Note capitolo
TRE CROCI (1920).
La storia è ispirata da un fatto di cronaca cittadina: il suicidio, nell′autunno del 1918, dell′ ultimo dei tre fratelli Torrini, librai antiquari travolti dai debiti. Tozzi fu particolarmente colpito da questa vicenda, poiché legato da amicizia con Giulio che si era suicidato tre anni prima, e che Tozzi aveva ricordato in un articolo apparso sulla “Vedetta senese” nel gennaio del 1915.
Tozzi quindi decise di scriverne un romanzo, mantenendo inalterati i nomi di battesimo degli sventurati compaesani
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(Niccolò, Enrico e Giulio), ma mutando in Gambi il loro cognome.
Tre croci viene scritto di getto in due settimane, tra la fine di
ottobre e i primi di novembre del 1918, in una delle pause di lavorazione del Podere.
La storia dei fratelli Torrini, che nel romanzo saranno Gambi, è concentrata, nel libro, in un lasso di tempo molto più ridotto, che va dal mese di ottobre di un anno imprecisato, fino al febbraio successivo.
La vicenda comincia quando la rovina economica dei fratelli Gambi sta arrivando alla fase conclusiva, le firme sulle cambiali sono già state fatte e si raccontano i giorni immediatamente precedenti al suicidio di Giulio ( cap. 1-13), che costituisce il punto di svolta dell′ azione; negli ultimi due capitoli ( cap. 14-
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15), si narrano le morti per malattia e indigenza di Niccolò ed Enrico.
I fratelli Giulio, Niccolò ed Enrico Gambi proprietari di una libreria ereditata dal padre, ma incapaci di gestirla ed indebitatisi a causa delle eccessive spese per il cibo, chiedono un prestito al cavalier Orazio Nicchioli; questi, atteggiandosi a benefattore con la speranza di diventare proprietario della libreria, garantisce su una cambiale firmata da Giulio.
Alla scadenza della prima cambiale, non potendo pagare e avendo bisogno di altro denaro, Giulio, in accordo con i fratelli, falsifica la firma del Nicchioli su altre cambiali fino a raggiungere la cifra enorme di cinquantamila lire.
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Quando il cavaliere ha i primi sospetti, Giulio presenta in banca ancora un′ altra cambiale e l′ inganno viene scoperto; sulla famiglia Gambi cade così il disonore.
Giulio decide di addossarsi ogni responsabilità e rinchiusosi all′interno della libreria, si uccide impiccandosi.
Al processo, i due fratelli Niccolò ed Enrico, addossano tutte le responsabilità a Giulio, così vengono assolti; ma il loro rapporto si incrina e il giorno stesso dei funerali di Giulio, Niccolò caccia di casa Enrico. Il primo trova un impiego come agente di assicurazioni, il secondo finisce in un ricovero per mendicanti.
Pochi mesi dopo la morte di Giulio, i due fratelli lo seguono stroncati dalla gotta, malattia di cui soffrivano a causa della loro incontinenza nel cibo. Le due nipoti orfane, Chiarina e Lola
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che erano cresciute in casa dei Gambi, depongono tre croci sulle loro tombe.
I personaggi sono solo nove, divisi in tre gruppi di tre unità ciascuno: i tre fratelli Gambi; Modesta, moglie di Niccolò, con Lola e Chiarina, nipoti orfane; il cavalier Nicchioli, il Nisard e il Corsali, tre frequentatori della libreria.
I tre fratelli, Niccolò, Enrico e Giulio ( il protagonista principale), vivono tutti nella stessa casa; Giulio ed Enrico sono scapoli, mentre Niccolò è sposato con Modesta e non ha figli; costoro vivono la crisi economica della libreria cercando di eliderla col pensiero continuo del cibo per soddisfare la loro ingordigia.
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Modesta, Lola e Chiarina, le tre donne di casa, rappresentano il mondo semplice e puro degli affetti domestici.
Il cavalier Nicchioli, il Nisard ( critico d′ arte francese) e il Corsali, un amico, rappresentano invece l′ ottica comune, convenzionale e banale, e la dimensione sociale e collettiva in cui si svolge il dramma.
La narrazione è svolta in brevi capitoli ( quindici), segnati da un numero romano, in cui la vicenda è molto concentrata e rapida e precipita verso la catastrofe finale; gran parte del romanzo insiste su una serie di avvenimenti significativi : la falsificazione delle cambiali, la scoperta dell′ imbroglio da parte del cavalier Nicchioli, il suicidio di Giulio, la morte prima di Niccolò, poi di Enrico, in cui vengono delineate le caratteristiche dei personaggi, dall′ inizio fino al capitolo XIII in cui viene descritto il suicidio di Giulio. Negli ultimi due capitoli si narrano le
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vicende che porteranno alla morte di Niccolò ed Enrico e il gesto di Lola e Chiarina, le nipoti, che con i loro risparmi acquistano tre croci uguali da deporre sulle tombe degli zii.
Le indagini critiche che si sono susseguite nel corso degli anni successivi alla pubblicazione di Tre croci , come si è detto, hanno sottoposto l′ opera a letture controverse, riflesso delle differenti posizioni nell′ interpretazione dell′ arte tozziana.
Per primo G. A. Borgese, in Tempo di edificare (1923), affermò che con Tre croci, Tozzi avesse scritto un romanzo ben costruito ed “ edificato” rispetto al frammentismo e
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all′autobiografismo vociano, affermando che con questo romanzo, lo scrittore senese riuscì a sviluppare un ′ arte nuova,
una nuova maniera meno legata, appunto, all′autobiografismo.
Scrisse Borgese:
“ Ci ha dato un libro moralmente alto e artisticamente puro,
concepito in un′ atmosfera linda e lucente, condotto con organicità consapevole dalla prima all′ ultima parola. E′ un mondo di decadenza e di colpa, sorvegliato da un′ intelligenza caritatevole e serena. La pietà non sgorga con abbondanza lirica, né si espande con intrusivi moralismi; ma vibra continua con un′ angoscia rattenuta. (…) Si riconosce facilmente, pure attraverso il velo di pudore che vieta ogni espansione a chi diligentemente racconta, uno scrittore cattolicamente educato che porta l′ austera tristezza cattolica nel sangue anche se
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delle pratiche del culto e della dottrina ortodossa non cura o non discorre ”1.
Per sottolineare la nascita di una nuova stagione “impersonale”, che prescinde dalla dimensione autobiografica e non “ verista ” , Borgese pose a confronto Tre croci con i
Malavoglia del Verga; tuttavia il critico, in quest′ ultimo
romanzo di Tozzi, non intravide assolutamente un ritorno al verismo dell′ autore, e sottolineò invece i motivi che lo allontanarono dall′ esperienza verghiana:
“ Tre croci non sono i Malavoglia. Ma è necessario dirlo. E
dirlo stesso dà una misura del libro.
Non sono i Malavoglia , non sono ancora il massimo che un narratore può dare, perché, lungi dall′ avere dodici anni di storia familiare e sociale, Tozzi svolge nelle sue duecento pagine soltanto la catastrofe adottando un metodo piuttosto
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tragico che epico, drammatico che narrativo; perché, (…), avrebbe dovuto proiettare sufficientemente l′ antefatto nella catastrofe, e introdurre progressivamente (...) il lettore nell′antefatto e nel fatto”.2
Nello stesso capitolo Borgese per evidenziare che il confronto con Verga non significhi designarne una qualche continuità con Tozzi, scrisse che : “ (…) A Verga rimase inferiore nell′ arte di
costrurre; ma fu tanto diverso da lui, e tanto più ricco per la linfa lirica di cui ogni sua pagina, pur così dura, stillava, come una corteccia stilla di resina odorosa.”3
Il senso delle argomentazioni di Borgese, risiedeva nella volontà del critico di posizionare correttamente Tozzi nella storia del genere romanzo e nel confronto col naturalismo ne individuò il mezzo.
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Le argomentazioni di Borgese, tuttavia, sono state in seguito oggetto di interpretazioni parziali e di travisamenti che hanno visto nell′ indagine del critico una volontà di accreditamento di Tozzi al romanzo verista e una giustificazione teorica di una poetica neonaturalistica dell′ autore di Tre croci.
Tra questi spicca Giacomo Debenedetti che, nel Romanzo del
Novecento (1971), illustrando il capitolo dedicato allo scrittore
senese in Tempo di edificare di Borgese, scrisse:
“ Il succo dell′elogio borgesiano a Tozzi è questo: che con
sagacia e pazienza e precisione d′ artigiano, affinatesi attraverso una lettura dei latini e dei trecentisti senesi, Tozzi arriva in ciascuna pagina a una bellezza propriamente antologica, che vince le migliori prove dei frammentisti; mentre poi costruisce come un narratore verista. Tanto è vero che Borgese ritiene che il capolavoro, o almeno la tappa già quasi
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raggiunta dalla quale avrebbero avuto inizio i capolavori di Tozzi, sia Tre croci.”4
G. Debenedetti già nel saggio Con gli occhi chiusi, pubblicato nel 1963 in “Aut- Aut”, aveva sostenuto che l′ interpretazione psicoanalitica in chiave freudiana del complesso edipico, dovesse essere estesa anche a Tre croci , che secondo il critico, attraverso metafore narrative solo apparentemente più distaccate e oggettive , porta in sé il “dramma psichico della mutilazione”.
Questa ipotesi venne ripresa in maniera più estesa
nel Romanzo del Novecento (1971), in cui Debenedetti condannò: ”le recidive naturalistiche, la demagogia estetica e
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narrativa di Tre croci”5, ritenendo il romanzo caratterizzato da: “una regressione naturalistica rispetto a Con gli occhi chiusi”;6
e, rispetto agli esiti innovativi di Con gli occhi chiusi, lo considerò tuttavia : “ uno splendido passo indietro”.7
Debenedetti nell′ interpretazione psicoanalitica di Tre croci, mette in evidenza la centralità del procedimento di mutilazione operato dalla figura paterna e del relativo sentimento di vendetta filiale ( già attuato in Con gli occhi chiusi), che avverrebbe mediante la distruzione dei beni ricevuti da lui in eredità ai figli ( così come nel Podere), affermando che la tecnica che i tre fratelli usano per distruggere “la roba” pervenuta loro dal padre, “ presenza immanente”, risulti come un′ aggressione verso lo stesso. La distruzione del patrimonio rappresenta l′ uccisione simbolica del padre.
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Ma in Tre croci la figura paterna risulta quasi del tutto estranea alla narrazione e la lettura di Debenedetti appare sostanzialmente forzata; leggendo la sua analisi, infatti, ci si accorge che la sostanza del romanzo viene deformata per far sì che aderisca alle proprie concezioni. A tale riguardo è esemplificativa la descrizione che Debenedetti dà di Giulio:
“ Uno di loro, Giulio, ha moglie: ma questa moglie è anch′essa
una complice della sua frustrazione, consola la sua debolezza, , il suo senso di sconfitta, non gli resiste mai, non chiede attraverso un′affermazione di lui un′ affermazione di sé stessa. E′ una madre senza altri figli; pingue e dolce e medicamentosa:
scegliersi una madre come sposa è ancora una protesta, una rivincita contro quel fortunato rivale che è stato il padre.” 8
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In realtà Modesta non è la moglie di Giulio, ma di Niccolò; e inoltre Tozzi la descrive come una donna semplice più che come una madre.
Un altro esempio di deformazione della fabula attuata da Debenedetti nell′ analisi di Tre croci, riguarda la scena che introduce il finale, nella quale il critico afferma che Giulio, “ il
più bravo dei tre fratelli”, passeggiando col cavalier Nicchioli :
“conduce il dialogo contro ogni intenzione e desiderio
cosciente, ma con un′ inoppugnabile volontà inconscia e suicida, in modo da allarmare l′ amico che all′ indomani correrà in banca e denuncerà il falso : di qui la catastrofe.”9
In realtà, Giulio chiede esplicitamente al Nicchioli di firmare un′altra cambiale nel cap. X :
“ Domani avrei bisogno da lei di una gentilezza che m′ha fatto
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e il cavaliere non ha fiutato assolutamente l′imbroglio; il giorno successivo non si recherà in banca, ma alle sue tenute di Monteriggioni. Sarà un amico del Nicchioli che lavora in banca a stupirsi che avesse firmato un′ altra cambiale per i fratelli Gambi e gliene avrebbe parlato, così come è espresso chiaramente all′ inizio del cap. XII :
“ alla banca un amico del Nicchioli si stupì che egli avesse
firmato per i Gambi un′ altra cambiale; e pensò di dirglielo”.11
Debenedetti riprende questo specifico episodio di “Tre croci”, per farne l′ esempio dell′ antinaturalismo del romanzo tozziano.
L′ indagine interpretativa di Tre croci da parte di Debenedetti, non è però del tutto chiara e determinata, perché oscilla tra definizioni talvolta contraddittorie; infatti nel Romanzo del
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impiegato e Con gli occhi chiusi, prima di essere pubblicati, :
“furono riscritti, cioè recano l′ impronta di quell′ inizio di
maturità artistica che doveva culminare in Tre croci”.12 Poco dopo però scrive che si tratta di un romanzo:”abilmente
condotto su un′ apparente falsariga veristica”, e : “facsimile veristico” 13.
Tuttavia, malgrado questa lettura controversa e forzata di Tre
croci, data da Debenedetti, non si può non riconoscere al
critico il grande merito di aver fornito all′ opera di Federigo Tozzi un′ innovativa chiave di lettura.
L′ interpretazione in chiave psicoanalitica freudiana di Tre croci, non persuade Luigi Baldacci, per il quale la riduzione alla poetica di Con gli occhi chiusi operata da Debenedetti, deprime il romanzo al motivo della “fagocitazione”, peraltro tanto
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forzato; e ritiene che piuttosto che dare un valore simbolico a certe rappresentazioni e scene,: “ si dovrebbe insistere sui
momenti in cui la scrittura si caratterizza per subite illuminazioni, rompendo la temporalità naturalistica della narrazione.”14
Ma in Tre croci non si trovano testimonianze di queste illuminazioni del profondo, per cui secondo Baldacci ci si trova di fronte ad una poetica differente che ricerca simboli che non sono più quelli del funzionamento psichico o della nevrosi, ma assumono una specifica responsabilità culturale.
Giulio Gambi diverrà vittima sacrificale e Baldacci individua nel cap. XII il centro del libro in cui la figura di Giulio , secondo il critico, viene assimilata a quella di Cristo:
“ Giulio si sentiva trafitto, e non avrebbe voluto parlare di più. Egli, nello stesso tempo, provava una grande dolcezza, quasi
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una grande contentezza, che gli faceva desiderare sofferenze più acute. Gli pareva d′essere doventato, invece, insensibile; e questo lo deludeva.
Non c′era altro, dunque, da inventare acciocché egli fosse costretto a patire quanto aveva sognato?”15
In Giulio il critico ravvede il progetto di passione espiatrice, che diviene poi chiaro nel capitolo successivo, in cui il protagonista principale afferma: “ non può essere mi manchi la forza di fare
a me quello che non farei agli altri”16, stravolgendo il precetto cristiano.
In questa capacità di razionalizzazione di Giulio, Baldacci nota la differenza incolmabile tra la prima e la seconda “maniera” di Tozzi, nella quale sottolinea un intento ideologico ( e quindi regressivo) nella poetica dell′ autore .
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Continuando nella sua analisi, Baldacci in una dialettica contrapposta a Debenedetti, ritiene che i fratelli Gambi non abbiano nessun padre di cui vendicarsi (essendo la figura del padre assente nel romanzo), e tuttavia la loro regressione a bestie sia evidentissima. I fratelli Gambi, sono “personaggi-stati d′animo”, e non essendo figure autobiografiche (che quindi non possono regredire allo stato infantile in quanto non amate) , non si verifica più il rapporto tra il padre e il bambino afasico che non riesce ad esprimersi, ma il solo rapporto tra Dio e la bestia; e l′ appetito di cibo “ patologico” dei fratelli Gambi, peculiare della bestia, dà dimostrazione di ciò. Si tratta tuttavia, come è già stato sottolineato, di una religiosità che fa riferimento a : “ Un Dio terribile dal quale l′uomo, il figlio,
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dannarli, ma non ha potere sulle bestie, che sono assicurate dalla dannazione.”17
Baldacci solo in questo senso, afferma che Tre croci sia il romanzo “religioso” di Tozzi, sottolineando tuttavia che si tratta di un particolare tipo di religiosità, vista ( in maniera riduttiva ) come manifestazione psico-patologica.
In contrapposizione con Baldacci, Franco Petroni ritiene fondamentale invece il ruolo dell′ ideologia cattolica e più in generale cristiana nella genesi dell′ opera di Tozzi, come è già stato evidenziato.
Petroni , analizzando Tre croci , ritiene che nel romanzo sia chiaro l′ intento ideologico di Tozzi e afferma che il
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protagonista del romanzo, Giulio, sia il portavoce di un′ideologia “del sacrificio”.
Partendo dall′ analisi di un passo presente nel cap. X del romanzo in cui si ritrova una vera e propria ideologia dei rapporti umani, il critico ritiene che Tozzi ci abbia fornito una chiave interpretativa essenziale per comprendere la seconda “maniera” dell′ opera tozziana, a cui appartiene appunto Tre
croci. Il passo è il seguente:
“ E, ritirata, la testa, chiuse l′uscio. Ma, istantaneamente,
Giulio si sentì invadere come da un delirio senza scampo.(…) Bisognava , dunque, che egli si preparasse a commettere chi sa quale stravaganza, che avrebbe fatto effetto a tutti.(…) Poi, pensava: - Tutta la nostra regola di vivere dev′ essere intesa in altro modo. Altrimenti, vuol dire che io, in quarant′ anni che ho, non sono mai riescito ad imbastire intorno a me una cosa che
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mi possa fare veramente piacere e che risponda ai miei sentimenti.. Perché gli altri mi credono eguale a loro? Perché gliel′ho fatto credere io.(…) Io ho continuato a vivere adattandomi sempre, e costringendo me stesso ad una certa regolarità, che mi sembrava giusta e opportuna.Ora m′ accorgo che posso esser vissuto soltanto provvisoriamente, finché un giorno dovesse sopravvenire un fatto decisivo, come quello della cambiale, che farà doventare debole ciò che prima mi sembrava sicuramente forte e scelto bene.(…) ed io, perciò, mi sono illuso da vero di godere e di soffrire soltanto per un effetto della mia coscienza.( …) Non vale, dunque, la pena ch′io soffra; perché non soffro tanto per me ma anche per gli altri.(…) Non vide più perché egli avesse dovuto continuare a vivere, e il desiderio della morte gli parve preferibile e necessario.
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_ Essi mi fanno morire, senza che io abbia il diritto di rifiutarmi. Anzi , non mi preparo né meno a rifiutarmi. E perché? Ma il perché non lo trovava”.18 e pensando alla sua gioventù
spensierata, afferma che questa : “ era doventata soltanto una
verità del suo sentimento.”19
Petroni sottolinea come ripetutamente si passi dal discorso indiretto libero, a quello diretto, che esprime integralmente il pensiero del personaggio, senza alcuna intromissione del narratore; Giulio è pienamente cosciente della sua condizione che, per mancanza di alternative, gli si presenta come “ la” condizione della vita. Esiste un contrasto insanabile in lui, tra l′ io più profondo e l′ immagine che gli altri hanno di lui in una realtà che non è altro che un insieme di convenzioni.
Petroni, in questo senso, afferma che :” Tre croci può essere
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delle cose diverso da quello convenzionale, effettuato dai protagonisti -e principalmente da Giulio- in una situazione di crisi.”20
Giulio non sa trovare il perché della necessità del proprio sacrificio, la ragione non glielo consente ; e l′ unica possibilità per una comunicazione affettiva sincera, fuori da condizionamenti, è l′ accettazione del sacrificio di sé. In questo modo , infatti si può superare la tendenza alla sopraffazione reciproca e l′ egoismo, che danno luogo al peccato originale dell′ uomo. Si tratta quindi di una vera e propria ideologia,
l′ ideologia “del sacrificio” in cui la scelta di Giulio Gambi di sacrificare sé stesso dà senso alle vicende umane. E intorno a questa scelta è strutturato il romanzo.
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Si tratta di una situazione “estrema” che lo studio di Sandro Maxia ha ben evidenziato, anche attraverso l′ analisi delle strutture formali di Tre croci.
Secondo Maxia infatti, al Tozzi di Tre croci, non interessa tanto la vicenda delle cambiali false e del fallimento, quanto la situazione estrema, di “non ritorno”, nella quale i protagonisti possono manifestare la loro vera natura.
Maxia nella sua analisi ha mostrato come la struttura e l′argomento di Tre croci, non abbiano niente in comune col romanzo naturalistico. La soppressione dell′antefatto non è un difetto narrativo ( come aveva sottolineato Borgese), ma è assolutamente funzionale alla narrazione; Tozzi non vuole narrare come i fratelli Gambi lottino per salvarsi dal disastro economico; infatti quando il romanzo inizia , la catastrofe è già scontata, ma allo scrittore interessava creare una situazione
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estrema, una anacrisi appunto, in cui si potesse mostrare la vera natura di “ quei disgraziati” e, afferma Maxia, :”L′ anacrisi
in Tre croci non è un momento, sia pure il momento culminante, della costruzione dell′ intreccio, ma è l′ intreccio stesso del romanzo, la cui concentrazione deve essere salvaguardata da qualsiasi divagazione romanzesca.”21
E questa è, secondo il critico, la principale lezione formale che Tozzi avrebbe ripreso dallo studio delle opere di Dostoevskji.
Inoltre, risulta fondamentale nell′ indagine di Maxia l′individuazione di una seconda chiave di lettura, di natura simbolica in Tre croci intorno alla quale si incentra la