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Capitolo 3 OLTRE MEZZO SECOLO DI CRONACA DRAMMATICA 94

3.2 Un critico ‘buono’? 106

«I suoi ritratti! Quei suoi ritratti di scrittori e di attori, quei visi e quei modi, quelle bizzarrie e quei significati, nell’ardore e fra le astuzie d’una prosa fluente. Come dire oggi di Rovetta o della Duse, di Giacosa o di Ferravilla, di Novelli o dei due Benini, di Sbodio o di Calabresi, di Giovanni Pozza o di Flavio Andò, senza ripetere Simoni?»54. Con queste parole Palmieri evocava nel 1952 Simoni ritrattista di comici, letterati e artisti del passato e

50 Il Nobiluomo Vidal [Renato Simoni], La morte di un giornalista, in «L’illustrazione italiana», 1922, ora in

Id., Le fantasie del Nobiluomo Vidal, cit., pp. 591-594 (la citazione è in pp. 152-153). Cfr. anche l’articolo Congedo, 1922, in ivi, pp. 614-616.

51 Silvio d’Amico, Renato Simoni ritrattista e regista, in «Nuova Antologia», 16 novembre 1938, p. 3. 52 Cfr. la lettera riservata di Orio Vergani a Simoni in data 18 febbraio 1918, su carta intestata «Il Nuovo

Corriere della Sera/ Redazione», in cui gli preannuncia la decisione della giuria. Fondo Lucio Ridenti.

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La motivazione del Premio è riportata in Il Premio Ines Fila a Simoni, in «Almanacco dello spettacolo italiano», a cura di Egidio Ariosto e Giovani Calendoli, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1952, p. 26.

del presente55, ritratti che venivano pronunciati, spesso, in occasioni celebrative o commemorazioni pubbliche che era spesso invitato e patrocinare56.

Alcune tra le più belle pagine dell’opera critica di Simoni sono quelle dedicate agli attori scomparsi, spesso dialettali, maestri e compagni di viaggio: da Ferravilla a Benini, da Laura Zanon Paladini a Emilio Zago; pronipoti di quei comici dell’arte che trovano in Simoni un convinto e felice apologeta57. I suoi ritratti – quelli che una volta erano noti come «medaglioni» e costituirono la gloria di tanta parte del saggismo francese – coglievano l’essenza poetica di tutti i più grandi interpreti, vivi e scomparsi, conosciuti e immaginati. Annibale Betrone viene definito «artista finissimo e delicato»; Amedeo e Giannina Chiantoni «interpreti vivi accurati e sicuri»; di Antonio Gandusio il critico apprezza la «grande comicità agitata e affannosa»; di Ruggero Ruggeri sottolinea la «passione contenuta e il sentimento meravigliosamente profondo»; di Luigi Cimara evidenzia la dizione perfetta, Luigi Carini è descritto come un attore pieno di dignità e di studio. Nella galleria dei ritratti simoniani troviamo inoltre la «delizia accorata» di Lyda Borelli; «l’umanità alta» della sorella Alda; la «durezza autorevole e potente» di Alfredo De Sanctis; lo «stile piacevolissimo» di Amerigo Guasti, «l’appassionato ardore» di Maria Melato, la «signorilità» di Ernesto Sabbatini, la «raffinatezza» di Italia Vitaliani; Ugo Piperno, «sempre accurato e intelligente»; e ancora Corrado Racca, «simpatico e baldanzoso», Annibale Ninchi «forte e arguto», i due Niccòli interpreti misurati e franchi, «l’eccellente» Giulio Marcacci, la «forza misurata» di Giulio Donadio, la «recitazione semplice, calda e signorile» di Wanda Capodaglio, il «buon gusto e la misura» di Romano Calò; la lontana vecchia Rosina Anselmi che dava colore alla comicità di Musco; la «composta comicità» di Gianfranco Giachetti, il «divertentissimo e chiaro» Camillo Pilotto, la «recitazione ricca e viva» di Paola Borboni, il popolare Nino Besozzi, la «bella baldanza» di Vera Vergani, «l’aristocratica comicità» di Sergio Tofano, la «dignità e la sobrietà» di Tatiana Pavlova e la «dolce e aspra» Irma Gramatica, ritrovante ogni sera una «più intensa artistica e originale semplicità».

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I ritratti di Simoni sono raccolti in quattro volumi: Gli assenti (Milano, Vitagliano, 1920), Ritratti (Milano, Edizioni Alpes, 1923), Teatro di ieri: ritratti e ricordi (Milano, Treves, 1938), Uomini e cose di ieri. Discorsi e celebrazioni (Verona, Edizioni di «Vita veronese», 1952).

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Tra i tanti discorsi pubblici di Simoni ricordiamo quello in memoria di Puccini durante la cerimonia di tumulazione a Torre del Lago il 29 novembre 1924; il discorso commemorativo in occasione dell’inaugurazione del busto della Duse al Teatro Manzoni di Milano il 7 febbraio 1927; due anni dopo presidiò la cerimonia dell’inaugurazione del busto di Emilio Zago al Teatro Goldoni di Venezia; il 21 maggio 1939 ricorda Alfredo Panzini nelle commemorazioni organizzate della Reale Accademia d’Italia; il discorso in onore di Pirandello al Teatro Margherita di Agrigento risale al 10 ottobre 1939.

57 Cfr. la recensione di Emilio Barbetti al volume di Renato Simoni, Teatro di ieri. Ritratti e ricordi, Milano,

Nel 1938 la casa editrice Treves pubblica Teatro di ieri, raccolta di venti «ritratti e ricordi» dei protagonisti dell’arte drammatica italiana tra l’Otto e il Novecento, diciassette dei quali sono attori58. «La mia ammirazione ha superato le mie legittime previsioni – si

congratula con Simoni il drammaturgo napoletano Roberto Bracco –. Vere gemme. In ognuna un’assoluta perfezione di sintesi con una coloritura e un disegno contenenti una immensa ricchezza di psicologia, una profonda compiuta conoscenza della vita, dell’arte, dell’anima, dell’esteriorità e dell’interiorità dei tipi ricordarti e ritrattati»59. Nella galleria dei ritratti di Teatro di ieri troviamo Flavio Andò, «l’innamorato dell’amore»60; «l’eloquenza della passione» di Virginia Reiter61; Ermete Novelli, «sceso dalla razza vagabonda dei comici antichi, magnificentissimi; di pane e di gloria famelici; senza focolare e senza silenzio»62; la minuta Italia Benini Sambo: «l’ultima servetta» del teatro italiano63; Virgilio Talli, capace di «fondere in un vasto accordo» gli estri creativi di grandi interpreti, da Dina Galli a Lyda Borelli, da Oreste Calabresi a Irma Gramatica e Ruggero Ruggeri64. Il primo capitolo è dedicato a Eleonora Duse che Simoni conobbe durante il Teatro del Soldato nel 1917: l’attrice viene descritta come messaggera di un’arte straordinaria e di un’anima tormentata che negli ultimi anni della vita rifugge gli applausi e le luci della ribalta per rifugiarsi nei «vivi silenzi dai quali uscivano poche parole piene di mesta luce»65. Il segreto dello stile goldoniano di Zago viene definito da Simoni «un segreto d’amore. Una specie di cura e tenerezza filiale per i personaggi rappresentati; un compiacersi non di sé, ma di essi, un guardarseli dall’intimo e goderseli quasi»66; Ferravilla è evocato come straordinario inventore di personaggi che «più che esporsi, facevano capolino. […] Il loro discorso rotto e breve accennava, non esauriva; incideva, non ritagliava»67. Simoni celebra, inoltre, Ettore Petrolini per l’accortezza di non rinnegare mai le origini, anche quando famosissimo e richiestissimo ricordava «gli spiriti caldi e

58 Antonio Valenti descrive così la prosa di Ritratti e ricordi: «Scrittore all’antica, sia pel modo di presentare

gli argomenti, sia pel piglio sicuro e veloce, sia pel suono delle parole: la nota colorita, il particolare umano, la faconda meraviglia, l’esclamazione a piena gola, il richiamo di un passato un po’ nostalgicamente idealizzato, affollano le sue pagine. […] Cert’è che un capitolo di Simoni ricorderà ai posteri l’arte di un attore meglio di ogni ragionamento sillogistico, perché esso ne farà veramente rigodere la impalpabile, inclassificabile e perduta vita». Id., Teatro in volume. Nostalgie di Renato Simoni, in «Il Dramma», a. XIV, n. 296, 15 dicembre 1938, p. 31.

59 Manoscritto autografo di Roberto Bracco a Simoni (Napoli, 10 aprile 1938); Biblioteca Livia Simoni (CA

460); ora in «Il Dramma», a. XXVIII, nn. 163-164, 1° settembre 1952, pp. 76-77.

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Simoni, Renato, Teatro di ieri: ritratti e ricordi, Milano, Treves, 1938, pp. 113-118.

61 Ivi, pp. 119-126. 62 Ivi, pp. 91-112. 63 Ivi, pp. 47-52. 64 Ivi, pp. 127-139. 65 Ivi, pp. 1-14. 66 Ivi, pp. 39-46. 67 Ivi, pp. 61-74.

irriverenti del suo primo vagabondaggio di guitto improvvisatore»68e Angelo Musco: «potente per stupende consapevolezze, e superante la propria potenza per meravigliose inconsapevolezze e misteriose aspirazioni»69.

«Parlare dei nostri attori! Per chi, da numerosi decenni, vive molto con essi e ha conosciuto anche i predecessori dei loro predecessori, può essere un modo di raccontarsi la propria vita»: con queste parole Simoni iniziava un saggio sugli attori italiani apparso in un numero di «Sipario» del 194970. Le biografie di Simoni vertono sull’uomo-artista: sulle molteplici relazioni che collegano i dettagli della vita privata con le rifrazioni sceniche. Il critico assai raramente parla della formazione dell’attore esaminato; lo osserva piuttosto nella quotidianità del vissuto e qual è sulla scena, rievoca il volto e la sua maschera; entra nell’intimo della vita dei suoi personaggi e vi raccoglie episodi e aneddoti che illuminano l’arte e le tecniche di ognuno. La memoria e il dato apparentemente minore sono parte fondamentale dell’espressione artistica, dalla scrittura alla costruzione dei personaggi, sulla pagina così come sulla scena. Il saggio sulla Duse, per esempio, dimentica l’attrice per rivolgersi alla complessità della donna: il segreto della divina risiede, secondo Simoni, nell’inscindibilità dell’arte dal vissuto, nella fusione dell’intelletto con la sensibilità poetica e malinconica. I ritratti simoniani sono figure estremamente pittoresche e vive, seppure non estranee a un alone di malinconia, che riassumono in accenni sintetici tutto il mondo comico italiano, le miserie e la gloria dell’arte teatrale. Profusa di drammaticità trattenuta è la fiera replica di Benini all’oste che rifiuta impassibile il manifesto dello spettacolo offertogli dall’attore71. Un grido dell’anima è quello di Cletto Arrighi quando in un momento difficile della sua carriera «alzò i pugni ed esclamò: «I passeri che volano per l’aria hanno da mangiare e io no!»72; ma anche la protesta del giovane Novelli che, incalzato dagli urli degli spettatori, «corse alla ribalta con i pugni tesi, pallido di sdegno e di dolore e urlò: «Ma non ho il diritto di vivere io?»73.

Simoni non si mette di fronte all’attore per giudicarlo, gli è impossibile un distacco completo dall’oggetto in esame. Conosceva bene le difficoltà dell’ascesa, la decadenza fisica della vecchiaia che non permette più di fare certe parti, mentre lo spirito è ancora pronto ed agile. Era cosciente che il periodo di gloria è effettivamente breve se si contano gli anni di studio e quelli necessari per guadagnarsi il successo. Per questo motivo, forse,

68 Ivi, pp. 167-173. Cfr. anche la voce di Renato Simoni in Petrolini e la critica, in «Scenario», a. V, n. 8,

agosto 1936, pp. 382-383.

69 Renato Simoni, Teatro di ieri, cit., pp, 183-189.

70 Renato Simoni, I nostri attori, in «Sipario», a. IV, nn. 40-41, agosto-settembre 1949, pp. 7-16.

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Cfr. Id., Ferruccio Benini, in Ritratti, Milano, Alpes, 1923, pp. 81-107.

72 Id., Cletto Arrighi, in ivi, pp. 141-151. 73 Cfr. Id., Ermete Novelli, in ivi, pp. 37-69.

iniziava i suoi ritratti dal crepuscolo della vita; a questo sentimento nostalgico è dovuto il sentito racconto del vagabondaggio dei comici, il loro calvario glorioso con le sue stimmate (la miseria, la fame, le malattie), le lunghe e dure attese (la povertà integerrima di Laura Zanon Paladini, «costretta a lesinarsi il cibo con un pasto al giorno, pur di non tralasciando di stirare, ad ogni buon fine, il suo corredo scenico»74) coronate dal successo, dietro la quale spesso sta in agguato la delusione o la morte. Una vita, quella dei comici erranti, che assomiglia molto all’universo comico di Ferravilla, «il mondo delle mezze anime» come lo definisce Simoni, espressione di una società «già ammuffita e non ancora putrefatta»75, che può spingere ai compromessi, ma nella quale il critico non vede che dedizione e lealtà. È, questo dei valori morali, un perno della scrittura simoniana, talvolta un sottinteso continuo e consolante, altrove una dichiarazione esplicita. La Duse ritorna al teatro per affermare la religiosità di un voto al pubblico e all’arte scenica; Ferruccio Benini trionfa con una di quelle interpretazioni che rivelano «non solo la sapienza di un attore, ma anche la bellezza di un’anima»76; la splendente bellezza di Tina Di Lorenzo è soprattutto riflesso della sua probità77.

Ci sembra che in questa fusione di vita e arte risieda la peculiarità stilistica di Simoni ritrattista. È grazie alla naturale sovrapposizione della fisionomia morale dell’uomo a quella estetica dell’interprete che permane in mente l’immagine di Zago con la «densa e morbida pasta del suo faccione largo, che, spianata e arrubinata alle guance, esprimeva l’ariosa ilarità o la letizia riposata o la galanteria gioviale; e lievemente intumidita manifestava la concentrazione placida»78; da Gaetano Benini «lungo, magro, con i piccoli baffi grigi» e la «lucida tuba sul capo»; di Ferruccio che tiene la barba incollata soltanto dalla parte visibile dalla platea79; della Zanon Paladini «un fiore fra i capelli, un po’ di scollatura e un grembiuletto, sempre in baruffe con le mani… Putta da bene, ma nemica delle mosche sul naso»80. Un intaglio preciso coglie uomini e situazioni in momenti essenziali. Il giudizio è implicito nelle descrizioni minuziose e colorite che spiano la quintessenza della presenza scenica dell’attore esaminato, così come il giudizio sul personaggio è implicito nella narrazione dello scrittore. I ritratti evitano analisi intricate o astruse atmosfere metafisiche, seguono invece la misura e il ritmo del racconto.

74 Id., Italia Benini Sambo, in Teatro di ieri. Ritratti e ricordi, cit., p. 50. 75 Cfr. Id., Edoardo Ferravilla, in Ritratti, pp. 119-134.

76 Id., Ferruccio Benini, in ivi, p. 87.

77 Cfr. Id., Tina Di Lorenzo in “Romanticismo”, in Teatro di ieri. Ritratti e ricordi, cit., pp. 141-148. 78

Id., Emilio Zago, in ivi, p. 39.

79 Id., Ferruccio Benini, in Ritratti, cit., p. 82. 80 Id., L’ultima «servetta», in ivi, p. 55.

Altrettanti racconti sono i suoi profili di scrittori: movimentati, sottili, sfaccettati, condotti per allusioni e rapidi accenni tra le pagine de Gli assenti. Vi troviamo il ritratto dell’«ottimistico» Gerolamo Rovetta81, quello del «limpido e misurato» Giuseppe Giacosa82, il «fraterno» Edmondo De Amicis83, la «tempestosa poesia» di Antonio Fogazzaro84, Arrigo Boito «ombroso maestro»85, il «pittoresco» Luigi Illica86 e «l’ingegnoso» Victorien Sardou87. Nelle recensioni dei Trent’anni di cronaca drammatica Simoni sintetizza con pennellate incisive la «forte, amara, stridula, beffarda saporosità» di George Bernard Shaw, «la romanticheria di vecchio gusto» di Henry Bataille, «il lucido e malinconico sorriso» di Ferenc Molnar, «la smorfia sorniona o la gentile arguzia sentimentale» di Sacha Guitry, la grande virtù effusiva e comunicativa di Roberto Bracco, «densa di silenzi e di palpiti». E ancora Dario Niccodemi dai «grandi difetti e qualità di primissimo ordine»; «l’artificio e il senso di sicurezza» di Giuseppe Adami, la «franca vivacità teatrale» di Giovacchino Forzano, «l’ingegno annuvolato» di Rosso di San Secondo, la «crepuscolarità» di Gino Rocca, «l’abbondante e svagata comicità» di Arnaldo Fraccaroli, la «scorrevole vivacità» di Giovanni Cenzato.

Emilio Barbetti denuncia nei saggi biografici di Teatro di ieri l’assenza di uno spirito d’indagine «sospettoso e intransigente» che dovrebbe invece caratterizzare il «critico di razza» secondo il pensiero corrente. Simoni non sottopone ad «un esame diffidente la profondità e solidità dell’arte dei personaggi osservati»88 in modo da porre in ugual luce tanto le debolezze quanto le vittorie, osserva Barbetti; ama piuttosto «dipingerli con sorridente serenità, ritrarre le loro maschere con tenera confidenza, sorvolare indulgentemente sulle lacune e le banalità, traendo invece dall’ombra e ponendo in valore i lampeggiamenti originali, gli elementi brillantemente positivi, le energie fattive e realizzatrici»89. A rimediare all’eccessiva ‘benevolenza’ sopraggiunge la maestria di Simoni, equilibrato e sicuro nel raccogliere le sparse e varie fila della biografia per un finale vivacemente dinamico o melanconicamente pacato. Quello del ‘critico buono’ è un titolo abitualmente attribuito a Simoni. Si rimproverano sovente al cronista del «Corriere»

81 Id., Gli assenti, Milano, Vitagliano, 1920, pp. 5-20. 82 Ivi, pp. 21-40. 83 Ivi, pp. 59-72. 84 Ivi, pp. 73-98. 85 Ivi, pp. 99-116. 86 Ivi, pp. 243-250. 87 Ivi, pp. 202-230. 88

Cfr. la recensione di Emilio Barbetti a Teatro di ieri. Ritratti e ricordi, in «Rivista italiana del dramma», a. III, n. 5, 15 settembre 1938, pp. 232-234.

certe ‘diluzioni zuccherose’ e una ‘scarsità d’agrezza’. È solito accostare alla chiarezza e alla fluidità del suo pensiero, alla ricchezza della lingua, piuttosto che alla competenza culturale, un atteggiamento “indulgente” nei confronti dell’argomento trattato. La sua critica, infatti, «se arrivava, perfino troppo frequentemente, nel corso della discussione, alla lode, escludeva nella norma la stroncatura cattiva, violenta ed irrispettosa»90. Quasi mai corrosivo e maligno Simoni, bensì sempre cauto e temperato nell’esprimere un giudizio negativo; evitava il mordente polemico per un certo ‘timore’ innato e acuito nel tempo dal peso della responsabilità della tribuna moderata del «Corriere della sera». Consapevole di scrivere sul più influente quotidiano italiano, stabiliva le distanze dicendo: «Non so se abbiate ragione. So che quando voi stroncate un autore quell’autore ne avrà dispiacere, ma difficilmente ne sarà danneggiato. Se io invece, elogiandolo, comincio il periodo conclusivo con un ‘tuttavia’, quell’avverbio è sufficiente a distruggerlo»91. Simoni era cosciente del potere che esercitava sugli umori del pubblico, capace di decretare la riuscita o la sconfitta di una messa in scena al pari di un Sarcey in Francia92, incidendo quindi l’esito artistico di un testo, piuttosto che il rendimento economico dell’evento teatrale.

Nel corso della prima metà del Novecento la critica teatrale andava conquistando un potere significativo che, se da un lato orientava i gusti e le scelte del pubblico, determinava la fortuna scenica dell’opera e la carriera dei suoi interpreti. In una lunga lettera aperta apparsa nel luglio 1941 su «Scenario», l’ormai vecchio Ermete Zacconi ritiene fondamentale il ruolo che la critica riveste nell’esistenza stessa dell’arte teatrale:

Tutto il male, tutta l’insincerità di certa critica non deriva sempre da disonesto spirito di utilità a vantaggio proprio o di amici, ma da colpevole leggerezza. Dal non comprendere e non sentire la grave responsabilità della missione cui essa è chiamata. Il critico che sa di dare un giudizio non giusto, non è meno colpevole del magistrato che condanna per antipatia l’accusato della cui colpevolezza è dubbioso. […] Oh! I sicari della penna, quale sventura per l’Arte drammatica93.

Conscio della sua posizione intellettuale Simoni evitava i giudizi drastici, mantenendo comunque un rigore professionale che non intaccava l’obiettività dell’analisi e la legittimità delle conclusioni, anche se, tali conclusioni risultavano più dal contesto dell’articolo che da una formulazione perentoria. Simoni aveva del teatro una concezione

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Gino Damerini, Il critico drammatico, cit., p. 20.

91 Luciano Simonelli, Renato Simoni, Ciò che importa è vivere da galantuomo, in Id., Dieci giornalisti e un

editore, Milano, Simonelli, 1997, p. 328.

92 A Francisque Sarcey lo accostava Francesco Bernardelli per la dedizione appassionata che dimostrò

durante tutta la vita per l’arte teatrale Cfr. Francesco Bernardelli, Un uomo di teatro, in «La Stampa», 21 febbraio 1952.

93 Ermete Zacconi, L’arte drammatica di ieri e di oggi, in «Scenario», a. X, n. 7, luglio 1941, pp. 286-292 (la

sentimentale; nella critica quotidiana come nel lavoro registico seguiva soprattutto «gli impulsi e i trasporti del suo animo verso il teatro, verso un’idea di teatro inteso come costante frequentazione e ammirazione»94. In questo consisteva il suo credo teatrale e si esauriva il suo interesse critico. Nell’assistere fedelmente al quotidiano rito scenico, nel recensire gli spettacoli da ‘elemento interno’ della messa in scena, «smusando le punte critiche, nascondendo tra le righe il malcontento o la disapprovazione»95, egli sentiva di esercitare onestamente la sua funzione di critico e di contribuire così al miglioramento dell’edificio teatrale, di cui non sempre riusciva a cogliere i profondi malesseri e le radicate ragioni di crisi.

Simoni aveva la capacità quindi di salvare anche le commedie più infelici, e spesso occorre leggere con molta attenzione tra le righe per cogliere la critica vera e propria, rivolta al lettore più avvertito. Infatti più che “criticare” Simoni amava rivivere e far rivivere il processo della creazione dell’opera teatrale. «Non era un giudice, ma un collaboratore e un partecipe – scrive Possenti del suo maestro –. Criticando l’opera finiva col volerle bene e, se la doveva biasimare, se ne addolorava e si sarebbe messo egli stesso a rifarla per trasformare in vitale un esserino gracile e per infondere sangue denso nelle anemiche vene»96. In un’epoca in cui la competenza del critico si valutava anche in base alla sua capacità di “stroncare”, il caso Simoni dovette fare scalpore. «Illustre maestro, grazie di avermi reso un po’ di giustizia! Ci sono, dunque, anche editori onesti in Italia?» gli scriveva da Parigi Camillo Antona Traversi nel 192597. Diversi anni dopo è Alessandro Cervellati, scrittore illustratore e storico del teatro, a sottolineare il ‘buon cuore’ del critico veneto: «Lei (inoltre) è molto generoso ed indulgente, qualità queste che oggi sembrano quasi andate perdute»98 - afferma in occasione di una sua pubblicazione sullo spettacolo circense e l’avanspettacolo. Distante dalla severità di un Ettore Albini, critico dell’«Avanti!», o del satirico Marco Ramperti99, titolare de «Il Secolo», Simoni divergeva anche dai cauti eppur perentori giudizi di un Giovanni Pozza, suo predecessore al