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Teodoro II e la conclusione della Zamana Masafent

La via etiopica alla modernizzazione

2.1 Teodoro II e la conclusione della Zamana Masafent

Nel 1855, di Ras Cassa Hailu fu incoronato re dei re, con il nome di Teodoro II. La sua incoronazione può essere considerata l’inizio dell’era moderna per l’Etiopia1. Fino a quella data, il paese e la sua

1 Numerosi, e non tutti concordi tra loro, sono gli studi che esaminano i processi attraverso i quali avvenne il passaggio dall’Abissinia tradizionale all’Etiopia moderna. Tra i più esaurienti: M.ABIR, Ethiopia and the Red Sea, F. Cass., Londra,

1980; V. BÖLL., S. KAPLAN, A. MARTÌNEZ D’ALÒS-MONER, E. SOKOLINSKAIA,

Ethiopia and the Missions, Lit verlag, Münster, 2005; C.F. BROWN, Ethiopian

perspectives: a bibliographical guide to the history of Ethiopia, Greenwood Press,

Westport, 1978; G.CALCHI NOVATI, Il Corno d’Africa nella storia e nella politica,

Torino, 1994; R.CAULK, “Between the Jaws of Hyenas” A Diplomatic history of

Ethiopia (1876-1896), Harrassowitz Verlag, Wiesbaden, 2002; H.ERLICH, Ethiopia

and the challenge of indipendence, Lynne Rienner Publishers, Boulder, 1986; H.

ERLICH, Ras Alula and the scramble for Africa, The Red Sea Press, Lawrenceville-

Asmara, 1996; P.GILKES, The dying lion: feudalism and modernization in Ethiopia, St. Martin Press, New York, 1975; R. GREENFIELD, Ethiopia: a new political

history, Pall Mall Press, Londra, 1965; G. HAILE, A.LANDE, S. RUBENSON, The

Missionary Factor in Ethiopia, Peter Lang, Frankfurt am Main, 1998; J.W.

HARBESON, The Ethiopian Transformation, Boulder, 1988; A. HIWET, Ethiopia:

From Autocracy to Revolution, London, 1975; T.C.KILLION, Workers, capital and

the state in the ethiopian region: 1919-1974, University Microfilms International,

Ann Arbor, 1985; C.MCCLELLAN, State transformation and national integration:

Gedeo and the Ethiopian Empire, 1895-1935, Michigan State University Press, East

Lansing, 1988; P. SCHWAB, Ethiopia: politics, economics and society, Frances

popolazione erano stati travolti dalle vicende legate all’età dei principi, un periodo di grande instabilità connotato da lunghe e sanguinose guerre interne, poste in atto dai ras locali al fine di conquistare il potere sull’intera Etiopia.

Nonostante la carriera di Teodoro II fosse iniziata durante il periodo della Zamana Masafent, l’imperatore portò con se nell’amministrazione dell’Etiopia ben poco della confusione che aveva caratterizzato l’epoca della sua ascesa militare e politica2. Donald Crummey, nel suo lavoro su Teodoro II, lo definisce il primo monarca etiopico con un concetto seppur vago di modernità3. I tentativi di modernizzazione attuati dal Negus Neghesti si rivelarono però piuttosto deboli, per poter scalfire l’ormai consolidato sistema edificato durante l’età dei principi, e che aveva solide basi nel concetto di potere che aveva sorretto nei secoli l’impero dell’antica Abissinia. Le istituzioni abissine provvidero infatti a fornire le basi del nuovo stato etiopico4. Rispetto al panorama delle altre società africane, quella abissina rappresentava prima del XIX secolo una realtà distinta, a causa della differente stratificazione sociale, che la rendeva più vicina alle società eurasiatiche che a quelle dell’Africa subsahariana. Secondo il socio-antropologo Jack Goody, le differenze principali nella stratificazione sociale tra le società eurasiatiche e quelle africane5 era rappresentato, prima del XIX secolo, dalla differenza di tecnologia in agricoltura. In particolar modo la presenza

on Ethiopian politics, III Voll., Documentary Pubblications, Salisbury, 1976; T.

TIBEBU, The making of modern Ethiopia: 1896-1974, Red Sea Press, Lawrenceville,

1995; Z.BAHRU, History of Contemporary Ethiopia, 1855-1974, Londra, 1991.

2 Cfr. Z.BAHRU, A History of ..., cit., p. 27.

3 Per una più completa panoramica sull’opera modernizzatrice di Teodoro II si veda: D. CRUMMEY, Teodoro as Reformer and Modernizer in ‹‹Journal of African History››, vol. X, n. 3.

4 Cfr. D.L.DONHAM, The Making of an Imperial State in D.L.DONHAM AND W. JAMES (a cura di), The Southern Marches of Imperial Ethiopia, James Currey-Ohio

University Press-Addis Ababa University Press, London-Athen-Addis Ababa, 2002, p. 4.

5 In questo caso Goody con il termine “africane” fa riferimento alle società africane a sud del Sahara e non a tutte le formazioni sociali presenti nel continente africano nel perio antecedente il XIX secolo. In particolar modo, Goody esclude dalla sua analisi le società dell’Africa settentrionale.

o meno dell’uso dell’aratro risultava nelle sue considerazioni fondamentale, in quanto correlata ad una differente stratificazione sociale.

Nelle società eurasiatiche, nelle quali era presente la coltivazione con l’aratro, la proprietà della terra diveniva un fattore di produzione raro da acquisire, per cui la stratificazione sociale veniva a basarsi sulla proprietà della terra che veniva tramandata dai genitori ai figli. Tale struttura portava ad una chiusura dei ceti, per cui le donne che ereditavano la terra dai genitori tendevano a contrarre matrimonio soltanto con esponenti del loro stesso ceto. Di conseguenza le società eurasiatiche presentavano delle marcate differenze tra le elite e i contadini. Nelle società dell’Africa subsahariana, nelle quali la coltivazione della terra avveniva senza l’utilizzo dell’aratro, quindi della componente tecnologica fondamentale individuata da Goody, i sistemi di stratificazione sociale non si basavano sulla proprietà della terra, e le donne non ottenevano in eredità le proprietà terriere dei genitori. Da ciò deriverebbe una maggiore fluidità sociale, determinata da una spiccata propensione a contrarre matrimonio tra esponenti di strati differenti della società, e una meno marcata differenza tra le elite e i contadini6.

La stratificazione sociale nell’antica Abissinia rappresentava una eccezione nel panorama delle società tradizionali dell’Africa subsahariana. Infatti erano presenti numerose differenze sociali, relative alla proprietà della terra. La casta degli artigiani, situata nella parte bassa della gerarchia della società, era interdetta dal possesso della terra. La stessa proibizione era presente per gli schiavi, i cui discendenti riscattarsi soltanto dopo alcune generazioni, ed essere integrati tra i contadini comuni. Nel gruppo sociale dei contadini venivano inclusi sia i proprietari di terra che gli affittuari7. Gli

6 Cfr. J. GOODY, Technology, Tradition and the State in Africa, Oxford University Press, Oxford, pp. 29-33.

7 Gli affittuari venivano chiamati chisennya dalla parola tƯs che in amharico significa fumo. L’epiteto di chisennya derivava dalla considerazione dell’autorità abissina secondo la quale gli affittuari sarebbero potuti essere rimossi dai loro fondi come il fumo. Cfr. D.L.DONHAM, The Making of…, cit., p. 5.

affittuari erano coloro che coltivavano il rist o ristƯ8 appartenente ad altri contadini, ma tra i due gruppi sociali, quello dei titolari del rist e quello degli affittuari, non esistevano apparenti distinzioni di classe.

Nel panorama sociale dell’Abissinia tradizionale era presente anche un altro gruppo sociale, costituito da coloro che detenevano il gult o gultƯ. Tale diritto consisteva nella titolarità del rist e nella possibilità per il titolare di richiedere tributi agli altri titolari del rist. Tale gruppo, che insieme agli schiavi, agli affittuari e ai comuni titolari del rist, costituiva la gerarchia della società contadina abissina, rappresentava l’elite nella scala sociale, e gli appartenenti ricevevano una concessione governativa che, seppur non fosse legalmente trasmissibile, veniva usualmente trasmessa di generazione in generazione su base parentale, e in linea generale ereditata dalla componente maschile della famiglia9.

Nonostante nell’Abissinia tradizionale sussistessero sulla terra differenti diritti, che di fatto provocavano una stratificazione sociale basata sulla loro titolarità, tale stratificazione non generava una struttura sociale chiusa e non produceva una significativa contrapposizione tra l’elite e il gruppo dei comuni contadini.

In tal senso, la società abissina poteva considerarsi distante dal modello europeo, nel quale ogni componente della comunità trovava allocazione nella tripartizione religiosi, militari e lavoratori. Nella concezione abissina della società, “tutti gli uomini erano fondamentalmente considerati simili, anche se la fortuna e il destino individuale li avevano resi momentaneamente diseguali”10.

I rapporti tra l’elite e i contadini comuni erano enfatizzate dal sistema di discendenza, che prevedendo la discendenza bilaterale da entrambi i genitori permetteva a quasi tutti i comuni contadini di rintracciare legami parentali con qualche esponente della nobiltà locale. La connotazione etnica composita dell’Abissinia tradizionale,

8 Ris o ristƯ, rispettivamente in lingua amharica e tigrina, indicava l’insieme dei diritti di produzione che i contadini comuni detenevano sulla terra. Tali diritti avevano carattere ereditario e si trasmettevano sia in linea patrilineare che matrilineare.

9 Cfr. D.L.DONHAM, The Making of…, cit., p. 5. Cfr. anche P. Gilkes, The Dying

Lion..., cit., p. 27.

costituì un’eredità per l’Etiopia moderna. Come ha messo in evidenza Baxter, “la maggior parte della storia d’Etiopia può essere vista come la lotta tra Amhara e Oromo11[…] durante gli ultimi 90 anni gli Amhara hanno dominato”12.

Quando Teodoro II arrivò al potere, fu su questa base sociale che dovette strutturare il proprio programma di riforme istituzionali e di centralizzazione dei tradizionali poteri periferici abissini, ognuno con il proprio centro regionale.

Il programma di riforme nei campi dell’amministrazione e dell’organizzazione militare rimasero in gran parte lettera morta, poichè alla base mancavano delle solide strutture economiche e tecnologiche. Per quanto concerne le riforme nella struttura amministrativa, Teodoro II non scalfì il potere delle dinastie locali, le quali continuarono a godere di un potere pressoché incondizionato. Anzi, il Negus Neghesti provvide a nominare gran parte dei discendenti delle più titolate dinastie nei ruoli di comando, a livello regionale e locale13. Soltanto nella regione del Goggiam Teodoro II riuscì a nominare un capo proveniente dal suo entourage, Ras Engeda.

Più delle riforme in campo amministrativo, Teodoro II era interessato a quelle nel settore militare, strumento fondamentale per mantenere il potere in un paese in trasformazione. Nonostante le riforme militari avrebbero dovuto apportare notevoli cambiamenti nei settori dell’organizzazione, della disciplina e degli armamenti, anche in questo caso le riforme furono viziate già nella fase di progettazione, a causa della mancanza di accuratezza e di consistenza.

11 Fino agli anni ’60 del ‘900 si faceva riferimento al di fuori dell’Etiopia alla popolazione Oromo con il termine Galla. Oromo è la parola che utilizzano e con la quale si identificano gli stessi abitanti dei territori sud-occidentali dell’Etiopia.

12 P.T.W.BAXTER, Ethiopia’s unacknowledged problem: the Oromo in ‹‹African Affairs››, vol. 77, n. 308, Oxford University Press, Londra 1978, p. 285.

13 Come fa notare Bahru Zewde, Teodoro II non affrontò le riforme amministrative attraverso la cancellazione degli antichi privilegi delle dinastie locali. Dopo la sua incoronazione, egli nominò Degiac nella regione del Tigrè Cassa Subagadis, figlio del capo Agame, morto nel 1831 durante i combattimenti contro

Ras Mareyye. Nella regione del Wallo, il Negus Neghesti nominò Degiac Liban

Amade, e successivamente Amade Ali figlio di Warqit, una importante donna di potere. Cfr. Z.BAHRU, History of …, cit., pp. 31-32.

Al fine di rompere i vincoli di fedeltà sedimentati a livello locale durante la Zamana Masafent, Teodoro II cercò dal punto di vista dell’organizzazione di costituire un esercito nazionale che soppiantasse gli eserciti locali, simbolo della divisione imperante durante l’età dei principi. Secondo questo principio, soldati provenienti da differenti regioni andarono a formare reggimenti misti; la gerarchia di comando fu modificata attraverso l’attribuzione di gradi più alti ai comandanti con il maggior numero di sottoposti14.

Una delle costanti preoccupazioni di Teodoro II fu quella di garantire la disciplina nell’esercito nazionale. Quando nello Scioa alcuni suoi soldati si ammutinarono, perché convinti che il Negus Neghesti li avrebbe fatti partecipare a una campagna di spedizione a Gerusalemme, Teodoro II stabilì per essi una punizione esemplare che fungesse da esempio per i loro commilitoni; quarantotto di essi furono colpiti a morte o fucilati e i loro diretti comandanti ebbero prima le loro membra amputate e poi furono impiccati15. La spirale di violenza che caratterizzò il tentativo di disciplinare l’esercito etiopico, sancì il fallimento del progetto riformista, provocando il sollevamento delle gerarchie militari nei confronti dell’autorità negussita. Lo stesso Teodoro II si rese conto del proprio fallimento, e ne diede prova nella sua ultima lettera indirizzata a Sir Robert Napier che lo cingeva d’assedio nel 1868 dopo la sconfitta durante la battaglia di Aroge. In quell’ultimo scritto il Negus Neghesti stilò un bilancio della sua politica riformista applicata all’organizzazione militare, mettendo in evidenza come i suoi compatrioti gli si fossero rivoltati contro, a causa del suo tentativo di imporre loro dei tributi e di riunirli attraverso l’applicazione di una ferrea disciplina militare16.

La modernizzazione sul fronte militare passò, durante l’impero di Teodoro II, anche attraverso l’acquisto di armamenti moderni. Durante la battaglia di Magdala l’esercito etiopico potè contare su un armamento composto da 15 cannoni, 7 mortai, 11063 fucili, 875

14 Tale divisione è ancora presente nelle gerarchie militari etiopiche all’interno delle quali trova ancora ancora spazio la differenziazione tra icomandanti di dieci, di cento e di mille soldati. Cfr, Z.BAHRU, History of …, cit., p. 33.

15 Ibidem. 16 Ibidem.

pistole e 481 baionette. Nonostante lo sforzo messo in atto da Teodoro II per armare adeguatamente il proprio esercito, il suo tentativo di formare dei quadri tecnici all’interno dello stesso si arenò a causa della provenienza sociale ed etnica dei quadri da formare, soprattutto musulmani ed ebrei Falasha che, proprio a causa della loro estrazione sociale, non sarebbero potuti arrivare ai vertici dell’esercito una volta superato il loro apprendistato tecnico. I tecnici militari così formati per volere di Teodoro II, non avrebbero potuto “cedere” le loro conoscenze ai commilitoni.

Dal punto di vista della politica estera, Teodoro II individuò due elementi che avrebbero potuto costituire un pericolo per il suo progetto di unificazione dell’Etiopia. Il primo di essi consisteva nelle possibili ambizioni egiziane ed europee sul territorio da lui retto.

Nelle parole del Negus Neghesti il pericolo egiziano veniva indicato come la “minaccia turca”, e una possibile soluzione a tale problema Teodoro II la individuò nella richiesta di assistenza ai paesi europei. Nelle intenzioni del Negus Neghesti, i regni cristiani del continente europeo si sarebbero schierati al fianco della cristiana Etiopia, nell’eventualità di un conflitto con i Turchi musulmani.

Nonostante Teodoro II inviasse segnali d’amicizia verso tutti i regnanti europei, fu nei confronti della corona britannica che egli volse in maniera speciale i propri riguardi. Proprio a causa del legame speciale che il Negus Neghesti sentiva nei confronti della Gran Bretagna, egli affidò a John Bell, un viaggiatore inglese che arrivò in Etiopia intorno al 1840, un incarico ufficiale a corte. Teodoro II strinse un legame molto forte anche con Walter Plowden, il primo console britannico in Etiopia, arrivato nel paese nel 1848.

L’assassinio di Plowden e successivamente quello di Bell ad opera di Garad, un nipote ribelle del Negus Neghesti, spinse Teodoro II ad operare nel 1860 una feroce repressione nei confronti della propria famiglia, a difesa delle relazioni instaurate con i britannici. Una ulteriore testimonianza dello speciale legame che legava Teodoro II alla corona britannica, la si può riscontrare in occasione della reclusione imposta dal Negus Neghesti ai cittadini europei in Etiopia nel gennaio del 1864. In quella occasione Teodoro II inviò numerose lettere a Hormuzd Rassam, incaricato dal governo britannico di contrattare il rilascio dei prigionieri con l’imperatore etiopico.

Nonostante le circostanze, Teodoro II volle esprimere in quelle missive rispetto e lealtà nei confronti della Gran Bretagna.

L’apertura nei confronti dei britannici rese ancora più amaro per Teodoro II il momento della consapevolezza che la Gran Bretagna si sarebbe schierata con quella che il Negus Neghesti aveva sempre definito e considerato la minaccia turca. Paradossalmente il governo che Teodoro II considerava amico, e insieme al quale avrebbe si sarebbe voluto difendere dalle minacce esterne, si rivelava l’alleato del nemico più pericoloso per l’Etiopia.

I pericoli al governo di Teodoro II non arrivavano soltanto dal fronte esterno. A partire dalla data del suo insediamento, nel 1855, il Negus Neghesti aveva infatti dovuto far fronte ai pericoli interni, costituiti dai tanti notabili che a livello locale cercavano di bloccare il progetto unificatore di Teodoro II, una opposizione strumentale al mantenimento dei privilegi che a livello locale i Ras continuavano a detenere.

Essendo a conoscenza della situazione del paese, Teodoro II aveva cercato di fronteggiare la minaccia interna intraprendendo dei viaggi d’ispezione in tutte le province etiopiche. Il peso della minaccia fu avvertito principalmente dal punto di vista militare. L’esercito del Negus Neghesti che fino al 1866 poteva contare oltre sessantamila unità, a causa delle diserzioni si ridusse a un’armata composta di diecimila uomini.

Gli stessi spostamenti di Teodoro II si ridussero in quegli anni, tra il 1865 e il 1867, alla direttrice Dabra Tabor – Magdala, ma presto anche questi territori caddero nelle mani dei ribelli17. A causa della ribellione, alla fine del 1867 il Negus Neghesti fu costretto a lasciare la capitale imperiale di Dabra Tabor e a trasferirsi a Magdala, in una amba isolata dove morì, suicida, accerchiato dalle forze britanniche guidate da Sir Robert Napier, alla testa di una armata di trentaduemila soldati, che aveva lo scopo di liberare gli europei tenuti in ostaggio dall’armata di Teodoro II.

La morte di Teodoro II nel 1868 aprì la lotta per la successione, fu vinta da Cassa Mercha, capo della provincia del Tigrè; incoronato

Negus Neghesti il 21 gennaio 1872, Cassa Mercha prese il nome di Giovanni IV18.

2.2 LapoliticadiequilibriodiGiovanniIV

Durante l’assedio di Teodoro II, Cassa Mercha aveva collaborato con l’armata condotta da Napier, e successivamente al suicidio del Negus Neghesti la corona britannica aveva a sua volta aiutato Cassa Mercha nella scalata al trono fornendogli aiuti diretti, sotto forma di forniture d’armi, e indiretti, attraverso la consulenza di esperti militari19. La politica di unificazione intrapresa da Teodoro II non fu proseguita da Giovanni IV, il quale concepì il suo ruolo in maniera nettamente differente rispetto al suo predecessore.

Per Giovanni IV la condizione di Negus Neghesti era da intendersi letteralmente come primus inter pares, sottolineando di fatto la sua posizione di re dei re come quella di un governatore che opera non imponendo il proprio volere, bensì tenendo in considerazione il volere e i desideri dei componenti della propria “casta”20.

Alla base della concezione del potere di Giovanni IV, vi era perciò il riconoscimento del potere dei propri subordinati, che lo portò a una politica più cauta rispetto ai poteri locali di quella messa in atto da Teodoro II, dalla quale era scaturita la ribellione interna.

Se “questo più realistico approccio aveva il merito di riconoscere gli oggettivi impedimenti allo stabilimento di uno stato unitario, aveva allo stesso tempo lo svantaggio di incoraggiare le latenti tendenze

18 Per una analisi della vita di Giovanni IV e del suo ruolo nella storia dell’Etiopia si veda: ZEWDE GABRE-SELLASIE, Giovanni IV of Ethiopia, Oxford University Press, Oxford, 1975.

19 Cfr. H.ERLICH, Ethiopia and the Challenge..., cit., p. 19.

20 Tale concezione fu immediatamente messa in evidenza da Giovanni IV con la scelta del titolo di r’esa makwanent che letteralmente significa capo della nobiltà. La scelta di tale qualifica stava a evidenziare la volontà del nuovo Negus Neghesti di condurre una politica che non fosse dettata dalle esigenze personali bensì da quelle dell’intero gruppo sociale che Giovanni IV si sentiva chiamato a rappresentare. Per una più approfondita disamina della concezione del potere di Giovanni IV. Cfr. Z. BAHRU, A History of…, cit., pp. 42-44.

centrifughe caratteristiche della politica etiopica”21. Tale politica si era resa necessaria anche per la potenziale pericolosità dei due più potenti subordinati di Giovanni IV, il Ras Menelik, della regione dello Scioa, e Ras Adal, del Goggiam.

Il Negus Neghesti cercò, attraverso una politica di condivisione del potere, di trovare un equilibrio che consentisse la pacifica convivenza tra tutti i poteri locali e quello centrale da lui rappresentato.

Se sul fronte interno Giovanni IV votò la propria politica alla continua ricerca di un equilibrio politico, in politica estera dovette fronteggiare la minaccia proveniente dal nord e più precisamente dall’Egitto, e dai paesi europei, dopo che l’apertura del canale di Suez nel 1869 aveva di fatto reso appetibili i territori prospicienti il Mar Rosso.

La politica estera di Giovanni IV fu di fatto quasi monopolizzata

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