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SECONDO CAPITOLO: REALISMO E MODERNISMO A CONFRONTO 2.1 Corsi e ricorsi storici del dibattito letterario nella Cina di Deng Xiaoping

2.3 Posizioni a confronto: Gao Xingjian 高行健, Wang Meng 王蒙 e la problematica adesione allo stile modernista

2.3.3 La critica e i diversi atteggiamenti nei confronti dei due autor

Come già accennato, la monografia di Gao Xingjian fu oggetto di censura. Nell’anno in cui venne pubblicata si dibatteva già circa il processo di occidentalizzazione della letteratura e il pericolo che questa comportava, e l’uscita di questo libro inasprì fortemente i toni. A onor di cronaca bisogna ricordare che proprio nel 1981, ovvero nello stesso anno di pubblicazione del testo Discorso preliminare sulle tecniche del modernismo nella narrativa, Gao Xingjian era diventato il drammaturgo ufficiale della compagnia del Teatro di Arte Popolare di Pechino, e che in quello stesso anno egli aveva composto l’opera Chezhan 车站 (“Fermata d’autobus”) che tuttavia venne messa in scena solo due anni più tardi, nel luglio del 1983. La dilazione nel tempo dell’opera fu causata da una controversia interna alla compagnia: gli attori infatti si erano rifiutati di mettere in scena un testo tendenzialmente surrealista come quello presentato da Gao Xingjian. Ciò nonostante egli riuscì a montare l’opera e a presentarla sul palcoscenico nell’estate del 1983, forte del

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successo riscosso grazie alla rappresentazione di Juedui xinhao 绝 对 信 号 (“Segnale d’allarme”). Fermata d’autobus10

narra la vicenda di otto personaggi che, desiderosi di migliorare la propria esistenza, aspirano a raggiungere la città. Ognuno di essi risulta essere un metaforico archetipo raffigurante alcuni aspetti della società cinese: vi sono una madre, un manager, un carpentiere, un anziano, una giovane donna, un uomo con gli occhiali, un giovane impertinente e un uomo silente. L’anelito al raggiungimento di una vita migliore è dichiaratamente incarnato dall’attesa degli otto personaggi alla fermata dell’autobus che li dovrebbe condurre in città. Tuttavia l’autobus che loro stanno aspettando passa di continuo senza mai fermarsi. La rottura dell’apparente equilibrio scenico si ha quando l’uomo in silenzio decide di incamminarsi verso la città, smettendo così di aspettare, mentre i restanti sette personaggi, incapaci di prendere in mano il proprio destino, rimangono in attesa dell’autobus per dieci anni. L’opera si chiude con i sette personaggi che, trascorsi dieci anni, decidono insieme di mettersi in cammino verso la città. Nonostante la scelta di spezzare il circolo d’inettitudine che aveva imprigionato i sette personaggi sbloccando la stasi scenica nel finale potesse avere una lettura positiva, l’opera venne tolta dal palinsesto teatrale dopo appena tredici rappresentazioni. Non dimentichiamo che l’opera andò in scena solo tre mesi prima del lancio della Campagna contro l’Inquinamento Spirituale e che la politica culturale cinese era sulla via della chiusura ormai da tre anni. Il governo ordinò che la produzione fosse chiusa e indirizzò pesanti critiche al testo di Gao Xingjian tacciandolo di deviazionismo e collusione con l’Occidente. L’opera infatti si allontanava vertiginosamente dagli standard del realismo socialista: sul palco non era rintracciabile nessun personaggio dichiaratamente positivo, ma solo un insieme di figure mediocri che non veicolavano alcun messaggio politico né davano una buona immagine della società socialista. In quel clima di critica, molti sottolinearono l’affinità dell’opera di Gao Xingjian con il lavoro del drammaturgo irlandese Samuel B. Beckett (1906-1989), Aspettando Godot e definirono l’esperimento come il primo tentativo di impianto in Cina del Teatro dell’Assurdo.

La monografia circa le tecniche narrative del modernismo fu perciò uno tra i molti testi di Gao Xingjian che crearono scalpore nel mondo intellettuale cinese degli anni ottanta. Alcuni ne presero di mira i significati ideologici, come nel caso del già citato articolo di Wang Xianpei, “Dopo la lettura di ‘Discorso preliminare sulle tecniche del modernismo

10 Le informazioni qui di seguito sono state ricavate da “Encyclopedia of Contemporary Chinese Culture”,

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nella narrativa’”, nel quale veniva aspramente condannato il carattere potenzialmente sovversivo dell’opera. Altri focalizzavano l’attenzione sulla sezione dedicata alla tecnica del flusso di coscienza: in molti ne riassumevano i contenuti e ne mettevano in luce gli aspetti più insoliti come fece Wang Shide nell’articolo “Sul ‘flusso di coscienza’”; alcuni invece conducevano una disamina storica sulle origini del flusso di coscienza, chiarendo l’origine dell’espressione e illustrandone le basi filosofiche e letterarie, come nell’articolo “Flusso di coscienza e romanzi del flusso di coscienza” del traduttore e esperto di letteratura Li Yuzhong 李育中 (1911-).

Se per Gao Xingjian la critica risultò piuttosto unanime, l’opera di Wang Meng generò un diverso tipo di reazioni, proprio come diverso era stato l’atteggiamento da lui dimostrato nei confronti della corrente modernista. La cautela con cui egli si era posto nei confronti della tecnica del flusso di coscienza aveva donato allo scrittore una sorta di immunità dalle più feroci accuse di dissidenza. Nonostante alcuni intellettuali additassero Gli occhi della notte, e gli altri cinque romanzi che egli aveva scritto tra la fine degli anni settanta e gli anni ottanta, come “romanzi del flusso di coscienza” dando a questa espressione un connotato negativo, tuttavia la quasi totalità della critica era concorde nell’elevare Wang Meng a pioniere del modernismo. Egli era riuscito a fondere i gusti estetici cinesi e la forma occidentale, compiendo quella che all’epoca venne definita la “sinizzazione della tecnica del flusso di coscienza”: proprio in quegli anni infatti si andava diffondendo l’espressione “flusso di coscienza orientale” (dongfang yishiliu 东方意识流) per indicare l’osmosi tra tecnica occidentale ed estetica cinese. A proposito di questo argomento, nel 1987 venne pubblicato un interessante studio dal titolo “Narrativa del flusso di coscienza orientale”, al cui interno si trova una sezione dedicata a coloro che avevano ottenuto ottimi risultati nell’utilizzo del flusso di coscienza “all’orientale”; l’autore Li Chunlin non solo riconosceva a Wang Meng il merito di essere uno di loro, ma si spingeva oltre dichiarando che egli era stato il primo che, a partire dagli anni settanta, avesse composto opere riconducibili al genere del flusso di coscienza orientale (Li Chunlin, 1987: 135). Citando il Carteggio su “il flusso di coscienza” del 1979, il libro evidenziava le distanze che lo scrittore aveva preso nei confronti dell’irrazionalismo e del misticismo, e il rifiuto dell’idea di avvalersi della tecnica occidentale per indagare le zone d’ombra della psiche umana. La concezione letteraria di Wang Meng si distingueva infatti da quella occidentale per il genuino desiderio di rendere la complessità della natura umana senza necessariamente scadere nell’assurdità e nel paradosso:

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Wang Meng dà particolare rilevanza al ritratto che la letteratura può fare dell’animo umano. Egli ritiene che la letteratura sia lo studio dell’uomo e che perciò l’uomo vada messo al centro di tutto, […]. (Li Chunlin, 1987: 136)

Recenti studi hanno però confutato le teorie di Li Chunlin, negando di fatto l’affinità tra Wang Meng e autori occidentali quali James Joyce e Virginia Woolf. Nel 2005 è uscito un libro dal titolo “Studi sullo stile narrativo di Wang Meng”: l’autore Guo Baoliang argomenta efficacemente che la tecnica del flusso di coscienza, così com’era usata in Occidente, aveva predeterminate caratteristiche del tutto assenti nei testi di Wang Meng. Gli esempi riportati citano le opere di James Joyce (1882-1941) “Ulisse” e “Mrs Dalloway” di Virginia Woolf (1882-1941) per evidenziare la distanza stilistica tra la narrativa occidentale e l’autore cinese. La tesi avanzata da Guo Baoliang poggia sulla strutturale incompatibilità tra la razionalità che permea le opere di Wang Meng e l’irrazionalità che invece pare dominare i romanzi modernisti di sessant’anni prima. Pur riconoscendo il comune uso di tecniche come il monologo interiore, le libere associazioni mentali ecc., a dividere Oriente e Occidente sta proprio il diverso atteggiamento con cui ci si approccia ad esse (Guo Baoliang, 2005: 109). Se Wang Meng aveva infatti palesato il proprio disappunto verso il misticismo e l’illogicità propri degli autori occidentali, com’è possibile affiancarlo a essi? Dal momento che Virginia Woolf e James Joyce facevano largo uso di strutture narrative estranee (wu luoji 无逻辑) o contrarie alla logica (fei luoji 非逻辑), e dal momento che tali strutture narrative appartenevano al filone del flusso di coscienza, è chiaro che, se inteso in questi termini, Wang Meng non può essere annoverato tra coloro che utilizzano il flusso di coscienza: egli era stato capace di filtrare la pura tecnica tralasciandone gli aspetti irrazionali. Se Wang Meng non era autore di flusso di coscienza (inteso in accezione occidentale), non poteva esistere alcuna corrente orientale che riguardasse questa tecnica. Compiendo un ulteriore passo in avanti, Guo Baoliang esclude categoricamente l’idea che possa essere esistito il cosiddetto “flusso di coscienza orientale”, poiché nella realtà nessuno scrittore cinese può dirsi autore di flusso di coscienza. Secondo lui, l’ipotesi che in Cina avrebbe potuto avere luogo una sorta di fusione tra l’estetica occidentale e quella orientale è del tutto infondata: è vero che autori come Wang Meng hanno sfruttato la tecnica del flusso di coscienza, ma l’hanno spogliata della finalità di manifestare l’irrazionalità e l’assenza di scopo del subconscio, per sottolinearne la logicità e la sensatezza. Le sensazioni, i sentimenti, i ricordi, tutto fa parte della realtà e, soprattutto, dell’effettiva esperienza che un personaggio ne ha fatto. “Il cosiddetto ‘flusso di coscienza

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orientale’ non ha nessun fondamento” (2005: 109) sono le esplicite parole utilizzate da Guo Baoliang per respingere le teorie letterarie precedentemente descritte.

In quest’ultima sezione si è scelto di mantenere un’ottica prettamente letteraria per indagare l’impatto che la diffusione del modernismo ebbe sul mondo intellettuale. Tralasciate le implicazioni politiche e ideologiche già presentate precedentemente, sono stati messi in rilievo i risvolti letterari del dibattito sul modernismo mediante lo studio delle posizioni di Gao Xingjian e di Wang Meng. Dal nostro approfondimento è emerso che l’innesto della corrente modernista in Cina generò reazioni alle quali è impossibile applicare le semplici categorie di “a favore” e “contrario” senza dimostrare un atteggiamento quantomeno riduzionista. La complessità di tali reazioni era certamente riconducibile alla problematica situazione politica e sociale che la Cina stava vivendo all’indomani della morte di Mao Zedong e alla pressione ideologica che tale situazione esercitava sul mondo intellettuale. Il contrasto evidenziato tra la posizione di Gao Xingjian e quella di Wang Meng è di per sé l’emblema della faglia che si era aperta tra i favorevoli all’introduzione del modernismo tout court e gli assenzienti all’introduzione di una sua versione revisionata. Lo stesso caso di Wang Meng risulta particolarmente interessante: l’ammissione di avere subìto il fascino della corrente occidentale ma al contempo di rifiutarne una parte rispecchia metaforicamente il conflitto ideologico con l’Occidente che attanagliava il mondo intellettuale cinese dell’epoca.

Nonostante siano in molti a ritenere Wang Meng il primo autore ad avere scritto testi ascrivibili al modernismo nel periodo post-maoista, nella seconda parte della mia dissertazione prenderò in esame la complessa figura del poeta e autore di narrativa Bei Dao: analizzerò due dei sette testi di narrativa che egli compose tra la seconda metà degli anni settanta e la prima metà degli anni ottanta, dimostrandone lo straordinario valore letterario e rimarcandone il diritto di essere riconosciuti come “il nuovo inizio del romanzo modernista cinese” (Williams, 1989: 73).

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