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Il criterio delle radici unitarie ha l’obiettivo di stabilire, tramite opportuni test, se una serie storica è stazionaria o evolutiva. Per semplicità consideriamo il caso in cui le vendite 𝑉𝑡 di una specifica marca al tempo corrente possano essere descritte da un processo autoregressivo del primo ordine:

(1 − 𝜙𝐿)𝑉𝑡 = 𝑐 + 𝜀𝑡

dove 𝜙 è il parametro autoregressivo, 𝐿 è l’operatore ritardo tale che 𝐿𝑘𝑉

𝑡 = 𝑉𝑡−𝑘, 𝜀𝑡

è una serie di errori casuali incorrelati a media nulla e varianza costante. Attraverso sostituzioni successive all’indietro, la precedente equazione può essere riscritta equivalentemente nel modo seguente:

𝑉𝑡= 𝑐 + 𝜙𝑉𝑡−1+ 𝜀𝑡 𝑉𝑡= 𝑐 + 𝜙(𝑐 + 𝜙𝑉𝑡−2+ 𝜀𝑡−1) + 𝜀𝑡 𝑉𝑡 = 𝑐 (1 − 𝜙)+ 𝜀𝑡+ 𝜙𝜀𝑡−1+ 𝜙 2𝜀 𝑡−2+ ⋯

dove ora 𝑉𝑡 si può pensare come il risultato di una somma pesata di errori casuali. Ciò che si nota subito è che al variare del valore assunto dal parametro 𝜙 si delineano tre situazioni differenti (M.G. Dekimpe, D.M. Hanssens, 1995):

se |𝜙| < 1 allora l’impatto di uno shock passato diminuisce progressivamente all’aumentare dello sfasamento temporale fino a quasi scomparire per ritardi elevati, in questo modo lo shock produce solamente un impatto temporaneo

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e perciò transitorio sulle vendite, che torneranno al loro livello iniziale: la serie è stazionaria con media costante pari a 𝑐

(1−𝜙) e varianza finita;

se |𝜙| = 1 allora l’impatto di uno shock passato ha un effetto permanente sulla variabile risposta, cioè sulle vendite della marca analizzata, e la serie non ritorna al suo livello iniziale ma evolve con una media non costante e con una varianza che cresce nel tempo: la serie si dice integrata del primo ordine, in quanto basta differenziarla una volta per renderla una serie stazionaria;  se |𝜙| > 1 allora gli shocks del passato diventano via via più influenti

all’allargarsi dello sfasamento temporale, ma questa situazione è piuttosto irrealistica, soprattutto nell’ambito in cui ci troviamo, per questo non verrà presa in considerazione.

In sostanza, il problema di valutare se una serie storica è stazionaria o evolutiva si riduce nell’analisi del polinomio (1 − 𝜙𝐿) se teniamo da conto l’ultima specificazione che abbiamo introdotto, in pratica bisogna verificare che le soluzioni dell’equazione caratteristica siano in modulo maggiori di uno (H. Lüktepohl, 1993). Per il caso multivariato è possibile estendere quanto detto nel caso univariato, precisamente un processo multivariato è detto integrato del primo ordine se almeno una delle serie che compongono il vettore è integrata. In questi casi, per stimare il relativo modello

VAR, si procede a differenziare tutte le serie e quindi lavorare sulle differenze28, se

oltre alla non stazionarietà in media, le serie sono non stazionarie in varianza, è preferibile lavorare sulle differenze dei logaritmi, cioè sui tassi (S.S. Guirreri, 2008). Nella pratica il modello VAR risulta stabile e perciò stazionario29, se tutte le soluzioni

in L dell’equazione matriciale caratteristica sono in modulo maggiori di uno (H.

Lüktepohl, 1993). Caratteristica fondamentale dei processi integrati del primo ordine

è che sono dotati di un trend stocastico sottostante la serie, la componente di fondo quindi varia nel tempo in maniera aleatoria e non completamente prevedibile; tali processi necessitano quindi di differenziazione per essere resi stazionari. Come abbiamo già precisato in precedenza, nel caso di due o più processi integrati del primo

28 Si noti che nel caso multivariato è possibile che non tutte le serie siano integrate del primo ordine, ma solamente

alcune. Nel procedere con la stima del VAR si devono comunque differenziare tutte le serie, motivo per cui si preferisce in questi casi procedere con l’analisi della cointegrazione, in modo da non perdere informazioni rilevanti contenute nei livelli delle serie originali.

29 La condizione di stabilità implica che i momenti fino al secondo ordine del processo siano indipendenti da t, per

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ordine, la teoria economica afferma che tra i processi possa sussistere una relazione di equilibrio di lungo periodo attorno alla quale le serie si muovono. Prima di stimare tale relazione però occorre verificare che le serie oggetto di studio siano effettivamente integrate e i test per le radici unitarie consentono questo controllo; in una fase successiva eventualmente si procede alla stima dell’equilibrio comune tramite l’analisi della cointegrazione (S.S. Guirreri, 2008). Dekimpe e Hanssens in particolare fanno riferimento al test ADF (Augmented Dickey Fuller), che si basa sulla stima della seguente equazione:

(1 − 𝐿)𝑉𝑡= Δ𝑉𝑡= 𝑎0+ 𝑏𝑉𝑡−1+ 𝑎1Δ𝑉𝑡−1+ ⋯ + 𝑎𝑚Δ𝑉𝑡−𝑚+ 𝜀𝑡

dove gli m termini Δ𝑉𝑡−𝑗 riflettono le temporanee fluttuazioni delle vendite e 𝜀𝑡 è un errore White Noise. Il test ADF si basa sulla statistica t del coefficiente riparametrizzato in 𝑏 = (𝜙1+ ⋯ + 𝜙𝑚− 1) che viene confrontata con i valori critici proposti da Fuller, in quanto tali valori critici si ottengono tramite simulazione visto che appartengono a distribuzioni asintotiche non normali e non standard (M.

Pelagatti, 2007). Le distribuzioni inoltre dipendono eventualmente dalla parte

deterministica30, se questa è inserita nell’equazione, infatti vanno usati valori critici

differenti a seconda della specificazione prescelta. Il test per le radici unitarie che stiamo analizzando fa riferimento ad un sistema d’ipotesi differente rispetto a quello usato dai test per la stazionarietà (per esempio dal test KPSS che vedremo nel seguito), in particolare considera il seguente sistema (S.S. Guirreri, 2008):

{ 𝐻0: 𝑏 = 1 𝐻1: |𝑏| < 1

L’ipotesi nulla di presenza di radici unitarie, e quindi di serie evolutive, è rifiutata se il valore ottenuto è più piccolo del valore critico. Nel verificare la presenza di radici unitarie, è importante specificare correttamente le ipotesi nulla e alternativa che caratterizzano in maniera appropriata le caratteristiche tendenziali (di trend) dei dati. Il tipo di termine deterministico impiegato nella regressione influenza perciò le

30 L’equazione del test ADF può essere generalizzata con l’inclusione di termini deterministici del tipo 𝑇𝐷

𝑡= 𝛼 +

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distribuzioni asintotiche delle statistiche usate per saggiare la presenza di radici unitarie (H. Lüktepohl, 1993). L’implementazione del test ADF richiede poi la specificazione del numero di ritardi m da inserire, in questo caso la procedura suggerita è quella proposta da Perron: si sceglie un limite superiore m_max e si verifica la significatività del coefficiente relativo al ritardo m_max, se il valore della statistica |𝑡| > 1.6 allora si sceglie m_max, altrimenti si ripete il test riducendo la lunghezza di un ritardo. Una regola pratica utile per determinare m_max è la seguente: 𝑚_𝑚𝑎𝑥 = [12 ( 𝑇 100) 1 4 ]

oppure si sceglie m_max utilizzando un qualche criterio di identificazione automatica dell’ordine di un modello autoregressivo (AIC, BIC, Schwarz31). La potenza32 del test

ADF può risultare bassa in

determinate situazioni, quindi suddetto test porta ad indicare troppo spesso che una serie contiene una radice unitaria, in particolare la potenza è scarsa quando si vuole distinguere tra processi stazionari attorno a un trend deterministico e processi dotati di trend stocastico (quindi di radice unitaria) con l’inclusione di un drift. La Figura 45 riassume i principali passi da ripercorrere per testare la presenza di radici unitarie scegliendo il modello adeguato, specificando dunque in maniera appropriata entrambe le ipotesi: la nulla e l’alternativa. E’ importante infatti stimare il modello corretto sotto l’ipotesi alternativa ed imporre, nell’eventualità, le restrizioni implicate dalla nulla. Se per esempio il modello generatore dei dati

31 Quindi il valore di m_max per il quale il valore dei tre criteri risulta minimizzato.

32 La potenza di un test esprime la probabilità di rifiutare l’ipotesi nulla quando essa è falsa.

Figura 45, Procedura per testare la presenza di radici unitarie attraverso il test ADF.

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suggerisce la presenza di un trend crescente, allora si tratta di decidere se la serie è stazionaria attorno ad un trend o se invece la serie ha una radice unitaria oltre che un

drift. Pertanto il modello appropriato da stimare è quello stimato all’inizio della

procedura descritta in Figura 45: si verifica cioè 𝛾 = 0 e 𝛾 = 𝑎2 = 0, perché se la vera serie contiene termini deterministici e l’equazione di stima contiene questi termini, allora l’inferenza su tutti i coefficienti del modello può essere fatta usando test t e F standard per verifiche d’ipotesi congiunte (B. Pfaff, 2005).

La presenza di radici unitarie implica che una parte dell’effetto prodotto da uno shock sulle vendite persisterà nel tempo e influenzerà il comportamento della marca nel lungo periodo. Al contrario l’assenza di radici unitarie nelle serie, implica che queste ritorneranno al loro livello medio iniziale e la performance di lungo periodo non subirà gli effetti di alcuna azione di marketing (M. Disegna, 2007). Affinché tali azioni di marketing, nel nostro caso specifico le spese pubblicitarie, producano risultati persistenti sulle vendite, è necessario che queste ultime siano evolutive e che la non stazionarietà dipenda per l’appunto dalle strategie del marketing-mix. In ogni caso la non stazionarietà è una condizione necessaria ma non sufficiente per l’applicazione dei modelli VAR, anche se questa metodologia applicata a serie stazionarie fornirà stime dei parametri che misurano effetti esclusivamente transitori sulle vendite (M.G.

Dekimpe, D.M. Hanssens, 1995).

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