Ulteriore ambito di applicazione attiene alla fruibilità dell’istituto per “proteggere” utilità patrimoniali
apportate da terzi.
258iniziative esecutive promosse dai creditori. È evidente che, a queste condizioni, la scelta del debitore potrebbe ben orientarsi verso il deposito di un ricorso per concordato «in bianco» (in allegato al quale egli dovrà preparare e
depositare una documentazione minimale), per poi “trasformare” tale domanda in accordo di ristrutturazione dei debiti e così garantirsi comunque l’effetto dell’automatic stay sin dalla pubblicazione del ricorso presso il registro delle imprese.
256 Il divieto di cui all’art. 182-bis, comma 3, l. fall. di avviare o proseguire azioni cautelari o esecutive sui beni dei
debitore (nonché di acquisire titoli di prelazione se non concordati) si applica esclusivamente ai creditori anteriori, «per titolo e causa», alla data di pubblicazione dell’accordo. L’imprenditore che stipula un accordo di ristrutturazione dei debiti è un imprenditore che prosegue la sua attività e che pattuisce con il ceto creditorio delle condizioni che gli consentano di superare una crisi temporanea. La prosecuzione dell’attività aziendale implica l’assunzione di nuove obbligazioni ed i “nuovi” creditori, avendo magari appreso dell’esistenza dell’accordo e desumendo da ciò un indice di difficoltà finanziaria del loro debitore, potrebbero realisticamente aggredirne il patrimonio per precostituirsi un titolo preferenziale su cui agire esecutivamente. Pertanto la segregazione dei beni dell’imprenditore in un trust è certamente utile al fine di tutelare sia i creditori aderenti all’accordo che, soprattutto, quelli non aderenti da eventuali aggressioni del patrimonio del debitore avviate da coloro che hanno acquistato la qualità di creditori successivamente alla data di proposizione dell’accordo.
257 Il trust sembra essere strumento utile anche al fine di disciplinare l’effetto segregativo alla scadenza del termine dei
60 giorni. È stato più volte osservato nella pratica come il lasso di tempo coperto dal legislatore con l’automatic stay (cioè sessanta giorni dalla pubblicazione dell’accordo) raramente sia sufficiente ai fini dell’ottenimento
dell’omologazione. Scaduto tale termine, quindi, il patrimonio del debitore torna liberamente aggredibile dai creditori (partecipanti o meno all’accordo) e l’omologazione potrebbe diventare impossibile proprio perché i beni destinati al suo adempimento (oppure offerti in garanzia) potrebbero essere stati vincolati al soddisfacimento di uno o più creditori particolarmente aggressivi. Nella “finestra” temporale che rimane scoperta nel periodo compreso tra il sessantunesimo giorno successivo alla pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese e la data del decreto di omologa si ripresentano quindi le medesime inefficienze, già sopra evidenziate, che si determinavano nell’epoca antecedente l’introduzione dell’automatic stay. L’ammissibilità di simili trust potrebbe tuttavia essere revocata in dubbio alla luce del tenore letterale dell’art. 182-bis l. fall., il quale indica chiaramente che il divieto di azioni esecutive e di acquisto di diritti di prelazione opera «dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni»: se ne potrebbe dedurre quindi, stando alla interpretazione letterale della norma, che il legislatore abbia determinato espressamente la finestra temporale entro la quale può operare l’automatic stay e che tale termine - non essendo nella disponibilità delle parti - non potrebbe essere esteso sulla base di un negozio privato quale il trust. In altre parole da tale previsione legislativa se ne potrebbe ricavare un implicito divieto verso l’estensione (sino alla omologazione dell’accordo, anche se intervenga
successivamente al termine di sessanta giorni dalla pubblicazione dell’accordo) dell’effetto protettivo sul patrimonio del debitore ivi previsto. Non sembra peregrino ritenere che l’art. 182-bis l. fall. possa intepretarsi enfatizzando, più che il dato letterale, la sua ratio (vale a dire la protezione del patrimonio sino alla omologazione): aderendo a tale
impostazione il termine fissato dalla legge potrebbe quindi essere considerato come un termine minimo, anziché massimo, e ciò consentirebbe di ritenere pienamente ammissibili i trust costituiti per segregare il patrimonio del debitore (in tutto o in parte) sino alla data dell’omologazione dell’accordo.
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Nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti non è infrequente che vengano vincolati a garanzia beni non dell’imprenditore-debitore bensì di terzi (amministratori, soci illimitatamente responsabili, altri garanti in genere). Tali beni, così come accade per i beni del debitore, possono essere offerti a garanzia delle obbligazioni assunte
dall’imprenditore nell’ambito dell’accordo ovvero trasferiti quale contropartita delle concessioni che i creditori
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c.d. “ombrello protettivo” di cui all’art. 182-bis, comma 3, l. fall.; dall’altro appare tuttavia evidente che anche tali beni, specie dopo la pubblicazione nel registro delle imprese dell’accordo o della proposta di pre-accordo, rischiano di essere aggrediti con azioni esecutive o cautelari ad opera dei creditori particolari del terzo, che evidentemente non vedranno di buon occhio la circostanza che il loro debitore si impegni con il proprio patrimonio a favore di un soggetto con cui i creditori del terzo non hanno alcun tipo di rapporto. Una simile eventualità rischia di vanificare il ricorso alla procedura di composizione della crisi di impresa, poiché i beni inizialmente posti a disposizione dei creditori aderenti all’accordo non sarebbero più liberi e disponibili ed in ultima analisi lo stesso Tribunale presumibilmente negherebbe
l’omologazione dell’accordo. In tale contesto lo strumento del trust appare assolutamente utile, poiché permette di segregare quei beni dei terzi che siano funzionali alla omologazione dell’accordo proteggendoli da azioni esecutive.