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costruzione con verbo finito ed infinito • Ex 15

COMMENTO AL TESTO: LOCUTIONES DE EXODO

C- costruzione con verbo finito ed infinito • Ex 15

Loc. in Hept. - Aug. Tunc cantavit Moyses et filii Israel canticum hoc Domino, et dixerunt dicere; sic enim habet graecus: καὶ εἶπαν λέγειν.

LXX. ΤΟΤΕ ᾖσε Μωυσῆς καὶ οἱ υἱοὶ ᾿Ισραὴλ τὴν ᾠδὴν ταύτην τῷ Θεῷ καὶ εἶπαν λέγοντες·

Trad. Mosè allora cantò e i figli d’Israele il seguente canto al Signore, e dissero col dire: così in realtà ha il greco: καὶ εἶπαν λέγειν.

Questa tipologia di espressioni in latino si riscontra sporadicamente e soprattutto nel latino arcaico in Plauto e con i verbi di movimento97 come nei seguenti esempi:

Plauto, Aulularia, v.181:

Nunc domum properare propero, nam egomet sum hic, animus domi est 98

Plauto, Pseudolus, v.1249:

Nam hercle si cecidero, uostrum erit flagitium, Pergitin pergere?99

Sono state avanzate diverse ipotesi sull’origine di queste espressioni, ma la più accreditata è che derivino dai corrispondenti nessi pleonastici non corradicali100; determinate è il gusto popolaresco e poetico per il suono, in casi come videor videre (rintracciabile in Plauto e Cicerone).

97 J.B. Hofmann, A.Szantyr, Stilistica latina, a cura di A. Traina, Bologna, 2002, p.172 ss

98 Plauto, Aulularia, v.181: che fretta ora di fare in fretta per tornare a casa, infatti io sono qui, ma il cuore è a casa 99 Plauto, Pseudolus, v.1249: infatti per Ercole se cadrò, sarà colpa vostra, continui a continuare?

100 Per la trattazione e bibliografia rimando a J.B. Hofmann, A.Szantyr, Stilistica latina, a cura di A. Traina, Bologna, 2002

In Ex 15.1 siamo difronte ad una locuzione resa complessa dalle varianti testuali presenti101. : la versione dei Settanta riporta εἶπαν λέγοντες forma “canonica” che abbiamo già incontrato ed analizzato, ma in alcuni manoscritti, come quello in possesso di Agostino, troviamo εἶπαν λέγειν; esistono poi varianti nei manoscritti del testo di Agostino stesso, in alcuni casi infatti λέγειν è preceduto da τῷ delineando così una funzione di mezzo. Il commento a questo passo quindi varia a seconda della lezione del testo che decidiamo di accogliere.

Infine riporto una tabella con le versioni testuali di Agostino, dei Settanta e della Vulgata.

Testo di Agostino LXX Vulgata

Ex 15.1

et dixerunt dicere καὶ εἶπαν λέγοντες et dixerunt cantemus

Si può notare come Girolamo elimini il participio dove è percepito come eccessivamente ridondante (Ex 5.10 ed Ex 24.3), mentre lo mantenga nelle frasi in cui si riscontra una certa variazione e in cui la presenza del participio non rechi danno alla comprensione. Infine possiamo notare come in Ex 15.1 risolva la questione spinosa utilizzando il verbo cantemus (che compare nella frase precedente) accostato a dixerunt: infatti se leggiamo il periodo ci accorgiamo che il verbo dominante è cantare e la frase dixerunt dicere potrebbe essere interpretata quindi con “dissero cantando”.

• 3. La costruzione formulare con il participio per introdurre il discorso diretto

Nelle seguenti locuzioni Agostino individua diversi fenomeni che sono riconducibili interamente ad una tipologia costruttiva ebraica che in greco e latino si manifesta attraverso l’utilizzo del participio del verbo dire per introdurre il discorso diretto.

Agostino evidenzia diversi passi che presentano il fenomeno in maniera più o meno accentuata, in particolare concentrandosi su espressioni formate con il verbo “dire” (in ebraico amar) accompagnato dalla preposizione Le, la traduzione immediata che il greco può offrire è ἐν τῷ λέγειν oppure τῷ λέγειν. L’ebraico è solito utilizzare anche la parola “lemor” in maniera formulare ad esempio per introdurre un discorso diretto, una sorta di “quia/quod recitativo” latino, spesso accompagnata dal verbo amar (dire) formando così una serie di espressioni che sono state rese in greco e latino in maniera ineccepibile ma sicuramente molto ridondante caratterizzate dalla presenza dei participi λέγων, λέγοντες, dicens, dicentes.102 Queste traduzioni non comportano gravi problemi alla comprensione del testo ma risultano poco integrate nell’andamento testuale e questo è il motivo per cui Agostino vi pone attenzione. Ma quale è l’opinione di Agostino su queste locuzioni? Egli non le ritiene latine, tanto meno greche bensì ebraiche come afferma anche in Loc. in Hept. Num. 32,2 103.

• Ex 5.10

Loc. in Hept. - Aug. Et dicebant ad populum dicentes: Haec dicit Pharao; quam locutionem piguit latinum interpretari.

LXX. καὶ ἔλεγον πρὸς τὸν λαὸν λέγοντες· τάδε λέγει Φαραώ

Trad. E dicevano al popolo dicendo: così dice il faraone; il traduttore latino non osò tradurre questa locuzione

Qui possiamo osservare il caso classico: troviamo infatti il medesimo verbo nella forma dicebant (imperfetto) e dicentes (participio presente) che calca perfettamente la costruzione ebraica e come nota Agostino “non è stata tradotta”, infatti è evidente che si tratta di una fedele ripresa che suscita delle difficoltà di traduzione dal momento che non si inserisce nell’andamento della frase e appare come una stilizzazione. Sul fatto che compaia il plurale dicentes riferito a populus invece che il

102 W. Suss, Studien zur lateinischen bibel: Augustins locutiones und das problem der lateinischen bibelsprache, Tartu, 1932, p.116 ss

singolare dicens Agostino lo giustifica più avanti in Ex 15.24 sostenendo che il populus componendosi di più persone (sostantivo collettivo) può essere concordato con un verbo al plurale.

• Ex 13.1

Loc. In Hept. - Aug. Ait autem Dominus ad Moysen dicens. LXX. ΕΙΠΕ δὲ Κύριος πρὸς Μωυσῆν λέγων·

Trad. Il Signore poi disse a Mosè dicendo.

• Ex 17.3

Loc. in Hept. - Aug. Et murmurabat populus ad Moysen dicentes. LXX. καὶ διεγόγγυζεν ἐκεῖ ὁ λαὸς πρὸς Μωυσῆν λέγοντες·

Trad. E il popolo mormorava contro Mosè dicendo essi.

• Ex 24.3

Loc. in Hept. - Aug. Respondit autem omnis populus voce una dicentes. LXX. ἀπεκρίθη δὲ πᾶς ὁ λαὸς φωνῇ μιᾷ λέγοντες

Trad. Tutto in popolo rispose con una sola voce dicendo essi.

• Ex 35.4

Loc. in Hept. - Aug. Et ait Moyses ad omnem synagogam filiorum Israel dicens; plenum esset, et si non haberet: dicens.

LXX. Καὶ εἶπε Μωυσῆς πρὸς πᾶσαν συναγωγὴν υἱῶν ᾿Ισραὴλ λέγων

Trad. E Mosè disse a tutta la comunità dei figli d’Israele dicendo: il senso sarebbe completo anche se non avesse: dicendo

Per quanto riguarda invece Ex 13.1, 17.3, 24.3, 35.4, occorre compiere una considerazione diversa: Agostino riconosce queste locuzioni come ebraiche, ma esistono esempi di costruzioni simili in greco o latino? Se in Ex 5.10 sembra non esserci dubbio di ciò, negli altri passi biblici citati possiamo avere qualche riserva dal momento che l’accostamento dei due verbi è effettuato non con

il medesimo verbo bensì con due verbi che, benché siano circa sinonimi, presentano sfumature di significato diverse. L’attenzione si sposta adesso sulla relazione tra il testo greco e quello latino: interessante notare come il latino traduca con ait il greco εἶπε (aoristo di λέγω) piuttosto che con il perfetto dixit.

In tutte queste locuzioni il soggetto è sempre espresso e le forme verbali sono sempre riferibili a qualcuno, in altri casi invece i participi compaiono come sospesi104, o appaiono erroneamente concordati con il soggetto populus (in Ex 17.3 e 24.3)105 questo rimanda chiaramente al sostrato ebraico del testo. Blass-Debrunner106 fanno rientrare queste espressioni nella categoria di solecismo basato sull’abbandono della congruenza:

λέγων, λέγοντες tritt oft anakoluth auf, seltener ἔχων Nota 5. λέγων und λέγοντες sozusagen indeklinabel

Ma come detto in precedenza bisogna lavorare sul testo greco e sul corrispondente latino: in merito a questo possiamo citare il lavoro di Kieckers107 che ha studiato le numerose questioni connesse all’introduzione e progettazione del discorso diretto ed ha dimostrato che cumuli di espressioni sinonimiche nel concetto di dire nell’introduzione di un discorso diretto corrispondono al greco come ad esempio si può trovare in Omero o Erodoto.

In Omero troviamo spesso espressioni formulari fisse che introducono il discorso come ad esempio: Omero, Odissea, XI, v.56:

καί μιν φωνήσας ἔπεα πτερόεντα προσηύδων108

Questo verso introduce il discorso che Odisseo farà ad Elpenore in cui possiamo notare come vi compaiano due verbi sostanzialmente sinonimi, più avanti Elpenore risponderà ad Odisseo e il suo intervento è preceduto dal seguente verso:

Omero, Odissea, XI, v. 59:

ὣς ἐφάμην, ὁ δέ μ᾽ οἰμώξας ἠμείβετο μύθῳ109

104 W. Suss, Studien zur lateinischen bibel: Augustins locutiones und das problem der lateinischen bibelsprache, Tartu, 1932, p.116 ss

105 Per la concordanza a senso vedi capitolo dedicato. In questo caso però non stiamo parlando di concordanza a senso 106 F. Blass, A. Debrunner, Grammatik des neutestamentlichen grieschisch, Gottingen, 1976, pp.112-113

consultare anche L. Radermacher, Neutestamentliche grammatik: das griechisch des neuen testaments im zusammenhang mit der volkssprache, Tubingen, 1925, pp. 110-111

107 E. Kieckers, Uber die verbindung kursiver (durativer) mit perfektiver aktionsart im griechischen in AA.VV festschrift P. Kretschmer, Wien, 1926

108 Omero, Odissea, XI, v. 56: e parlando gli rivolsi alate parole 109 Omero, Odissea, XI, v. 59: dissi così, ed egli singhiozzando rispose

Ancora possiamo citare come esempio: Omero, Odissea, XI, 99:

καὶ τότε δή μ᾽ ἐπέεσσι προσηύδα μάντις ἀμύμων110

Ed infine possiamo anche citare: Omero, Odissea, XI, 138:

ὣς ἔφατ᾽, αὐτὰρ ἐγώ μιν ἀμειβόμενος προσέειπον111

Kieckers pur dimostrando questo non mette in discussione che in alcuni passi del pentateuco i traduttori greci abbiano mantenuto l’impianto ebraico della frase e distingue quindi i due fenomeni: da una parte una traduzione greca pedante, dall’altra l’utilizzo di una formulazione tipica greca. Infine riporto una tabella con le versioni testuali di Agostino, dei Settanta e della Vulgata.

Testo di Agostino LXX Vulgata

Ex 5.10

Et dicebant ad populum dicentes καὶ ἔλεγον πρὸς τὸν λαὸν

λέγοντες ad populum dixerunt

Ex 13.1

Ait autem Dominus ad Moysen dicens.

εἶπε δὲ Κύριος πρὸς Μωυσῆν λέγων·

locutusque est Dominus ad Mosen dicens

Ex 17.3

Et murmurabat populus ad

Moysen dicentes. καὶ διεγόγγυζεν ἐκεῖ ὁ λαὸς πρὸςΜωυσῆν λέγοντες· murmuravit contra Mosen dicens Ex 24.3

Respondit autem omnis populus voce una dicentes.

ἀπεκρίθη δὲ πᾶς ὁ λαὸς φωνῇ μιᾷ λέγοντες

responditque cunctus populus una voce

Ex 35.4

Et ait Moyses ad omnem

synagogam filiorum Israel dicensεἶπε Μωυσῆς πρὸς πᾶσαν συναγωγὴν υἱῶν ᾿Ισραὴλ λέγων et ait Moses ad omnem catervamfiliorum Israhel iste est sermo quem praecepit Dominus dicens

110 Omero, Odissea, XI, v. 99: mi parlò allora con queste parole l’esimio veggente 111 Omero, Odissea, XI, v. 138: disse così ed io rispondendogli dissi

• Ex 15.24

Loc. In Hept. - Aug. Et murmuravit populus adversus Moysen dicentes, non “dicens”; sed dicentes; ex pluribus enim populus constat.

LXX. καὶ διεγόγγυζεν ὁ λαὸς ἐπὶ Μωυσῇ λέγοντες·

Trad. E il popolo mormorava contro Mosé dicendo: non dicendo [egli]; ma dicendo [essi], poiché il popolo risulta di più persone.

In Ex 15.24 è particolare che Agostino noti la discordanza fra il soggetto (populus) e il participio (dicentes) ; in questo caso infatti non siamo difronte ad un fenomeno di sillessi ma piuttosto ad una espressione formulare utilizzata dall’ebraico per introdurre un discorso, come evidenziato nei casi precedenti.

• 4. Congiunzione “waw” - “καί”- “et”

Nelle locuzioni che seguono Agostino manifesta una sorta di disagio difronte alla presenza della congiunzione copulativa “et” in passi in cui non è richiesta dalla lingua latina.

• Ex 7.9

Loc. In Hept. - Aug. Si loquetur vobis Pharao dicens: date nobis signum aut portentum, et dices

Aaron fratri tuo: sume virgam, nonne locutionis nostrae consuetudo poscebat et quaedam eius

integritas, ut ita diceretur: si loquetur vobis Pharao dicens: date nobis signum aut portentum, dices Aaron /fratri tuo: sume virgam? Quid ergo ibi additum est: et, nisi aliqua proprietate locutionis hebraicae? Nam neque graeca esse perhibetur.

LXX. καὶ ἐὰν λαλήσῃ πρὸς ὑμᾶς Φαραὼ λέγων· δότε ἡμῖν σημεῖον ἢ τέρας, καὶ ἐρεῖς ᾿Ααρὼν τῷ ἀδελφῷ σου· λάβε τὴν ράβδον

Trad. Se il Faraone vi parlerà dicendo: dateci un segno o un prodigio, e tu dirai a tuo fratello

Aronne: prendi il bastone. Il nostro consueto modo di esprimerci e una proprietà di lingua, non

esigeva forse che si dicesse così : “il Faraone vi parlerà dicendovi: dateci un segno o un portento, tu dirai a tuo fratello Aronne: prendi la verga”? Perché dunque vi è stata aggiunta [la congiunzione] “e” se non per una particolare proprietà della lingua ebraica? Perché si dice che non è neppure una locuzione greca.

• Ex 12.26-27

Loc. In Hept. - Aug. Et erit cum dicent ad vos filii vestri: Quae est servitus ista? Et dicetis eis:

Immolatio pascha hoc Domino; etiam si non haberet et, plenum esset: dicetis eis.

LXX. καὶ ἔσται ἐὰν λέγωσι πρὸς ὑμᾶς οἱ υἱοὶ ὑμῶν· τίς ἡ λατρεία αὕτη; 27 καὶ ἐρεῖτε αὐτοῖς· θυσία τὸ πάσχα τοῦτο Κυρίῳ

Trad. Verrà un tempo in cui i vostri figli vi chiederanno: Che cosa significa questo rito religioso? E

voi risponderete loro: Questo è il sacrificio della Pasqua in onore del Signore; anche se non ci fosse

Agostino suggerisce l’idea che la presenza della congiunzione “et” derivi dall’ebraico (nisi aliqua

proprietate locutionis hebraicae) sostenendo che non si tratti di una proprietà della lingua latina

tanto meno che greca. Facciamo quindi brevemente chiarezza sulla questione della congiunzione “e” in ebraico (waw) che si presenta come molto complessa112 e ricca di sfumature: waw appare sia nel collegamento tra frasi che all’interno della frase, può avere sia significato copulativo ma anche disgiuntivo, inoltre in alcuni casi può essere correttamente tradotto con un segno di interpunzione come una virgola, punto e virgola, punto, ma in questo caso bisogna tener presente che si può dare una sfumatura circostanziale alla frase che segue il segno di interpunzione. 113

In linea di massima l’ebraico tende anche a costruire frasi paratattiche, quindi non è insolito trovare costruzioni attraverso polisindeto mentre, come ben sappiamo, la lingua latina e quella greca (almeno per ciò che riguarda lo scritto) tendono alla costruzione del periodo articolata attraverso l’uso delle proposizioni subordinate.

Torniamo adesso alle locuzioni evidenziate da Agostino:

in Ex 7.9 la congiunzione et precede l’apodosi del periodo ipotetico (la cui protasi è rappresentata da “si loquetur vobis Pharao”), questo potrebbe generare confusione nell’analisi del periodo ed indurre a individuare in questa proposizione una coordinata alla frase “date nobis signum aut

portentum”

In Ex 12. 26-27 la congiunzione et è posta dopo un segno di interpunzione, si trova nuovamente ad inizio della apodosi e genera disagio ad Agostino dal momento che la frase “direte loro” a livello psicologico è avvertita come la naturale reazione alla domanda Quae est servitus ista?

Come detto in precedenza la congiunzione ebraica “waw” può indicare molte tipologie di relazioni tra frasi e, in alcuni casi, può introdurre anche l’apodosi del periodo ipotetico: per fare chiarezza sul tema possiamo fare riferimento a Jouon, A grammar of Biblica Hebrew114, (pp.646-649) che chiama

questo particolare utilizzo della congiunzione “waw di collegamento o ripresa”, presuppone sempre un filo del ragionamento che è stato interrotto in qualche modo (nel nostro caso da un discorso diretto).

In questi casi ci può essere utile anche un confronto con il testo greco dal momento che è in grado di risolvere ed individuare più correttamente la demarcazione quando è chiaramente esplicita per esempio se nelle vicinanze possiamo rintracciare un ἐὰν con congiuntivo o indicativo futuro115.

112 P. Jouon, Grammaire de l’Hebreu biblique, Roma, 1947, p. 529

113 O. Garcia de la Fuente, Consideraciones sobre el influjo hebreo en el latin biblico, Emerita 49, num.2, 1981, p. 340 114 P. Jouon, A grammar of Biblica Hebrew, Volume I, Roma, 1996, pp. 646-649

Se analizziamo il testo greco ed il suo corrispondente latino infatti possiamo avere un quadro migliore della situazione: in Ex 7.9 in greco troviamo la protasi “ἐὰν λαλήσῃ” e la apodosi introdotta da waw “καὶ ἐρεῖτε αὐτοῖς” (periodo ipotetico del secondo tipo: eventualità) la traduzione corretta di questo periodo ipotetico in latino sarebbe con il secondo tipo che prevede il congiuntivo sia nella protasi che nell’apodosi. In greco risulta più evidente la costruzione del periodo ipotetico.

In Ex 12.26-27 abbiamo una situazione più complessa: la protasi è costruita con una formulazione molto particolare καὶ ἔσται ἐὰν λέγωσι mentre l’apodosi è καὶ ἐρεῖτε. Nuovamente si tratta di un periodo ipotetico del secondo tipo (eventualità) ed anche in questo caso il latino non lo traduce con il periodo ipotetico corrispondente; inoltre nel testo latino troviamo come traduzione di ἐὰν – cum. Per quanto riguarda la formulazione καὶ ἔσται dobbiamo risalire all’ebraico116 in cui questa espressione si presenta come formata da waw+verbo essere al perfetto e assume il significato di “e accadrà”, in italiano potremmo utilizzare una perifrasi del tipo “e verrà il momento in cui”, anche per la sequenza ἐὰν – cum possiamo risalire all’ebraico dove troviamo la particella ki che può assumere duplice valenza (temporale e ipotetica). Questo giustifica anche il testo di Girolamo in cui viene preferito il cum e giustifica anche la doppia traduzione in latino (in Ex 7.9 abbiamo ki- ἐὰν-

si; in Ex 12.26-27 abbiamo ki- ἐὰν-cum)

Sempre in Ex 12. 26-27 possiamo notare altre due particolarità: la prima è l’utilizzo del termine

servitus per indicare il rito religioso, questo sostantivo traduce il greco λατρεία che significa in

prima accezione schiavitù ma anche servizio reso agli dei, venerazione culto (se unito a τοῦ θεοῦ), in ambito cristiano passa quindi ad indicare i rituali religiosi (specialmente connessi alla Pasqua). In latino servitus non ha alcuno di questi significati (eccetto schiavitù) ma lo assume quando compare in ambito religioso e rientra fra quei sostantivi che hanno subito un ampliamento semantico dovuto all’influsso greco e alle nuove esigenze espressive del cristianesimo.

La seconda particolarità è il termine Pascha, prestito dal greco πάσχα, indica la Pasqua (intesa come festività religiosa ebraica e cristiana) ma anche l’agnello pasquale e il banchetto pasquale. Questo termine si ricollega all’ebraico pesah che significa “passare oltre saltando qualcosa”, la spiegazione dell’utilizzo di questo verbo si trova nel passo biblico stesso, cito dall’Enciclopedia Treccani:

Il racconto della Bibbia. - In Esodo, XII, la celebrazione della prima Pasqua ebraica è narrata sostanzialmente così (per i connessi v. ebrei; mosè). Il faraone, che impediva agli Ebrei stanziati in Egitto di partirne, non era rimasto scosso neppure dalle prime nove

calamità che Mosè aveva attirate taumaturgicamente sul paese (le "piaghe d'Egitto") per ottenere il permesso di partenza; perciò Mosè, per ordine di Dio, provocò la decima ed ultima piaga intimamente connessa con la Pasqua ebraica. Correva il mese di Abīb, detto più tardi di Nisān, che era il primo mese dell'anno e corrispondeva circa al nostro marzo- aprile, e Mosè diede ordine che ogni famiglia ebraica, nella notte fra i giorni 14 e 15 di detto mese, immolasse in casa propria un agnello maschio, di un anno di età e immune da ogni difetto; il sangue dell'animale immolato doveva essere sparso sulla soglia e gli stipiti della casa rispettiva; le sue carni dovevano essere arrostite, e si dovevano mangiare insieme con pane non fermentato (azimo) e con erbe amare; questo pasto doveva essere consumato in maniera frettolosa, e coloro che vi partecipavano dovevano essere in veste e atteggiamento di viandanti. Perciò la vittima, e con essa tutto il rito, furono chiamati "pasqua", ossia "passar oltre" (v. sopra); in quella stessa notte, infatti, il Dio degli Ebrei, Jahvè, percorse l'Egitto penetrando nelle case ad uccidervi tutti i primogeniti, sia degli uomini sia degli animali, ma davanti alle case degli Ebrei cosparse del sangue della vittima chiamata "passar oltre" egli realmente passò oltre senza entrarvi a compiere la strage. Onde Mosè ammaestrò il popolo, in vista del tempo futuro, in cui sempre si sarebbe dovuto ripetere quel rito, spiegandolo con queste parole: "Se i vostri figli vi diranno: Che significato ha per voi questo rito? Voi risponderete: È il sacrificio del "passar oltre" (pasqua) per Jahvè, il quale passò oltre dalle case degl'Israeliti in Egitto, allorché percosse l'Egitto, e preservò le nostre case" (Esodo, XII, 26-27).

• Ex 35.28

Loc. in Hept. - Aug. Et compositiones et oleum unctionis et compositionem incensi; non compositiones aliquas extra debemus intellegere, sed, cum dictum esset: et compositiones, per coniunctionem copulativam non aliud adiunxit sed quod dixerat exposuit, ut sciremus, quas compositiones, et oleum, inquit, unctionis et compositionem incensi. Compositiones autem vocat, quia ex multis ista confecta sunt.

LXX. καὶ τὰς συνθέσεις, καὶ τὸ ἔλαιον τῆς χρίσεως καὶ τὴν σύνθεσιν τοῦ θυμιάματος.

Trad. E le composizioni e l’olio per l’unzione e la mescolanza dell’incenso: non dobbiamo intendere alcune misture di specie diversa, ma, poiché è detto: e misture [l’agiografo] mediante la congiunzione copulativa non aggiunse niente altro ma volle spiegare ciò che aveva detto affinché

conoscessimo quali fossero quelle misture, e l’olio – disse – dell’unzione e la mescolanza

dell’incenso. Le chiama inoltre misture perché tali aromi sono confezionati con molti elementi.

In Ex 35.28 invece Agostino nota un ulteriore uso della congiunzione “et” quello esplicativo; attraverso la congiunzione si specifica il primo termine (compositiones) con l’aggiunta dei due termini seguenti (oleum unctionis et compositionem incensi).

In questo passo sussiste una notevole confusione dovuta ad un errore contenuto nel testo greco in cui compare due volte σύνθεσις come traduzione di due parole ebraiche che hanno significato diverso: balsamo e mistura, oltre al fatto che viene eliminata la sezione di testo che riguarda l’accensione delle lampade (vedi tabella oltre con testo di Girolamo). La considerazione di Agostino è erronea infatti non siamo difronte a due sostantivi che specificano il precedente ma ad un elenco di doni che vengono offerti.

Se leggiamo in testo greco infine ci accorgiamo di un errore nella traduzione, nel testo greco è presente εἰς117 nel verso 27 che ha un significato fondamentale e contribuisce a non cadere in errore dovuto alla presenza di et che coordina una serie di termini retti dalla preposizione.

LXX, Esodo, 35.27-28:

καὶ εἰς τὸ λογεῖον 28 καὶ τὰς συνθέσεις, καὶ τὸ ἔλαιον τῆς χρίσεως καὶ τὴν σύνθεσιν τοῦ θυμιάματος.

Riguardo al termine compositiones, noi diremmo misture estranee al culto a cui erano destinate. Tra gli elementi con cui si confezionavano i profumi da far bruciare nel tempio era soprattutto l’olio per

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