Fenice, Firenze, 1956, p. 122.

Il supposto primato di civiltà italiano sulla incivile, arretrata e schiavista2 Etiopia, poteva da solo bastare a giustificare un’azione di forza, con la quale si estrometteva dal potere una autorità legittima come quella di Hailé Selassié, e si instaurava sul territorio etiopico la sovranità italiana.

Tanto più che i continui riferimenti alla Antica Roma, e alla sua civiltà come diretta genitrice di quella fascista, rendevano naturali le mire italiane sull’Etiopia; la concezione fascista della diretta discendenza dall’Antica Roma conteneva, come ovvia conseguenza, l’attuazione di una politica di esportazione di tale civiltà.

Come ha fatto notare Nicola Labanca, nonostante numerosi storici abbiano sostenuto che fino al 1925 la politica estera fascista si fosse pressoché allineata alla politica estera italiana che l’aveva preceduta, si possono notare già dall’avvento del governo Mussolini differenze sostanziali con le precedenti linee di indirizzo della politica internazionale del Regno d’Italia3.

2 Nonostante la propaganda fascista amplificasse strumentalmente il disappunto italiano per il commercio degli schiavi nel territorio etiopico, tale pratica era in effetti ancora radicata in Etiopia negli anni ’30 del ‘900 anche se come mette in evidenza Abdussamad H. Ahmad: ”the continuation of slave trading and slavery itself in Ethiopia into the 1930s, the involvement of the state in the trade and the continued use of slaves in the royal court were all functions of imperial expansion from the late nineteenth century and the directly contrary to the public statements of Emperor Haile Sellassie I and the legal commitments of the Ethiopian state. Such an alliance between slavery and the extension of state power, in spite of official commitments to the contrary, help to place the ‘slow death slavery’ in Ethiopia in the wider African context”. A.H. AHMAD, Trading slaves in Bela-Shangul and

Ghumuz, Ethiopia: borders enclaves on history, 1897-1938 in “The journal of

African History”, volume 40, numero 3, Cambridge University Press, Cambridge, 1999, p. 445.

3 Cfr. N. LABANCA, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, il Mulino, 2002, p. 143. Di diverso avviso Renzo De Felice quando afferma in DE

FELICER., Mussolini il Duce. Gli anni del consenso, 1929-1936, Einaudi, Torino,

2006, p. 323, che:”…sino verso il ’29 la politica estera fu nella strategia mussoliniana nettamente posposta e subordinata a quella interna e finanziaria. E ciò per almeno due ragioni fondamentali. Una soggettiva: la necessità per Mussolini, prima di dedicarsi ad una politica estera più impegnativa e dinamica, di risolvere il problema interno, di rafforzare cioè il suo potere e di dotarlo delle istituzioni necessarie ad assicurargli la maggiore stabilità e i consensi più vasti possibili. Un’altra oggettiva: la staticità della situazione internazionale che, anche volendolo,

Come si può desumere dal testo del discorso di Busto Arsizio, le parole del capo del governo italiano fanno diretto riferimento alla volontà fascista di restituire al Regno d’Italia il posto che le sarebbe dovuto spettare di diritto nel panorama internazionale.

Per attuare tale intendimento, lo strumento, già individuato dal fascismo prima di divenire una forza di governo, era la messa in pratica di una politica di potenza, che permettesse al Regno d’Italia di conquistare il suo ruolo nel Mediterraneo, nei Balcani e in Africa.

Nell’analisi di un sistema autoritario e semitotalitario quale si dimostrò il governo fascista in Italia dal 1925 al 1943, non si può prescindere dal rilevare il peso che la politica estera fascista giocò sugli equilibri interni del paese.

In particolare nel caso della guerra d’Etiopia, furono numerosi i fattori relativi alla politica internazionale che giocarono un ruolo fondamentale nello svolgimento degli effetti. Come ha fatto notare James McCann a proposito del fallimento dei negoziati britannici per il controllo del lago Tana, “dai primi anni ’30, e certamente prima degli accordi Hoare-Laval del 1935, l’Italia aveva campo libero in Etiopia, e non aveva da temere possibili conflitti con interessi americani, britannici o francesi.

non permetteva a Mussolini una politica estera diversa (più dinamica cioè) da quella – nel complesso sostanzialmente tradizionale – da lui attuata in questo periodo”. Una ulteriore posizione storiografica sulla politica estera del fascismo fino alla guerra d’Etiopia è quella proposta da G. MAMMARELLA P. CACACE, La politica estera

dell’Italia. Dallo Stato unitario ai giorni nostri, Laterza, Roma-Bari, 2006, pp. 85-

90 quando affermano che:”Nel primo intervento parlamentare da capo di governo e ministro degli Esteri ad interim, Mussolini dedicava una parte importante del suo discorso alla politica estera che al momento ‹‹più di ogni altra cosa ci occupa e ci preoccupa›› […] In realtà, Mussolini non aveva alcun programma di politica estera […] Comunque, dal quadro disegnato da Mussolini emergeva una politica moderata […] L’Italia aveva perso posizioni in Adriatico e in Mediterraneo: alcuni dei suoi diritti fondamentali venivano posti in discussione, il nostro paese non aveva ricevuto né colonie né fonti di materie prime […] la permanenza dell’Italia nell’Intesa restava condizionata alla soluzione di questi problemi e al riconoscimento di uguali diritti per tutti i membri della coalizione…”.

Il precoce fallimento degli accordi del Lago Tana, contribuì notevolmente alle opportunità italiane in Etiopia”4.

Rispetto all’operato dei governi precedenti, quello guidato da Benito Mussolini pose una notevole attenzione al tema coloniale, utilizzando, come più in generale per tutta la sua azione di governo, una propaganda che fece entrare la questione coloniale, prima quella libica e successivamente quella etiopica, nelle case dei cittadini e soprattutto trasferendo, soltanto apparentemente, il luogo di decisione della politica coloniale, dalla sede dei ministeri alle piazze delle città italiane. In tale maniera il governo fascista riuscì a catalizzare l’attenzione degli italiani sull’ultima guerra coloniale, riuscendo a trasformare tale evento nel picco più alto di consenso avuto da Mussolini e dal regime durante tutto il ventennio5.

Per raggiungere tale scopo, il governo fascista utilizzò due dei miti più suggestivi costruiti da Mussolini e dal suo regime; quello della Potenza e quello della Grande Proletaria. Per quanto concerne il primo, il fascismo oppose all’idea di un’Italia liberale sconfitta ad Adua, incapace di ritagliarsi un ruolo di primo piano nella politica internazionale e sottomessa ai voleri delle potenze europee, l’ideale di un’Italia fascista che con autorità avrebbe fatto valere le proprie ragioni di fronte al mondo, si sarebbe conquistata il proprio Impero e avrebbe onorato con la sua azione di governo l’eredità dell’Antica Roma.

Il mito della Grande Proletaria fece leva sulle possibilità economiche che l’Impero avrebbe potuto regalare a un’Italia che, dal punto di vista economico, non era ancora riuscita a superare la grave crisi del 1929.

4 J. MCCANN, Ethiopia, Britain, and negotiations for the lake Tana Dam, 1922-

1935, in ‹‹The international journal of African historical studies››, vol. 14, n. 4,

1981, p.697.

5 Cfr. R. DE FELICE, Mussolini il Duce. Gli anni del consenso, 1929-1936, Einaudi, Torino, 2006, pp. 758. Un altro momento di grande popolarità interna per Mussolini e per il suo governo è da ricondurre alla conferenza di Monaco del settembre 1938. Come fa notare De Felice è però molto arduo comparare i due avvenimenti in termini di consenso al regime in quanto nel caso della conferenza di Monaco la motivazione della popolarità stava nella speranza che Mussolini avesse evitato lo scoppio della guerra in Europa.

Attraverso il miraggio del territorio etiopico come futuro economico per migliaia di disoccupati italiani6, il fascismo riuscì a costruire una campagna propagandistica, che ottenne il risultato di spostare una cospicua parte del proletariato italiano da una posizione antimperialista, all’appoggio alla guerra coloniale contro l’Etiopia. “Quando finalmente giunge il fatidico momento, tra la folla che accorre alla ‹‹grande adunata delle forze del Regime›› nel giorno dell’annuncio della guerra, il 2 ottobre 1935, le masse operaie e contadine sono presenti: E’ in sostanza la Nazione intera che, dopo i sacrifici sopportati con fierezza e disciplina negli ultimi tempi, vede finalmente, nella sua istintiva intuizione, la possibilità di un’espansione per dar lavoro e vita alla esuberante popolazione”7.

I due miti sopra descritti, quelli di Potenza e della Grande Proletaria, utilizzati per costruire nel paese il consenso all’aggressione all’Etiopia, furono in questa circostanza soverchiati da un altro mito, quello dello stesso Benito Mussolini. Il capo del fascismo durante la riunione del Gran Consiglio del 9 maggio 1936 , fu ringraziato dal Re Vittorio Emanuele III per la conquista dell’Impero del quale fu dichiarato fondatore8.

Il mito di Mussolini, unico genio della conquista dell’Etiopia e fondatore dell’Impero, non rimase chiuso nella sala del Gran Consiglio ma permeò la società italiana tanto da provocare nello stesso capo del governo il convincimento nelle sue doti infallibili, e la sicurezza di trovarsi nella condizione e di avere le capacità di dare vita a una nuova civiltà9.

6 I disoccupati nel Regno d’Italia raggiungevano nel 1936 le 600 mila unità. Cfr. S. COLARIZZI, L’opinione degli italiani sotto il regime, 1929-1943, Laterza, Roma-

Bari, 2000, p.189.

7 S. COLARIZZI, L’opinione degli italiani.., op. cit., p. 191. Per quanto concerne il consenso degli italiani durante il ventennio fascista vedi anche P.V. CANNISTRARO,

La fabbrica del consenso. Fascismo e mass media, Laterza, Roma-Bari, 1975.

8 In quella occasione Vittorio Emanuele III insignì Benito Mussolini della più alta onorificenza militare, la gran croce dell’ordine dei Savoia. Nella motivazione il re spiegò che il capo del governo aveva condotto con successo la più grande guerra coloniale che la storia ricordasse, voluta dal Duce per il prestigio, la vita, la grandezza della patria fascista.

9 Cfr. E. GENTILE, Fascismo, storia e interpretazione, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 141. Cfr. anche R. DEFELICE, Mussolini il Duce. Gli anni …, op. cit., p. 759.

L’identificazione dell’Impero con il fascismo e con la persona di Mussolini, piuttosto che con la corona, non fu una coincidenza scaturita da eventi estemporanei, bensì il prodotto di una lunga azione politica preparatoria messa in atto dalle gerarchie fasciste.

Già all’atto della formazione dei reggimenti da inviare in Etiopia, il capo del governo volle fortemente, a dispetto delle volontà dei generali italiani, che le milizie volontarie per la sicurezza nazionale, cioè le truppe fasciste, prendessero parte all’impresa. Non furono sufficienti a scoraggiare Mussolini i pareri contrari dei generali delle Forze Armate italiane, che lamentavano l’impreparazione e la scarsa disciplina militare dei miliziani.

La presenza dei miliziani nella guerra di conquista dell’Etiopia, vale a dire nella guerra che avrebbe consegnato al Regno d’Italia il suo Impero, era fondamentale affinché sul fronte interno si cementasse la convinzione che il fascismo e non altri avesse conquistato l’Impero per gli italiani. Sempre in questa stessa ottica, risultò strumentale la cerimonia durante la quale Benito Mussolini, in quella stessa seduta del Gran Consiglio del 9 maggio 1936, consegnò a Vittorio Emanuele III la conquista fatta; simbolicamente il fascismo regalava alla corona l’Impero.

La cerimonia ebbe la forza simbolica di fissare negli italiani l’immagine di un Impero che, seppur formalmente retto da Vittorio Emanuele III, nella sostanza aveva un unico e riconosciuto imperatore, Benito Mussolini. La realizzazione dell’impresa etiopica oltre che sancire la vittoria fascista in un campo, quello della politica coloniale, in cui l’Italia liberale aveva fallito miseramente con l’umiliante sconfitta di Adua, permise al Duce di giustificare i continui riferimenti fatti negli anni precedenti al fascismo come civiltà diretta discendente dell’Impero romano. Tali riferimenti erano spesso palesi, come nel caso dell’articolo pubblicato da Mussolini sul Popolo d’Italia il 7 giugno 1935, con il titolo Le Provincie Africane. Il capo del fascismo, Come fa notare Emilio Gentile il convincimento di Benito Mussolini nelle proprie capacità, in particolare dopo la guerra d’Etiopia, segnarono definitivamente il suo atteggiamento sia nelle situazioni pubbliche che nei suoi rapporti con i gerarchi a lui sottoposti. Tale convinzione portò il capo del governo verso un comportamento di chiusura nei confronti dell’esterno in quanto la sua condizione di genio infallibile lo ‘costringeva’ ad assumere un atteggiamento statuario, degno delle proprie capacità.

comparando la politica del proprio governo a quella della Roma imperiale, affermava che:”Roma faceva delle sue colonie delle sue proprie immagini. Le legioni romane, la cui lealtà nella guerra era pari alla loro dignità e alla loro forza, portavano, con la spada dominante, le leggi ordinatrici e regolatrici.

La scure dei Fasci Littori non è mai stata strumento di slealtà e di carnefici, ma il simbolo di un’alta, inflessibile giustizia. A mano a mano che l’opera di incivilimento delle legioni si consolidava, i territori conquistati diventavano territorio di Roma e le ‹‹colonie›› si trasformavano in ‹‹provincie››. E’ significativo, rivelatore il fatto che in un’epoca in cui la più recente esperienza storica insegna come le colonie debbano essenzialmente considerarsi dal punto di vista economico-militare e spesso come ricettacoli degli elementi sovversivi, l’Italia fascista segua la politica civilizzatrice di Roma istituendo in Libia quattro provincie […] l’Italia fascista, come già Roma, fa delle terre conquistate delle sue proprie immagini e a tale scopo vi manda dei suoi uomini migliori”10.

Il richiamo alla Roma imperiale veniva utilizzato, come nel caso dell’articolo Le Provincie Africane, non soltanto per giustificare le mire espansioniste, ma anche per rendere esplicita la convinzione del fascismo di essere portatore di una nuova civiltà. Quest’ultima trovava nell’impero un adeguato strumento per diffondere maggiormente i valori fascisti.

La civiltà della Roma imperiale fu ancora richiamata, e collegata direttamente al neonato Impero fascista, nel discorso della proclamazione dell’Impero, pronunciato da Mussolini il 9 maggio 1936:”…l’Italia ha finalmente il suo Impero. Impero fascista – proclamo il Duce – perché porta i segni indistruttibili della volontà e della potenza del Littorio romano, perché questa è la meta verso la quale durante quattordici anni furono sollecitate le energie prorompenti e disciplinate delle giovani, gagliarde generazioni italiane […] Impero di civiltà e umanità per tutte le popolazioni dell’Etiopia. Questo è nelle tradizioni di Roma, che, dopo aver vinto, associava i popoli al suo destino […] il popolo italiano ha creato col sangue il suo

10 B. MUSSOLINI, Le Provincie Africane, in ‹‹Il Popolo d’Italia››, anno XXII, n. 136, 7 giugno 1935.

Impero. Lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi. In questa certezza suprema, levate in alto, o legionari, le insegne, il ferro e i cuori, a salutare dopo quindici secoli, la riapparizione dell’Impero sui colli fatali di Roma”11.

I continui riferimenti alla Roma imperiale sarebbero continuati anche nel periodo successivo alla conquista dell’Etiopia. Tali richiami impregnarono la propaganda coloniale fascista nella penisola; nessun settore della società italiana potè sfuggire alla retorica imperiale. La scuola e i giovani italiani divennero uno dei luoghi privilegiati per la propaganda sull’impero.

Il libro L’Impero d’Italia divenne libro di testo per gli studenti dell’ultima classe delle elementari, i quali dovevano perciò imparare che:”A Roma, lungo la via dell’Impero, sul muro esterno della Basilica di Massènzio, stanno cinque grandi tavole di marmo bianco e nero. Sono cinque carte storiche che ha fatto porre il Duce per ricordare a tutti il cammino percorso un tempo dalla civiltà romana ed oggi dalla civiltà italiana, per virtù del Fascismo”12.

Il testo rimarcava come Roma, il cui nome era da solo sinonimo di forza, avesse tenuto il primato del mondo per molti secoli, e che il periodo più felice di tale supremazia fosse stato quello della Roma Imperiale, quando l’Impero si presentava come “un grande blocco di vari popoli, unito, cementato dalle leggi savie e dal viver civile che Roma portava”13.

Secondo la propaganda fascista, il crollo dell’Impero romano non aveva cancellato le antiche virtù, che molti secoli dopo erano riemerse durante il Rinascimento, e in un tempo ancora successivo si erano concretizzate con l’unità d’Italia, quando “il popolo italiano si scosse, liberò quasi tutto il territorio dagli stranieri e ricostituì la sua unità, la sua indipendenza fra lo stupore del Mondo”14.

11 D. SUSMELE. SUSMEL (a cura di), Opera omnia …, op. cit., vol. XXVII, La Fenice, Firenze, 1956, pp. 268-269. Benito Mussolini pronunciò il discorso della proclamazione dell’impero a Roma, dal balcone di palazzo Venezia.

12 L.F. DEMAGISTRIS e G.C. PICO, L’impero d’Italia. Libro V classe, Libreria dello Stato, Verona, 1939, p. 7.

13 Ivi, p. 8. 14 Ivi, p.10.

Nell’intento di spiegare ai giovani italiani i motivi che avevano spinto l’Italia fascista alla conquista coloniale, L’Impero d’Italia poneva l’accento sulle mancanze dei governi dell’Italia post-unitaria i quali, troppo presi dalle questioni di ordine interno, non si accorsero di due grandi problemi: la mancanza o l’insufficienza di materie gregge (carbone, ferro, petrolio, cotone, lana, grano, ecc.) e il bisogno di terre da colonizzare, verso le quali indirizzare la popolazione in continua crescita15.

L’esigenza italiana dell’Impero nasceva da una comparazione con le altre potenze europee poiché “agli occhi di ogni persona di buon senso risaltavano e risaltano altre gravi ingiustizie: piccoli Stati e di piccola popolazione, possiedono colonie estesissime. Evidentemente non le possono colonizzare, cioè non possono trasformarle in paesi civili, per la scarsità di sudditi metropolitani […] l’Italia invece si trovava in questa condizione: non possedere sufficienti materie gregge […] avere popolazione sovrabbondante, non avere sufficiente lavoro, non potere inviare emigranti nei Paesi con scarsa popolazione. Quindi: sofferenze, disagi, sacrifici. Il Duce disse giusto: -L’Italia deve avere il suo posto al sole”16. La propaganda fascista nelle scuole proponeva

quindi l’imperialismo come uno dei punti fondamentali del fascismo quando affermava che Benito Mussolini “in quella storica adunata17 […] disse: ‹‹l’imperialismo è il fondamento di ogni popolo che tende ad espandersi economicamente e spiritualmente››. Definizione del 23 marzo 1919!”18, come a sottolineare con il punto esclamativo, la forza premonitrice di quella affermazione. Per avvalorare la volontà fascista dell’Impero, nel testo venivano rimarcate le parole che il capo del governo fascista pronunciò durante l’inaugurazione della Via dell’Impero a Roma nel 1931. “Tutti gli italiani intuiscono che cosa voglia significare l’aprire in Roma la Via dell’Impero […] E’ il cammino fatale – riportava il manuale scolastico – una Gente, poi un Popolo, una Nazione, un Impero! E’ la storia. Storia fatta e da farsi.

15 Ivi, p.11. 16 Ivi, p.55.

17 Il testo fa qui riferimento alla riunione per la fondazione dei Fasci di combattimento svoltasi il 23 marzo 1919 in piazza San Sepolcro a Milano.

La meta è quella: l’Impero. Niente può accadermi prima che il mio compito sia finito”19. Proponendo l’Impero etiopico come un paese nel quale una ristretta cerchia di eletti deteneva potere e ricchezze, a discapito del resto della popolazione costretta alla fame e a vivere in un regime feudale, l’occupazione italiana dell’Etiopia veniva presentata come naturale conclusione di un processo, innescato da un governo etiopico caratterizzato dal dispotismo e dall’incapacità nell’amministrare l’Impero. A tale governo si era sostituito quello fascista, poiché l’Italia era “mandataria ideale della giustizia romana e della civiltà latina”20.

La raffigurazione della quinta tavola esposta sulla via dell’Impero a

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