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Criteri' di vocazione

/ Superiori• D. Bosco in parecchie sere del mese di Dicembre 1864 svolse in modo esauriente la trattazio n e dei mezzi che aiutano a conoscere, lo stato a cui si è chia­

m ati. Ho già accennato al primo che è quello delle buone opere, ora continuerò a spigolare dal discorso che fece il 10 Dicembre di quello stesso anno. « Ab­

biamo detto che prim o mezzo per scoprire a che stato Dio ci chiami sono le buone opere. Il secondo è quella del quale così p arla S. Paolo: Opoiiet autem illu m et testimonium, habera bonum ab iis qui foris sunt. Chi sono costoro che essendo fuori di noi deb­

bono renderci testim onianza? Sono il padre, la m adre, il parroco, i compaesani, il direttore del collegio o casa di educazione nella quale ci troviam o. I gio­

vani ben presto colla loro condotta dim ostrano dove Dio li chiami e secondo questa condotta coloro che foris su n t proferiscono la loro sentenza. Vedendo certi gioVani che sono raccolti in chiesa, riserbati nel tra tto , affabili, con tu tti, sentite che si va dicendo di loro: —• Che buon p rete sarà costui! — Di quel- l’altro si dice: — Che buon soldato diventerà! — Stiamo a tte n ti a far tu tto , eziandio i doveri più. pic­

coli, con diligenza, se vogliamo che il Signore ci faccia conoscere la strad a-p er la quale egli intende che noi camminiamo. Vi sarà un giovane al paese del quale si sa d a tu tti che ha intenzione di farsi prete; m a in quanto a studiare studia poco, in chiesa va meno che può è - vi sta con poca divozione, giuoca volentieri, frequenta certi compagni, si lascia sfug­

gire certe parolacce. L a popolazione parla di lui e d à la sua testim onianza: — Che cattivo p rete ha d a riuscire costui!...

Ah, miei cari! diportatevi bene, acciocché i supe­

riori possano dirvi francam ente.il loro parere sulla

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vocazione. State a tte n ti'a quello che vi dico adesso, perchè son cose che nei libri non si trovano; oppure si trovano in libri che voi nel vostro stato presente non potete procurarvi. A bbiate confidenza nei vostri superiori, venite a consultarli, perchè è nostro piacere giovarvi in tu tto quello che possiamo ».

Fin qui D. Bosco.- N otate che egli parlava così a giovanetti del ginnasio. Sappiamo che ogni giovane della Casa aveva la più am pia libertà di p o ter confe­

rire con D. Bosco; che D. Bosco, malgrado il suo intenso lavoro ed occupazione assidua, trovava tem po di dare udienza a chiunque si presentava ed in modo così tranquillo e paziente, come se nulF altro avesse da fare. Non tu tti, si comprende, hanno l’abi­

lità di moltiplicare il tempo come D. Bosco, ma è p u r certo che non è facile essere più occupati di Lui.

Perchè dunque non si dà modo a tu tti i giovani dei Collegi re tti d a religiosi ed ecclesiastici, di avvici­

nare, ogni volta che lo credono, i superiori per con­

ferire con loro? Perchè non si incoraggiano a questi colloqui individuali procurando di eliminare i p re­

sunti ostacoli e danni che possono derivarne alla disciplina ed allo studio? Un intim o abboccamento individuale con un giovai} e vale più di dieci prediche anche meglio preparate e presentate con lo zelo più esemplare.

U Confessore.

Dopo la testim onianza esterna, vale a dire il parere del Superiore, Don Bosco richiede il parere di colui che nelle cose della coscienza è il solo giudice com­

petente. Si ascolti con qu an ta semplicità ed efficacia si esprime il Venerabile.

« Abbiamo parlato del testimonio di coloro qui foris swni, l’ultim a volta. Ora parlerò di quello che solo può giudicare le cose interne della nostra anim a e questo si è il confessore. A lui perciò dobbiamo aprire schiettam ente la nostra coscienza ed egli saprà dirci dove il Signore ci vuole. Scelto che abbiamo

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u» confessore dobbiamo con assiduità andare dallo stesso, perchè altrim enti che giudizio p o trà fare della nostra vocazione se non ci conosce p erfetta­

mente? Quindi non bisogna che voi abbiate due confessori, uno pei giorni feriali e l’altro pei giorni di festa; che quando avete sulla coscienza qualche cosa che sia più. grave del solito,, o almeno che vi sem­

b ri più. grave,, andiate a confessarvi da un altro, lasciando il solito; a questo modo accadrà che il vostro confessore si crederà d ’avere un angioletto e invece av rà un diavoletto e d arà un giudizio, oh, quanto diverso dal vero! Voi quindi vi incammine- ; rete p er uno stato per il quale il Signore non v i vo- ! leva. Peggio se faceste come certi giovanetti che ■ tu tte le volte che si confessano cambiano confessore.

Se i vostri parenti, se il parroco, se i vostri Supe- : riori v i dicessero di farvi preti; se aveste anche voi una certa inclinazione di farlo, ma il confessore vi dicesse: — Figlio mio, questo stato non è per te! — a nulla valgono tu tte le altre testimonianze, è questa sola che voi potete seguire ». Questi adunque erano i criteri che D. Bosco riteneva necessari per giudi- ! care della esistenza della Vocazione. Quando gli p a ­ reva d ’aver scoperto nei suoi giovanetti od in coloro ; che dom andavano di fermarsi con lui i segni della ; vocazione, incominciava con grande m aestria e pru- ; denza finissima l’opera di formazione.

Esagerazioni - Birichini generosi. ' ;

U na cosa m i pare degna di particolar considera­

zione nella condotta di D. Bosco nella scelta delle1 Vocazioni.

Avviene non di rado che alcuni giovani non siano giudicati idonei alla carriera ecclesiastica p e i la somma loro vivacità e spensieratezza. Ho udito a dire d a Sacerdoti -gravi che qualche giovane noi:

doveva aver vocazione perchè non ìstava mai fermo!

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inquieto ovunque, perchè m etteva sossopra la casa correndo e schiamazzando. Queste cose erano giu­

dicate contrarie allo spirito ecclesiastico; — un chie­

richetto sorpreso m entre faceva di corsa u n a scala, saltando i gradini a due o tre. veniva giudicato!, p er questo solo, privo di gravità chiericaìe ed im m e­

ritevole dell'abito. Don Bosco non era di questo parere; egli voleva che i giovani fossero sempre in moto, aveva p au ra dell’acqua troppo cheta, della musoneria e di quelia serietà esagerata che in un gio­

vanetto non può essere naturale. Celia-mente Don Bosco riteneva, come tu tti ritengono, uno dei segni di vocazione od almeno disposizione positiva al Sa­

cerdozio essere Fam or che i fanciulli dim ostrano per le cose di chiesa, per es. il preparare altarini, addob­

bare le cappelletto di famiglia ecc. Ma esigeva che a queste tendenze andasse u n ita una pietà sincera, dim ostrata colla fuga del male e nella frequenza dei Sacramenti. Ed a ragione, perchè la sola tendenza a p rep arar altari, a trasp o rtar candelieri p o trà indi­

care vocazione a fare il sacrestano, come argutam ente disse un esperto sacerdote bolognese.

« P er Don Bosco offrivano un buon terreno alla vocazione r giovani più birichini, come egli soleva chiam arli, cioè irrequieti e vivaci, ma insieme a r ­ denti e di sì gran euore da sentirsi spinti ad uscir di se medesimi, ad amare, e, p er conseguenza, a dare, poi a darsi, e infine a sacrificarsi totalm ente per il bene altrui. Le sue conquiste migliori sono state in mezzo ai fanciulli di ta l natu ra; molti ancora viventi possono fam e veridica testimonianza, e se mettessero suila carta i ricordi dei loro prim i anni e la genesi della lor vocazione, come risalterebbe più fulgida l’arfce del Venerabile nelì'inalzare i cuori al desiderio e al conseguimento della perfezione! Mettiamo ancor noi ogni nostro studio nel cercare di tali giovani dal cuore ardente e generoso ». Così D. Albera in una circolare ai Salesiani. Mi sia permesso confermare l'asserzione del'venerando D. Albera con un ricordo personale. Vi erano all’Oratorio di Torino due gio­

v an etti lom bardi molto amici tra di loro, di ingegno svegliato e di vivacità non comune; am anti della pietà, ma non erano privi dei difettucci della loro età giovanile, e quando potevano fare qualche scap­

patella innocente senza essere veduti, non se ne facevano il minimo scrupolo. P e r es.: agli alunni era proibito tenere denaro presso di se; ma uno di essi, Luigi, li consegnava ad un capitano amico di fami- glia che dim orava in Torino. Luigi, quando quegli veniva a trovarlo, gli chiedeva qualche soldo che poi adoprava pei m inuti piaceri andando a passeggio eludendo allora la sorveglianza degli assistenti.

D. Bosco e gli a ltri superiori conoscevano le piccole marachelle di Luigino e Pasquale, m a sapendoli di ottim a condotta e come essi non abusassero, chiu­

devano un occhio, cosa che non -facevano con altri, i quali alle piccole infrazioni del Regolamento ag­

giungevano altre mancanze ed una condotta poco regolare. Luigi rimase con D.. Bosco, vestì l’abito chièricale, fu sacerdote salesiano, poi D irettore del Collegio Municipale di Alassio ed infine Economo Generale dei Salesiani. Egli era D .L uigi Iloeca, uomo di candore angelico, di una bontà squisita, di sacri­

fìcio senza pari. Pasqualino voleva rim anere anch’esso coi Salesiani; ma D. Bosco lo indirizzò al Seminario diocesano, assicurandogli che avrebbe fatto gran bene e anche molto lavorato per la Chiesa, e per l’opera sale­

siana. Egli è il compianto Mons. M organti Arcivescovo di R avenna la cui v ita ed opere non è fra i sacerdoti chi non conosca. L ’amore di Lui per D. Bosco e per l’opera salesiana non poteva raggiungere un più .alto grado. ,D. Luigi Rocca, già economo generale raccontava egli stesso le surriferite particolarità a Schio, in occasione che da alcuni sacerdoti si discu­

tev a sull’indole e tem peram ento dei giovani, della pazienza da usare con loro e dei criteri con cui giu­

dicare della loro condotta, e soggiungeva bonaria­

mente: — Se adesso certi assistenti venissero a sco­

prire in un giovane»ciò che allora di noi due ì Supe­

riori conoscevano, senz’altro ne richiederebbero, ' se

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' non l’espulsione, almeno -un castigo esemplare. — E noi due, concludeva con ingenua- semplicità, non ci hanno scacciati! Mons. Morganti ha. fa tto una splendida carriera, ed io, come vedete, me la sono p ure cavata con discreta infamia.

La prova.

Le vocazioni, perchè siano sincere e rimangano poi salde, hanno bisogno d ’essere provate; ma le prove, evidentemente, debbono essere proporzionate all’età, all’indole dei giovani aspiranti ed anche al genere di vita speciale cui essi intendono consacrarsi. Anche in ciò D. Bosco è stato m aestro insuperabile. Spe­

cialm ente a quelli che domandavanb di restare con lui e dei quali egli doveva essere responsabile diretto, egli era solito far subire delle prove e serii esami.

Questi esami erano assai facili e più spicci per coloro che fino da-lla prim a giovinezza erano sta ti educati d a lui e che egli, conoscendone perfettam ente la bontà ed il valore, poteva tra tta re con piena confi­

denza. Questi amorevolmente invitava a rimanere con sè, sicuro della loro vocazione, lasciandoli però hi piena libertà di corrispondere all’invito. Non così operava con gli adulti, o sacerdoti che dom an­

davano farsi salesiani. D a costoro esigeva una specie di probandato, per assicurarsi delle loro virtù e p er­

severanza nel santo proposito. Con modi cordiali e cortesi, ma con finezza particolare, ad un professore di filosofia affidava una scuola di prim a elementare;

ad un ora-tore di inerito, la sorveglianza dei famigli;

ad un signore distinto, l’assistenza di un laboratorio;

a questo, che pareva troppo legato alla famiglia, dava l’incarico d ’un suo m andato nel proprio paese; a quello destinava un posto meno onorevole alla mensa dei Superiori. Ma sovratut-to osservava come si a d a t­

tassero alla vita comune e agli incomodi che da questa

sono cagionati; e conoscendo ohe un1 occupazione non andava a genio a qualcuno, un bel giorno lo in ­ caricava proprio di questa con un, « m i faccia il/ p ia ­ cere d i far la tal cosa, gliene sarò grato!» (1). Si com­

prende che con tal metodo parecchi venivano meno alia prova e se ne andavano, abbandonando D. Bosco;

ina il Venerabile, come già il Divi» Salvatore, rivol­

gendosi agli a ltri interrogava con paterna soavità:

— Volete forse andarvene anche voi? — E quelli in non piccol numero rispondevano come Pietro:

—• A chi andremo noi? Noi resteremo con D. Bosco.

Così Giuseppe Cagliero, così Don O rtuzar, cosi 11 principe Coartoryski e ta n ti altri...

Ho c itato a caso tre nomi, tr a cui quello di Giu­

seppe Cagliero, cugino delì’Eminentissimo Cardinale.

..Mi piace riportarvi le parole precise che disse D. Bosco, come io le seppi dal Rev.rno Don Albera a Piova, la sera del 7 Luglio 1899.

Il venerato D. Albera, al quale ebbi l’onore di fare compagnia per qualche giorno in quel Santuario, mi raccontava le peripezie di Don Giuseppe Cagliero, allora Diacono, con alcune circostanze non. pubbli­

cate nella V ita d i D . Bosco (Voi. IX dell’Edizione ex tra commerciale).

In quei giorni POratorio era fatto segno a lo tte terribili. Il Diacono, non ancora legato definitivamente alla Congregazione, viveva in trepidazione ed incer­

tezza pel suo avvenire.

Ma allorché da un alto personaggio, alla cui udienza si trovava, sentì parlar male di D. Bosco e della sua Società, si alzò di scatto, prese il suo cappello, uscì e corse alì’Oratorio. Presentatosi al Venerabile con figliale affetto e santo entusiasmo gli disse: Caro D on Bosco, io non Vabbandonerò m a i p iù , se d i fuori tanto la perseguitano, '

(X) L E iio y ^ B , y p j. V{LJ,

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