Capitolo 4 UN’IDEA DI TEATRO 132
4.3 L’opera di Simoni nell’Italia fascista 160
Una delle espressioni tipiche della demagogia fascista fu l’incoraggiamento delle rappresentazioni all’aperto, espressione di un teatro di massa volta al più vasto consenso
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Paolo Puppa parla di «grado zero» della messa in scena, «tutta virtualmente prevista e risucchiata nel copione». Cfr. Id., Teatro e spettacolo nel secondo Novecento, Roma-Bari, Laterza, 1990, p. 25.
113 «Insomma Spettri può benissimo essere inteso come lo intendeva Zacconi: come il dramma di Osvaldo;
oppure come intendeva la Duse: il dramma della signora Alving. Tuttavia è impossibile non credere che esista una terza soluzione: l’universale, l’unica possibile, da un punto di vista superiore. Si tratta di trovarla: e questo spetta appunto al regista. In altri termini: egli non dovrà essere né un interprete “letterale” né un interprete “eccezionale”: ma un interprete “naturale”.» Corrado Pavolini, Conclusioni sulla regia, in «Scenario», a. X, n. 1, gennaio 1941, p. 4.
114 Cfr. Milano, 1948: un convegno per il teatro, a cura di Alberto Bentoglio, cit., pp. 67-68; Vittorio
Tranquilli, La crisi del teatro di prosa all’esame del Convegno di Milano, «Giornale di Trieste», 27 giugno 1948.
ideologico. Il suo significato intimo risiedeva nella scoperta e nella valorizzazione delle bellezze architettoniche e naturali dell’Italia come mezzo di autopromozione politica e motivo di gloria nazionale. L’idea dello spettacolo all’aperto116 non è però una prassi fascista. In Italia funzionavano da anni numerosi teatri all’aperto con manifestazioni basate prevalentemente sulla drammaturgia greca e latina. Tra il 1912 e il 1914 il teatro romano di Fiesole aveva ospitato una serie di rappresentazioni della classicità antica e moderna tra cui Edipo re, Le baccanti, l’Oreste di Alfieri e l’Aminta di Tasso; spettacoli che posero le basi di un’altra iniziativa a Siracusa da cui verrà fondato nel 1921 l’Istituto Nazionale del Dramma Antico. Al concetto di teatro all’aperto il regime fascista sovrappone quello del ‘teatro di massa’, in quanto strumento di consenso ideologico117. Nel corso degli anni Trenta in Italia, come precedentemente in Francia, Russia e Germania, il termine “massa” venne spesso usato come equivalente di “popolo” con l’implicito richiamo al binomio popolo/nazione mutuato dalla rivoluzione francese e poi diffusosi nell’Europa dell’Ottocento. In realtà, come osserva Gianfranco Pedullà, il concetto di popolo «non può essere immediatamente assimilato a quello di “massa” poiché esso appare direttamente connesso con le formazioni sociali dotate di sistemi di produzione e consumo di massa affermatesi soltanto nel Ventesimo secolo»118. Il teatro di massa trova in Italia la massima ma infelice espressione nella messa in scena di 18 BL (il nome dell’autocarro assunto a simbolo della vittoria italiana nella Grande Guerra): il mastodontico allestimento diretto dal giovane Alessandro Blasetti fu rappresentato il 29 aprile 1934 su un palco di 250 metri situato sulla riva sinistra dell’Arno, con la partecipazione di circa duemila comparse e ventimila spettatori119.
116 Per la costruzione formale degli spettacoli all’aperto un esempio suggestivo proveniva dalla Germania,
dove venivano organizzati i Thingspiele (dal termine germanico indicante il tribunale degli uomini liberi). Tali imponenti manifestazioni all’aperto, legate alla storia, alla leggenda e alle feste locali, dovevano rappresentare, nelle intenzioni di Goebbels, il nuovo teatro tedesco. Per esse Wilhelm von Schramm giunse a elaborare uno schema che contrapponeva il vecchio teatro borghese (intimista, individuale, con protagonisti in lotta con se stessi, rappresentato in luoghi chiusi) al teatro nazista (corale, popolare, con eroi drammatici, cori, rituali, pubblico di massa, rappresentato in luoghi aperti). Caratteristiche degli spettacoli erano essenzialmente la netta contrapposizione tra capi e gregari, l’accuratezza delle messe in scena (con masse di comparse, architettura e scenografia molto curate, impressionanti effetti visivi e sonori), il richiamo diretto all’ideologia nazista (tramite bandiere, simboli e attori rigorosamente di ‘pura razza ariana’) e quello al misticismo. «L’autosuggestione così creata provocava un’identificazione di gruppo – osserva Emanuela Scarpellini – facendo percepire tangibilmente agli spettatori l’appartenenza a un’unica collettività e razza.» Cfr. Emanuela Scarpellini, Organizzazione teatrale e politica del teatro nell’Italia fascista, cit., p. 243.
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Sulle sfumature politiche del teatro di massa estese anche al contesto francese si rimanda a EROI e massa, Bologna, Patron, 1979.
118 Gianfranco Pedullà, Il teatro di massa in Italia durante il fascismo, contributo al Convegno di studi Le
Théâtre de masse: une expérience européenne. La France et l’Italie, 14-16 ottobe 2009, Avignon, di prossima pubblicazione. Ringrazio l’autore per la gentile concessione.
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Gli autori dello spettacolo erano Alessandro Pavolini, Corrado Sofia, Giorgio Venturini, Luigi Bonelli, Raffaele Melani, Sandro De Feo, Gherardo Gherardi e Luigi Lisi. L’oggetto scenico principale, che dava il titolo alla rappresentazione, era un autocarro da trasporto, il Fiat 18 B.L., che inizialmente attraversava le
Gli spettacoli all’aperto dai connotati propagandistici si affermano in tutta Italia nella seconda metà degli anni Trenta e sono allestiti in scenari naturali di particolare suggestione: dai teatri antichi ai ruderi della Magna Grecia o dell’antica Roma, dai giardini ai chiostri dei palazzi patrizi, dalle piazze agli stadi, in riva al mare o lungo la sponda dei laghi. Erano luoghi capaci di contenere le ventimila persone auspicate da Mussolini durante il Convegno Volta del 1934 al fine di unire «l’autore» con le «masse» per mezzo di un’immediata aderenza dell’arte alla vita e alla natura. «Sotto i cieli stellati delle notti estive – si legge in un articolo promotore delle attività culturali dell’estate 1939 alle Terme di Caracalla –, nella superba “cavea romana” circondata da una cornice stupenda di fiaba, nel fantastico gioco di colori e luci, il popolo in tripudio, cui tanto godimento spirituale viene profuso, inneggerà a Colui che ha saputo creare spettacoli di tanta magnificenza»120. Gli spettacoli all’aperto superano la loro natura artistica, la rappresentazione teatrale diventa raffigurazione del vanto nazionale e ritorno alla «gloriosa tradizione» italica121. Non solo, il teatro all’aperto, per la sua congenita simbiosi con la natura, si prefigurava come una forma artistica che anelava all’«essenza dell’eternità»122, più «pura e genuina» rispetto alla convenzionalità degli spettacoli al chiuso, avvezzi a degenerare nello «spettacolismo, nel gusto della scenografia e in una sorta di fastoso secentismo», come scrive De Pirro nella presentazione della seconda stagione dell’Estate Musicale Italiana (EMI)123. «Sotto il cielo e con l’immediato e impegnativo confronto del vero in natura, il
trincee carico di giovani fanti. La seconda scena ricostruiva gli scontri in occasione di uno sciopero ‘rosso’ e la fine del Parlamento avvenuta attorno a un grande tavolo che veniva successivamente travolto dal 18 B. L, mentre un aereo sorvolava la scena lanciando migliaia di copie del «Popolo d’Italia» con l’annuncio della formazione del governo Mussolini. Il terzo tempo si svolgeva in epoca fascista: aperto da una coreografica esibizione di centinaia di giovani atleti, proseguiva con scene di lavori di bonifica e di costruzione della strada per Littoria. Il logoro autocarro, dopo essere servito anche a tali realizzazioni, veniva infine accantonato. La critica dell’epoca, da Guido Salvini e Silvio d’Amico, misero in evidenza i numerosi limiti della rappresentazione, tra cui l’inefficacia espressiva, per poi riconoscere come quel primo tentativo, comunque, indicasse le «grandi possibilità per gli spettacoli a venire». Cfr. Silvio d’Amico, Spettacolo di masse e teatro politico, in «Il Popolo d’Italia», 17 marzo 1934; Guido Salvini, Spettacoli di masse e ‘18 BL’, in «Scenario», a. III, maggio 1934. Su questo episodio importante cfr. anche Jeffrey T. Schnapp, 18 BL. Mussolini e l’opera d’arte di massa, Milano, Garzanti, 1996.
120 Gli spettacoli alle terme di Caracalla, in «Scenario», a. VIII, n. 7, luglio 1939, p. 293.
121 Cfr. il trafiletto dedicato alla pubblicazione del volume di Mario Corsi, Il teatro all’aperto in Italia,
Milano-Roma, Rizzoli, 1939; in «Comoedia», a. XXI, n. 7, 15 luglio 1939, p. 314.
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Eugenio Bertuetti, Appunti per un invito all’aperto, in «Scenario», a. VIII, n. 7, luglio 1939, p. 297.
123 L’EMI, l’impegno più grandioso, a livello organizzativo, finanziario e propagandistico assunto dal regime
in fatto dispettacolo dal vivo, fu fondato nel 1937 dal ministero della Cultura Popolare su preciso invito di Mussolini. I suoi compiti principali erano quelli di realizzare nuove grandiose rappresentazioni all’aperto e di inquadrare le attività già esistenti in un organico programma. Dai 56 centri del primo anno, le manifestazioni dell’E.M.I. si erano estese in 101 siti nel 1939; le rappresentazioni da 444 diventarono 601; gli spettatori da 1.865.000a 2.200.400. Il primo dato che emerge dalle statistiche è la preponderanza dell’attività lirica rispetto alla prosa (nel 1938, 392 spettacoli lirici, operistici e concerti contro 52 di prosa). E ciò a conferma del fatto che la tradizione musicale – oltre a riscuotere un favore maggiore presso il pubblico – si prestava di più a spettacoli di massa con gran numero di comparse, sia per la tipica struttura del melodramma ottocentesco, sia per il carattere stesso del linguaggio musicale. Cfr. Emanuela Scarpellini, Organizzazione teatrale e politica
senso dello spettacolo non viene soffocato, come si potrebbe a tutta prima pensare; viene anzi esaltato nella esigenza di maggiore grandiosità, ma nello stesso tempo viene mantenuto sano ed elementare, fuori d’ogni imbarocchimento del gusto»124.
La prospettiva del Teatro di massa voluto dal Duce si basava su alcuni principi base quali: messe in scena accuratissime affidate ad artisti rinomati; platee vaste, ricavate in ambienti di alta suggestione scenica; prezzi modesti accessibili a tutte le categorie di spettatori, un repertorio prevalentemente classico, perché noto alle masse e più affine alla loro sensibilità125. Con il passare del tempo l’Opera Nazionale Dopolavoro (OND) contribuì efficacemente alla diffusione di tali spettacoli, pubblicizzandoli e predisponendo viaggi e altre facilitazioni in occasione di ogni ciclo di rappresentazioni. La legge 397, varata il 2 febbraio 1939, ristrutturò profondamente l’Istituto Nazionale del Dramma Antico al fine di farlo diventare un reale centro propulsore per la divulgazione del teatro classico in tutto il paese. L’evoluzione del teatro tradiva una destinazione dapprima aristocratica, per il colto e raffinato pubblico delle corti, e in seguito borghese, con i complicati drammi psicologici e le sue introspezioni liriche. Mancava nella letteratura drammatica italiana un repertorio moderno rivolto a un vero pubblico di massa126. La presa di posizione più significativa in tale direzione venne dallo stesso Mussolini. In occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione della SIAE, il 28 febbraio 1933, egli pronunciò il suo discorso forse più importante riguardo al teatro. Dopo aver rilevato come
del teatro nell’Italia fascista, cit., pp. 252-253. Due dei più imponenti eventi lirici degli anni Venti sono: Cavalleria Rusticana e Pagliacci in piazza San Marco nel luglio 1928, entrambe dirette da Pietro Mascagni (Cfr. Mario Corsi, Il teatro all’aperto in Italia, Milano-Roma, Rizzoli, 1939, p. 217; Il grandioso spettacolo lirico nella piazza di San Marco di Venezia, in «Il Popolo d’Italia», 24 giugno 1928). Già nell’estate del 1923 il Comando dei Balilla aveva organizzato all’Arena di Milano finte azioni belliche con gli arditi, e in seguito il grandioso spettacolo La laguna a Milano, per il quale era stata allagata l’Arena e ben duecento orchestrali, cento bandisti, cento mandolinisti e mille corali avevano eseguito un programma vocale e strumentale su di una grande pagoda galleggiante e su tre motoscafi e quaranta barconi, terminando con giochi pirotecnici (Cfr. Il successo della ‘Laguna’ all’Arena, in «Il Popolo d’Italia», 20 luglio 1923; La Laguna a Milano, in ivi, 21 luglio 1923; L’eccezionale spettacolo all’Arena, in ivi, 22 luglio 1923; Nuovi spettacoli lagunari all’Arena, in ivi, 28 luglio 1923). Nello stesso anno davanti a Mussolini e una folla immensa veniva presentato allo stadio del Palatino il terzo atto dell’atteso poema drammatico Rùmon di Ignis (Musmeci) sulla leggendaria fondazione di Roma (Cfr. Guido Ruberti, La novità della quindicina, in «Comoedia», 15 maggio 1923), mentre successivamente un analogo grande successo avrebbe riportato un concerto di Gigli, a Venezia, in favore dei refettori popolari e delle opere assistenziali del partito (Cfr. Il grande successo del concerto Gigli in piazza S. Marco a Venezia, in «Il Popolo d’Italia», 13 luglio 1930). Particolare significato assunsero gli omaggi tributati a Gabriele D’Annunzio, come la maestosa rappresentazione de La figlia di Iorio al Vittoriale nel settembre 1927 (Cfr. Le scene della ‘Figlia di Iorio’, in «Il Popolo d’Italia», 13 settembre 1927).
124 Cfr. Nicola de Pirro, E.M.I. – anno XVII, in «Scenario», a. VIII, n. 10, ottobre 1939, p. 439. 125
Sante Savarino, Spettacoli di prosa all’aperto, in «Il Dramma», a. XVI, n. 324, 15 febbraio 1940, p. 23. «Un Teatro del Fascismo non potrà essere che un Teatro per le masse – scrive Pavolininel 1936 – che raccoglie attorno a sé il respiro unanime delle folle: il che si spiega con la storia stessa d’Italia, dove permane sì attraverso ogni tempo un miracoloso sentimento sotterraneo dell’unità.» Corrado Pavolini, Per un teatro di domani, in Storia del teatro italiano, a cura di Silvio d’Amico. Milano, Bompiani, 1936, pp. 364-367.
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Trentacinque teatri, in «Scenario», agosto 1938; Carlo Vico Lodovici, Le sacre rappresentazioni italiane, in ivi, giugno 1942. Cfr. anche Emanuela Scarpellini, La funzione della cultura popolare, in Organizzazione teatrale e politica del teatro nell’Italia fascista, cit., pp. 241-245.
eventi quali la guerra e la rivoluzione fascista avrebbero dovuto essere la migliore ispirazione per il genio artistico, Mussolini affermò:
Ho sentito parlare di una crisi del teatro. Questa crisi c’è, ma è un errore credere che sia connessa con la fortuna toccata al cinematografo. Essa va considerata sotto un duplice aspetto, spirituale e materiale. L’aspetto spirituale concerne gli autori; quello materiale, il numero dei posti. Bisogna preparare il teatro di masse, il teatro che possa contenere 15 o 20 mila persone. La ‘Scala’ rispondeva allo scopo quando un secolo fa la popolazione di Milano contava 180 mila abitanti. Non risponde più oggi che la popolazione è di un milione. La limitazione dei posti crea la necessità degli alti prezzi e questi allontanano le folle. Invece il teatro, che, a mio avviso, ha più efficacia educativa del cinematografo, deve essere destinato al popolo, così come l’opera teatrale deve avere il largo respiro che il popolo le chiede. Essa deve agitare le grandi passioni collettive, essere ispirata ad un senso di viva e profonda umanità, portare sulla scena quel che veramente conta nella vita dello spirito e nelle vicende degli uomini. Basta con il famigerato ‘triangolo’, che ci ha ossessionato finora. Il numero delle complicazioni triangolari è ormai esaurito. Fate che le passioni collettive abbiano espressione drammatica, e voi vedrete allora le platee affollarsi. Ecco perché la crisi del teatro non può risolversi se non sarà risolto questo problema127.
Nella politica culturale fascista il teatro avrebbe ricoperto un ruolo privilegiato, facendosi interprete dei sentimenti più autentici e profondi dell’intera comunità. In questo senso è comprensibile come non solo ci si opponesse alla monotona ripetizione del tema del ‘triangolo’ amoroso ma anche non ci si riconoscesse nelle correnti d’avanguardia, dai futuristi a Pirandello, dai grotteschi ai crepuscolari, per chiedere invece all’opera teatrale – secondo le parole di Mussolini – di «agitare le grandi passioni collettive, essere ispirata ad un senso di viva e profonda umanità, portare sulle scene quel che veramente conta nella vita dello spirito e nelle vicende degli uomini». Non un teatro portatore di dubbi e negazioni dunque, ma un teatro in grado di affermare certezze, di celebrare quasi una sorta di rito collettivo.
Era necessario quindi creare un repertorio adeguato, «lontano dalla prosaica quotidianità del teatro borghese, in grado di interpretare i miti e le idealità dell’epoca moderna»128. I nuovi valori poetici e la ritrovata socialità del mezzo teatrale sarebbero stati le fondamenta di una rinnovata concezione estetica. E sarebbe spettato all’Italia, secondo tale ottica, assumere nuovamente il ruolo di guida spirituale, seguendo un’antica vocazione civilizzatrice. Proprio nell’ideale richiamo a una «nuova classicità», che si rifacesse alle gloriose tradizioni del teatro occidentale e nello stesso tempo fosse diretta espressione del mondo contemporaneo, molti scorgevano il reale significato politico e artistico del teatro nell’era fascista129. Non mancarono autorevoli proposte per formare un repertorio basato su opere divenute da secoli patrimonio della cultura occidentale (come tragedie greche,
127 Mussolini parla agli scrittori, in «Nuova Antologia», a. LXVIII, n. 1466, maggio-giugno 1933, p. 191. 128
Emanuela Scarpellini, Organizzazione teatrale e politica del teatro nell’Italia fascista, cit., p. 245.
129 Cfr. Gherardo Gherardi, Teatro per il popolo a un congresso internazionale di teatro, in «Scenario»,
drammi sacri, commedie elisabettiane e spagnole del Cinquecento e Seicento e commedie italiane del Cinquecento), prediligendo ovviamente la valorizzazione del repertorio italiano rispetto a una tale apertura cosmopolita. Si è constatato inoltre che la tanto lodata commedia italiana cinquecentesca non sempre risultava «adatta alla semplicità delle masse popolari, la quale deve essere salvaguardata dai rischi d’inquietudini e di dubbi come la più grande e gelosa ricchezza della razza»130. La rinascita del repertorio classico e, in termini più ampi, l’esaltazione dell’antichità operate dal fascismo volevano affermare la propria continuità storica e ideale con il glorioso passato dell’impero romano. Ma non mancavano altri motivi propagandistici, come la volontà di diffondere i valori e la concezione etica presenti nelle tragedie greche per stimolare e «infiammare l’ uomo nuovo fascista», come notavano gli stessi contemporanei:
Portando le grandi masse fuori dalle chiuse sale degli spettacoli quotidiani a respirare questa atmosfera d’arte e di prodigio, si compie dunque non solo opera squisitamente culturale e artistica, ma si realizza anche un’idea politica, poiché, suscitando nell’animo delle folle il senso eroico e religioso della vita, si esaltano i valori dello spirito che, come nell’antica Grecia, debbono essere curati con ogni amore perché costituirono e costituiranno sempre le forze indomabili di una Nazione che vuol progredire131.
Le rievocazioni classiche si moltiplicarono nel corso degli anni; a Siracusa, Fiesole, Ostia, Taormina, Paestum, Erba, Asolo, si aggiunsero varie altre località, fra cui Pola e Sabratha in Libia, dove Mussolini aveva fatto restaurare il teatro romano. I lavori, iniziati nel 1928 dall’archeologo Giacomo Guidi, furono conclusi nel biennio 1936-1937 da Giacomo Caputo. Il teatro restaurato di Sabratha si inaugurava nel marzo 1937 con la rappresentazione di Edipo re di Sofocle e la partecipazione del Duce in persona. La messa in scena rientrava nel novero delle ‘recite straordinarie’ promosse dal regime per celebrare l’egemonia civilizzatrice dell’Impero nei paesi occupati: simbolo le personificazioni di Roma e Sabratha in atto di stringersi la mano nell’abside centrale del palcoscenico, poste fra due scene di sacrificio132. Il nuovo teatro rappresentava, nella sua accezione simbolica, un ponte ideale «tra la più sacra antichità e il più vivo avvenire» come scriveva Simoni nel gennaio 1937 in un articolo encomiastico sull’imponente opera restauratrice avviata dallo Stato, che aveva trasformato le «pure forme del teatro greco» in «imperiali architetture»133.
130 Nicola De Pirro, Ritrovamento di valori essenziali, in «Scenario», marzo 1939; cfr. inoltre E il teatro
drammatico?, in ivi, agosto 1938; Spettacoli all’aperto per il popolo, in «Rivista italiana del dramma», 15 novembre 1938.
131 Mario Corsi, Il teatro all’aperto, cit., p. 102. 132
Giacomo Caputo, Il teatro romano di Sabratha, in «Rivista italiana del dramma», a. I, vol. 1, n.2, 15 marzo 1937, p. 161.
La scena a cielo aperto affascinava molto Simoni. Alla prima visione del teatro di Siracusa, nell’aprile 1914, esalta la bellezza spirituale del luogo:
Questi teatri greci sono una meraviglia che nessuna architettura posteriore ha superato. Una rappresentazione data così tra gli aromi della campagna, fra il digradare della luce verso la sera, con i venti leggeri e morbidi che vengono dal mare, con qualche rondine che traccia, stridendo una corda aerea sopra l’arco della cavea, costituisce davvero una festa semplice, sana, liberatrice di ogni tedio. Tutti ci siamo sentiti felici per un’ora134.
Nel 1939 Simoni scrive la prefazione a Teatro all’aperto in Italia, il corposo volume di Mario Corsi (350 pagine e 150 illustrazioni) edito da Rizzoli che prendeva in rassegna tutti i più importanti teatri antichi d’Italia: dal teatro greco di Siracusa a quello romano di Fiesole, dagli spettacoli allestiti nel Giardino di Boboli per il Maggio Musicale Fiorentino al Teatro Internazionale di Prosa di Venezia, alle esperienze itineranti dei Carri di Tespi.
L’Ispettorato del teatro aveva predisposto per l’inaugurazione del Teatro di Sabratha un complesso drammatico d’eccezione composto da Annibale Ninchi (Edipo), Irma Gramatica (Giocasta), Corrado Racca (Sacerdote), Carlo Ninchi (Creonte), Gualtiero Tumiati (Tiresia), Edoardo Toniolo (Nuzio Da Corinto), Enzo Biliotti (Servo di Laio), Carlo Lombardi (Nunzio della Casa) e due registi come Guido Salvini e Renato Simoni, reduci dai successi goldoniani del Festival di Venezia. Salvini vantava precedenti