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A partire dal criterio dell’evidenza, il fenomeno dell’ego emerge in quanto visione apodittica della correlazione strutturale fra il cogito e la sfera delle pure cogitationes. A tale correlazione, che individua la strut- tura fenomenologica della coscienza intuitiva, Husserl riconduce la struttura del mostrarsi propria del fenomeno in quanto tale. Il compito

di chiarificazione dell’essenza del fenomeno, perseguito dalla fenome-

nologia trascendentale, è così inquadrato da Husserl nel senso d’una

chiarificazione di tutti i tipi di posizione razionale che la coscienza in-

tuitiva appunto, strutturandoli, rende possibili, alla luce di quella moda-

lità privilegiata di presentificazione che è l’ego cogito. Dal punto di vi-

sta fenomenologico husserliano, infatti, il primato metodologico dell’e- go cogito emerge fondamentalmente in considerazione del tipo di posi- zione razionale ch’esso individua3. In forza dell’apoditticità, al cogito è riconosciuto principalmente il ruolo di “modello ideale” per la visione intuitiva [Einsicht] in genere, in quanto determinante a priori il tipo di razionalità a cui ogni dato intuitivo deve poter essere idealmente ricon- dotto. Per queste ragioni, all’interno della prospettiva dischiusa da Hus- serl, la domanda circa la costituzione essenziale del fenomeno è pensata in maniera tale da rinviare in prima istanza all’analisi della razionalità

del cogito4.

3 «In virtù della sua struttura eidetica – nota Henry – [il cogito] rende possibile in ef- fetti una coscienza […], la cui esperienza si realizza conformemente al tipo di evi- denza apodittica e, di conseguenza, si rivela capace di generare una posizione razio- nale in senso forte, la cui validità cioè non possa più esser messa in questione» (EM, p. 8, trad. it. cit., p. 37).

4 L’assunto di fondo relativo all’impostazione husserliana consiste nel sostenere che il fenomeno, strutturandosi come tale, e cioè manifestandosi, debba non soltanto po- tersi costituire conformemente alla struttura della coscienza intuitiva, modalità di co- stituzione già sempre predelineata nell’idea teleologica dell’evidenza apodittica, bensì anche potersi mostrare “in quanto tale” all’interno di questa stessa struttura. Ciò che all’essenza del fenomeno è così richiesto è di poter mostrare se stessa alla

luce delle strutture e delle modalità di visione che, nel suo mostrarsi e nel suo costi-

tuirsi come tale, essa stessa istituisce e pone. È sulla base di questi presupposti che, in Husserl, l’analisi della struttura del fenomeno “originario” viene infine convertita e ridotta in analisi della struttura della sola coscienza intuitiva, ovvero all’analisi della sua razionalità.

8. Le contraddittorietà dell’idea husserliana della fenomenologia se- condo Michel Henry

In Husserl, il cogito determina, in ultima istanza, ciò alla luce del quale e ciò in forza della cui struttura la fenomenologia trascendentale pretende di poter motivare la “comprensione universale dell’essenza della ragione” – della ragione in senso vastissimo, esteso a “tutte le spe- cie di posizioni”5. La razionalità del cogito offrirebbe infatti il criterio in base al quale descrivere e determinare tutte le possibili modalità di co- stituzione dei fenomeni; essa determinerebbe la chiave d’accesso per la comprensione della struttura del fenomeno in quanto tale. La Zweckidee dell’apoditticità fornirebbe alla fenomenologia trascendentale, prelimi- narmente impostata nei termini di una fenomenologia della ragione, il

criterio metodologico fondamentale per la chiarificazione della totalità

sistematica, teleologicamente ordinata in conformità alla struttura della coscienza intuitiva, delle regioni ontologiche in cui il darsi del fenome- no in quanto tale si struttura.

Aperta all’intero dominio delle regioni ontologiche, la fenomenolo- gia trascendentale viene prospettandosi in tal modo come “scienza uni- versale dell’essere di fatto basata su fondazione assoluta”. Nelle Carte- sianische Meditationen, Husserl elabora questo spunto, indicando pro- prio nella fenomenologia della ragione il passaggio necessario in vista di ciò che egli, reagendo alle soluzioni prospettate da Heidegger in Sein und Zeit6, rivendica come l’autentico concetto dell’ontologia fenomeno- logica universale:

Possiamo dire adesso che nella fenomenologia a priori trascendentale trovano la loro origine e il loro fondamento ultimo […] tutte le scienze a priori in ge- nerale […]. Il sistema dell’a priori si può anche designare come sviluppo si-

stematico dell’a priori universale, connaturato all’essenza della soggettività

trascendentale […]; quest’a priori è l’universale logos di ogni essere possibi-

le. In altri termini, la fenomenologia trascendentale pienamente sviluppata sa-

rebbe perciò stesso una vera e propria ontologia universale; non però solo una mera vuota ontologia formale ma anche un’ontologia tale da comprendere in

5

Le espressioni sono tratte da Ideen I, p. 329 (trad. it. cit., p. 352).

6 Sulle reazioni di Husserl all’impostazione heideggeriana della fenomenologia, si rinvia alle fonti raccolte in Fenomenologia: storia di un dissidio (1927). Scritti di E.

sé tutte le possibilità regionali dell’essere secondo tutte le correlazioni che a queste appartengono7.

Ricavata a partire dalla Zweckidee dell’apoditticità e data la sua stessa struttura eidetica, tuttavia, la Wesensschau dell’universale logos dell’essere per principio non può mai esser dato pienamente “come ta- le”. Ad escludere questa possibilità è la costituzione stessa della ragio- ne, la quale non si lascia descrivere in maniera diretta, ma solo ricavare in funzione di uno sguardo d’insieme ottenuto a partire dalle analisi del- le singole ontologie regionali. La determinazione dell’apriori universale connaturato all’essenza della soggettività trascendentale si dà sempre e soltanto “asintoticamente” come ricavabile a priori a partire dalla “ri- sultante” fornita dalla sistematica combinazione di infinite porzioni d’essere, ciascuna delle quali determinata dalla Wesensschau di una par-

ticolare, determinata e specifica regione ontologica.

Orbene, in L’essence de la manifestation è esattamente a partire da quest’ultimo rilievo che muove la critica di Henry nei confronti di Hus-

serl8. Il primo e sostanziale rilievo di tale critica sostiene lo smarrimen-

to, da parte della fenomenologia trascendentale, del significato univer-

sale delle proprie ricerche. Un’obiezione, questa, che ad Husserl fu mossa già da Heidegger e che Henry riprende, desumendola da alcuni passaggi-chiave di Sein und Zeit nei quali Heidegger (accuratamente e- vitando di presentare in maniera troppo esplicita la sua presa di posizio-

7

CM, p. 181 (trad. it. cit., p. 170). Corsivi di Husserl. 8 A tal riguardo, cfr. la ripresa di questa critica in M.H

ENRY, Phénoménologie de la

vie, t. I,cit., p. 88: «In Husserl – scrive Henry – la lacuna centrale della fenomenolo- gia […] resta nascosta in ragione del carattere sistematico della problematica e della ricerca che essa sollecita. Una volta posta l’intuizione a fondamento di ogni forma possibile d’essere, una filosofia che volesse costituirsi alla maniera d’una ontologia fenomenologica universale non potrebbe allora realizzarsi che a condizione di opera- re un’esaustiva chiarificazione delle varie forme possibili di intuizione corrisponden- ti ai rispettivi vari tipi di evidenza […]. Il minuzioso e tenace proseguimento di questo grandioso progetto, accanto allo scoprimento di nuove forme di intuizione, ha condotto alla scoperta di regioni d’essere ancora sconosciute. E tuttavia, questo straordinario allargamento dell’esperienza umana e dei domini di oggetti divenuti così attingibili, procede di pari passo con un tragico limite. Tutti questi modi d’ac- cesso sapientemente riconosciuti e descritti sono propriamente forme di intuizione alle quali per natura la vita si sottrae. Così la fenomenologia ha prodotto una “ridu- zione” in un senso puramente negativo rispetto a ciò che avrebbe inteso estendere e liberare: la nostra relazione con l’essere, in quanto nostra vita propria».

ne contro il suo “maestro”) esprime di fatto le proprie perplessità nei confronti della fenomenologia husserliana. Si consideri, ad esempio, in- nanzitutto questo passo tratto dal § 3 dell’introduzione a Sein und Zeit, dove Heidegger discute per l’appunto del rapporto (e soprattutto della differenza) fra “ontologia fondamentale” e “ontologie regionali”:

I concetti fondamentali sono quelle determinazioni nelle quali la regione reale che sta alla base di tutti gli oggetti tematici di una scienza viene preliminar- mente compresa in un modo che serve da guida ad ogni indagine positiva. Questi concetti ottengono perciò la loro genuina dimostrazione e “fondazio- ne” solo in uno studio altrettanto preliminare della regione stessa. […] Tale ri- cerca deve precedere le scienze positive; e può farlo. […] Ma un tale doman- dare […] resta anch’esso ingenuo e non perspicuo, se le sue indagini circa l’essere dell’ente lasciano indiscusso il senso stesso di essere in quanto tale9. Per Heidegger, il compito della Fundamentalontologie è di inter- rogarsi in prima istanza circa il senso d’essere überhaupt, cioè l’essere “in quanto tale”, in quanto differente rispetto all’ente come ciò che, pro- prio in ragione della peculiare modalità del suo mostrarsi [phainesthai], rende possibile qualcosa come la manifestazione ontica in generale. La

domanda e la relativa chiarificazione del senso d’essere überhaupt deve

pertanto anticipare e fungere da “cornice” e “sfondo” per l’indagine cir- ca le idee regionali proprie di ciascun ambito dell’ente. In riferimento

alla posizione husserliana questo significa che il senso d’essere über-

haupt non può esser “ricavato” limitandosi soltanto allo studio sistema- tico delle ontologie regionali. Come lo stesso Heidegger sottolinea, an- cora:

Ogni ontologia, per quanto ricco e consolidato sia il sistema di categorie di cui dispone, resta in fondo cieca e tradisce la propria intenzione più profon- da, se prima non abbia sufficientemente chiarito il senso dell’essere e non ab- bia concepito questo chiarimento come proprio compito fondamentale10.

Ciò che, secondo il punto di vista heideggeriano, fa difetto al proget- to husserliano è appunto la mancanza di una propedeutica problematiz-

9

SZ, pp. 10-11 (trad. it. a cura di F. Volpi, cit., pp. 22-23; trad. it. a cura di A. Mari- ni, cit., pp. 45-47).

10

SZ, p. 11 (trad. it. a cura di F. Volpi, cit., p. 23; trad. it. a cura di A. Marini, cit., p. 49). In corsivo nel testo.

zazione del methodos necessario per l’inquadramento della questione relativa al modo di costituzione del fenomeno dell’essere in quanto tale. Alla luce delle perplessità heideggeriane, nell’introduzione a L’essence de la manifestation Henry procede indicando nell’“assicurazione” (os- sia nel modo di legittimazione ultima per l’assunzione della Zweckidee dell’apoditticità in quanto criterio per la posizione della domanda feno- menologica fondamentale) la “debolezza” di fondo dell’impostazione

husserliana. Per poter essere “assicurata” in via definitiva, la via carte-

siana richiede come sua condizione preliminare il compimento dell’ana- litica della ragione; ma proprio questa, per come è presentata da Hus- serl, si prospetta essere un compito analitico proteso verso uno sviluppo

in linea di principio infinito11, sicché, a rigore, la validità del procedi-

mento d’indagine che si affida all’ego cogito, non potendo esser mai da-

to in maniera definitiva e ultima, è piuttosto da considerarsi come prov-

visorio, ovvero come costitutivamente provvisorio, giacché corredato da conferme provenienti dall’analisi di strutture eidetiche sempre particola- ri e determinate. Per questo, dunque, in ragione della provvisorietà e della particolarità dei suoi risultati, il methodos cartesiano si determina essere nullo nel suo valore euristico, in rapporto alla sua pretesa di co- stituirsi in qualità di “scienza universale”. A questa medesima logica della ricerca risulterebbe essere d’altronde subordinato, secondo Henry, anche l’analisi stessa del cogito. Scrive egli infatti:

Il cogito è soltanto una delle verità razionali, ma proprio perché, nell’ambito del suo essere particolare, ha permesso alla coscienza di pervenire all’ordine della razionalità, esso permane [come] l’ideale di una ricerca che in lui ha po- tuto realizzarsi per la prima volta; l’ideale di una ricerca alla quale esso susci- ta o conferma un compito definito: acquisire contenuti che possano fregiarsi del titolo di “verità”12.

L’inconsistenza della soluzione prospettata da Husserl è pertanto in-

dicata nella pretesa di poter “ricavare” come “sommatoria” di un’infini-

tà sistematica di verità particolari – per quanto tutte teleologicamente convergenti ed ordinate in funzione del cogito – l’universale costituzio- ne d’essere del fenomeno in quanto tale. L’assurdità di tale pretesa si

11 Cfr.

EM, p. 12 (trad. it. cit., p. 40). 12 Ibid.

paleserebbe appunto nel fatto che, in quanto ideale, l’universale logos dell’essere è ricercato a partire dalla combinazione di verità particolari. A determinare questa tendenza all’interno della fenomenologia trascen- dentale agirebbe proprio il criterio della razionalità, in base al quale la fenomenologia husserliana ha ricavato l’“assicurazione” circa il proprio fondamento. «La ragione – scrive Henry – non è una facoltà dell’uni- versale», ed aggiunge, poi:

Determinando di volta in volta la validità delle posizioni della coscienza rea- lizzantesi all’interno di una cornice d’evidenza la cui struttura eidetica si trova definita nella sua correlazione all’originario senso d’essere di una regione da- ta, [la ragione] consacra se stessa ad un compito sempre orientato verso la scoperta di verità particolari. Ma, perseguendo questo suo compito apparen- temente infinito, più meticoloso è lo sforzo della riflessione di determinare i contenuti da legittimare, più rigorosa questa determinazione, più numerose le sfere d’essere che la ragione sottopone al lavoro metodico grazie al quale ope- ra le posizioni che essa può successivamente riconoscere come proprie, più decisivo e più fatale è l’oblio in cui cade la filosofia. Quest’oblio tocca niente- meno che l’universale stesso considerato nella sua essenza propria13.

A giudizio di Henry, la critica di Heidegger è in sostanza legittima,

in riferimento al fatto che la filosofia di Husserl, in quanto fenomenolo-

gia essenzialmente subordinata al telos della ragione, riducendo la scienza dell’essere ad un mero sistema a priori di ontologie regionali, finisce per configurare il progetto dell’ontologia fenomenologica come

un mosaico di scienze particolari. «Il significato della fenomenologia

della ragione – scrive Henry a tal proposito – permane […] limitato, in quanto il senso d’essere sul quale essa persegue il suo lavoro ontologico

resta sottoposto, in maniera sostanziale, al dominio delle regioni»14; per

questo «il significato della fenomenologia della ragione può solo con ri-

serva essere definito “ontologico”, se lo scopo ultimo di questa ragione

è il possesso dell’essere singolo e finito»15.

13 Ibid. Corsivi di Michel Henry. 14

EM, p. 13 (trad. it. cit., p. 41). 15

9. La “distruzione” della via cartesiana alla filosofia prima

Secondo quanto emerso dalla discussione critica dell’impostazione data da Husserl alla fenomenologia, il methodos husserliano fa perno su di una contraddizione intrinseca. Da un lato esso, per assicurarsi la le- gittimità del proprio procedimento, si riferisce al criterio teleologico dell’evidenza apodittica in quanto unica motivazione razionale possibile per l’idea della fenomenologia quale scienza assoluta e prima; dal- l’altro, proprio l’assunzione dell’idea teleologica dell’evidenza compor-

ta eo ipso il sacrificio del significato universale della ricerca fenomeno-

logica, per effetto di un infinito compito di chiarificazione di verità par-

ticolari. Scrive Henry:

Il fatto di orientarsi verso una determinata struttura d’essere e, all’interno di questa struttura, verso un essere esso stesso determinato da rendere presente con le sue caratteristiche peculiari è […] un tratto distintivo dell’intuizioni-

smo, così come della fenomenologia della ragione che lo sviluppa e su di esso

poggia16.

16

EM, p. 17 (trad. it. cit., p. 44). Corsivo nostro. L’accusa di “intuizionismo” alla fe- nomenologia husserliana non era nuova al tempo in cui Henry elaborò le proprie tesi filosofiche. Di “intuizionismo”, in riferimento ad Husserl, aveva parlato all’inizio degli anni Trenta giàE.LEVINAS, La théorie de l’intuition dans la phénoménologie

de Husserl, cit. (cfr. supra, Sez. I, Cap. I, § 4, nota 15), ispirandosi proprio al conte- nuto dei corsi che, negli anni immediatamente precedenti alla pubblicazione di Sein

und Zeit, Heidegger svolse a Marburgo. In questo testo – vivamente presente nella

cultura fenomenologica francese del tempo – Levinas non soltanto sviluppa (come appunto riprenderà poi Henry in L’essence de la manifestation) la tesi di una possi- bile ricostruzione del senso generale della dottrina husserliana a partire dal ruolo che in essa rivesta la visione intuitiva; nelle sue conclusioni (cfr. E.LEVINAS, La théorie

de l’intuition dans la phénoménologie de Husserl, cit., pp. 218-219, trad. it. cit., pp.

170-171), egli riporta anche, peraltro presentandoli come sviluppi interni alla mede- sima fenomenologia trascendentale (cfr. ivi, trad. it. cit., pp. 9-10), gli argomenti centrali della critica heideggeriana a Husserl. Di quest’opera e delle magistrali “sin- tesi” levinasiane (come, ad esempio, l’articolo Martin Heidegger et l’ontologie, ora in E.LEVINAS, En découvrant l’existence avec Husserl et Heidegger, Paris, Vrin, [1949] 19743, pp. 53-76, trad. it. Scoprire l’esistenza con Husserl e Heidegger, Mi- lano, Raffaello Cortina, 1988, pp. 59-86) Michel Henry indubbiamente se ne servì. Come già accennato in precedenza, l’impressione generale che se ne ricava spinge a considerare questo implicito riferimento al lavoro di Levinas piuttosto come richia- mo ad alcuni elementi essenziali relativi alla maniera in cui, in quel tempo, in Fran- cia, era evidentemente interpretata la questione relativa al concetto della fenomeno- logia in Husserl e Heidegger. Di certo, l’intento di Henry non era affatto di entrare

Il metodo, fenomenologicamente inteso, è sempre “secondo” rispet-

to alla struttura di cui esso rende possibile la descrizione. Ciò significa

che la matrice della contraddittorietà metodologica dell’impostazione husserliana è da ricercarsi nei limiti intrinseci al criterio (l’Anschauung, per l’appunto, in quanto modo di costituzione dei vissuti intenzionali) eletto a titolo di via d’accesso e modalità privilegiata di afferramento per l’essenza del fenomeno. Posta in luce la contraddittorietà metodolo- gica del progetto husserliano, l’obiettivo della versione henryenne della critica all’intuizionismo è di portarne allo scoperto la radice fenome- nologica, risalendo in tal modo dal piano del metodo a quello della struttura stessa che lo sostiene, motivandolo.

Uno degli assunti fondamentali della fenomenologia di Husserl è

l’“assenza di presupposti”17, che si traduce nell’“indipendenza del pun-

to di vista” e nella “libertà di direzione” dello sguardo fenomenologico

rispetto ad ogni teoria pregressa18. A fornire questa situazione teoretica

privilegiata deve poter essere, in linea di principio, la “cosa stessa” [die Sache selbst], per mezzo della sola opera di chiarificazione fenomenolo-

gica19. La messa in luce, per via puramente descrittiva, della struttura

nel merito di questo già allora accesissimo dibattito (tra gli anni Trenta e Cinquanta peraltro complicato dalla contrapposizione fra esistenzialismo e fenomenologia); né gli argomenti della “critica all’intuizionismo” furono ripresi con un intento filologi- co o esegetico. La loro presentazione doveva servire unicamente a mostrare, in ma- niera ben più generale rispetto allo specifico problema del rapporto Husserl-Heideg- ger, le ragioni teoretiche generali della “necessaria” evoluzione della fenomenologia da “filosofia della soggettività (trascendentale)” in “filosofia dell’essere”.

17 Cfr. E.H

USSERL, Logische Untersuchungen, vol. II, Halle, Niemeyer, 19223, pp.

19-22 (trad. it. Ricerche Logiche, 2 voll., a cura di G. Piana, vol. I, Milano, Il Sag- giatore, 1968, pp. 283-287).

18 Cfr. supra, Sez.

I, Cap. I, § 5. 19

Come giustamente nota F.-W. VON HERRMANN, Il concetto di fenomenologia in

Heidegger e Husserl, trad. it. a cura di R. Cristin, Genova, Il melangolo, 1997, pp.

31-32: «Ciò che Husserl intende con indipendenza del punto di vista e libertà della direzione della filosofia che procede fenomenologicamente, può essere riassunto co- me segue: la filosofia fenomenologica vuole fondarsi come filosofia scientifica, pre- scindendo esplicitamente dai punti di vista e dalle correnti filosofiche già esistenti. In quanto scienza che diventa filosofica, essa non vuole, né all’inizio né nel suo svi- luppo, fare alcun uso delle prospettive e delle correnti già date. In tal senso, la feno- menologia vuole ottenere le proprie conoscenza filosofiche in modo privo di presup- posti, ricavandole soltanto nella visione spirituale-riflessiva di ciò che è dato intuiti- vamente allo sguardo riflessivo-guardante, di ciò che può essere colto e visto spiri- tualmente come dato intuitivo».

del fenomeno, conformemente al modo di costituzione di questo, è quanto deve poter fornire alla fenomenologia tutte le assicurazioni ne- cessarie circa il proprio “inizio”. In Husserl, tuttavia, come si è visto, la

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