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2. TEORIA DEI BENI PUBBLICI

2.4. CRITICITÁ NELL’OFFERTA DEI BENI PUBBLICI

Il problema relativo alle caratteristiche di rivalità ed escludibilità conduce perciò ad una classificazione dei beni basata sul livello di utilità pubblica, strettamente correlata con la teoria del consumatore. Questo criterio non può valere altrettanto quando ci si rapporta all'ambito della offerta di beni, poiché si deve ragionare in termini di funzione di produzione e di efficienza allocativa. Dall’esame della letteratura, si evidenzia anche una scarsa chiarezza circa la separazione degli stessi beni secondo la nozione di offerta pubblica e privata. In questo contesto si potrebbe piuttosto far riferimento alla modalità di finanziamento, ovvero: è offerto pubblicamente ciò che viene sostenuto da risorse prelevate collettivamente; è offerto privatamente ciò che viene garantito da risorse concesse da soggetti privati.

Per comprendere alcune criticità che emergono nell’uso dei soli criteri di rivalità ed escludibilità, si vuole rimandare alla storica diatriba circa la funzione dei fari. Questo caso è stato spesso usato da economisti, quali Mill, Pigou, Samuelson, per spiegare un tipo bene che dovesse essere fornito dallo Stato piuttosto che da imprese private (Coase, 1974). Questi manufatti sono edificati lungo la costa e all'ingresso dei porti per garantire la sicurezza della navigazione, ma gli addetti al mantenimento del servizio del faro non hanno la possibilità di esigere un pagamento, sotto forma di canone. Qualora ciò fosse possibile, tale fatto non comporterebbe per forza una qualche utilità sociale, poiché il costo sostenuto per avvisare una nave in più sarà sempre pari a zero (Samuelson, cit. in Coase, 1974). Nel 1974 intervenne nella discussione Coase, verificando che i fari inglesi erano gestiti privatamente, con licenze acquistate dalla Corona e finanziati da “diritti d'illuminazione”, autorizzati

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dallo Stato e imposti alle navi in porto. Un tale sistema di finanziamento statale non esclude la partecipazione dei privati nella costruzione e gestione dei fari, ma sembra tuttavia voler impedire il possesso privato dei fari (Coase, 1974). Infatti è necessario distinguere tra possesso di un bene, dovuto a diritti di proprietà riconosciuti dalla legge, e gestione di un bene pubblico da parte di soggetti privati. Un’ulteriore critica a questo approccio economico può muovere dal fatto che, nel caso del faro, gli economisti articolano la loro discussione riferendosi sempre alla offerta di un bene, ovvero il faro, e analizzando se questo bene debba essere fornito/offerto dallo Stato o dai privati. Si opera perciò in ambito di offerta e non di domanda di beni. Secondo le proprietà di cui sopra, dal punto di vista del consumo del bene, si potrà facilmente concludere che il servizio del faro è nell'ambito dei beni pubblici (quasi puri), perché ogni unità aggiuntiva consumata non comporta una perdita di consumo potenziale per gli altri utenti e i benefici sono parimenti disponibili per tutti. Per quanto riguarda la teoria della produzione, ovvero l'offerta, si può tuttavia accertare che nessun agente economico sarà interessato a costruire fari per proprio interesse personale, così come a produrre ogni altro tipo di bene pubblico, nel caso in cui non si possa esigere una qualche forma di pagamento, come già notato da Mill (1965). Se la non escludibilità fosse l’unico principio utile a determinare quali beni vanno forniti dal settore pubblico, il faro, essendo bene pubblico che gode di questa caratteristica, dovrà essere fornito solo dallo Stato, perché un privato non produrrebbe mai il servizio. Esaminando di contro quanto successo negli Stati Uniti d'America non si spiega la ragione per cui, sebbene la fornitura di questo bene fosse stata sancita come compito dello Stato, si è comunque verificata una sotto-fornitura del bene faro per lungo periodo. Pur ammettendo che sia soltanto lo Stato a fornire un bene pubblico, nel caso in cui si imponga un pagamento, automaticamente quest’ultimo fungerebbe anch’esso come un meccanismo di esclusione, rendendo “meno pubblico” quel dato bene. Si vuole perciò evidenziare che, attenendosi rigorosamente alle proprietà fondamentali (rivalità ed escludibilità), anche lo Stato non dovrebbe esigere alcun pagamento, ma ciò farebbe venir meno l’interesse economico nella produzione e nella gestione del bene stesso. Probabilmente una delle cause per cui i beni pubblici risultano sotto-forniti va ricercata piuttosto nella modalità di finanziamento del bene pubblico (Samuelson e Nordhaus 2001). Come detto precedentemente, dato che il

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bene pubblico implica il fallimento del mercato bisognerà trovare altri “mercati” alternativi per poter procedere alla sua fornitura. La stessa teoria economica insegna che lì dove si offre un bene/servizio viene altresì richiesto un pagamento per compensare i suoi costi. Infatti, sebbene gli economisti nel motivare la non escludibilità di un bene sostengono che il bene debba essere offerto dallo Stato, altrettanto ammettono che lo Stato possa esigere un pagamento, sotto forma di tassa o canone, per quel bene. Si evidenzia una certa contraddizione in merito all’offerta privata di beni pubblici, poiché non si giustifica il fatto che un privato non possa agire in vece dello Stato esigendo un pagamento altrettanto legittimato, mediante una concessione statale sulla gestione del bene stesso. Anche in questo caso il bene può comunque conservare le sue proprietà “ideali” di bene pubblico, poiché per l’utente finale non c'è alcuna differenza circa il soggetto che produce il bene. Si vuole perciò sottolineare che la proprietà di non escludibilità può comportarsi come un serpente che si morde la coda, in quanto, qualora venga a mancare, preclude l’utilità pubblica di un bene, ma consente di usare strumenti alternativi al mercato; mentre, se si realizza appieno, impedisce qualsiasi pagamento per il bene potenzialmente fornito, a meno che non vi siano interventi normativi atti a fissare i diritti di proprietà. Probabilmente il vero nocciolo della questione risiede nella modalità di pagamento/finanziamento per la produzione del bene pubblico.

La formalizzazione di Samuelson ha dato inizio, negli anni cinquanta ad un diverso tentativo di coniugare efficienza e libertà personali. Nel suo modello di ottima fornitura di beni pubblici, egli pone in evidenza come la ricerca dell'ottimo sia compatibile con una molteplicità di soluzioni, in cui alternative private si affiancano a proposte di intervento pubblico (Cerea, 1991). Dopo Samuelson altri autori si sono dedicati alla ricerca di possibili forme di offerta privata nel campo dei bisogni collettivi, ovvero di condizioni in cui dimensione e caratteristiche degli interventi pubblici sono frutto di meccanismi “di mercato”, perfettamente compatibili con le libertà personali (Oakland, 1987). La letteratura sembra essere giunta alla conclusione secondo cui non esiste una soluzione dicotomica al problema della fornitura di beni pubblici: se le soluzioni volontaristiche sono compatibili con le libertà, ma violano l'efficienza, di contro le soluzioni pubbliche soddisfano i criteri di efficienza, ma finiscono per violare le libertà. La scelta tra pubblico e privato risulta

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essere indeterminata: soluzioni pubbliche sub-ottimali dovrebbero essere confrontate con soluzioni private altrettanto sub-ottimali (Cerea, 1991). Il criterio di classificazione più ovvio da seguire dovrebbe basarsi sulla modalità di finanziamento: è offerto pubblicamente ciò che viene sostenuto da risorse prelevate collettivamente, mentre è offerto privatamente ciò che viene garantito da risorse concesse da soggetti privati. Si deve però constatare che non rientrano in questo schema logico le iniziative spontanee di privati, sostenute in tutto o in parte da finanziamenti pubblici (Cerea, 1991). Il metodo più immediato per illustrare le ragioni che rendono possibile un intervento privato, consiste nel riferirsi alle nozioni di non escludibilità e non rivalità, tipiche caratteristiche del bene pubblico. La letteratura tende a sostenere che la carenza simultanea delle due nozioni apre la strada a una possibile produzione privata, con caratteristiche di efficienza. (Cerea, 1991). La possibilità di esclusione può consentire una offerta monopolistica di beni a consumo non rivale, a patto che si imponga al consumatore di rendere note le proprie preferenze. L'esistenza di rivalità è stata studiata in relazione al manifestarsi di fenomeni di congestione: oltre un certo quantitativo di consumo di beni non escludibili, l'utilità ricavata da quote ulteriori del bene tende a diminuire rapidamente. Secondo Cerea la scelta tra pubblico e privato andrebbe affrontata in termini sub-ottimali. Si evidenzia perciò che per i beni pubblici impuri, che ricadono nella fascia intermedia di utilità pubblica e che costituiscono la maggior parte delle casistiche, è possibile la contemporanea coesistenza di offerta sia pubblica sia privata.