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Aspetti linguistici nelle Locutiones in Heptateuchum di Agostino : il libro dell'Esodo

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(1)

DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN FILOLOGIA E STORIA

DELL’ANTICHITÀ

TESI DI LAUREA

Aspetti linguistici nelle Locutiones in Heptateuchum di Agostino :

il libro dell’Esodo

CANDIDATO

RELATORE

Beatrice Bolletti

Chiar.mo Prof. Rolando Ferri

CONTRORELATORE

Chiar.mo Prof. Alessio Mancini

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Indice dei contenuti

Introduzione ………...4

• 1. Vicende sulla trasmissione del testo biblico • 1.1 I testi originali della Bibbia • 1.2 Versione greche e vicende della traduzione dei Settanta • 1.3 Versioni latine (la Vulgata e l’Itala) • 2. Il latino cristiano ed il latino biblico • 3. Locutiones in Heptateuchum libri VII • 3.1 Caratteri generali del testo • 3.2 La teoria grammaticale degli Idiomata • 3.3 La conoscenza del greco di Agostino Commento al testo ………..27

• 1. Il fenomeno della geminatio ……….28

• 2. L’infinito assoluto ebraico ………....37

• 3. Il participio dicens, dicentes formulare per introdurre il discorso diretto ………47

• 4. La congiunzione “waw” in ebraico ………..52

• 5. Il fenomeno dell’ellissi ……….61

• 6. La ridondanza del pronome dimostrativo a seguito di un pronome relativo ………68

• 7. Un problema di traduzione: audio-exaudio ………..80

• 8. La sineddoche ………...89

• 9. La concordanza a senso ………...100

• 10. Fenomeni di ridondanza ………112

• 11. Il singolare sintetico quantitativo ………...120

• 12. La relazione tra testo greco e latino ………...126

Appendice paleografica ……….161

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INTRODUZIONE

1.

Vicende sulla trasmissione del testo biblico:1

Al fine di comprendere correttamente l’ambito di pertinenza in cui si muove l’opera di Agostino

“Locutiones in Heptateuchum”, ho ritenuto necessario elaborare un breve capitolo introduttivo che

delinei i tratti fondamentali del testo della Bibbia e della sua trasmissione: ancora si dibatte su quale versione del testo sacro avesse davanti Agostino durante la stesura del proprio lavoro anche se la critica è propensa a ritenere che questa versione fosse l’Itala (vedi oltre).

1.1 I testi originali della Bibbia:

I vari libri della Bibbia sono stati scritti in lingua ebraica, o aramaica, o greca: talvolta però un dato libro scritto originariamente in ebraico o aramaico è andato perduto nella sua primitiva lingua e si è conservato in versione greca.

L’ Antico Testamento fu scritto in ebraico nella sua massima parte; le sezioni in aramaico sono molto brevi e limitate ad alcuni capitoli di Daniele e di Esdra, oltre ad una breve glossa di Geremia. Dei suoi libri deuterocanonici conservati oggi in greco, furono scritti in questa lingua Sapienza e 2°

Maccabei, al contrario Tobia, Giuditta, Baruh, Ecclesiastico, e 1° Maccabei furono scritti in ebraico

o in aramaico, benché questi testi non siano giunti fino a noi (salvo buona parte dell’ Ecclesiastico). Come si sono trasmessi a noi questi testi originali, o quasi originali, e quali garanzie ci offrono di buona conservazione? Bisogna distinguere tra Nuovo e Antico Testamento, perché la trasmissione dei rispettivi testi è differente; i manoscritti originali degli autori sono perduti ma i più antichi manoscritti-copie discendenti da quelli e giunti fino a noi sono distanti da quelli in misura di tempo differente per i due Testamenti.

I più antichi manoscritti del testo ebraico che possediamo sono relativamente assai tardivi e non risalgono oltre il X sec. d.C., sono molto rari; tutti gli altri (circa 3000, di cui 800 raccolti a Parma) sono posteriori e raramente contengono l’intera Bibbia ebraica, ma solo una parte.

1 Le informazioni contenute all’interno di questo capitolo sono rintracciabili nei seguenti contributi: - G. Bonaccorsi, G. Castoldi, G. Giovannozzi, G. Mezzacasa, F. Ramorino, G. Ricciotti, G.M. Zampini,

Introduzione e note di G. Ricciotti, La Sacra Bibbia, pp. 1-30, 1968

- P. Capelli, G. Menestrina, Vademecum per il lettore della Bibbia, capitolo IV i testi della Bibbia: originali, versioni antiche, storia e tradizione, BIBLIA, Associazione Laica di Cultura Biblica, Brescia 2017

- A. Rahlfs, Id est Vetus Testamentum graece iuxta LXX interpretes, pp.XI-LXIX, Stuttgart, 1979 -www.bicudi.net Bibbia Cultura Didattica

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Accurati raffronti fatti fra questi manoscritti hanno dimostrato che le scambievoli divergenze sono assai scarse, e non toccano mai la sostanza ma solo accidentalità secondarie. Ciò dipende sia dalla minuziosissima cura che impiegavano gli scribi giudei dell’epoca posteriore a Cristo nel copiare i testi sacri, sia dal fatto che tutti i manoscritti oggi superstiti dipendono da un unico tipo di testo stabilito, con valore quasi ufficiale tra il I e il II secolo d.C.

Le cose cambiano, se cerchiamo di seguire la trasmissione del testo ebraico oltre il I secolo d.C. per questa epoca si prestano a riscontri, oltre a brevi frammenti contenuti in papiro, specialmente il Pentateuco Samaritano (scritto in caratteri samaritani) e la versione greca dei Settanta: questi riscontri mettono in luce numerose divergenze non limitate solo alla forma ma spesso interessano anche la sostanza: così troviamo omissioni, aggiunte, trasposizioni di intere parti di libro…

Questi fenomeni attestano una lenta elaborazione del testo stesso oltre che un periodo durante il quale il testo era trattato con molta minore accuratezza.

1.2 Versioni greche e vicende della traduzione dei Settanta

La più famosa traduzione greca dell’Antico Testamento è la cosiddetta versione dei Settanta, chiamata così perché, secondo una antica leggenda contenuta già nella lettera di Aristea, sarebbe stata compiuta da Settanta interpreti inviati da Gerusalemme in Egitto, sotto invito di Tolomeo II Filadelfo. In realtà questa antichissima tra le versioni bibliche sorse già in parte lungo il III secolo a.C., ad uso dei Giudei di Alessandria che parlavano greco. Essa è opera di più autori, come viene dimostrato dall’indole diversa di traduzione nei singoli libri e talvolta nelle varie parti di uno stesso libro. Il Pentateuco è il più fedele al testo ebraico.

Il testo dei Settanta si è conservato in più di 1500 manoscritti, di cui però gran parte contiene solo i salmi, mentre gli Onciali che contengono tutta la Bibbia sono gli stessi del Nuovo Testamento. La storia di questa versione è assai complessa: la sua larga diffusione fece sì che, a causa degli errori di trascrizione e dei mutamenti operati da lettori privati, il suo testo offrisse numerose divergenze già nel II secolo d.C. perciò si cominciò ad insinuare il dubbio circa la fedeltà della versione dei Settanta al testo ebraico e questo portò alla pubblicazione di traduzioni alternative (la

Quinta, la Sesta, la Settima, dal numero che occupavano nella serie di versioni greche contenute

nella sinossi di Origene).

Origene eseguì con grande sforzo a metà del III secolo d.C. un lavoro che voleva offrire ad un semplice sguardo sia il testo ebraico sia quello corrispondente nelle versioni greche compresi i Settanta. A tale scopo allineò in forma sinottica sei colonne con non più di due/tre parole in ogni riga: nella prima colonna egli riportava il testo ebraico scritto in caratteri ebraici, nella seconda

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colonna il testo ebraico scritto in caratteri greci, nella terza il testo di Aquila (traduzione del II d.C. molto fedele al testo ebraico), nella quarta il testo di Simmaco (traduzione del II secolo d.C. molto elegante ma in alcuni passi alquanto libero), nella quinta il testo dei Settanta, nella sesta il testo di Teodozione (traduzione del II secolo d.C segue il testo dei Settanta ritoccandolo secondo quello ebraico).

Questa immensa opera, contenuta in non meno di 50 volumi, si conservò in Cesarea di Palestina fino ai tempi della conquista araba (secolo VII) quando andò perduta con irreparabile danno in quanto non era mai stata ricopiata per intero.

Per correggere i difetti da cui era affetta la Bibbia dei Settanta, furono compiute altre recensioni già a principio del IV secolo d.C. come per citarne due esempi, la versione di Esichio di Alessandria, e quella di Luciano di Antiochia che predominò in Siria ed Asia Minore.

La versione dei Settanta è di cruciale importanza in quanto da essa fu tradotta la Bibbia nelle versioni successive.

1.3 Versioni latine:La Vulgata

Le versioni latine della Bibbia vanno divise in due periodi principali: un periodo anteriore a S.Girolamo (fine IV secolo d.C) ed un periodo posteriore a lui. È certo che traduzioni latine della Bibbia circolavano già nel secolo II2 ma di queste siamo poco informati anche se è probabile che il luogo di origine fosse l’Africa. Anche i testi in lingua latina con il passare del tempo mostravano divergenze sempre più numerose fino alla creazione di diverse tipologie di copie, Agostino almeno fino al IV secolo d.C. poteva asserire:

“Qui enim Scripturas ex hebraea in graecam verterunt, numerari possunt, latini autem interpretes nullo modo. Ut enim cuique primis fidei temporibus in manus venit codex graecus et aliquantulum facultatis sibi utriusque linguae habere videbatur, ausus est interpretari.”.3

2 Per un commento al passo citato vedere E. Vineis, Studio sulla lingua dell’Itala, Pisa, 1974, pp.1-14 3 Agostino, De Doctrina Christiana, II,11: coloro che voltarono le Scritture dalla lingua ebraica nella greca si

possono contare, ma in nessun modo i traduttori latini; giacché, ai primi tempi della fede, appena capitava in mano a uno qualunque un codice greco e gli sembrava d’averne un pochino perizia in ambedue le lingue, ardiva tradurre.

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All’incertezza del testo biblico volle porre rimedio S. Girolamo che eseguì una prima correzione del testo nel 383 d.C. per commissione di papa Damaso I che comprendeva i Quattro Vangeli insieme al resto del Nuovo Testamento.

Nel 384 d.C. furono corretti i Salmi confrontati con il testo comune dei Settanta, questa versione sembra corrispondere al Salterio romano, usato nella basilica di San Pietro.

Recatosi in Palestina, nel 387 ca d.C. intraprese la revisione dell’Antico Testamento secondo il greco della Esapla, di questa nuova revisione ci sono giunti frammenti dal Libro di Giobbe e quello dei Salmi (Salterio Gallicano).

Nel 390 d.C cominciò l’opera di traduzione dall’ebraico iniziando dai quattro libri dei Re, Profeti,

Salmi, Giobbe, nel 395 d.C. Esdra e Neemia, nel 396 d.C. Paralipomeni, nel 398 d.C. Proverbi, Ecclesiaste, Cantico, nel 405 d.C. terminò il Pentateuco, Giosuè, Giudici, Rut, Ester, ma in

precedenza aveva già tradotto Tobia e Giuditta.

La traduzione di Girolamo per chiarezza e fedeltà è eccellente e senza dubbio supera tutte le altre versioni antiche: nella traduzione egli ebbe di mira soprattutto l’aderenza al senso del testo ebraico, della quale però si assicurava consultando le antiche versioni greche, non trascurò tuttavia una certa eleganza nella forma, dando spesso nel più largo periodo latino forma subordinata alle piccole frasi coordinate dell’ebraico, evitando ripetizioni verbali e fenomeno simili. La nuova traduzione di Girolamo non fu accolta da principio con fervore, alcuni furono ostili, tra i quali si annovera Agostino stesso che sul finire della vita rivalutò la propria opinione. Infine tra il VII-VIII secolo d.C. si cominciò a considerare la nuova traduzione come vulgata ossia “comune” e “generalmente accettata”, con il passare del tempo questo termine finì con il designare l’intera Bibbia latina composta in parte dalle revisioni di Girolamo e in parte dalle traduzioni più antiche latine.

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L’ Itala4

Agostino stesso fa riferimento ad una versione della Bibbia che egli chiama “Itala”:

“In ipsis autem interpretationibus, Itala ceteris praeferatur; nam est verborum tenacior cum perspicuitate sententiae. Et latinis quibuslibet emendandis graeci adhibeantur, in quibus Septuaginta interpretum, quod ad Vetus Testamentum attinet, excellit auctoritas.”5

Di questa versione sappiamo molto poco dal momento che è quasi interamente perduta, sono superstiti la parte deuterocanonica, con l’eccezione di Tobia e Giuditta; ugualmente si sono conservati i Salmi ed il Nuovo Testamento che sono confluiti nella versione della Bibbia di San Girolamo. Altri passi si sono conservati come esito di citazioni di Padri e scrittori latini.

Si presume che l’Itala fosse stata tradotta direttamente dal testo dei Settanta, la traduzione generalmente si presenta come particolarmente aderente al testo greco, in alcuni punti servile; non manca di latinizzare alcune parole greche, la lingua che utilizza è quella della bassa latinità. A causa della sua aderenza al testo rappresenta una preziosa testimonianza per i passi che si sono conservati. La questione legata alla cosiddetta versione Itala è molto più complessa di come appare: alcuni studiosi come Vineis ci offrono un resoconto esauriente della questione: lo studioso inizia la sua indagine partendo dalla citazione di Agostino, alcuni studiosi infatti ritengono che non sia degna di fede in quanto risultato di una corruttela del testo, ma Vineis è di altro avviso e per avvalorare la sua tesi fa riferimento anche alla citazione, che risulta essere una trascrizione del passo del De Doctrina

Christiana (VII, 15), in Isidoro di Siviglia Etymologie 6, 4, 56. Vineis ci informa anche sul problema della patria dell’Itala, alcuni studiosi ritengono che sia stata redatta in Africa (citati da Ziegler7) a causa della presenza di africanismi, ma è più probabile ipotizzare che i redattori

4 Le informazioni contenute in questo capitolo sono rintracciabili in:

- P.M. Bogaert, Les Bibles d’Augustin, Revue Theologique de Louvain 37, 2006, pp. 513-531 - F.C.Burkitt, S.Augustine’s Bible and the Itala, Journal of Theological Studies, 11, 1910, pp.258-268 - P. De Ambroggi, L’Itala di S.Agostino, La scuola cattolica, 57, 1929, pp.114-121

- A.Pincherle, Intorno all’Itala interpretatio di Sant’Agostino, Studi e Materiali di Storia delle religioni, VI, 1930, pp.237-281

- E.Vineis, Studio sulla lingua dell’Itala, Pisa, 1974

- O.Garcia de la Fuente, Itala y Vulgata en la Quaestiones in Heptateuchum de San Augustin, Annuario juridico Escurialense 19-20, 1987-1988, pp.539-550

-G.Roccella, Reprehendant nos grammatici: riflessioni metalinguistiche in Agostino d’Ippona, Bologna, 2014 5 Agostino, De Doctrina Christiana, II, 15: Fra le diverse traduzioni alle altre si preferisca l'Itala, che è più aderente

alle parole e più chiara nel pensiero. Per emendare poi qualsiasi codice latino si ricorra ai testi greci, tra i quali, per quel che riguarda il Vecchio Testamento, tutti li supera in autorità la versione dei Settanta.

6 Isidoro di Siviglia, Etymologie, 6, 4, 5: Presbyter quoque Hieronymus trium linguarum peritus ex Hebraeo in Latinum eloquium easdem Scripturas convertit, eloquenterque transfudit. Cuius interpretatio merito ceteris antefertur; nam [est] et verborum tenacior, et perspicuitate sententiae clarios [atque, utpote a Christiano, interpretatio verior] 7 Ziegler, Die lateinischen bibelubersetzungen von Hieronymus und die Itala des Augustin, Monaco, 1879

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dell’Itala avessero a disposizione alcuni testi biblici di origine africana. Inoltre il nome stesso Itala ci porta a presumere che il testo avesse avuto origine in ambiente italiano, Ronsch8 ritiene che il testo dell’Itala sia redatto nella provincia vernacolare italica intendendo il termine Italus in questa accezione, ma non ci sono prove che Agostino utilizzi questo termine specifico.

Sempre Ronsch parla di una Itala “in senso lato” costituita dai manoscritti e citazioni patristiche che marcano una differenza rispetto al testo di Gerolamo e di cui Agostino si sarebbe servito. Altri studiosi come De Ambroggi invece propongono di identificare questa versione Itala con un testo milanese, la medesima conclusione la raggiunge Bogaert che sostiene che Agostino avesse riportato con sé in Africa un codice che conteneva il testo della Bibbia in circolo nel nord Italia. In uno studio poco successivo, Pincherle sostiene che Agostino si riferisca, con il termine Itala, alla “revisione geronimiana fatta sui settanta” e giustifica il nome Itala ipotizzando che Agostino la credesse compiuta da Girolamo a Roma. Questa teoria era già stata avanzata nel 1910 da Burkitt cioè che Agostino avesse dato il nome Itala alla versione redatta da Girolamo, questa teoria decade se osserviamo la cronologia: il passo del De Doctrina Christiana risale almeno al 387, mentre la revisione Geronimiana inizia nel 383 d.C fu portata a termine nel 392 d.C. Vineis è convinto che contemporaneamente alla versione di Girolamo, circolasse in Italia un testo latino della Bibbia “canonico o più usuale”, chiamato Vulgata editio anche da Girolamo stesso, ma non ritiene che sia il medesimo a cui Agostino fa riferimento in Doctr. Christ. II, 15 basandosi su una testimonianza di Girolamo stesso e i codici dell’Itala in nostro possesso: questo passo è Comm. In Ion 2,5b:

“hoc, quod in Graeco dicitur ἆρα et habet Vulgata editio putas, interpretari potest igitur”

Non possiamo però estendere il nome Itala a tutte le versioni pre-Girolamo o a tutte le versioni redatte in Italia: in tale ottica la teoria di Bogaert riemerge forte; Itala potrebbe essere la versione che Agostino conosce come proveniente dall’Italia, che lui stesso ha portato in Africa.

In conclusione le scarse testimonianze della versione Itala non ci permettono di costruire un quadro completo e definitivo su questo testo della Bibbia e sulla sua eventuale presenza in Africa, a maggior ragione se consideriamo la varietà di versioni presenti in Africa tra il IV e il VI secolo d.C. (vedi a questo proposito l’elenco in Boagert9 e in Lowe10 dei codici che riportano versioni latine copiate in Africa precedenti alla Vulgata). Quindi dobbiamo accontentarci del fatto che Agostino utilizzi una versione chiamata Itala che il nostro autore in maniera soggettiva ritiene superiore alle altre versioni bibliche in circolazione: questa consapevolezza cosa ci permette di fare? Possiamo

8 Ronsch, Itala und Vulgata, Munchen, 1965

9 P.M. Bogaert, Les Bibles d’Augustin, Revue Theologique de Louvain 37, 2006, pp. 513-531 10 E.A.Lowe, Codices Latini Antiquiores, Supplement, Oxford, 1971

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analizzare il testo dell’Itala in senso lato (quello che si ricava dalle citazioni) ed il testo dell’Itala superstite per comprendere gli sviluppi di quella “lingua speciale”11 che è il latino biblico.

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2. Il latino cristiano e il latino biblico 12

Altra nozione fondamentale prima di approcciarci ad un testo che rappresenta un commento biblico è la conoscenza di ciò che viene definito latino cristiano e latino biblico: quale differenza intercorre fra queste due lingue? Possiamo parlare di lingue vere e proprie? Quali sono le loro caratteristiche? Molti studiosi hanno compiuto studi ed indagini sulle peculiarità del latino cristiano e del latino biblico giungendo a descriverne le caratteristiche principali.

Come si origina quello che si può definire “latino cristiano”?

I cristiani tendono ad isolarsi e differenziarsi ma ciò non porta alla creazione di un “dialetto” dal momento che utilizzavano la medesima lingua dei pagani, portò bensì alla creazione di una vera a propria comunità linguistica in cui si conservano arcaismi e si innestano neologismi, differenziamenti semantici, prestiti e soprattutto in cui il latino volgare13 poteva avere un ruolo di rilievo con locuzioni e particolarità morfologico-sintattiche. 14

Con l’avvento del cristianesimo si resero ancor più manifeste le carenze del latino classico, prima fra tutte la povertà lessicale; questa era dovuta all’opposizione dei puristi all’introduzione di nuovi vocaboli che potessero minare l’integrità della lingua latina classica, ci sono ancora al tempo di Agostino attestazioni della contrarietà all’utilizzo del neologismo salvator 15da parte del santo. Il termine salvator, identificato in Schrijnen16 come un cristianismo diretto (identificano idee, costumi tradizioni sia con parole indigene sia con prestiti lessicali mediati dalla traduzione biblica), si impone a partire dal IV secolo d.C.

Ma nonostante l’opposizione ormai allo stremo dei puristi, il processo di introduzione di volgarismi e barbarismi era in atto.

Oltre alla carenza lessicale si può rilevare anche la carenza di espressioni adatte ad esprimere i concetti astratti, fatto già lamentato da Cicerone nel De finibus III,1, possiamo immaginare la

12 Le informazioni contenute in questo capitolo sono rintracciabili nei seguenti contributi fondamentali: - J.Schrijnen, I caratteri del latino cristiano antico, Bologna, 2002

- G. Caliò, Il latino cristiano, Bologna, 1965

- A. Ceresa-Gastaldo, Il latino delle antiche versioni bibliche, Roma, 1975

- B. Luiselli, Aspetti della situazione linguistica latina nel passaggio dall’antichità al medioevo, in AA.VV, la fine dell’Impero romano d’Occidente, Roma, 1978, pp. 118-144

- E. Lofstedt, Late latin, Brescia, 1980

13 Su questo argomento si esprime anche E. Vineis, Studio sulla lingua dell’Itala, Pisa, 1974, pp. 28-36 in cui sostiene che i cristiani ed il latino biblico hanno avuto il ruolo di catalizzatore nello sviluppo del latino volgare anticipando modalità espressive tipiche del tardo latino, questo giustificherebbe le affermazioni di Agostino, di Arnobio, Di Girolamo, che delineano come “minus latinus” alcune espressioni.

14 J.Schrijnen, I caratteri del latino cristiano antico, Bologna, 2002, pp. 24-25 15 Per l’uso che ne compie Agostino vedi:

-C. Mohrmann, Altchristliche sondersprache, pp.145-146

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difficoltà nell’esprimere i valori etici e morali importati dalla civiltà semitica ed ellenistica senza uno strumento linguistico adeguato.

Il cristianesimo si trovò a dover fronteggiare queste difficoltà: necessitava infatti di una lingua latina più ricca ed accessibile a tutti, capace di esprimere concetti astratti e rispettare le movenze stilistiche della Bibbia.

Il risultato fu che molte parole assunsero ulteriori significati (fenomeno del traslato) spesso contrari a quello di partenza come fides, humilitas, confessio17 ma non solo, utilizzò neoformazioni derivanti

anche dal greco che già era riuscito ad esprimere concetti giudaici e poi cristiani, alcuni esempi di neoformazioni possono essere:

Sostantivi: baptimus, holocaustum, paradisus, Aggettivi: carnalis,

Verbi: principio, humilio

Il latino cristiano quindi, obbedendo all’esigenza di assicurare la vita e la diffusione del cristianesimo stesso, si manifesta come una lingua integrata e meno raffinata in grado di comunicare il proprio messaggio a tutti

non otiosis philosophorum scnolis paucis discipulis sed universo loquatur hominum generi18

nonostante la semplicità sintattica fu in grado di esprimere concetti astratti grazie all’innesto del lessico semita e ellenistico19.

La trasformazione linguistica del latino cristiano quindi iniziò sul piano lessicale e continuò sul piano sintattico e stilistico: il vocabolario latino si allarga attraverso neoformazioni e traslitterazioni di parole ebraiche (cherubin, alleluja...) e greche (baptismus, evangelium...)20, estensioni di significato del lessico latino esistente (virtus=miracolo21). Furono introdotti dialettismi come

manducare al posto di edere/comedere.

17 H- Janssen, Kultur ud Sprache. Zur geschichte der alten kirche im spiegel der sprachntwicklung. Von Tertullian bis Cyprian, (L C P VIII), Nijmegen, 1938, pp.151-163

18 Girolamo EP. 49,4

19 C.Mohrmann, Etudes sur le Latin des chretiens, Roma, 1958, p.144 20 Sul termine Baptismus/baptisma vedi i seguenti studi:

-C. Mohrmann, Altchristliche sondersprache, pp.84-85

-W. Matzkow, De vocabulis quibusdam Italae et Vulgatae quaestiones lexicographae, Berlino, 1953, pp. 33-35 21 Vitutes nel significato di miracoli risale al greco ἀρεταί ed era favorito dal fatto che virtus nella lingua popolare

significava il concreto atto di valore (cfr. Schrijnen, Op. Cit., p.44) per ulteriori informazioni riguardo questo argomento si vedano anche:

- G.F.M Vermeer, Observations sur le vocabulaire du pelerinage cher Egerie et chez Antonin de Plaisance, (L C P XIX), Nijmegen, 1965, pp.62-63

(13)

Lo studioso R. Braun22, pur riconoscendo al latino cristiano lo statuto “di lingua speciale” per le innovazioni sopra elencate, sostiene che si tratti comunque di una varietà di latino tardo o modalità di parlare e scrivere che non genera incomprensioni nei contemporanei pagani. A conferma di questo cita un passo di una lettera23 di San Girolamo a papa Damaso

Quoniam vetusto oriens inter se populorum furore conlisus indiscissam Domini tunicam et desuper textam minutatim per frusta discerpit et Christi vineam exterminant vulpes, ut inter ¡acus contritos qui aquam non habent, difficile ubi fons signants et hortus ille conclusas sit, possit intelligi, ideo mihi cathedram Petri et fidem apostolico ore laudatam censui consulendam, inde nunc meae animae postulaos cibum unde olim Christi vestimenta suscepi.

in cui non compaiono ebraismi ma due prestiti lessicali e tre neologismi semantici e nota come sia perfettamente comprensibile perfino da un Cicerone dal momento che è perfettamente costruito dal punto di vista grammaticale e sintattico.

Il latino cristiano quindi ci introduce in un mondo nuovo di idee e sentimenti attraverso fenomeni come il simbolismo mentre, per quanto riguarda aspetti fonetici, morfologici e sintattici, partecipa degli sviluppi del latino tardo.24

Delineate le caratteristiche principali del latino cristiano passiamo al latino biblico che rappresenta una nozione più ristretta: si tratta infatti del latino utilizzato esclusivamente per le antiche versioni della Bibbia e per la Vulgata di Girolamo, ed al quale spesso si fa riferimento con l’appellativo di “consuetudo, mos, idioma scripturarum”

Le novità del latino biblico riguardano il campo sintattico favorite dall’influsso greco e semitico, che si può riscontrare nelle seguenti peculiarità 25:

In campo sintattico possiamo notare l’influsso semitico in:

- Genitivo superlativo, come vanitas vanitatum (somma vanità)

- Genitivo di qualità (aggettivo) come odor suavitas (odore soave), genitivo inverso di

abundantia gaudii (un piacere abbondante), metafora genealogica tipo filius iniquitatis (uomo malvagio)

- In + ablativo strumentale,

22 R. Braun, «L’influence de la Bible sur la langue latine», en J. Fontaine, Ch. Pietri (ed), Le monde latin antique et la Bible, Coll. “Bible de tous les temps, 2”, Paris, Beauehesne, 1985, p. 129-142, en lap. 130.

23 Girolamo, Epistola 15 a papa Damaso:

24 O. Garcia de la Fuente, El latin biblico y el latin cristiano: coincidencias y discrepancias, in “Actas del I° Simposio del latin cristiano”, 1990, pp. 45-67

25 O. Garcia de la Fuente, El latin biblico y el latin cristiano: coincidencias y discrepancias, in “Actas del I° Simposio del latin cristiano”, 1990, pp. 45-67

G. Caliò, Il latino cristiano, Bologna 1965

A. Ceresa-Gastaldo, Il latino delle antiche versioni bibliche, Roma 1975 E. Lofstedt, Late latin, Brescia 1980

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- In + accusativo con valore predicativo come accipere in uxorem (prendere in moglie, come

moglie)

- Utilizzo di super invece di de + ablativo (limitazione) o di quam (comparativo)

- A + ablativo con valore comparativo

- Affermazione premessa per un giuramento (vivit Dominus quia = quanto è vero che vive il

Signore)

- Ut con valore causale

- Forme finite di verbi in funzione di avverbi, talora dopo il verbo in funzione avverbiale

compare et, con ablativo del sostantivo della stessa radice del verbo o di radice diversa, con l’accusativo del sostantivo della stessa radice, con un participio presente dello stesso verbo finito, con participio presente di radice diversa, con gerundio o participio passato

- Uso frequente della congiunzione et invece della subordinazione

- Uso del pronome anaforico

- Uso di homo, vir, anima, frater, proximus, amicus in funzione di pronome indefinito

(proximus Ex 21,18)

- Uso di non omnis o omnis non invece di nemo, nullus, nihil

- Uso del futuro invece dell’imperativo, in tutti i precetti del decalogo

- Uso di sostantivi al plurale invece che al singolare come carnes, sanguines

- Uso di singolari che in latino sono pluralia tantum come primitia, insidia etc

- Riproduzione dell’ordine delle parole del testo ebraico in tutte le versioni latine (ordo). La

costruzione ebraica deriva dal fatto che in ebraico i pronomi personali e possessivi complementi sono suffissi, lo stesso accade per gli specificanti e per l’aggettivo qualificativo o dimostrativo rispetto al sostantivo

L’influsso sintattico di origine greca si può notare in: - genitivo assoluto

- genitivo di paragone

- proposizioni oggettive costruite con verbo di modo finito introdotto da quod (utilizzato

anche in latino volgare)

- verbi costruiti con accusativo invece che con dativo

Per quanto riguarda invece lo slittamento semantico a cui abbiamo accennato in precedenza possiamo fornire ulteriori esempi citati da Agostino stesso:

- Adorare: salutare una persona con un gesto di riverenza (da ebraico histahnvah e dal greco

proscinesi)

(15)

- Caeli: plurale tantum come in ebraico samaym sempre con il significato di aria atmosfera

- Confiteor e confessio: lodare Dio, ringraziarlo connesso ad ebraico hodah, rimane attestato

con vigore solo nelle Confessioni di Agostino

- Glorificare: neologismo biblico con significato di esaltare, riconoscere la maestà di Dio in

accordo con il significato dell’ebraico kabod

- Honor: dono, regalo da cui deriva il verbo honorare ovvero fare regali

- Cognoscere: nel latino biblico avere rapporti sessuali

- Videre turpitudinem: significa avere relazioni sessuali, talvolta videre è utilizzato nel senso

di penetrare con la mente come nell’espressione videre sermones = comprendere le parole - Cor: in latino biblico denota il principio della vita spirituale, l’uomo intero in quanto dotato

di ragione e sentimenti, è l’organo della gioia, sofferenza, conoscenza, memoria, riflessione, volontà e decisione

- Renes: sede e simbolo dei pensieri, coscienza

- Mare: indica qualsiasi massa di acqua salata o dolce

- Labium: in latino biblico indica la lingua parlata, la riva o spiaggia, l’orlo o margine

- Lacus: indica la fossa dei leoni, un posso asciutto, cisterna con o senza acqua (spesso usata

come carcere), infine passa a denotare gli inferi - Suscitatio: indica “creatura” o “essere creato”

Ben presto questo nuovo latino suscitò la rivolta di alcuni puristi della lingua che cercarono di porre un freno a questa evoluzione in senso barbaro.

In questo nuovo corso della lingua latina si inserisce perfettamente Agostino riconosciuto oltre che come ottimo oratore anche come grande esperto di grammatica; egli si trovò difronte alla necessità di risolvere la “questione della lingua” da utilizzare durante la predicazione e la soluzione da lui proposta è esposta nel libro IV del De Doctrina Christiana

Perspicuitatis in dicendo studium.

10. 24. Cuius evidentiae diligens appetitus aliquando neglegit verba cultiora nec curat quid bene sonet, sed quid bene indicet atque intimet quod ostendere intendit. Unde ait quidam, cum de tali genere locutionis ageret, esse in ea quamdam diligentem neglegentiam. Haec tamen sic detrahit ornatum ut sordes non contrahat. Quamvis in bonis doctoribus tanta docendi cura sit, vel esse debeat, ut verbum quod nisi obscurum sit vel ambiguum, latinum esse non potest, vulgi autem more sic dicitur ut ambiguitas obscuritasque vitetur, non sic dicatur ut a doctis, sed potius ut ab indoctis dici solet. Si enim non piguit dicere interpretes

(16)

nostros: Non congregabo conventicula eorum de sanguinibus 22, quoniam senserunt ad rem pertinere, ut eo loco pluraliter enuntiaretur hoc nomen, quod in latina lingua singulariter tantummodo dicitur, cur pietatis doctorem pigeat imperitis loquentem, ossum potius quam os dicere, ne ista syllaba non ab eo quod sunt ossa, sed ab eo quod sunt ora intellegatur, ubi Afrae aures de correptione vocalium vel productione non iudicant? Quid enim prodest locutionis integritas quam non sequitur intellectus audientis, cum loquendi omnino nulla sit causa si quod loquimur non intellegunt, propter quos ut intellegant loquimur? Qui ergo docet, vitabit verba omnia quae non docent, et si pro eis alia integra, quae intellegantur, potest dicere, id magis eliget. Si autem non potest, sive quia non sunt sive quia in praesentia non occurrunt, utetur etiam verbis minus integris, dum tamen res ipsa doceatur atque discatur integre.26

Agostino invita quindi a cedere sulla purezza della lingua e concedere spazio a parole ed espressioni “popolari” ma comprensibili: il suo pensiero è quello di dare maggior importanza al messaggio veicolato dal testo piuttosto che alla forma del testo, senza però cadere nell’errore grave che inevitabilmente porterà alla incomprensibilità. Questo pensiero sta alla base anche delle Locutiones

in Heptateuchum che si propongono di evidenziare espressioni greche o ebraiche che sono penetrate

in latino e offrire una valutazione del grado di comprensibilità che mostrano.

26 Agostino, De Doctrina Christiana IV,10.24: Il desiderio profondo di [ottenere] questa evidenza porta a volte a trascurare le parole più ricercate e non si prende cura di ciò che suona bene ma di ciò che esprime e manifesta quanto l'oratore ha intenzione di palesare. In ordine a ciò, disse un tale, parlando di questo genere di eloquenza, che c'è in essa una specie di negligenza diligente 21. Questa negligenza però, se esclude il parlare forbito, non lo fa in modo che cada nella banalità. Peraltro nei buoni maestri è, o deve essere, tanta cura che, se una parola non può essere latina senza essere nello stesso tempo oscura o ambigua - mentre se la cosa viene detta in termini popolari si evita e l'ambiguità e l'oscurità - non si deve parlare con il linguaggio dei dotti ma piuttosto come sogliono i meno istruiti. Così i nostri traduttori non ebbero ritegno di dire: Non congregabo conventicula eorum de sanguinibus 22 [= non radunerò le loro assemblee di sangue], perché ritennero necessario che in quel passo il nome " sangue " fosse usato al plurale, nonostante che in latino lo si usi solo al singolare. Perché un oratore sacro dovrebbe quindi aver paura di dire, parlando a degli incolti, ossum invece di os, per impedire che questa sillaba venga presa come derivante non da quel nominativo il cui plurale è ossa ma da quell'altro da cui deriva il plurale ora, dato che gli orecchi degli africani non sono in grado di percepire la brevità o la lunghezza delle sillabe? Cosa giova infatti una scrupolosità nel parlare che non sia seguita dalla comprensione di chi ascolta, (mentre l'unica ragione del parlare non è assolutamente altra che questa)? Se cioè coloro per i quali noi parliamo in effetti non capiscono il nostro dire? Chi insegna eviterà dunque tutte le parole che non insegnano nulla, e, se in loro vece potrà dirne delle altre corrette e intelligibili, sceglierà queste; se invece non potrà farlo, o perché non ci sono o perché sul momento non gli vengono in mente, si servirà di parole anche meno corrette, purché la cosa in sé sia insegnata e appresa con la necessaria esattezza.

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3.

Locutiones in Heptateuchum libri VII

Ora che abbiamo delineato alcuni aspetti preliminari possiamo approcciarci al testo che sarà oggetto della mia tesi ovvero le Locutiones in Heptateuchum libri VII, in particolare il secondo libro che tratta l’Esodo; prima di analizzare il testo vero e proprio è opportuno compiere delle considerazioni di carattere generale.

3.1 Caratteri generali del testo27

Le Locutiones in Heptateuchum sono un’opera di Agostino composta attorno al 419 d.C28., all’incirca nello stesso periodo di scrittura delle Quaestiones in Heptateuchum.

“Hoc opus ad annum circiter 419 referre idcirco visum est, quia in Retractationibus locum habet proximum post libros de Nuptiis et cuncupiscentia, quos eo fere tempore scriptos fuisse liquet”29

A giudicare quindi dalla posizione di Quaestiones e Locutiones nelle Retractationes, la loro data di composizione può essere a buon diritto ritenuta il 419-420 d.C. (il de nuptiis et concupiscentia si inserisce nella polemica contro Giuliano). Una ulteriore conferma deriverebbe dal fatto che Agostino faccia riferimento a Girolamo come se fosse ancora vivo (la sua morte avviene nel settembre del 419 ma la notizia giunge nel 420 al vescovo di Ippona)30

Agostino, Quaestiones in Heptateuchum, XXVI:

[…] iam quidem et contra Faustum de hac re disputavi; et diligentius a presbytero Hieronymo expositum est […]

Anche se nel secondo libro delle Retractationes Agostino tratta prime le Locutiones (libro 2, cap. LXXXI) e successivamente le Quaestiones (libro 2, cap LXXXII), nelle Locutiones invece troviamo riferimenti costanti alle Quaestiones come ad esempio in Esodo LXIIII 12. 7-8:

27 Vedi le informazioni contenute in Corpus Christianorum Series Latina XXXIII, Aurelii Augustini Opera Pars V, Brepols 1958, Introduzione p.VII

28 L.Carrozzi, A. Pollastri, Sant’Agostino: locuzioni e questione sull’ettateuco XI/1, Roma 1995, p. 25

29 S. Aurelii Augustini Operum, tomus III, pars 1, opera et studio monachorum O.S.B e Congr. S.Mauri, Parigi, 1689, pp.325-326

30 F. Cavallera le quaestiones hebraicae in genesim de s.jerome et les quaestiones in genesim de s.augustin in MA II roma 1931 pp. 359-372

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“similis ei locutioni, quam de filio Moyse exposuimus...”

perciò è lecito presumere che le Quaestiones siano state redatte poco prima delle Locutiones.

La teoria della composizione in contemporanea31 delle due opere è avvalorata da un passo delle Ritrattazioni in cui Agostino introduce le Quaestiones:

Agostino, Retractationes, II, 55:

“Eodem tempore, scripsi etiam libros Quaestionum de libris eisdem divinis septem32 [...]”

Questo passo è inserito subito dopo la descrizione delle Locutiones perciò “eodem tempore” fa chiaramente riferimento al momento di composizione delle locuzioni.

Alcuni studiosi sostengono che le due opere siano state scritte contemporaneamente ma in maniera alternata33, questo fatto sembra essere confermato dalla struttura che presenta il codice Corbeiense ( C ), sono disposti nella circa medesima composizione anche i codici Paduano e Novariense in cui compaiono prima le Quaestiones in Genesi e in Esodo, poi le Locutiones sui medesimi libri, infine seguono in maniera alternata Locutiones et Quaestiones su Levitico, Numeri, Deuteronomio, Giosuè e Giudici. Questa “dispositio difficilior” può essere ritenuta originale.

Per quanto riguarda il titolo e la natura dell’opera di Agostino è lui stesso a fornirci alcune informazioni proprio nelle Retractationes, in cui introduce il lavoro così:

“LIV (LXXXI) - LOCUTIONUM, LIBRI SEPTEM

54. Septem libros de septem libris divinarum Scripturarum, id est Moysi quinque et uno Iesu Nave et altero Iudicum, feci notatis locutionibus singulorum quae minus usitatae sunt linguae nostrae, quas parum advertendo sensum quaerunt qui legunt divinorum eloquiorum, cum sit locutionis genus, et nonnumquam exculpunt aliquid quod a veritate quidem non abhorreat, non tamen id sensisse auctor a quo id scriptum est invenitur, sed genere locutionis hoc dixisse credibilius apparet. Multa autem in Scripturis sanctis obscura cognito locutionis genere dilucescunt. Propter quod cognoscenda sunt eadem genera locutionum ubi sententiae patent, ut etiam ubi latent cognitio ipsa succurrat easque intentioni legentis aperiat. Huius operis titulus est; Locutiones de Genesi, atque ita de singulis libris. Quod

31 Bardy la litterature patristique des quaestiones et responsiones sur l’ecriture in revue biblique 41, 1932, p. 516 32 Agostino, Retractationes, II, 55: nel medesimo periodo ho scritto anche sette libri di questioni sugli stessi libri

sacri [...]

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autem in primo libro posui scriptum esse: Et fecit Noe omnia verba quaecumque praecepit illi Dominus, sic fecit, eamque locutionem dixi esse similem ei quod in conditione creaturae, posteaquam dicitur: Et sic est factum, additur: et fecit Deus, non omni modo simile hoc eidem mihi videtur. Denique ibi etiam sensus latet, hic sola locutio est.

Hoc opus sic incipit: Locutiones Scripturarum.”34

Si tratta quindi di un’opera il cui intento è fornire delucidazioni su alcuni passi del testo biblico che, per errata traduzione, per complessità dell’originale, risultano ostici al lettore che tende di conseguenza a ricercare significati simbolici che si possono celare dietro una espressione complessa e articolata o a mal interpretare il messaggio e significato religioso.

Il testo biblico prima di essere il fondamento della religione cristiana è un testo letterario e come tale presenta delle caratteristiche stilistico-linguistiche che possono essere analizzate ed inserite in un contesto; data la sua genesi originariamente in ebraico, la successiva traduzione in greco ed infine, ciò che interessa a noi, in latino bisogna tenere sempre presente l’orizzonte stratificato in cui si inserisce: infatti è possibile che ogni traduttore sia stato deviato non solo da una cattiva comprensione del testo, da scarse capacità di traduzione ma anche dalla difficoltà di rendere in greco o in latino espressioni ebraiche. Il risultato di tali traduzioni può, come già detto, portare ad incomprensioni che Agostino con questa opera si propone di mettere in luce e attraverso un complesso lavoro che noi definiremmo filologico.

La breve descrizione introduttiva delle Locutiones ben delinea l’intento di Agostino:

“Locutiones Scripturarum, quae videntur secundum proprietates, quae idiomata graece vocantur, linguae hebraicae vel graecae”35

34 Agostino, Retractationes II, LXXXI: Ho scritto sette libri su altrettanti libri della Sacra Scrittura e precisamente sui cinque libri di Mosè, sul libro di Giosuè, figlio di Nun, e sul libro dei Giudici. In essi ho annotato, per ciascun libro, le espressioni meno usuali nella nostra lingua. Trattasi di quelle espressioni non riconoscendo le quali nel loro vero significato i lettori cercano il senso delle parole divine mentre si tratta solo di un tipo di linguaggio, e talora immaginano qualcosa che, se non è in contrasto con la verità, non risulta tuttavia corrispondere a ciò che aveva inteso dire l'autore, che appare invece più credibile si sia espresso in quel modo seguendo un determinato tipo di espressione. Molte oscurità nelle Sacre Scritture si chiariscono ove si conosca il tipo di espressione. Occorre perciò imparare a conoscere tali tipi quando il pensiero è chiaro: in tal modo nei casi in cui tale chiarezza non c'è, quella stessa conoscenza può aiutarci a rivelare al lettore, teso nella ricerca, la sostanza del pensiero. Il titolo di quest'opera è: Locuzioni tratte dalla Genesi, nonché da altri singoli libri. Nel primo libro ho dapprima riportato le seguenti parole della Scrittura: E Noè diede attuazione a tutte le parole con le quali il Signore gli aveva dato i suoi ordini, così fece. Quindi ho detto che questo tipo di espressione è quello che ritroviamo nel racconto della creazione laddove, subito dopo le parole: E così fu fatto, si legge: E Dio fece. Ora non mi sembra che ci sia somiglianza fra le due sequenze: nel primo caso anche il senso rimane oscuro, nel secondo è solo un fatto di espressione. Quest'opera incomincia così: Le locuzioni delle Scritture.

35 Agostino, Locutiones in Heptateucum: “Locuzioni delle Scritture che sembrano conformi ai modi particolari di parlare della lingua ebraica o greca, che in greco sono chiamati idiomata [idiomatismi].”

(20)

si tratta quindi di passaggi che hanno un carattere spiccatamente greco o ebraico, Agostino ritiene però che tali difetti di linguaggio possano essere trascurati se non intaccano la comprensione del testo, risulta quindi evidente che Agostino manifesta una grande sensibilità rispetto alle questioni di lingua, registro e stile sollevate dalla lettura e dal commento delle Scritture.

Nelle locuzioni Agostino non riporta soltanto quelle definite in senso proprio (locuzione caratteristica di una particolare lingua o dialetto, spesso fuori dalle regole grammaticali e sintattiche) ma anche quelle che denominano tropi, nome generico che comprende le figure di costruzione, come l’anafora, l’ipallage, la figura etimologica, il pleonasmo, figure di pensiero, come l’antitesi, l’ossimoro, figure grammaticali come lo zeugma.36

Ma tra le locuzioni in senso proprio le più numerose di cui parla Agostino nelle sue opere esegetiche sono quelle comprese nella categoria di “traslati” tra cui la metafora, attraverso cui si esprime un concetto mediante una parola che esprime un altro concetto, la similitudine, l’ironia, l’antifrasi, la sineddoche, la metonimia….37

Grazie alle problematiche sollevate da Agostino delle Locutiones in Heptateuchum possiamo anche definire un quadro della lingua latina utilizzata al suo tempo: infatti le annotazioni che propone l’autore non fanno altro che “riscrivere” in alcuni casi, in forma comprensibile ai parlanti contemporanei espressioni inusuali attraverso un linguaggio più familiare. Possiamo dunque affermare che l’opera di Agostino ha una duplice valenza; ci riporta in forma indiretta (con le citazioni) passi della Bibbia definita Itala e ci informa, attraverso le osservazioni linguistiche e le non osservazioni, sulla lingua latina a lui contemporanea.38

36 L. Carrozzi, A. Pollastri, Sant’Agostino: locuzioni e questioni sull’ettateuco XI/1, Roma, 1995 p. 35

37 Questo elenco è contenuto in L. Carrozzi, A. Pollastri, Sant’Agostino: locuzioni e questioni sull’ettateuco XI/1, Roma, 1995 pp. 34-35

Per ulteriori informazioni consultare anche M. Simonetti, De Doctrina Christiana, edizione Valla pp. 587-619 38 B.Lofstedt, Augustin als zeuge der lateinische umgangssprache, pp. 143-148, in Ausgewahlte aufsatze zur

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3.2 La teoria grammaticale degli idiomata

Le Locutiones in Heptateuchum hanno alla base la teoria grammaticale degli idiomata. L’apprendimento di tale teoria faceva parte dell’insegnamento grammaticale e retorico39, il termine presuppone una attività di comparazione linguistica: il confronto con il latino può far emergere una espressione greca e viceversa; per meglio comprendere questa teoria possiamo fare riferimento ad un passo di Carisio, contenuto nell’introduzione al libro V della sua Ars Grammatica che tratta proprio “de idiomatibus”:

“Idiomata quae sunt nostri sermonis innumerabilia quidem debent esse. Ea enim sunt omnia quae pro nostro more efferimus et non secundum Graecos. Sed ut breviter dicamus, aut ex generibus nominum fiunt, quae contra morem Graecorum nos habemus (nam cum dicimus hic honor ἡ τιμή, fit apud nos masculini, apud illos feminini generis), aut ex verborum significationibus contrariis, velut luctor παλαίω. Hoc enim verbum apud nos passive effertur apud Graecos active. Sic etiam et per ceteras partes orationis idiomatum dissonantia multiplex reperitur.”

In questo passo Carisio mostra come le due lingue, latino e greco, quando riproducono il medesimo termine possano scegliere un genere diverso; ma questo risulta applicabile a tutte le parti del discorso e ciò porta al confronto fra le due lingue.40

Carisio riporta anche la definizione tramandata da altri studiosi riguardo gli idiomata:

“Aliis etiam ita de idiomatibus placuit definire. Cum ab omni sermone Graeco Latina linuga pendere videatur, quaedam inveniuntur vel licentia ab antiquis vel proprietate linguae latinae dicta praeter consuetudinem Graecorum, quae idiomata appellantur. Adgnoscuntur autem ex casibus. Nam invenimus quae Graeci per genitivum casum dicunt, haec per dativum usurpata, ut ‘parco ribi’, et quae Graeci per dativum, haec a Romanis per genetivum prolata, ut ‘pudet me amoris’. Item ceteros casus alios pro aliis dictos invenimus.”

39 Suss, Studien zur lateinischen bible: Augustins locutiones und das problem der lateinischen bibelsprache, Tartu, 1932, p.4

40 Suss, Studien zur lateinischen bible: Augustins locutiones und das problem der lateinischen bibelsprache, Tartu, 1932, p.5

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La tendenza al confronto con il greco nasce principalmente dalla credenza, come si può notare nel passo sopra citato, che il latino fosse un dialetto del greco, ciò ha dato origine ad etimologie spesso fantasiose ma in alcuni casi è stata davvero fruttuosa se si presuppone che la lingua latina dipenda dal greco in modo tale che tutte le particolarità latine sembrino essere sviluppi peculiari o licenze linguistiche.41

Nell’ottica di fornire un quadro completo sulla teoria degli idiomata riporto infine anche una citazione di Diomede pressoché identica a quelle citate da Carisio:

“Verba diversis casibus apud Romanos hoc modo iunguntur. Nam cum ab omni sermone Graeco Latina loquella pendere videatur, quaedam inveniuntur vel licentia ab antiquis vel proprietate Latinae linguae dicta praeter consuetudinem Graecorum, quae idiomata appellantur. Agnoscuntur autem ex casibus. Nam invenimus quae Graeci per dativum dicunt haec a Romanis per genetivum elata, ut pudet me amoris, et quae Graeci per genetivum casum dicunt haec per dativum usurpata, ut parco tibi; ceteros item casus alios pro aliis dictos, quos cum exemplis in suo quoque loco ponemus. Sunt praeterea figurae quae consuetudine quidem per alium casum dicuntur, ab antiquis autem per diversum, velut utor hac re nos dicimus, ab antiquis autem utor hanc rem dictum est, quae et ipsa in sequentibus exponemus.”

I grammatici del IV secolo dedicano spazio alla teoria degli idiomata all’interno delle proprie opere, ponendo per esempio attenzione alla costruzione di determinati verbi con i casi appropriati, da cui è scaturita la teoria del settimo caso42, evidenziato dall’analisi della corrispondente costruzione greca. Alcuni grammatici sono arrivati ad ipotizzare un ottavo caso latino confrontando il genitivo greco con l’ablativo latino per i nomi di città per indicare il moto da luogo. Suss, nel suo lavoro, redige un elenco di grammatici che trattano la teoria degli idiomata casuum al fine di fornire un quadro di riferimento entro cui inserire anche le considerazioni di Agostino nelle Locutiones, riporto di seguito l’elenco e rimando alle pagine di Suss per ulteriori informazioni:

41 W. Suss, Studien zur lateinischen bible: Augustins locutiones und das problem der lateinischen bibelsprache, Tartu, 1932

42 W. Suss, Studien zur lateinischen bible: Augustins locutiones und das problem der lateinischen bibelsprache, Tartu, 1932

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Dositeo, Excerpta Bobiensia, codice Parisinus 753043, Explanatio in Donatum, Appendix Probi ed infine Macrobio.44

Riassumendo tutti i passi citati e le informazioni in essi contenute possiamo concludere che gli

idiomata sono proprietà linguistiche tipiche di una lingua (latino, greco, ebraico...) che si

manifestano come innovazioni. La discussione non si riduce al solo ambito grammaticale ma investe anche l’ambito esegetico proprio come nelle Locutiones di Agostino in cui gli idiomata diventano usi linguistici, idiomatici, che caratterizzano il lessico delle Sacre Scritture, si tratta di proprietà sintattiche e morfologiche tipiche del greco o dell’ebraico; il dibattito quindi si concentra sulle anomalie del latino biblico che sono per la maggior parte collegate alla resa letterale dei traduttori.

Una simile definizione è offerta anche da Cassiodoro nelle Insitutiones:

“idiomata enim legis divinae dicuntur propriae locutiones, quas communis usus non habere cognoscitur”.

Da questa ultima citazione di comprende anche il titolo scelto da Agostino per la sua opera ovvero

Locutiones in Heptateuchum: espressioni che manifestano una diversità dei termini latini rispetto a

quelli ebraici o greci.45

43 Una analisi del codice è proposta da S. Pelosi, Il bilinguismo del fragmentum de idiomatibus casuum

(Paris, BN lat. 7530, ff. 41r-46r) in Atti del III Seminario nazionale per dottorandi e dottori di ricerca in studi latini (CUSL), pp.88-99

44 W. Suss, Studien zur lateinischen bible: Augustins locutiones und das problem der lateinischen bibelsprache, Tartu, 1932

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3.3 La conoscenza del greco di Agostino46

Dopo aver delineato brevemente i caratteri della questione degli idiomata casuum, possiamo passare ad un’altra problematica connessa al testo di Agostino: quale livello di conoscenza della lingua greca possedeva? Agostino a più riprese sostiene l’importanza di conoscere la lingua da cui si traduce al fine di comprendere meglio il testo, in particolare nelle Locutiones in Heptateuchum fa spesso riferimento al testo della Bibbia del Settanta citando (in traduzione) passi, frasi e parole (ciò può far presupporre che ne avesse una copia a disposizione per i suoi studi).

Agostino in alcuni passi delle sue opere manifesta di aver avuto, in giovane età, una sorta di avversione al greco preferendo ad esso il latino, come dichiara nelle Confessioni:

Agostino, Confessiones, I, 13:

Quid autem erat causae, cur graecas litteras oderam, quibus puerulus imbuebar, ne nunc quidem mihi satis exploratum est.47

Diversi studiosi hanno affrontato questo tema di fondamentale importanza: alcuni sono assolutamente convinti che Agostino fosse in grado di leggere e tradurre il greco mentre altri mostrano delle riserve in merito.

Sul tema della conoscenza del greco si può far riferimento ad saggio Augustinus un die griechische

sprache di Altaner, in cui delinea brevemente la storia della formazione di Agostino, ricevuta nella

medesima scuola di Cipriano e Lattanzio; inoltre pone l’attenzione sul fatto che al tempo del vescovato di Agostino il greco era molto diffuso in Africa settentrionale e il suo predecessore Valerio parlava perfettamente greco. (dal quale Guilloux ritiene che Agostino abbia effettivamente appreso il greco)

Carrozzi e Pollastri evidenziano nell’introduzione all’edizione delle Questioni e Locuzioni

sull’Ettateuco come non sia possibile pensare che Agostino non conoscesse il greco “lui che per più

di trent’anni aveva retto una importante diocesi africana, svolto attività pastorale e giurisdizionale che lo poneva in contatto con persone provenienti dalle più varie località”48.

A sostegno della sua tesi, Altaner adduce le seguenti motivazioni:

46 Le informazioni contenute in questo capitolo sono rintracciabili in

- L.Carrozzi, A. Pollastri, Sant’Agostino: locuzioni e questione sull’ettateuco XI/1, Roma 1995, pp.27-28 - B. Altaner, Augustinus und die griechische Sprache, Munster, 1939, pp. 19-40

- P. Guilloux, St. Aug. Savait-il le grec? In Revue d’hist. Eccles. 1925, pp. 79-83

- S. Salaville, La connaissance du grec chez saint Augustin, in: Échos d'Orient, tome 21, n°127-128, 1922. pp. 387- 393

47 Agostino, Confessiones, I, 13: Quale fosse poi la ragione per cui odiavo il greco che mi veniva insegnato da fanciullo, non lo so esattamente nemmeno ora.

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“Chi ha preso in considerazione, in parecchie centinaia di passi, singole parole e frasi del testo greco – come è possibile provare – per la sua critica testuale ed esegesi, non avrebbe potuto assolutamente farlo senza aver letto e studiato a fondo nel loro contesto parecchi testi, anzi libri interi, della S. Scrittura. Il greco della Scrittura, con il suo tesoro di vocaboli, la sua grammatica e la sua sintassi era dunque un valore ben noto per Agostino, il quale poteva usare certamente aiuti lessicali e di altro genere, che noi purtroppo oggi non conosciamo con maggior precisione. Come scopo egli s’era proposto di capire il più esattamente possibile il senso e lo spirito della Sacra Scrittura e perciò gli parve importante il non piccolo sacrificio di tempo e di forze connesso con l’uso della Bibbia”49

Anche Salaville50 fa riferimento ad alcuni passi delle opere di Agostino per dimostrare la sua conoscenza del greco, in particolare cita la disputa sollevata da Petiliano, vescovo donatista, contro i cattolici.

In una lettera di risposta, Agostino scrive:

Ego quidem graecae linguae perparum assecutus sum, et prope nihil : non tarnen impudenter dico me nosse όλον non esse unum, sed totum; et καθ' όλον, secundum totum; unie catholica nomem accepit, dicente ipso Domino... « Eritis mihi testes in Jerusalem et in totam Judaeam et Samariam, et usque in totam terram.» (Act. ι, 8.) Ecce unde catholica vocatur.

Salaville ritiene che in questo passaggio Agostino dimostri le proprie abilità linguistiche e filologiche: soltanto una persona con una sicura padronanza del greco sarebbe stata in grado di fornire una argomentazione così lucida.

Questi studiosi sono tutti concordi nell’attribuire ad Agostino una conoscenza del greco buona anche se ognuno in maniera più o meno ampia, ma vengono criticati nella metodologia di indagine da Courcelle.51

Courcelle ritiene infatti che sia necessario osservare lo sviluppo diacronico della conoscenza del greco da parte di Agostino e per farlo indaga la presenza di parole greche e della loro interpretazione nelle sue opere.

Nei primi commentari redatti da Agostino il greco compare sporadicamente (come già aveva notato Marrou52) e viene utilizzato in maniera irregolare dimostrando di conoscere i rudimenti della lingua necessari a compiere semplici osservazioni (in epist. Ad Galat, 9), non si limita agli scritti esegetici ma indaga anche altre occorrenze di parole greche ed evidenzia come in alcune circostanze non sia

49 B. Altaner, Augustius und die grieschische Sprache, Munster, 1939, pp. 19-40 50 S. Salaville, op. Cit.

51 P. Courcelle, Les lettres grecques en occident: de Macrobe a Cassiodore, Parigi, 1948, pp. 137- 209, la sezione riguardante la conoscenza del greco occupa le pagine 137- 152

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in grado di attribuire una parola alla lingua greca o all’ebraico come in De Sermone Domini in

monte IX, 23.

Courcelle deduce quindi che al 390-400 Agostino riesce a leggere e comprendere poche parole di base fra le quali inserisce anche καθολικός di cui riesce a fornire solo una facile etimologia. Data la cronologia delle sue opere rifiuta anche la teoria in base alla quale avrebbe perfezionato il greco attraverso il contatto con il vescovo Valerio tra il 391 e il 396 in quanto tutte le opere anteriori al 400 mostrano l’utilizzo di termini greci53 che si riducono a frasi elementari, etimologie facili e qualche termine tecnico del greco ecclesiastico.

Finalmente in circa 15 anni di studio, Agostino matura la conoscenza del greco come si nota chiaramente all’interno di alcuni scritti importanti come le Enarrationes in Psalmos, il Tractatus in

Hoannem, le Quaestiones et Locutiones in Heptateuchum, in cui redige delle vere e proprie micro

lezioni di greco, dimostra di essere in grado di apprezzare e comparare il valore delle traduzioni; in questo contesto elabora la sua teoria in merito (esposta nel De Doctrina Christiana), ritenendo migliore la traduzione letterale accettando anche barbarismi se non intaccano la comprensibilità del testo. È in grado anche di spiegare e correggere errori dei traduttori attraverso la critica testuale dei manoscritti greci.

L’ultimo passo della maturazione della conoscenza del greco avviene attorno al 426-427 anno di composizione delle Retractationes in cui Agostino si accorge di aver compiuto numerosi errori dovuti alla sua scarsa abilità in greco I, 7, 2-3.

Dopo questo excursus dettagliato Courcelle conclude che Agostino, con fatica ed impegno continuo , durante il corso della sua vita, era riuscito ad ottenere una buona conoscenza della lingua greca tuttavia, essendo appresa sui libri, non sarà mai in grado di fornire una traduzione latina che vada oltre la letterarietà.

53 H. Becker, Augustin, studien zu seiner geistigen entwickelung, Leipzig, 1908, p.238 fornisce un elenco di termini greci utilizzati prima del 400 per provare una conoscenza estesa del greco da parte di Agostino

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COMMENTO AL TESTO: LOCUTIONES DE EXODO

Il secondo libro del pentateuco è chiamato Esodo cioè uscita, perché in esso si narra l’uscita degli Ebrei dall’Egitto ove erano oppressi. Fin dal capitolo due si parla di Mosè come personaggio principale. Il libro si può dividere in tre parti: di cui la prima (capp 1-11) narra i fatti precedenti all’uscita; la seconda (capp 12-18) narra l’uscita e il viaggio verso il monte Sinai; la terza (capp 19-40) si estende sui vari avvenimenti accaduti attorno al monte Sinai. Con l’Esodo comincia la prevalenza di quel materiale legislativo, che ha procurato all’intero pentateuco il nome di “Legge”: nel capitolo 20 è contenuto il celebre Decalogo, nel capp 21-23 una raccolta di norme designata modernamente col termine di “Codice dell’alleanza”, e nella parte finale del libro si ritrovano lunghe serie di prescrizioni liturgiche.

L’opera di Agostino si presenta come un commento al testo biblico all’interno del quale l’autore individua delle particolarità linguistico-espressive che ritiene degne di nota. Nell’approcciarmi al testo ho deciso di riunire le locuzioni che presentano il medesimo fenomeno sotto la categoria di appartenenza: su 160 locuzioni ne ho commentate 123 suddivise in 12 categorie.

Al fine di avere una visione più completa possibile dell’argomento oltre al testo di Agostino ho ritenuto necessario riportare il testo nella versione dei Settanta, a cui spesso il vescovo di Ippona fa riferimento, ed anche il testo della Vulgata con lo scopo di evidenziare come Girolamo risolve alcuni dei problemi sollevati ed incontrati anche da Agostino.

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1. Il fenomeno della geminatio54

I passi che analizzeremo di seguito sono stati riconosciuti da parte di Agostino come locuzioni dal momento che queste espressioni risultano estranee al latino classico ma sono rintracciabili e possono essere ricollegate ad una derivazione dall’ebraico. In alcuni testi della tarda antichità compaiono forme di geminatio ma hanno all’origine una formazione diversa come vedremo nel capitolo che segue.

L’ebraico presenta la tendenza alla ripetizione di una intera frase, una sola parola, a volte con, a volte senza copula in mezzo: questa ripetizione può indicare la presenza di due procedimenti chiamati geminatio distributiva e geminatio enfatica.55

All’interno dell’Esodo biblico Agostino individua, più o meno consapevolmente, alcuni esempi di questi fenomeni, un primo esempio di geminatio distributiva, che generalmente indica l’idea di pluralità, l’idea di distribuzione, anche con avverbi56, si trova in:

• Ex 10.8

Loc in Hept. - Aug. Qui autem et qui sunt qui ibunt? Quotidie dicimus consuetudine familiariore: Quam qui et qui ibunt?

LXX. τίνες δὲ καὶ τίνες εἰσὶν οἱ πορευόμενοι;

Trad. Chi [sono] però e quali sono quelli che partiranno? Con il nostro modo di parlare più familiare noi diciamo ogni giorno: " Quanti e quali sono quelli che partiranno? ".

In questa espressione possiamo notare l’utilizzo di quam nell’accezione di ut, Lofstedt57 ritiene che sia un utilizzo tipico del latino tardo e occasionalmente compare anche in epoca classica.

Di maggior interesse è come Agostino sembri semplificare, condensando, il testo biblico con l’espressione “qui et qui”, introducendola come una locuzione familiare al modo di esprimersi a lui contemporaneo. Questa locuzione è basata sull’ebraico mî – wa – mî. Una espressione parallela al sopracitato “qui et qui”, rintracciabile in latino classico, è la forma “quisquis”, interpretando questo pronome nel senso di “chi in questo caso e chi in un altro”.58L’origine del pronome quisquis (ma

54 W.Suss, Studien zur lateinischen Bibel I, Augustinus Locutiones und das problem der lateinischen bibelsprache, Tartu 1932, pp. 87, 92-95

55 P. Jouon, Grammaire de l’Hebreu biblique, Roma, 1947, p.414

56 O. Garcia de la Fuente, Consideraciones sobre el influjo hebreo en el latin biblico, Emerita, 49, num.II, 1981, p. 327

57 E.Lofstedt, Commento filologico alla peregrinatio Aetheriae, ricerche sulla storia della lingua latina, Bologna 2007, p.148

58 W. Suss, Studien zur lateinischen bibel:Augustins locutiones und das problem der lateinischen bibelsprache, Tartu, 1932, p. 93-94

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analogo è anche quidquid) è legata alla geminatio del pronome quis59, inizialmente si pensa per

ottenere il plurale (ma quisquis non significa omnes), in realtà in questo caso siamo difronte ad una duplicazione che mira a risolvere l’unità nelle singole parti come ad esempio in:

Plauto, Anfitrione, 1, 1 v.

Quisquis homo huc profecto venerit, pugnos edet.60

Si può anche citare come espressione parallela “quicumque” nel senso di “chi lo fa e quando lo fa”. Le forme con cum temporale inteso come “quando”, “ogni volta” traslano il significato di questo pronome verso “chiunque”. Il cum inserito tra qui e qui ha la funzione di attenuare la forma

quisquis come anche il passaggio da qui a que che migliora il termine dal punto di vista fonetico61. Queste forme pronominali si presentano senza la copula a separarle, come risultato della geminatio, ma esistono anche con la copula come il già citato qui et qui ma anche ille et ille ed haec et haec. Si tratta comunque di formazioni presenti solo nella tarda antichità e molto raramente nel latino classico.

Arnobio Iuniore, Commentarii in Psalmos, 36:

Dicere enim possumus: Ecce ille et ille haec et haec scelera perpetrarunt et florent.62

Haec et haec si trova anche in Quintiliano,

Quintiliano, Institutio Oratoria, VI, 1, 4:

[…] aut ad preces confugit merito, cum sciret haec et haec.63

Si ritrova anche negli Acta Thomae una forma simile distributiva costruita con i pronomi “quid et quid”:

Quid et quid scire de artibus potes, quia praetulit te mihi dominus tuus?

Lofstedt64 evidenzia come queste forme distributive con la geminatio della parola siano tipiche del latino tardo, giustificando così l’espressione che propone Agostino come familiariore, proponendo alcuni esempi per avvalorare questa tesi come le espressioni unus et unus, locis et locis.

59 Wolfflin, Die Gemination im Lateinischen,Oxford, 1882

60 Plauto, Anfitrione, 1, 1: qualunque uomo si presenterà adesso qui, mangerà pugni. 61 Wolfflin, Die Gemination im Lateinischen,Oxford, 1882

62 Arnobio Iuniore, Commentarii in Psalmos, 36: Infatti possiamo dire: ecco lui e lui hanno perpetrato questo e quel delitto e sono fiorenti

63 Quintiliano, Institutio Oratoria, VI, 1, 4: a ragione si è rifugiato nelle preghiere, sapendo questo e quest’altro 64 E.Lofstedt, Commento filologico alla Peregrinatio Aetehriae: ricerche sulla storia della lingua latina, Bologna,

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Entrambe sono rintracciabili nella Peregrinatio Aetheriae, unus et unus compare con maggior frequenza (24,2; 37,2; 37,3; 45,2; 46,5)

Peregrinatio Aetheriae 24,2:

ille eos uno et uno benedicet65

Peregrinatio Aetheriae 37,2:

unus et unus omnis populus veniens66

Locis et locis compare sempre nella Peregrinatio Aetheriae in 6,2: signa sibi locis et locis ponent67

Il fenomeno della geminatio distributiva può essere rintracciato anche con avverbi e ricollegato ad una serie di espressioni che Agostino considera standardizzate nelle Sacre Scritture.

• Ex 16.21

Loc in Hept. – Aug. Et collegerunt illud mane mane; quomodo puteos puteos, acervos acervos, sic dictum est: mane mane.

LXX. καὶ συνέλεξαν αὐτὸ πρωΐ πρωΐ

Trad. E la raccoglievano al mattino, al mattino, allo stesso modo che diciamo: " a pezzi, a pezzi ", " a mucchi, a mucchi ", così è detto: al mattino, al mattino.

Seguendo la linea interpretativa di Agostino, che intravede in questa locuzione una geminatio

rafforzativa, la locuzione “mane mane” dovrebbe essere letteralmente tradotta con “di mattino di

mattino” e potrebbe indicare una “gran quantità di mattino”, “per molte mattine consecutive”(?), in questo caso è preferibile una traduzione di tipo distributivo “mattino per mattino” quindi “ogni singolo mattino”: l’ebraico infatti non fa utilizzo di preposizioni o aggettivi per indicare il senso distributivo, il fatto che sia in latino che in greco (che normalmente fanno utilizzo di preposizioni) compaia la ripetizione ci fa dedurre che si tratti di una traduzione letterale dell’ebraico. Mane può essere accompagnato da altri aggettivi in latino come primo mane (di primo mattino) o singuli

mane (perifrasi che compare nella Vulgata proprio come traduzione di Ex 16.21) oppure con

65 Peregrinatio Aetheriae 24,2: Lui li benedirà uno per uno

66 Peregrinatio Aetheriae 37,2: ad uno ad uno tutto il popolo venendo

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