Capitolo 2 TRADIZIONE E MODERNITÀ NELLA DRAMMATURGIA D
2.2 Segni di un teatro intimista e crepuscolare 62
Oltre al filone veneto di Goldoni-Gallina-Selvatico-Fogazzaro possiamo ricondurre la produzione drammaturgica di Simoni a quella temperie letteraria nota come «teatro intimista» o «teatro crepuscolare», altrove denominata «teatro del silenzio» o «teatro dell’inespresso», variazioni di una tendenza che permette di raggruppare coerentemente alcuni autori teatrali che hanno operato in Europa tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento. Con la parola «intimismo», specifica Antonio Stäuble, uno dei due principali studiosi del movimento insieme a Giorgio Pullini46:
si è cercato di riassumere la maniera raccolta e pudica con cui vengono espressi i sentimenti ed allo stesso tempo evocare gli ambienti di grigia e malinconica realtà quotidiana in cui si svolge generalmente l’azione. Il termine «crepuscolarismo», consacrato a un preciso uso letterario, mette soprattutto in evidenza le analogie stilistiche e tecniche con i poeti «crepuscolari»: lo stile dimesso e parlato, gli affetti modesti, la poesia in tono minore; analogie rese più evidenti in qualche volta da presenze personali, come quella di Fausto Maria Martini, uno dei più importanti commediografi intimisti, che fu anche poeta lirico crepuscolare. Le definizioni di «teatro del silenzio» e di «teatro dell’inespresso» richiamano l’attenzione sui procedimenti tecnici, sull’arte di celare i veri sentimenti dei personaggi ed i veri moventi dell’azione dietro un dialogo banale, che verte su altri argomenti47.
44
Paolo Puppa, Benini tra Gallina e Bertolazzi, cit., p. 229. Sulla questione del linguaggio goldoniano cfr. Siro Ferrone, La vita e il teatro di Carlo Goldoni, Venezia, Marsilio, 2011, pp. 42-44. Per la scoperta di Goldoni nella formazione giovanile di Gallina, oltre al saggio in questione di Puppa, cfr. A. Gentile, La giovinezza di G. Gallina, in «Ateneo veneto», XXIII, 1900; Camillo Antona-Traversi, Ricordi e lettere di G. Gallina, in Studi, ricerche e bagattelle letterarie, La Costa Azzurra, San Remo, 1924; Giacinto Gallina, Teatro veneziano di Giacinto Gallina, VII, Ed. F. Sacchetto, Padova 1887, p. X e ss. Per un profilo generale del commediografo, cfr. Gino Damerini, Giacinto Gallina, Paravia, Torino, 1941.
45 Paolo Puppa, Benini tra Gallina e Bertolazzi, cit., p. 227. 46
Giorgio Pullini, Teatro intimista, in Cinquant’anni di teatro in Italia, Bologna, Cappelli, 1960, pp. 44-68, ora in Id., Teatro italiano del Novecento, Bologna, Cappelli, 1971, pp. 47-70.
In ambito europeo la drammaturgia intimista è legata principalmente all’opera di Anton Cechov e di alcuni autori francesi come Paul Géraldy, Jean-Jacques Bernard, Charles Vildrac, Denys Amiel e Jules Renard; gli autori italiani più rappresentativi della corrente si possono individuare in Simoni, Cesare Vico Lodovici (1885-1968) e Fausto Maria Martini (1886-1931), il cui “teatro interiore” rappresenta, secondo Franca Angelini, «l’atra faccia» del teatro mondano e brillante delle rose scarlatte e dei telefoni bianchi che popolava le ribalte italiane degli anni Trenta48. Bagliori ‘intimisti’ si possono cogliere inoltre nei due capolavori di Giacosa, Tristi amori (1887) e Come le foglie (1900), in cui prevalgono l’inespresso, i toni intimi e raccolti e un certo pudore nei rapporti umani; ma anche ne La Gioconda (1899) di D’Annunzio. Preannunci che diventano ben più espliciti e significativi nel teatro di Enrico Annibale Butti (particolarmente nel suo capolavoro, Fiamme nell’ombra del 1904) e di Roberto Bracco: il suo Piccolo santo (1910) – lodato da Simoni e Oliva, ma anche dai critici letterari quali Borgese e Toffanìn e persino da d’Amico che fino ad allora aveva stroncato la produzione letteraria del drammaturgo napoletano – è considerato testo capostipite dell’intero teatro intimista in quanto testimonianza tangibile dell’inespresso. Dalle acque del teatro intimista nascono, secondo Giovanni Antonucci, tanto i futuristi che Pirandello e gli autori del “grottesco”, «ma mentre Marinetti, Pirandello, Chiarelli, Rosso di San Secondo, Antonelli, Cavacchioli, Bontempelli espressero la loro idea del teatro creando un nuovo linguaggio scenico, gli intimisti preferirono operare all’interno della tradizione»49.
La discrezione e il pudore dei sentimenti sono caratteristiche intimiste che possiamo cogliere in gran parte dell’opera simoniana, ne La vedova anzitutto, ma altrettanto rilevanti sono Tramonto (1906) e Congedo (1910), che, anche nel titolo, riferiscono la peculiarità di una drammaturgia riconducibile, se non proprio ad una tecnica coscientemente intimista, almeno a uno stato d’animo che con l’intimismo e il crepuscolarismo presenta molti e non casuali punti di contatto quali:
la malinconia contenuta, il rimpianto elegiaco del passato, gli individui colti nel momento del tramonto, della delusione, del fallimento, l’abilità nel creare un’atmosfera provinciale, modesta, grigia, ed, infine, soprattutto il pudore del sentimento, il desiderio di evitare gli scoppi prorompenti di passione, nascondendo il vero tormento o la vera emozione dietro la banalità del dialogo o dello sfondo50.
48 Cfr. Franca Angelini, Silenzio e chiacchera: dal teatro intimista ai telefoni bianchi, in Teatro e spettacolo
nel primo Novecento, Roma-Bari, Laterza, 1988, pp. 60-62. Sul filone del cosiddetto teatro dei filoni bianchi si rimanda a Enzo Maurri, Rose scarlatte e telefoni bianchi, Roma, Abete, 1981.
49 Giovanni Antonucci, Il teatro intimista, in Id., Storia del teatro italiano del Novecento, Roma, Studium,
1986, p. 95.
50 Ivi, p. 22. Cfr. anche Giovanni Antonucci, Il teatro intimista, in Storia del teatro italiano del Novecento,
Un teatro in sordina quello di Simoni, fatto di mezzi toni, di chiaroscuri e di tenui sfumature, in cui le passioni, dolorose e spesso violente, rimangono celate, talora per carità – come in Letizia, la madre di Congedo che nasconde il proprio male per non turbare la serenità dei famigliari – altrove per astio: pensiamo a Cesare del Tramonto o a Carlo Gozzi, i personaggi simoniani più ribelli. La figura del conte Cesare – il suo franare progressivo, la catarsi finale che porta al suicidio il prototipo del tiranno orgoglioso – costituisce, agli albori del secolo, un personaggio emblematico non solo del «teatro del silenzio» italiano, ma anche di quello europeo51. L’accorta dosatura dei dialoghi, l’arte di accentuare le sospensioni, i silenzi e le reticenze, sono la parte migliore de La vedova, pièce che anticipa in un certo modo l’intimismo. L’attenzione della critica si polarizzò sulla figura della madre, sulla sua ostilità verso la moglie del figlio morto, sulla reintegrazione dei sentimenti quando la nuora passa a seconde nozze. Ma il suocero, lui pure ostile, il quale della nuora finisce per innamorarsi, è figura più moderna, anticipatrice di complessi psicologici che sono stati studiati e approfonditi venti o trenta anni dopo la composizione dell’opera52.
«Tramonto dappertutto: nella natura e nei cuori; e senso di distruzione, di trapasso», scriverà nel 1972 Luigi Maria Personè riferendosi alla drammaturgia di Simoni53. Quest’atmosfera crepuscolare, di fatto o di stati d’animo, è evocata non solo dai titoli delle commedie – La vedova, Tramonto e Congedo – ma anche dalle precisissime didascalie, vere e proprie indicazioni scenografiche e registiche. Gran parte delle scene avvengono all’ora di sera, la stagione è prevalentemente l’autunno – vedi, ad esempio, la didascalia del primo atto di Tramonto –, la stessa ambientazione mostra i segni del tempo, la decadenza dello splendore passato. Le pareti e i mobili di casa Gozzi a Vicinale mostrano «un’antica opulenza, ma un presente disagio. I colori sono illanguiditi, i dipinti qua e là scrostati. Nella portiera, tutta a lunette di vetro, manca qualche vetrino, e al suo posto è stata incollata della carta». Questa l’atmosfera del primo atto in Carlo Gozzi; nel quarto atto lo studio del protagonista si presenta ancora «più povero, come appannato dall’invecchiare degli arredi. La scena è buia». Le didascalie del secondo e del terzo atto di Congedo descrivono un ambiente con «mobili di un fasto colorito e stonato» […] «Stanza severa con vecchi mobili. […] Tende pesanti di stoffa scura. […] Una lucerna sospesa. Tavolo tondo. È sera alta».
51 Cfr. Massimo Grillandi, Renato Simoni, cit., p. 450. 52
Cfr. Raul Radice, Il successo di “Tramonto” dopo la lunga attesa, in «Almanacco dello spettacolo italiano», a cura di Egidio Ariosto e Giovanni Calendoli, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1952, p. 29.
L’aria autunnale, di «foglie secche» – che ricorda Come le foglie del Giacosa, lo scrittore psicologicamente e spiritualmente più affine a Simoni – che spira nella drammaturgia di Simoni a giudizio di Personè54, non viene invece percepita da Palmieri, critico e drammaturgo anticonvenzionale, il quale accantona del tutto il «senso di rimpianto» dalle commedie venete di Simoni, trovando, anzi, il dialogo simoniano «ilare, fervido, spiccio, aggressivo: tutta l’opera simoniana (e quel Matrimonio di Casanova, scritto con Ugo Ojetti) è una festevole, prepotente celebrazione della giovinezza, della vita»55. Così Maddalena, la vedova, che riafferma i diritti della giovinezza, ma anche il misantropo Gozzi che, lungi dall’abbandonarsi alla vecchiaia e alla perdita dei suoi beni, si rifugia nell’amore per la prima attrice Teodora Ricci. Vitalità dei personaggi che riferisce il carattere estroso e incandescente dello stesso Simoni e che si traduce, nel piano formale, in una scrittura ricca di aggettivi e di punti esclamativi.
L’originalità e il senso poetico dell’opera di Simoni sta nell’orizzonte spirituale dei personaggi, nel loro ruotare intorno ai moti del cuore, nel pacato e affettuoso meditare, nelle delicatezza e nelle sfumature liriche dei ricordi, in certe sospensioni della trama. Carlo Gozzi sospira:
Ah, che bisogno de afelio! Me gavé mandà via, presto, a viver da mi, a farme mi la vita. Solo! Lontan! Qua ghe giera posto per tuti, ma per mi no! Come la go sospirada la mia casa! In certi zorni scuri, de temporal, co me butava a pensar, sul mio leto, in una camera nova, senza ricordi, e sentiva fora laqua che scravazzava, la vedeva sta casa mia, serar porte e balcon per proteger queli che ghe giera drento; vedeva tuta la famegia unita, al sicuro, col gusto di esser fora de l’aqua e del pericolo, e diseva: mi no, mi no! Chi ghe pensa a mi! Nissun me vol vicin per sentirse più sicuro! (I, 11)
Venato di temi e atmosfere intimiste è soprattutto Congedo. Letizia, la mamma che sa di avere i giorni contati, ripone negli armadi i vestiti della stagione e, intanto, pensa che quando gli altri li tireranno fuori, e li indosseranno, lei non ci sarà più: «Ma me consolo, sola, perché per sto lavoro che fasso ancuo sarà come se ghe fusse ancora, come se ghe la portasse mi la roba ben tegnuda, ben piegada, la so giachete de pane groso perché no i ciapa fredo... Eco vedela, mi cerco de far sempre qualcosa che serva per dopo». (II, 4)
Nella Vedova, la poltrona su cui sedeva la giovane nuora diventa un delicato richiamo poetico; alla partenza di Maddalena, nel terzo atto, diventerà l’oggetto di malinconici ricordi di amici che non la vedranno più. «Ah xe inutile – sospira Desiderio, uno degli ospiti della casa di Alessandro e Adelaide – me sento una certa roba… Xe quela malignaza poltrona…» (III, 1)
54 Cfr. ivi, pp. 215-221.
Alcuni finali delle commedie di Simoni sono accomunati da una sorta di crisi spirituale descritta con sottile analisi psicologica che scava, per mezzo di silenzi e indugi, il complesso e contradditorio animo umano. «I suoi protagonisti muoiono senza cadere», scrive Ferrigni riferendosi ai protagonisti di Carlo Gozzi e di Tramonto: corpi senza vita, prigionieri di una loro mania o di un loro dolore. Il vecchio e tradito Gozzi brancola ancora verso l’ombra dell’amata commediante, così come l’altro conte, il Cesare agonizzante di Tramonto che, colpito nel più profondo dell’orgoglio maschile, non vede altra soluzione che il suicidio; in tale contesto possiamo ascrivere anche la profonda malinconia in cui sprofonda Alessandro dopo la partenza della giovane nuora ne La vedova.
Simoni non era apparso agli occhi dei primi critici come un innovatore, tutt’al più risaltandovi per il profondo impegno, per una notevole abilità teatrale e per il calore sentimentale della scrittura. «La verità è alquanto più complessa – precisa d’Amico. – Pur nell’angoletto di provincia dove, con la grazia del suo dialetto, s’è confinato, Simoni è un esploratore del subcosciente, di ben altra delicatezza che non la più parte de borghesi suoi contemporanei»56. Altri studiosi e critici hanno individuato nella sua opera, oltre al tessuto ‘crepuscolare’, echi pirandelliani, cecoviani e freudiani. «Simoni, al termine di quel costumismo (e a costumismo si ridusse buona parte del realismo italiano, e tutto il teatro cosiddetto dialettale, se se ne esclude Di Giacomo), lo interpretò non più in chiave di moralismo, ma in chiave di psicologismo»57, afferma Apollonio. Ne La vedova, la partenza di Maddalena sprofonda nella desolazione più profonda la casa degli ex-suoceri, abbandonata ormai da tutti; e soprattutto il vecchio padre, che conoscerà la natura del suo ‘torbido’ sentimento per la nuora proprio da Adelaide:
Tu ti soridevi ala vita, mi ala morte. Do strade diverse batèvimo. Mi da una parte, ti da l’altra. Mi no son stada, e no son, e no sarò altro che mama! Ti, ti pol essere tante altre cose. No rimproverarme dunque sta calma che ancuo ti me vedi nei oci! La casa che a ti te par voda, per mi la torna ancora cara e serena come una volta… Me par che lu sia tornà da un gran viagio. Ch’el sia de là ch’el riposa… E provo una gran dolcezza a far silenzio, perché no i lo svegia. Gabi pazienza. (III, 5)
Scena madre della commedia per la sottile intensità drammatica, nella quale, scrive Ferrigni, «le parole caute e dignitose sfiorano un abisso di sentimenti mal definiti e avvolgono di pudore e di pietà un dolore che forse nell’animo del suocero non è, o non è stato sempre, purissimo, è una bellezza rara nel teatro nostro per la sua delicatezza: direi
56 Silvio d'Amico, Commediografo e precursore, in «La Fiera letteraria», 14 ottobre 1951, p. 3. 57 Mario Apollonio, Renato Simoni, in «L'Italia che scrive», a. XLII, n. 2, febbraio 1959, p. 74.
quasi unica»58. Le battute finali de La vedova, cariche di spietata dolcezza e di indifferente distacco, evidenziano una profonda introspezione psicologica, anticipando di vent’anni il tema de La vita che ti diedi di Pirandello59.
La prima commedia di Simoni rifiuta, come noterà a posteriori Gian Antonio Cibotto, la «tentazione folcloristica, il tono celebrativo» di tanta drammaturgia dialettale del tempo, ponendo invece in evidenza una «freschezza di tipi, di situazioni, di intrecci, di soluzioni, costruiti senza mai ripetere gli esempi tradizionali, mossi da un’inquietudine nuova»60. Inquietudine che sfiora l’intimismo dei sentimenti di un Cechov, il teatro del silenzio che arriverà nella penisola vent’anni dopo con la firma del francese Bernard, ma anche l’inconscio freudiano in un’Italia che non conosceva ancora gli studi del padre della psicanalisi. Nel disegno della pacata vita provinciale, tra il chiacchiericcio quotidiano e sulle acque ferme dei sentimenti consapevoli, onesti e sereni, s’insinuano «torbide e inafferrabili complessità subcoscienti»61. L’amore inconfessato di Alessandro per la nuora e la gelosia smaniosa della madre per il figlio scomparso rimane comunque timido e pudico in quella che Terron definirà come «la mobile gracilità della commedia»62. Con La vedova Simoni supera gli schemi usuali del teatro dialettale, lambendo persino i territori freudiani, come intuirà per primo d’Amico:
Tutti sappiamo che La vedova di Simoni potrebbe essere stata scritta oggi: se venisse fuori adesso come novità, ci si richiamerebbe per essa, oltre che all’immancabile Freud allora sconosciuto, a quegli intimisti e silenzisti francesi i quali in realtà fiorirono venti o venticinque anni dopo: con quell’opera Simoni fu senz’altro un precursore63.
Possiamo ravvisare nelle commedie simoniane anche una parentela spirituale con l’opera di Cechov, relativa soprattutto alla presenza di certi sentimenti intensi e indecifrabili avvolti spesso da un velo di malinconia. «Nella Vedova c’è già del Cechov; nel Tramonto c’è n’è di più – e troppo. […] Più selvaggio e incerto il russo, più composto e cauto l’italiano»64 – scrive nel 1937 Ferrigni, contrapponendo al tratto rapido e nitido della prima commedia del veneto la tragedia del superbo Cesare.
La storia di Tramonto richiama, inoltre, la vicenda della pirandelliana Tutto per bene (1920). Il conte Cesare e Martino Lori, differentissimi per carattere – egoista
58
Mario Ferrigni, Caratteri di Renato Simoni, cit., p.133.
59 Cfr. Ugo Zannoni, Renato Simoni, cit., pp. 77-84; ma anche Carlo Terron, Il commediografo, in «Il
Dramma», a. XXVIII, nn. 163-164, 1° settembre 1952, p. 30.
60 Gian Antonio Cibotto, Teatro veneto, Parma, U. Guanda, 1960, p. LXXXVI ss.
61 Carlo Terron, Il commediografo, in «Il Dramma», a. XXVIII, nn. 163-164,1° settembre 1952, p. 30. 62
Ibidem.
63Silvio d'Amico, Commediografo e precursore, cit. 64 Mario Ferrigni, Caratteri di Renato Simoni, cit., p. 142.
prepotente il primo, mite e remissivo il secondo – vivono la stessa catastrofe: quella di conoscere a un certo punto della loro vita un remoto tradimento della moglie, scoperta che condiziona irrimediabilmente le loro sorti. Quando la confessione straziante della donna rivelerà a Cesare la passione giovanile per un altro uomo, egli non sarà più capace di reagire o di trovare un qualsiasi sostegno morale. In questo tragico contrappunto tra il sembrare e l’essere, tra la maschera e il volto, si trova il nucleo embrionale del teatro pirandelliano. Lo scarto che corre tra la sicurezza del sindaco-tiranno della prima parte e il disperato Cesare del finale è di una drammaticità degna del migliore Pirandello, quanto del più analitico Ibsen65. Intensissima è la scena in cui Cesare, di fronte al vuoto disperante apertosi dopo la scoperta della passione giovanile della moglie, propone a questa un compromesso: «Bisogna indormenzarle tute do, le nostre coscienze». Ma Eva, la moglie, rifiuta. Lo vuole ingiusto e spietato come prima, per potere rimanere nelle parte della vittima, come si è sempre considerata: «O meterse a maltratarme, o son persa! No ti capissi che la giustificazion de la mia vita xe la tirannia?» (III, 5). Cerebralismo nutrito di carne e di nervi.
Riverberi pirandelliani si scorgono anche nel terzo atto di Carlo Gozzi, quando la commedia raggiunge l’acume drammatico anticipando Il gioco delle parti 66 . L’ipocondriaco e misantropo Carlo, mai guarito dalla piaga di un’infanzia senz’amore passata lontano dalla famiglia, è in una malinconica sera d’autunno scosso, intenerito e infine vinto dalle grazie della prima donna Teodora Ricci, al quale seguiranno certezze e dubbi, gli aneliti e l’angoscia del tradimento. Al monito di Gozzi che avverte l’amaro consorte della Ricci di aprire gli occhi «che la te fa i corni. Verzi i oci? Svègite, insemenìo!» segue la replica veemente del Bartoli, ammalato e ridotto a ombra che insorge domandandogli se, dopo avergli preso la moglie, vuole anche essere difeso, per scoppiare infine in disperato pianto: «El vada via! El vada via! (A mi el me lo conta?)» (III, 9)
La breve stagione drammaturgica di Simoni si svolge in un periodo scosso da notevoli esperienze come l’affermazione del ‘teatro di poesia’ di D’Annunzio – simbolico e mitico, che ribalta le tecniche e i linguaggi tradizionali – mentre già si preannuncia l’irruzione di Pirandello, la cui rivoluzione sconfigge il dominio del repertorio borghese di matrice francese. Nelle commedie del veronese, scritte in quest’epoca di transizione, motivi e forme tipiche della commedia ottocentesca si accostano a problematiche e
65 Carlo Terron è stato uno dei primi a scorgere ripercussioni ibseniane in Tramonto. Cfr Id., Il
commediografo, cit., p. 34.
66 Cfr. Ivo Chiesa, Le cinque commedie di Renato Simoni, in «Sipario», a. IV, nn. 40 – 41, agosto-settembre
prospettive stilistiche prettamente novecentesche. Di conseguenza una parte della critica loda l’«umana» commedia di Simoni e sottolinea il suo «teatro sano» in quanto «esempio di bellezza morale»67; altri invece evidenziano maggiormente i motivi freudiani e pirandelliani. Per Pancrazi Simoni è un cadetto dell’Ottocento settentrionale68; per il giovane Pullini l’opera del veneto è vergata di uno psicologismo espressionistico, trattandosi di uno «studio capillare di sensibilità chiuse o aperte alla vita che passa, un’intuizione lirica del tempo che presiede al divenire degli esseri»69. Pellizzi è stato uno dei primi a notare nelle commedie di Simoni un’anticipazione del teatro di parecchi anni a lui posteriore, un «intimismo avant la lettre»70, inaugurando una linea interpretativa della sua opera che, lungi dal confino provinciale, presta attenzione a porre in risalto anticipazioni di tanta drammaturgia italiana dei decenni successivi. Terron71, e soprattutto