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4. FRAMEWORK TEORICO PER UNA STRATEGIA D’AZIONE

4.3. ESEMPI DI STRUMENTI NON CONVENZIONALI

La strategia dell’azione collettiva ha riscontrato notevole interesse nella recente letteratura scientifica, sia sul piano concettuale sia sul piano analitico, e in particolare nei lavori redatti da Vanni (2013 e 2014). Col termine azione collettiva si vuole indicare generalmente un’azione intrapresa da più individui, anche in forma

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associativa, per realizzare uno o più obiettivi condivisi (Marshall, 1998). Perciò, malgrado differenti interpretazioni, gli elementi fondanti di un’azione collettiva sono: la partecipazione di più individui, la condivisione di interessi/obiettivi comuni, la realizzazione di un’azione volontaria degli stessi individui in funzione di obiettivi comunemente prefissati (Vanni, 2014). Questo strumento d’intervento mostra una forte relazione sia con la tipologia ma soprattutto con gli assetti istituzionali. Per quanto riguarda la tipologia delle organizzazioni coinvolte, si deve considerare il contesto agricolo in cui avviene l’azione collettiva: se questa azione viene promossa esclusivamente mediante un’organizzazione diretta da parte degli agricoltori, si parla di cooperazione (criterio bottom-up); mentre se l’azione è supportata e controllata da un’istituzione pubblica (UE, Stato, Regione, etc.), è meglio usare il termine coordinamento (criterio top-down) (Vanni, 2013). Sebbene in quest’ultimo caso l’intervento dell’ente pubblico sia più attivo, ciò non si traduce automaticamente nella concessione di incentivi pubblici, poiché in entrambi i casi è possibile fare ricorso o meno all’incentivazione pubblica diretta. Invece, per quanto riguarda l’assetto istituzionale dell’azione collettiva è fondamentale decentrare il più possibile il processo decisionale, onde migliorarne l’efficacia, e favorire scelte politiche locali in tema di agricoltura e di sviluppo rurale. Questo aspetto è ancor più incisivo nel contesto istituzionale tipico della PAC, in cui l’agricoltura dipende ancora in modo rilevante dai contributi pubblici e da strumenti politici d’intervento che rispondono a un criterio top-down. Infatti, nel contesto della PAC l’azione collettiva è spesso istituzionalizzata e inclusa negli strumenti politici: benché ciò tenda a ridurre i coti di transazione tipici della fase iniziale di queste iniziative, d’altro canto, perseverando in una formalizzazione eccessiva, viene a mancare l’adattabilità dell’azione collettiva alle situazioni locali (Vanni, 2013). A dimostrazione di questo accentramento, si richiama quanto detto sopra sulle disposizioni dell’art. 46 del Reg. (UE) 1307/2013, che disciplina le aree d’interesse ecologico, ed in particolare sulla possibile “attuazione collettiva” delle stesse aree tra aziende agricole adiacenti. Benché nella misura emerga la volontà di estendere una potenziale fornitura di beni pubblici agricoli su larga scala, tuttavia la misura stessa è inclusa tra gli strumenti convenzionali del 1° pilastro della PAC, caratterizzati dall’adesione obbligatoria e da un livello decisionale (Stato membro) abbastanza distante dalla realtà territoriale.

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Infatti, per un’efficiente realizzazione collettiva, demandare queste iniziative a livello regionale o su-regionale, attraverso i piani di sviluppo rurale. sarebbe una scelta politica più adeguata. Da ciò si deduce quanto sia altrettanto importante la definizione della scala spaziale d’intervento, dato che l’azione collettiva, mediante l’impiego coordinato delle risorse locali, sia contribuisce alla riduzione dei costi sostenuti per la fornitura di beni pubblici (economie di scala) sia può consolidare alcuni meccanismi di coordinazione (economie di scopo). Inoltre alcuni beni pubblici agricoli (paesaggio, biodiversità) risultano forniti in modo efficiente solo su grande scala, in quanto richiedono ampie superfici per poter generare benefici misurabili e di lungo periodo. Perciò, l’azione collettiva può creare una sinergia tra gli agricoltori per estendere la fornitura di beni pubblici agricoli, in quanto consente di condividere competenze e conoscenze e di uniformarle verso obiettivi comuni. Gli elementi più incisivi delle azioni collettive nella produzione di beni pubblici possono essere sintetizzati in quattro variabili principali (Vanni, 2014), che vengono riportate in tabella 5.

Tabella 5. Elementi postivi delle azioni collettive (Fonte: Vanni, 2014).

Comunque anche le azioni collettive non sono del tutto esenti da alcune difficoltà, che possono tuttavia essere superate più speditamente in funzione del livello di adattabilità locale dell’azione stessa. Ad esempio, il problema del free-riding, che in quest’ambito è stato studiato anche da Mancur Olson, deriva dal grado di non escludibilità dei beni pubblici prodotti, ma è superabile con la predisposizione di

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alcuni meccanismi sociali volti ad incentivare maggiormente la collaborazione tra gli individui, come potenziamento della consapevolezza reciproca, nonché della solidarietà. Infine, per quanto riguarda i costi di transazione nelle fasi iniziali, si può sostenere che un’azione collettiva ben avviata comporta benefici maggiori rispetto agli stessi costi iniziali, soprattutto se si tratta di incentivi pubblici.

Le aste (auctions) sono una strategia d’azione che si avvicina maggiormente ai meccanismi del mercato, in quanto costituiscono un quasi-market, e sono utilizzate perciò in molti settori dell’economia, con lo scopo di organizzare la fornitura di beni pubblici da parte di aziende private (Latacz-Lohmann et al., 1998). Infatti, questi stessi autori sostengono che un mercato fondato su “green auctions”, rivolte a promuovere determinati beni pubblici agricoli (in particolare beni ambientali), possono essere create ad hoc, ponendo in un bando di gara una sorta di “contratti di gestione” (Management Agreement contracts), invece di offrirli a prezzi prestabiliti (vedi pagamenti agro-ambientali). Saranno poi gli agricoltori, in qualità di potenziali fornitori di beni pubblici, a indicare nelle loro offerte d’asta (bids) il corrispettivo pagamento, richiesto all’ente pubblico per concludere il contratto.

Secondo Latacz-Lohmann et al. (1998) vi sono due tipologie di aste che possono essere utilizzate per fornire beni pubblici agricoli e che si differenziano in funzione dei ruoli svolti dall’ente pubblico e dagli agricoltori, che possono svolgere ora il ruolo di acquirente ora quello di fornitore. Un primo tipo di asta è denominato “government procurement auction”, in cui l’ente centrale è l’acquirente e gli agricoltori sono i fornitori del bene pubblico, che viene individuato sulla base di regole di gestione. In questo caso gli agricoltori sottopongono le loro offerte d’asta, di tipo finanziario, all’ente pubblico, indicando il compenso desiderato per realizzare compiutamente gli accordi di gestione. Invece, il secondo modello d’asta è quello di “auction of cetificates”: il bene oggetto di trattativa è il diritto di proprietà a ricevere pagamenti prefissati per la fornitura di beni pubblici agricoli variabili. L’ente centrale offre questi diritti sotto forma di certificati, mentre gli agricoltori, in qualità di compratori, devono perciò pagare per aggiudicarsi gli obblighi ambientali. Ciò sembrerebbe un controsenso, ma bisogna considerare che, in virtù del certificato acquisito, gli agricoltori offrono beni pubblici ambientali in modo non costante, in

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cambio di un pagamento prefissato, in un contesto contrattuale del tutto competitivo. Infatti, in questo caso l’offerta d’asta è di tipo contrattuale, ovvero assume la forma di un piano di gestione in cui sono specificati gli obblighi ambientali.

In tabella 6 si riporta la schematizzazione generale di queste due tipologie d’asta, ponendole in rapporto con lo strumento convenzionale di pagamenti, basato su contributi fissati a priori. Quest’ultimo infatti non è altro che il più diffuso sistema contributivo utilizzato nei contratti agro-ambientali del 2° pilastro della PAC.

Government procurement

auction Auction of certificates Fixed-rate payments

Conditions fixed variable (bids) fixed

Payment variable (bids) fixed fixed

Bid financial management plan n/a

Example Conservation Reserve

Program (USA)

Countryside Stewardship Scheme

(UK)

Environmentally Sensitive Areas Scheme

(UK)

Tabella 6.- Tipologie di aste (auctions) per la fornitura di beni public agricoli (Fonte: Latacz-Lohmann et al., 1998).

Il meccanismo delle aste mostra due caratteristiche teoriche che lo rendono molto vantaggioso rispetto ai pagamenti convenzionali prefissati e che lo avvicinano maggiormente agli strumenti di mercato. Da un lato le aste consentono ai partecipanti di condurre le trattative mantenendo l’incertezza sul valore del bene scambiato, dato che il valore del bene (prezzo) è stabilito attraverso un processo decentralizzato, che considera le informazioni privata in possesso degli offerenti. D’altro lato, l’asta introduce un chiaro presupposto di competizione tra i fornitori, che di fatto limita il problema del free-riding e dell’informazione asimmetrica (Latacz-Lohmann et al., 1998). Aspetti positivi di questo tipo di strumenti sono da riferire alla capacità di aumentare l’efficacia della fornitura di beni pubblici agricoli, in particolare quelli ambientali, su larga scala e di ridurre per quanto possibile l’asimmetria delle informazioni tra i due partecipanti all’accordo ambientale. Come emerso, le aste mostrano un notevole vantaggio competitivo rispetto ai pagamenti prefissati, soprattutto quando si verificano contemporaneamente i seguenti elementi: le informazioni di base sono carenti, il numero di potenziali partecipanti è grande, i

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contratti offerti sono omogenei, mentre gli agricoltori sono differenti e la produzione dei beni ambientali in questione è divisibile tra gli agricoltori (Latacz-Lohmann et al., 1998).