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Federigo Tozzi : Tre croci. Analisi comparata della bibliografia critica

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Federigo Tozzi TRE CROCI (1920) .

Analisi comparata della bibliografia critica.

INTRODUZIONE

La presente indagine si propone di mettere in evidenza e confrontare i differenti studi critici sull′opera di Federigo Tozzi ed in particolare sul suo ultimo romanzo Tre Croci a partire dalla data della sua pubblicazione nel 1920.

Nonostante oggi Tozzi venga considerato un classico del Novecento grazie agli studi di Debenedetti e Baldacci, nel corso

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degli anni la sua opera è stata sottoposta a critiche talvolta contrapposte. L′interesse critico verso questo autore, controverso per molti aspetti, si sviluppa solo dopo la sua morte . A partire dagli anni Venti fino alla cosiddetta svolta degli anni Sessanta operata dai suddetti autori, le indagini critiche oscillavano tra coloro che consideravano Tozzi come scrittore ancora legato al frammentismo vociano lirico-autobiografico e coloro che lo rappresentavano come il nuovo edificatore del romanzo realista. Debenedetti nel saggio Con gli occhi chiusi del novembre 1963, in “Aut-Aut” , sottrae definitivamente l′autore all′area del naturalismo e lo inserisce a pieno titolo tra i maestri della letteratura novecentesca,dandone una lettura psicoanalitica in chiave freudiana. Baldacci individua nell′ideologia il limite negativo dell′arte tozziana, mettendo in evidenza due

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fasi narrative differenti, quella relativa al sessennio senese(1908-1914) caratterizzata da una scrittura aideologica, e quella relativa al sessennio romano(1914-1920)caratterizzata da una scrittura ideologica. Secondo questa distinzione i capolavori di Tozzi in ottica moderna, appartengono tutti alla prima fase: Adele, Con gli

occhi chiusi, Ricordi di un giovane impiegato. Mentre Tre croci, Il podere, e Gli Egoisti appartengono alla seconda fase, con un

ritorno a soluzioni tradizionali.

Le linee critiche più recenti, rivedendo la definizione di Tozzi come scrittore ideologicamente sprovveduto, delineano un nuovo indirizzo di ricerca “ correlando l′analisi del testo a quella ideologica, l′indagine psicologica a quella antropologica,il Tozzi narratore e il Tozzi critico ed ideologo” , come ha individuato Luperini. Getrevi ha evidenziato il legame tra la poetica e l′ideologia cattolica tozziane mettendo in evidenza che a Tozzi la

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religione “appare come lo strumento più idoneo all′approfondimento delle realtà psicologiche”, dato che la fede “potenzia le facoltà delle percezioni”. Sull′interpretazione ideologica di Tozzi interviene anche Petroni che traccia una linea critica fondata sull′ “ ideologia del sacrificio” nell′analisi di Tre

croci per comprendere il secondo Tozzi, quello del sessennio

romano, sottolineando il nesso strettissimo che intercorre tra “logica dell′inconscio” e “ ideologia del mistero” nei romanzi tozziani.

Più recentemente Luperini che non accetta la tesi di due successive “maniere” di cui non trova traccia negli scritti di Tozzi, evidenzia un′ “evoluzione nella continuità”, mostrando come l′autore costruisca ed organizzi la narrazione nel recupero di alcuni aspetti della tradizione dei generi letterari svuotandoli dall′interno , in modo da rinnovare la forma del racconto.

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La tendenza critica attuale è incline ad individuare nell′opera tozziana un momento di sintesi tra due prestigiose tradizioni narrative ,verismo e simbolismo, ormai esauritesi nel secondo decennio del Novecento ,conciliandole attraverso una forma essenziale e compatta, che ” richiama non solo ai referenti di una realtà esteriore, ma anche a quelli assai meno precisabili della realtà interiore: della realtà e verità del sentimento, con termini tozziani” come afferma Zollino.

Tre croci ultimo romanzo dell′autore, pubblicato nel 1920 poco

prima della sua morte, come tutta l′opera di Federigo Tozzi ha subito letture controverse e tuttora viene considerato come uno dei romanzi meno felici dello scrittore senese.

Il presente studio si propone di mettere in evidenza come contenga invece elementi innovativi e risulti un testo di notevole importanza sia nella parabola creativa di Tozzi (rispetto anche agli

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esiti più fortunati di Con gli occhi chiusi , 1919), sia nella storia del romanzo italiano del primo Novecento . Come nota Giorgio Bàrberi Squarotti, “Tre croci dimostra quella che è la nota straordinaria della narrativa di Tozzi: la capacità ,cioè, di reinventare la struttura romanzesca a seconda delle esigenze del progetto narrativo”.

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Essendo l′opera di Tozzi strettamente legata alle vicissitudini della sua pur breve vita, si ritiene opportuno in questa sede tracciare una breve biografia dell′autore la cui formazione fu essenzialmente da autodidatta.

BIOGRAFIA

Federigo Tozzi nacque a Siena il 1° gennaio del 1883 in una casa annessa alla Trattoria del Sasso all′ Arco de′ Rossi di cui era proprietario il padre noto col nome di Ghigo del Sasso,che la gestiva con l′aiuto della moglie Annunziata Automi. Federigo fu l′ottavo ed ultimo figlio di Ghigo e Annunziata,tutti gli altri figli erano morti appena nati. Il padre è autoritario e violento e Federigo cresce dominato dalla sua personalità e con un legame

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intenso con la madre,vittima di molteplici tradimenti coniugali e affetta da epilessia. In questo stato di cose,il giovane sviluppa un carattere scontroso e ribelle ad ogni disciplina, con una forte vocazione alla solitudine.

Di salute cagionevole si iscrive con un anno di ritardo alle scuole elementari presso il Seminario Arcivescovile , ma il rendimento è scarsissimo e a causa di problemi disciplinari viene espulso nel 1895. Nello stesso anno muore la madre improvvisamente. La carriera scolastica prosegue in maniera travagliata , prima all′Istituto di Belle Arti, poi in seguito ad un′altra espulsione alle Scuole Tecniche, anche lì però con scarso rendimento ed incidenti disciplinari. Al secondo anno dell′ Istituto Tecnico , nel 1902, decide di lasciare definitivamente gli studi.

Intanto a Siena aveva cominciato a frequentare la Biblioteca degli Intronati, dove caoticamente impostò la sua cultura da

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autodidatta, leggendo sia autori classici che contemporanei e conobbe Domenico Giuliotti, intellettuale con cui condivise “concetti di rivoluzione e poesia”. Nel 1901 aderisce al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani. I primi anni del Novecento segnano anche l′inizio delle prime avventure amorose; prima per una contadina,Isola,che diventerà Ghìsola in Con gli occhi chiusi conosciuta nel podere di Castagneto (uno dei due che possedeva il padre,l′altro era il podere di Pecorile). Nel marzo 1903, la storia con Ghìsola si interrompe quando viene a conoscenza che essa è incinta di un altro. L′anno precedente aveva iniziato una corrispondenza epistolare con Emma Palagi, che diverrà sua moglie dopo la morte del padre,che osteggiò sempre questa relazione.

Dopo una lunga malattia agli occhi che gli impedì di leggere per quasi due anni,nel 1904 consolida la sua relazione con Emma e

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intensifica le sue letture organizzandole secondo filoni di ricerca: Dante e gli antichi scrittori della nostra letteratura, i classici latini e i libri d′arte.

Tra il 1906 ed il 1907 Emma è a Roma infermiera al Policlinico e Federigo la raggiunge nel gennaio del 1907, ma questo primo contatto con la Capitale si rivela fallimentare e farà ritorno a Siena nel giugno dello stesso anno. I contrasti col padre riprendono violentissimi,facendo ricorso entrambi perfino all′autorità giudiziaria.

Nel marzo 1908 con regolare concorso nelle Ferrovie dello Stato, viene assunto alla Stazione di Pontedera, esperienza che sarà poi rivissuta nei Ricordi di un Impiegato, ma il 15 maggio dello stesso anno il padre Ghigo muore di cancrena e Federigo lascia l′impiego; il 30 maggio sposa Emma e si trasferisce nel podere di Castagneto.

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Inizia così quello che si è soliti definire come il sesennio di

Castagneto (1908-1914) , fecondo di attività letteraria. Il 4 agosto

1909 nasce il figlio Glauco che diverrà in seguito il curatore dell′opera del padre. La prima prosa narrativa di Tozzi vede la luce nel 1910; si tratta del lungo racconto In campagna nella rivista luganese “Pagine libere”. Del 1911 è la raccolta poetica La

zampogna verde e del 1913 La città della Vergine , entrambi di

richiamo dannunziano. Riprende l′amicizia con Giuliotti, che era passato alla militanza cattolica e con lui decide di fondare la rivista “La Torre” nel 1913,che aveva come sottotitolo “organo

della reazione spirituale italiana” . La rivista,quindicinale, ha però

vita breve poiché non piaceva sia ai laici della “Voce” e de “Lacerba”, che ai cattolici. Nello stesso anno stringe amicizia con Giuseppe Antonio Borgese che sarà il primo ad impegnarsi

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totalmente nel riconoscimento e nella promozione dell′opera tozziana.

Nella primavera del 1914 decise di trasferirsi di nuovo a Roma con la famiglia dopo aver venduto il podere di Pecorile ed affittato quello di Castagneto, per avere un contatto più diretto col mondo letterario. Frequenta scrittori come Grazia Deledda, Marino Moretti, Goffredo Bellonci. Nel 1917 Pirandello lo assume nella redazione del “Messaggero della Domenica”, supplemento letterario del “Messaggero” di Roma.Lo stesso Pirandello patrocina la pubblicazione di Con gli occhi chiusi presso Treves e ne fa la prima importante recensione, evidenziando il distacco del senese dalla lezione verista e focalizzando l′attenzione sulla centralità del soggetto nella narrazione.

Nell′autunno del 1918 rientra a Siena in attesa della pubblicazione di Con gli occhi chiusi che era stata rimandata dal

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direttore di Treves a causa di un articolo di Tozzi contro D′Annunzio apparso sul “Tempo” il 30 aprile 1918 a proposito della Beffa di Buccari in cui Tozzi affermava :(…) Ormai,leggendo

questa Beffa di Buccari stampata dalla Casa Treves (…)è certo che Gabriele D′ Annunzio è soltanto un modesto,ma appassionato imitatore di se stesso. Lo dico senza dimenticarmi che egli è il nostro più grande scrittore, rimpiangendo i bei tempi che la sua arte mi pareva un meriggio sgargiante; dove la mia giovinezza ha trovato liberamente la strada. E altri giovini lo stesso.

Tozzi , a Siena, viene a sapere della morte dell′ultimo dei fratelli Torrini, protagonisti della vicenda da cui prenderà spunto per scrivere di getto, dal 25 ottobre al 9 novembre, la storia della rovina dei fratelli Gambi in Tre croci.

Il 17 novembre dello stesso anno appare sul “Messaggero della Domenica” l′articolo Giovanni Verga e noi orientato verso un

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concetto dell′arte narrativa e dell′arte di Verga che escluda ogni implicazione ideologica. In questo articolo, emendando parzialmente la stroncatura della Beffa di Buccari , Tozzi ritiene che non sia possibile parlare di Verga senza continuare a parlare di D′ Annunzio :

“Senza Gabriele D′ Annunzio, il Verga sarebbe troppo poco; per l′ azienda intellettuale della nazione. Noi abbiamo avuto bisogno dell′uno e dell′altro; nell′ alternative avvicendate della nostra mobilità lirica e della giustificazione spontanea. L′uno si potrebbe chiamare movimento inappagato e l′ altro istinto di chiarezza ottenuto. Quello che l′ uno chiedeva, anche con esasperazione ed entusiasmo, l′ altro otteneva senza né meno cercarlo”.

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I primi di aprile del 1919 esce Con gli occhi chiusi con la recensione di Pirandello sul “Messaggero della Domenica”. In questi anni si intensifica la sua attività giornalistica collaborando a diverse testate tra cui il ”Tempo”, “La Rassegna italiana”,”Il Resto del Carlino”,”Il Mondo”,”La Nuova Antologia”.

Il 7 Dicembre 1919 firma con Treves il contratto per Tre croci in cui inserisce la dedica a Pirandello. Tornato a Roma, il 21 marzo del 1920 muore improvvisamente colpito da polmonite. La salma sarà deposta a Siena al cimitero del Laterino, lo stesso di cui si parla in Tre croci .

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CAPITOLO 1

LA CRITICA DAGLI ANNI VENTI ALLA SVOLTA DEGLI ANNI SESSANTA

Federigo Tozzi rappresenta per la critica un autore controverso e quando è ancora in vita la sua opera passa quasi inosservata, tranne qualche articolo sparso in rivista.

Il dibattito critico vero e proprio si apre solo dopo la sua morte. Tuttavia si può individuare la data di nascita di una prima critica tozziana alla fine del 1917, nei mesi successivi alla pubblicazione di Bestie , raccolta di sessantotto brevi prose composte tra il 1913 ed il 1915 , che avvenne nell′ ottobre di quell′ anno . Grazie all′appoggio dell′ editore Treves e al patrocinio letterario de G. A. Borgese , la società letteraria del tempo conobbe Tozzi. Il volume,

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pur non ottenendo molte recensioni, fu accolto positivamente e negli articoli venne posto l′ accento sulla prima questione importante che la critica tozziana si troverà ad affrontare: quella del rapporto con la letteratura d′ avanguardia degli anni Dieci e con gli scrittori della “Voce “ e di “ Lacerba”. Tra queste prime recensioni, spicca quella di Pietro Pancrazi che vi colse l′ eredità del gusto frammentista e impressionista. Sulla stessa linea, si delineò pochi anni dopo anche il giudizio di Giuseppe De Robertis (1920 ) , che vide in Bestie un vero e proprio capolavoro :

(…) Per disegno e capacità lirica di vedere oltre certe apparenze ,

quello è rimasto un esempio insuperato.1

Si tratta però di un giudizio essenzialmente limitativo ed Emilio Cecchi pur condividendo alcuni presupposti estetici di De Robertis, intuì che la vera novità di Tozzi non stava nell′ adesione agli schemi vociani , ma nel superamento dell′ impressionismo

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frammentista ; secondo il critico, il vero capolavoro di Tozzi fu

Con gli occhi chiusi poiché qui il tema autobiografico trovò una

modalità di sviluppo coerente con le forme della lirica. Cecchi mise in evidenza che a delineare la nuova arte di Tozzi, fossero le descrizioni paesaggistiche :

“ La sua tristezza, più che in notazioni acute ed atroci, ormai gli

si diffondeva fluidamente nei colori e nei toni d′ una natura tanto più drammatica, quanto più il dolore sembrava nascosto e bevuto dalle cose”.2

La prima importante recensione porta la firma di Luigi Pirandello che in “Il Messaggero della Domenica”,datato 13 aprile 1919, si concentra sul distacco del senese dalla lezione verista e sulla centralità del soggetto nella narrazione:

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“… si direbbe naturalismo,ma non è neanche questo; perché qui tutto ,invece ,è atto e movimento lirico.Quel che pare naturalismo è invece scrupolosa lealtà da parte dello scrittore, il suo bisogno ansioso e urgente d′una controllata aderenza dell′ espressione al sentimento suscitato in lui dalle cose vedute o immaginate in questo e in quel luogo, in questa o in quell′ora, nella tale stagione, e così e così: tutto per essere poi mosso con intera padronanza, come l′animo dei personaggi, e anzi, nell′animo stesso dei personaggi, allo stesso modo, con la più naturale variabilità di luci e di colori, cosicché nulla posi descritto, ma viva e respiri e varii con tutte le sue mutevoli precisioni anche il paesaggio”.3

Il Verga che Pirandello accosta a Tozzi, è un Verga letto in chiave moderna e tanto i Malavoglia quanto Con gli occhi chiusi , gli appaiono come romanzi scritti “ a caso “, in cui la vicenda si divide in una miriade di particolari secondari che creano una

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“consistenza di realtà “ in modo che il lettore si trovi “ come

davanti alla vita stessa” . La narrazione quindi appare casuale e

frammentata come fosse lo specchio della vita moderna.. Tuttavia il mondo di Tozzi non è affatto di tipo naturalista , afferma sempre Pirandello, perché non risponde a regole oggettive né vi si delinea una visione organica del mondo , ma nasce da una visione soggettiva dell′ autore. I personaggi del romanzo sono:

“(…) soggetti , non a un preconcetto disegno del loro autore, ma quasi ad ogni possibile evenienza della loro sorte”.4

Nel 1923 esce il celebre saggio di G. A. Borgese su Tozzi in Tempo

di edificare, in cui il critico siciliano mette in evidenza un secondo

aspetto che la critica tozziana si trova ad affrontare : quello del rapporto con la tradizione del realismo e l′insegnamento di Verga, dopo la pubblicazione del Podere e di Tre croci .

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Borgese ritiene che Tre croci sia un romanzo ben costruito ed “edificato” rispetto al frammentismo e l′ autobiografismo vociano, ritenendolo inoltre il più impersonale tra quelli tozziani e quello in cui lo scrittore si sgancia in modo più deciso dalle proprie vicende personali al contrario di Con gli occhi chiusi , il

Podere e Ricordi di un impiegato che il critico ricondusse

all′intimo diarismo allora in voga; fece inoltre una distinzione tra le opere del periodo giovanile in cui Tozzi predilisse l′autobiografismo e Tre croci, opera che a suo parere segnò il passaggio verso una nuova direzione narrativa, poiché con questo ultimo romanzo Tozzi inaugurò la stagione “impersonale“. In Tempo di edificare , il critico siciliano così scrisse:

“ ci ha dato un libro moralmente alto e artisticamente puro, concepito in un′ atmosfera linda e lucente, condotto con

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organicità consapevole dalla prima all′ ultima parola. E′ un mondo di decadenza e di colpa, sorvegliato da un′ intelligenza caritatevole e serena. La pietà non sgorga con abbondanza lirica, né si espande con intrusivi moralismi; ma vibra continua con un′ angoscia rattenuta. Traspare l′emozione virile di chi crede che mai o quasi mai gli uomini facciano il male per amore del male e che l′ espiazione purifichi dove il male imperversò. Si riconosce facilmente, pure attraverso il velo di pudore che vieta ogni espansione a chi diligentemente racconta, uno scrittore cattolicamente educato che porta l′ austera tristezza cattolica nel sangue anche se delle pratiche del culto e della dottrina ortodossa non cura o non discorre. Anche in questo è simile al Verga da cui si distacca ( questa volta con suo vantaggio) in quanto, tutto devoto alla volontà suprema, non s′ illude di decorare la sventura individuale con la lustra del progresso sociale”. 5

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Borgese accostando Tozzi a Verga, ritenne che fosse l′erede dello scrittore siciliano solo per ciò che riguardava “ l′ essenzialità dello stile “; e più che sottolinearne la continuità, ne evidenziò le profonde differenze, affermando che : “ Tre croci non sono i

Malavoglia , non sono ancora il massimo che un narratore può dare “ 6 e proseguì affermando che:

“ A Verga s′ accostò da ultimo, e non rese i Malavoglia all′ amico

che da un paio d′ anni glieli aveva prestati se non un mese prima della morte. Ma il turbamento dell′ anima e il candore dell′ espressione li trovò prima di tutto in se stesso e negli antichi toscani ch′ eran molto simili ai russi moderni per quel loro pallore contemplativo e per la mistione di rozzezza pugnace e di delicato slancio visionario con cui uscivano dall′ oscurità alla luce dei tempi nuovi. A Verga rimase inferiore nell′ arte di costrurre; ma fu tanto diverso da lui, e tanto più ricco per la linfa lirica di cui ogni

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sua pagina, pur così dura, stillava, come una corteccia stilla di resina odorosa “ 7.

Sul rapporto che Tozzi ebbe con la tradizione del realismo e l′ insegnamento di Verga, intervenne in quegli anni anche Luigi Russo che contrappose il suo giudizio critico a quella di Borgese in seguito alla pubblicazione del Podere e di Tre croci, dichiarando che l′ accostamento con Verga risultava improponibile perché in Tozzi il contesto narrativo peccava di staticità drammatica e i personaggi non erano dei vinti ma degli inetti; inoltre non trovò niente di verghiano sia nel modo di articolare la trama romanzesca, sia nella costruzione del racconto.

Tuttavia, malgrado il giudizio negativo, Russo colse un aspetto importante dal punto di vista strutturale nella narrativa di Tozzi : il Podere e Tre croci mostravano una sconfitta assente di tragicità

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e un fallimento dato a priori e non necessario. Gli “inetti “ di Tozzi risultavano assai distanti dai “vinti “ di Verga.

Negli anni Trenta si aprì una nuova stagione critica con la pubblicazione nel 1930 dell′ Omaggio a Federigo Tozzi pubblicato dalla rivista “ Solaria “, in occasione del decennale della morte.

Il dibattito di quegli anni si incentrò sul rapporto tra “ tradizione “ e “ modernità “ contrapponendo da una parte il tradizionalismo regionale, che riconosceva in Tozzi e Verga i propri capostipiti, dall′ altra l′ apertura alle conquiste della moderna letteratura europea . “ Solaria “ sostenne questa seconda posizione rivalutando l′ elemento introspettivo ed autobiografico alla luce di Kafka e di Proust.

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I giovani toscani Berto Ricci, Romano Bilenchi, Vasco Pratolini , sostennero invece la prima posizione su riviste quali il “Selvaggio”, “Strapaese” e l′ “Universale “, recuperando l′ aspetto realistico e antiletterario rispetto alle tendenze dominanti della letteratura italiana coeva.

Interessante in questa” linea toscana ” la posizione di Bilenchi che raccogliendo alcuni aspetti dell′ opera di Tozzi , soffermò la sua riflessione sulle conseguenze della crisi del mondo contadino in seguito allo sviluppo industriale, che portò i rapporti umani ad un progressivo deterioramento e ad una crisi di identità nell′ intimo delle coscienze; per cui sentì forte la necessità di trovare un linguaggio che sapesse scavare nel profondo e fosse in grado di descrivere l′interiorità in modo nuovo. Bilenchi , dunque, ritenne necessario attingere alle esperienze della cultura post-simbolista europea, che in Italia solo l′ermetismo aveva recepito e diffuso.

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Con una sintesi di esigenze realistiche di denuncia sociale e analisi interiore, l′ autore toscano nella sua narrativa recuperò gli scenari cupi e soffocanti del Podere, sottolineando la sensazione d′impotenza con cui Remigio ,il protagonista, osservava il succedersi casuale degli eventi e la violenza senza senso degli uomini. Inoltre si servì del “ linguaggio dell′ anima “ di Con gli

occhi chiusi soprattutto nelle descrizioni paesistiche interiorizzate e nel raccontare l′ adolescenza in tutte le sue più minime sfumature.

Tra gli anni Quaranta e Cinquanta non si ebbero sostanziali interventi critici, ma solo sporadici articoli su quotidiani e riviste.

Nel 1943 la casa editoriale Vallecchi aveva pubblicato in tre volumi la serie delle Opere complete , ma si trattava di una

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semplice riproduzione di testi che non offrivano alcun intervento critico. Molti problemi testuali e filologici rimasero in sospeso.

Gli anni Sessanta si aprono con la riscoperta editoriale e la cosiddetta “ svolta copernicana “ ( Baldacci ) effettuata da Giacomo Debenedetti.

Nel 1960 con l′ uscita presso Vallecchi dei Nuovi racconti a cura di Glauco Tozzi, si rinnova l′ attenzione per i problemi testuali; all′interno del volume viene riproposto il testo integrale dei

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insieme agli altri quattro romanzi nel primo volume delle Opere di

Federigo Tozzi .

Nel 1963 uscì il secondo volume in cui lo stesso Glauco Tozzi raccoglierà l′ intero corpus novellistico. In questo stesso anno la critica su Federigo Tozzi subì una svolta e tutti gli studi successivi sull′ autore, partirono dalla posizione critica di G. Debenedetti. Come affermò Luigi Baldacci :

“ Debenedetti ha segnato, in quella critica, un prima e un

dopo; come abbiamo detto altra volta, vi ha operato la sua rivoluzione copernicana. “8

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Nel 1963 venne pubblicato il saggio Con gli occhi chiusi di Giacomo Debenedetti su “ Aut-Aut “, estratto dai Quaderni, o corsi universitari, del ′ 60-61 e del ′ 61-62, che confluirono poi nel

Romanzo del Novecento ( Milano, 1971 ).

Debenedetti , nel suo saggio, fu il primo a riconoscere a Tozzi un ruolo di primo piano nello sviluppo del romanzo contemporaneo, collocandolo nell′ area delle avanguardie novecentesche, in particolare in quella espressionistica, affiancando l′ opera dello scrittore toscano a quelle di Svevo e Pirandello per modernità, e registrandone affinità inconsapevoli con autori come Proust, Joyce e Kafka. Il critico sottrasse, così, definitivamente Federigo Tozzi al contesto provinciale in cui sembrava dovesse rimanere relegato.

Egli vide in Tozzi il primo vero caso di superamento del frammentismo vociano e di ritorno al romanzo, prendendo

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spunto da Borgese, dal quale però dissentì ( forzando tuttavia le tesi del critico siciliano) nell′ idea che la riproposizione della forma “ romanzo “, per Tozzi coincidesse con un ritorno al naturalismo.

Debenedetti partì da un dato di fatto: il privilegio che Tozzi aveva concesso a “ qualsiasi misterioso atto nostro “, citando un brano molto significativo tratto dall′ articolo Come leggo io nel quale Tozzi chiaramente esprime la sua idea :

“ Ai più interessa un omicidio o un suicidio; ma è egualmente

interessante, se non di più, anche l′ intuizione e quindi il racconto di un qualsiasi misterioso atto nostro; come potrebbe essere quello, per esempio, di un uomo che ad un certo punto della sua strada si sofferma per raccogliere un sasso che vede e poi prosegue la sua passeggiata. “ 9

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Così in un celebre passo estratto dal Romanzo del Novecento, il critico continuò sostenendo che la peculiarità della narrativa di Tozzi, fosse nella scelta di narrare in modo antinaturalistico, e analizzando i Ricordi di un impiegato, scrisse:

“ Ma lo schema è lirico solo in apparenza. In realtà, è narrativo;

è, anzi, un germe, lo schema dinamico, il tipo di movimento che genera tutta la narrativa tozziana. Vi è narrata, in certo modo, la vicenda che fa di Tozzi un narratore, uno a cui non può bastare di dirsi liricamente, di utilizzare il mondo esterno, le vite altrui come immagini del proprio stato d′ animo. Deve rappresentare invece gli uomini, le cose, restituirne realisticamente il modo di essere, di mostrarsi, di comportarsi, perché non ne capisce la ragione e viceversa si sente ossessionato dalla loro presenza, dal rapporto

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inspiegabile che essi sembrano creare con lui, rapporto che non si dichiara. E′ come se la rappresentazione potesse sostituire l′ impossibile spiegazione. Il naturalismo rappresenta in quanto spiega, e viceversa; Tozzi rappresenta in quanto non sa spiegare“.10

Secondo Debenedetti mentre il verismo raccontò l′ aspetto “diurno “ dell′ esistenza dando risalto alle cause sociali, materiali e biologiche alla base delle azioni umane, Tozzi , come del resto Kafka, pose la sua attenzione sul versante oscuro, cioè sulle motivazioni inconsapevoli ed inconfessabili, i cosiddetti “misteriosi atti nostri”; quindi “ non si tratterà più dunque di una

narrazione di cause e di effetti, ma di comportamenti, di modi insindacabili di apparire e di esistere “11.

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Nelle pagine dedicate a Con gli occhi chiusi nel Romanzo del

Novecento , Debenedetti mette in evidenza due chiavi

interpretative fondamentali:

la prima è quella relativa all′ “ animalizzazione “ che riprende dall′espressionismo letterario e figurativo ( di Kafka e in misura minore di Franz Marc);

la seconda si fonda sulla nozione di complesso edipico elaborata da Freud.

Si tratta in entrambi i casi di una novità nell′ ambito della critica letteraria italiana e una rottura rispetto alla tradizione storicistica e idealistica.

Per “ animalizzazione “ Debenedetti intende non la deformazione fisica del personaggio come avveniva in Verga, ma la rappresentazione di un mondo umano privo di razionalità che si

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mostra in atti senza spiegazioni e in gesti simili a quelli degli animali. La metafora del titolo rimanda all′ incapacità del protagonista ( ma anche del narratore ) di agire razionalmente ed in modo adulto, di aprire gli occhi di fronte alla realtà che appare come qualcosa di altro da sé, da cui bisogna ripararsi e con cui non si riesce a comunicare se non in modo violento e irrazionale.

Tuttavia il critico ritenne che l′ animalizzazione potesse essere anche una sorta di atto terapeutico con cui lo scrittore cercò di superare le proprie paure, e riferendosi a Kafka, Debenedetti scrisse:

“ Per Kafka l′ animale è la metamorfosi conclusiva, avviata

verso un finale tragico e liberatore. Per Tozzi era l′ immagine di partenza, che egli doveva ritrasformare in uomo, pur serbando a costui le stigmate allarmanti della sua antecedente metamorfosi bestiale “12 .

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Kafka e Tozzi hanno in comune l′ esperienza della tirannia cieca esercitata su loro dal padre, in un mondo in cui Dio ignora gli uomini o esige da loro un sacrificio.

Il pittore espressionista tedesco Franz Marc, come Kafka, vede la realtà in maniera estraniata ed esemplificativo è il titolo di uno dei suoi quadri più tipici : Come il mio cane vede il mondo ; la realtà si presenta incontrollabile ed inquietante perché è in se stessa estranea, ma soprattutto perché il soggetto è estraneo a se stesso, incerto sulla propria stessa identità; in lui non esiste la capacità di controllare razionalmente gli strati inconsci della psiche. Totale assenza della ragione e di qualsiasi progetto di controllo della realtà che Debenedetti ritrova come caratteristica dell′universo tozziano.

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Secondo Debenedetti sia Marc che Tozzi sono ossessionati dall′ immagine della bestia, dalla mancanza di distinzione tra l′ umano e il bestiale e non è possibile in nessun modo separare i tratti che caratterizzano l′ animale da quelli che caratterizzano l′ uomo.

Tuttavia secondo il critico le analogie che accomunano Tozzi con Kafka e Marc, sono di natura involontaria, perché ritenendolo un autodidatta, solo inconsapevolmente poté raggiungere determinati risultati, e affermò:

“ ( In lui) non c′è il gusto, forse nemmeno il bisogno delle idee. O

le sue idee, sempre comunque assai embrionali, sono di tutt′ altra natura da quelle che si ottengono attraverso i libri o la elaborazione mentale e intellettuale “.13

Insomma un Tozzi aideologico e “ uno tra i più incolti tra i suoi

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La seconda chiave interpretativa di Con gli occhi chiusi , riguarda la lettura psicanalitica fondata sul complesso edipico, e venne svolta da Debenedetti quando passò all′ interpretazione del romanzo.

Pietro, il protagonista è vittima, secondo Debenedetti, di una mutilazione, di un trauma psichico riconducibile in maniera simbolica alla scena in cui il padre fa castrare, senza motivo apparente, tutti gli animali del podere; di qui il senso d′ inferiorità che il protagonista nutre nei confronti del padre che cerca di imporgli il proprio modello autoritario.

Così , afferma il critico, il giovane punisce il genitore attraverso la propria cecità e inettitudine alla vita, dimostrandosi l′ esatto contrario di quello che il padre avrebbe voluto. Scrive Debenedetti:

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“ Il giovane protagonista assiste allibito alla castrazione

generale, quasi indiscriminata, di tutti gli animali del podere, presente il padre che ha impartito l′ ordine. (…) l′ idea coatta di dover subire, per volontà del padre, una mutilazione del genere è uno dei temi basilari del complesso di Edipo. (…) Edipo , (…) quando vuole espiare l′ uccisione del padre, quell′ inconscia vendetta e riconquista di un proprio destino personale, si accieca.Perpetra su di se, con le proprie mani, la mutilazione che il padre, avido di conservarsi la vita, la sposa e il regno, aveva tentato di infliggergli (…) costringendolo a vivere propriamente con gli occhi chiusi(…) destinato a crescere sconosciuto tra i pastori, ignaro di se stesso e dei propri diritti dinastici “15.

Analizzando le lettere di Novale , il critico deduce che l′ inibizione subita dal protagonista del romanzo è la stessa che il giovane

(40)

40

Federigo ha dovuto subire dal padre Ghigo del Sasso e che pertanto “ gli occhi chiusi “ di Pietro sono anche quelli di Tozzi.

Successivamente l′interpretazione in chiave edipica, in maniera forzata, verrà estesa anche ad altri romanzi tozziani, come in Tre

croci in cui la vicenda autodistruttiva dei fratelli Gambi fu

analizzata come : “aggressione contro l′ immagine paterna“16, in cui la vendetta dei figli contro il padre, si esplica nella dissipazione delle sue sostanze.

Come precedentemente ho scritto, Debenedetti affiancò l′ opera di Federigo Tozzi sia a Pirandello che a Svevo, affermando che come loro Tozzi era un moderno perché aveva rinunciato a capire

(41)

41

limitato al massimo il proprio ruolo imponendosi di non evadere dalla pura rappresentazione.

Sia in Svevo che in Tozzi si trova il grande tema della rivalità edipica col padre; quello dell′ opposizione tra donna-madre e donna-amante, e il tema dell′ inconscio a cui fanno da corollario quello degli atti involontari e quello del sogno.

Tozzi, poi, come Pirandello, non offrì alcuna soluzione al

problema morale, e nelle pagine critiche di Tozzi nel saggio Luigi Pirandello, pubblicato nella “ Rassegna Italiana “ del 15 gennaio

1919, lo scrittore sembrò parlare di se stesso nell′ esporre la posizione di Pirandello riguardo appunto al problema morale :

“ nessuna novella di Pirandello, come nessun romanzo,

rappresenta la soluzione assoluta di un problema morale; il problema resta ancora irto delle sue difficoltà, anzi resta confermato e ribadito. E la grandezza di questo nostro scrittore

(42)

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consiste in questa sorgente inesauribile di cose che sembrano concepite a posta perché debbansi accettare senza che ci sia possibile attenuarle “17.

I testi delle lezioni universitarie di Debenedetti saranno editi nel 1971, anche se una sintesi degli argomenti che andava elaborando era già disponibile nel saggio Con gli occhi chiusi , pubblicato su “ Aut-Aut “ nel 1963. A partire quindi da quella data, tutta la critica tozziana successiva accolse la lezione di Debenedetti perché essa negli anni Settanta aprì la strada al riconoscimento dell′ opera di Tozzi da parte della critica accademica, e perché apportò nuovi elementi nel dibattito culturale italiano.

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43

Note Capitolo 1

1

Giuseppe De Robertis, Federigo Tozzi, “ Il Giornale della Sera”, 26-27 marzo 1920.

2

Emilio Cecchi, Uno scomparso: Federigo Tozzi, “ La Tribuna”, 23 marzo 1920.

3

Luigi Pirandello, Con gli occhi chiusi, “ Il Messaggero della Domenica”, 13 aprile 1919.

4

Luigi Pirandello, Con gli occhi chiusi… 5

Giuseppe Antonio Borgese, Tempo di edificare, Milano, Treves 1923 pp.36-7

6

Giuseppe Antonio Borgese, Tempo di edificare…, p.34 7

Giuseppe Antonio Borgese, Tempo di edificare…, pp.38-9 8

Luigi Baldacci, La lezione di Debenedetti, in Tozzi Moderno,

(44)

44 9

Federigo Tozzi, Come leggo io, in Realtà di ieri e di oggi, Milano, Ed. Alpes 1928 p. 5.

10

Giacomo Debenedetti, Con gli occhi chiusi, “Aut-Aut”, 78, novembre 1963, poi in Il Romanzo del Novecento, Milano, Garzanti 1971.

11

Giacomo Debenedetti, Il personaggio uomo, Milano, Il Saggiatore p. 94.

12

Giacomo Debenedetti, Con gli occhi chiusi…, p.93. 13

Giacomo Debenedetti, Con gli occhi chiusi…, p.230. 14

Giacomo Debenedetti, Con gli occhi chiusi…, pp. 174-5. 15

Giacomo Debenedetti, Con gli occhi chiusi … , pp.272-3. 16

Giacomo Debenedetti, Con gli occhi chiusi…, p.22. 17

Federigo Tozzi, Pirandello , “ Rassegna Italiana”, 15 gennaio 1919, pp.272-3

(45)

45

CAPITOLO 2

Gli anni Settanta e gli anni Ottanta : La critica accademica

La critica degli anni Settanta e Ottanta si è mossa sostanzialmente nel solco tracciato da Debenedetti.

Le idee di Debenedetti furono riprese da Luigi Baldacci nella sua relazione, al convegno organizzato a Siena nel 1970, in occasione del cinquantenario della morte di Federigo Tozzi, un anno prima della pubblicazione del Romanzo del Novecento ( 1971).

Nel saggio intitolato Le illuminazioni che fu letto al suddetto convegno,

(46)

46

Baldacci affermò che : “ A raccontare i romanzi di Federigo Tozzi

si corre il rischio di farli passare come un prodotto attardato della grande stagione naturalistica “1, chiarendo subito la sua posizione.

Il critico sottolineò quanto fosse centrale il saggio Con gli occhi

chiusi del 1963 di Debenedetti per interpretare l′ opera tozziana,

sia dal punto di vista della lettura psicoanalitica in chiave freudiana, sia come esempio di scrittura aideologica e antinaturalistica.

In quel saggio Debenedetti confutò il disegno critico di Borgese, secondo il quale Tozzi con Tre croci era riuscito a spersonalizzarsi (pur essendo nato all′ autobiografia ) e a mostrare le sue qualità di narratore.

(47)

47

Ma per Debenedetti “ l′ impersonalità era il canone per eccellenza

della narrativa naturalista “ e Tozzi doveva essere letto dal punto

di vista di Con gli occhi chiusi piuttosto che da quello di Tre croci.

Baldacci partendo da questa premessa affermò :

“ In Con gli occhi chiusi non esistono momenti privilegiati ai

fini delle conseguenze narrative. Ogni momento della realtà ha lo stesso diritto di cittadinanza. E′ una visione dell′ economia narrativa che è tutta l′ opposto dell′economia naturalistica “2

E Con gli occhi chiusi è il testo che più contraddice il naturalismo di Tozzi.

L′ analisi di Baldacci mise in evidenza i caratteri antinaturalistici e moderni della scrittura tozziana a partire da questo romanzo, in cui lo scrittore senese attuò una destrutturazione del racconto; il critico sottolineò come la trama risultasse “ sfilacciata “ dalle

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48

distrazioni narrative dell′ autore ( che rinunciò anche al canone dell′ impersonalità ) e la scrittura si caratterizzasse per “illuminazioni” improvvise che rompevano la temporalità naturalistica della narrazione e che coglievano le libere associazioni del profondo; e, inoltre, evidenziò come l′ uso della

paratassi fosse funzionale a questo tipo di scrittura.

Baldacci mostrò che nel romanzo tozziano, il canone dell′ impersonalità venne sostituito da “ un′ introspezione allucinata “ in cui tanto l′ interiorità quanto la realtà esterna, venivano concepite in modo confuso. Da qui l′ uso di verbi come sembrare o parere che delineavano l′ assenza dell′ elemento umano : “ I personaggi di Tozzi non sono; sentono di essere; e a volte gli

sembra (…) “3.

Inoltre Tozzi non ci descrisse storie naturalistiche di degradazione

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49

dell′ impotenza dell′ uomo a riemergere dal peccato originale. La religiosità a cui Tozzi fa riferimento è però priva di qualunque contenuto pratico e positivo : “ La sua religiosità non conosce la

mediazione salutifera del Cristo e nella sua opera non c′è niente di pratico, di persuasivo, di oratorio. (…) Tozzi evoca Dio proiettando su uno schermo infinito la figura del padre. (…) E′ un Dio terribile dal quale l′ uomo, il figlio, fugge regredendo alla bestia. Dio ha potere sugli uomini ma non ha potere sulle bestie, che sono assicurate dalla dannazione”4

La religiosità a cui Tozzi fa riferimento , non ha assolutamente una prospettiva salvifica e mostra il conflitto psicologico su un piano ideologico-culturale. Il ritorno alla bestia nasconderebbe, in Tozzi, l′ astuzia di sottrarsi alla giustizia divina in una visione del mondo apocalittica .

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Il personaggio tozziano, incapace di diventare adulto e liberasi dall′ influenza del padre, è condannato alla regressione bestiale.

Tuttavia Baldacci afferma che la lettura psicologica in chiave freudiana non puo′ abbracciare tutta l′ opera di Tozzi , e dissentendo da Debenedetti, ritiene che egli abbia attuato una “forzatura “ interpretando psicologisticamente anche il Podere e soprattutto Tre croci , in cui sarebbe attiva la stessa vendetta dei figli contro il padre, esplicitata nella dissipazione delle sue sostanze.

Nella relazione che Baldacci lesse al convegno di Siena del novembre 1983, che poi venne edita l′ anno successivo sull′ “Antologia Viesseux”, col titolo “Itinerario del romanzo tozziano”, centrale è il problema del giudizio e della periodizzazione dei romanzi. Qui Baldacci sostenne che fosse possibile distinguere

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due periodi dell′ attività di Tozzi romanziere a cui corrispondevano due successive fasi narrative , contrassegnate ciascuna da una peculiare maniera stilistica e da una specifica poetica.

La prima corrisponderebbe al cosiddetto sessennio senese (1908-14) in cui il critico delinea un Tozzi “aideologico ” e “ bambino “;

La seconda corrisponderebbe invece al sessennio romano (1914-20) in cui a scrivere sarebbe un Tozzi “ adulto” e “ ideologico “.

Secondo Baldacci i capolavori di Tozzi, quelli che determinano la sua modernità, apparterrebbero tutti alla prima fase : Adele, Con

gli occhi chiusi , Ricordi di un giovane impiegato;

mentre i romanzi del periodo romano , il Podere Gli egoisti e soprattutto Tre croci , segnerebbero un ritorno a posizioni

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tradizionali, contrassegnati da forti residui naturalistici e dalla prevalenza del momento ideologico.

Il quadro storico tracciato da Baldacci, non tocca però le Novelle, che pur appartenendo al periodo romano, mostrano assenza di impostazione ideologica (tratto d′ altra parte peculiare del genere novellistico), in esse come in Con gli occhi chiusi , il compito è di : “ far vedere che nel comportamento umano non hanno luogo

sentimenti, ma solo pulsioni provenienti dagli strati profondi .“5

Le novelle di Tozzi non si lasciano mai coinvolgere da schemi ideologici, e non documentano mai il “ versante cristiano “ del mondo del narratore.

Baldacci affermò che non era facile capire Tozzi perché era un autore che “non serviva”, “ non si lasciava usare “, ma moderno

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53

perché aveva rinunciato a capire come stanno le cose , al diritto di giudizio e di condanna, e in ultima istanza perché aveva limitato al massimo il proprio ruolo, non evadendo mai dalla mera rappresentazione.

La lezione di Debenedetti fu ripresa già agli inizi degli anni Settanta anche negli studi strutturali, da due studiosi in particolare : Sandro Maxia e Aldo Rossi. Entrambi hanno proceduto nell′ analisi delle macrostrutture e microstrutture narrative tozziane, tenendo sempre presente la scelta antinaturalistica dello scrittore.

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Nel 1971 Maxia pubblicò Uomini e bestie nella narrativa di

Federigo Tozzi , che è considerata una delle più importanti

monografie tozziane.

Nella prima parte di questo saggio, Maxia analizza l′ “ eversione

dall′ interno” delle strutture del romanzo naturalista, che si

realizza in Con gli occhi chiusi . Il critico afferma che in questo romanzo Tozzi compie una rivoluzione nel linguaggio narrativo usando la distassia , ovvero la divaricazione tra il tempo astratto della fabula e il tempo della rappresentazione scenica concreta.

Maxia ha evidenziato che : “ Il rapporto gerarchico tra primo

piano e sfondo viene disarticolato mediante l′ indebolimento della funzione dell′ aoristo ( il tempo del racconto per eccellenza ) ed un più ampio uso dell′ imperfetto durativo, oppure con la disposizione di ellissi e cesure proprio laddove il lettore si aspetterebbe un supplemento di informazione ; al tempo

(55)

55

soggettivo dell′ enunciazione viene dato un rilievo maggiore rispetto a quello oggettivo dell′ enunciato, per esempio attraverso la dilatazione delle descrizioni, che diventano spesso autonome rispetto alla storia (…) “6.

Questo procedimento formale otterrebbe il duplice risultato di un′ estrema condensazione della vicenda ed un′ espansione illimitata dei singoli attimi di cui è composta; il risultato sarebbe quello di una sensazione di immobilità angosciosa.

Nella seconda parte del volume, Maxia analizza il Podere e Tre

croci. In questi romanzi Tozzi si serve di moduli narrativi

apparentemente realistici; per esempio, in Tre croci non usa il dialogo in funzione mimetica, in maniera tipicamente naturalistica, ma in funzione espressionistica.

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Secondo il critico, il dialogo in Tre croci : “ è soprattutto urlo, rumore, sfogo di nervi malati, accompagnamento sonoro di una mimica esagitata e convulsa (…)”7.

L′ analisi critica di Maxia è interessante soprattutto per il suo risvolto antropologico; nei due romanzi citati, infatti, individua il tema arcaico del capro espiatorio , nascosto dietro i temi dell′ inettitudine, del fallimento, dell′ omicidio e del suicidio.

La concezione del mondo che si trova nell′ opera di Tozzi, è fortemente improntata su un anarchismo di fondo in cui la violenza è dominante e in cui si rifiuta il : “ criterio gerarchico di ordinamento del mondo”8.

(57)

57

Le indagini critiche di Aldo Rossi, avviate già nel 1969 e influenzate dal saggio di Debenedetti pubblicato in “ Aut- Aut “ nel 1963, si trovano nel volume Modelli e scrittura di un romanzo

tozziano. Il Podere. , pubblicato nel 1972.

L′ analisi del Podere occupa tutta la prima parte del saggio e per il rigore filologico e l′ attenzione al dato testuale e stilistico, è considerato uno dei prodotti più rappresentativi della critica strutturalista italiana.

Infatti con questo saggio, per la prima volta, i ricchissimi paragrafi sulla sintassi e sul lessico fanno piena luce sull′ espressionismo linguistico di Tozzi. Studiando il processo elaborativo, considerato in una visione sistemica, Rossi mette in evidenza come la fonte esterna viene introdotta nel contesto romanzesco, dando luogo ad una rete di “ connessioni funzionali “9.

(58)

58

Con lo stesso rigore filologico, inoltre, il critico analizza in particolare l′ influenza esercitata su Il Podere dal modello narrativo dei Malavoglia del Verga, attraverso riferimenti puntuali a procedimenti ben precisi, come per esempio la trama “bloccata “ e accelerata del finale del capolavoro verghiano che costituirebbe, appunto, il maggiore ipotesto del Podere .

Per la prima volta, Rossi rintraccia le giustificazioni culturali della poetica tozziana nell′ opera do W. James, in particolare nella teoria della “ logica dell′ associazione per contiguità “.

Il critico ha ben presente la “ lezione “ di Debenedetti, accogliendo le osservazioni sull′ inettitudine del protagonista, sull′ animalizzazione dei personaggi e sull′ espressionismo; tuttavia da una nuova prospettiva a tali spunti, fornendo loro un fondamento scientifico; per cui , ad esempio, l′ “inettitudine “ è rapportata agli studi di James e al tipo psicologico dell′

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“iper-59

inibito “, intaccando per la prima volta l′ immagine di un Tozzi culturalmente sprovveduto.

Per gli studi strutturali, bisogna sottolineare quelli svolti da G. Tellini sulla novellistica. Nel saggio La tela di fumo. Saggio su

Tozzi novelliere pubblicato nel 1972, Tellini colloca la novellistica

di Tozzi nella storia e nella sociologia del genere tra gli anni Dieci e Venti, e in seconda istanza ne analizza la tecnica di montaggio e il rapporto con la produzione romanzesca.

Nella parte conclusiva del saggio il critico mette in evidenza come Tozzi abbandoni progressivamente i modi dannunziani, cercando una scrittura più discorsiva, debitrice soprattutto dell′insegnamento di Pirandello:

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“ Se nelle composizioni giovanili, era stato soprattutto il nome

di D′Annunzio a fornire le suggestioni di una prosa letterariamente doviziosa e metaforica, negli anni del periodo romano, sarà soprattutto la vicinanza di Pirandello (…) ad offrire a Tozzi il modello tangibile di una narrativa decisamente antiletteraria e antieloquente, bene attenta a non uscire dai moduli della lingua di ogni giorno “10.

La “ lezione “ di Debenedetti fu ripresa, in quegli anni, anche negli studi critici di orientamento psicanalitico.

La lettura edipica in chiave freudiana del critico, costituì la base di partenza e di approfondimento con altri apporti culturali.

Notevole fu l′ indagine di Franco Petroni, che nel saggio Ideologia

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pubblicato nel 1984, ampliò e approfondì l′ uso di nuove categorie di origine freudiana; ma soprattutto mise a confronto ideologia e psicologia adottando una prospettiva che considera l′opera di Tozzi come fusione tra un cristianesimo “moderno “ (fondato sul “mistero” ), e una struttura psicologica che non ha barriere difensive contro le aggressioni esterne.

Secondo Petroni l′ estensione a tutta l′ opera tozziana dell′interpretazione in chiave edipica proposta da Debenedetti per Con gli occhi chiusi , appare un po’ forzata, così come la drastica negazione dell′ importanza dell′ elemento ideologico in Tozzi.

A tale riguardo, Petroni ritiene che la svalutazione del momento ideologico in Tozzi, abbia impedito a Debenedetti e a parte della critica successiva, di inserire l′ attività del narratore senese nella tradizione culturale cattolica e cristiana in generale,

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62

sottovalutando l′ interesse che Tozzi mostrò per gli scrittori mistici medievali e la sua collaborazione alla rivista ultracattolica “ La Torre “ ( di cui fu redattore insieme all′ amico domenico Giuliotti ).

Petroni pone attenzione sull′ articolo di Tozzi Quel che manca all′

intelligenza pubblicato nel 1913, nel quale l′ autore stesso

afferma che il sentimento religioso è “ innato” .

Il Cristianesimo a cui Tozzi fa riferimento, secondo Petroni, è un “cristianesimo primitivo “, antecedente alla sistemazione dogmatica e nel caos dell′ esistenza, allo scrittore senese interessa un punto di riferimento che trova nella religione. Ed infatti a chiusura del saggio, Tozzi scrive:

“ Quando si comprenderà che la religione è la nostra anima stessa, una parte profonda della nostra rivelazione, un mistero di

(63)

63

meno, tornerà in onore di servirsi di Tommaso D′ Aquino per interpretare più esattamente la nostra anima “11.

La religione è lo strumento che permette di interpretare le zone più profonde dell ′ inconscio.

L′unica ideologia che poteva coesistere con la sensibilità di Tozzi, afferma Petroni : “ era quella cristiana che poteva garantire carattere sacrale ad ogni momento dell′ esistenza, poteva difenderne il “ mistero “.

Si tratta di un′ ideologia del “mistero “, che è il luogo della realtà interiore di fronte al quale l′ attività indagatrice della ragione si arresta ed è anche il luogo in cui il desiderio di conoscenza può trovare strumenti più rispettosi dell′ intimità della nostra anima.

Ciò rivela un interesse per l′ indagine psicologica che avviene, secondo Petroni, attraverso le letture dei mistici trecenteschi

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come Tommaso D′Aquino e Santa Caterina e dall′ Imitazione di

Cristo, che fornivano Tozzi di una “ forma storica “ di misticismo,

che riconduce al sacrificio di Cristo, nella quale poteva riconoscere e modellare la propria “ patologica sensibilità “.

In accordo con questa ideologia cristiana del sacrificio, Tozzi , secondo l′ analisi di Petroni, ha adottato degli strumenti espressivi che gli permettessero di rappresentare una realtà irriducibile a qualsiasi interpretazione razionalistica.

L′ irrazionalità, il non senso della realtà, trova nella struttura paratattica e aggregazionale del linguaggio lo strumento per esprimersi; così nella scrittura tozziana i fatti risultano allineati , enunciati , non spiegati.

Il vuoto di senso, che viene reso anche attraverso l′ uso di strumenti del linguaggio onirico, trova affinità con Kafka (come aveva già rilevato Debenedetti ). Petroni evidenzia come le storie

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65

raccontate sia da Tozzi che da Kafka, siano programmaticamente prive di significato, e le immagini umane che ne escono non possono essere altro che sintomi di una realtà patologica;

Nel mondo di Tozzi il disordine ed il senso di precarietà, sono i

sintomi a causa dei quali gli uomini scivolano continuamente nel

vuoto della mancanza di senso.

Anche lo studio di Paolo Getrevi evidenziò il legame esistente tra poetica e ideologia cattolica in Tozzi.

Il critico nel 1983 pubblicò Nel prisma di Tozzi , nel quale affermò che la narrativa di Tozzi non si poteva comprendere appieno prescindendo dalla specificità della cultura cattolica della provincia italiana nei primi due decenni del Novecento, rivedendo l′ impostazione data da Debenedetti per cui Tozzi, pur formatosi

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66

in provincia, è stato in realtà uno scrittore di rilievo europeo in quanto aideologico.

Secondo Getrevi la religione, per Tozzi, era : “ lo strumento più idoneo all′approfondimento delle realtà psicologiche “12 .

Tozzi, pur avendo ben presente la frattura tra l′io e il mondo, elaborò una pratica narrativa intorno al problema di questa frattura, ma non ebbe la totale coscienza storica della crisi della società contemporanea, perché troppo legato al fondo della sua provincia. Il segno di questo limite, secondo Getrevi, è mostrato dalla rivoluzione che solo in parte Tozzi effettuò sulle strutture formali del discorso narrativo.

Mancano infatti le “grandi rotture del tempo narrativo” e il procedimento metaforico, se pur usato, ha sempre una sorta di “ elemento frenante “ che si caratterizza nell′ uso di avverbi di modo e di paragone, di locuzioni avverbiali e di verbi come “

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67

sembrare “ o “parere “ che introducono la similitudine (tipica del naturalismo).

Secondo Getrevi la forza, ma anche il limite di Tozzi, è “l′ossessione ideologica della verità “ cioè , “ l′ assenza in lui di quell′ atteggiamento, esplicito o anche solo implicito, di rifiuto dell′ ideologia, che caratterizzerebbe i maggiori scrittori dell′ avanguardia “13

Anche l ′ indagine di Elio Gioanola si inserisce nel campo degli studi psicanalitici sull′ opera di Federigo Tozzi negli anni Ottanta.

Nel 1980 il critico pubblicò Gli occhi chiusi di Federigo Tozzi , in cui confuta la lettura in chiave edipica di Debenedetti, osservando che il mondo di Tozzi rispecchi una patologia

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schizofrenica dell′ autore, facendo interagire vita e opera letteraria.

L′ uso reiterato più volte dei verbi “sembrare “ e “parere “ in Con

gli occhi chiusi , mostrerebbe “ l′ ambiguità del doppio vincolo

psicotico che trasforma continuamente i messaggi in minacce, le cose e le persone in fantasmi di persecuzione “ p.114 sgg, mettendo in luce la vera radice dell′ espressionismo onirico e allucinato di Tozzi, che non attinge nella sua scrittura ad alcuna mediazione della “ cultura psicologica “.

Note capitolo 2

1

Luigi Baldacci, Le illuminazioni , in Tozzi moderno, Torino, Einaudi 1993, p.3.

2

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69 3

Luigi Baldacci, Le illuminazioni…, p.12. 4

Luigi Baldacci, Le illuminazioni…, p.17. 5

Luigi Baldacci, Le illuminazioni…, p.62. 6

Sandro Maxia, Uomini e bestie nella narrativa di Federigo

Tozzi, Padova, Liviana 1972, pp .17-sgg.

7

Sandro Maxia, Uomini e bestie nella narrativa di Federigo

Tozzi …, p.137.

8

Sandro Maxia, Uomini e bestie nella narrativa di Federigo

Tozzi …, p.68.

9

Aldo Rossi, Modelli e scrittura di un romanzo tozziano.Il

Podere, Padova, Liviana 1972, p.28.

10

Gino Tellini, La tela di fumo. Saggio su tozzi novelliere, Pisa, Nistri-Lischi 1972, p.170.

11

Federigo Tozzi, Quel che manca all′intelligenza, in Pagine

(70)

70 12

Paolo Getrevi, Nel prisma di Tozzi, Napoli, Liguori 1983, p.59.

13

Paolo Getrevi, Nel prisma di Tozzi, …, p.98. 14

Marco Marchi, Dalla parte dello scrittore: Tozzi

scientifico., in Federigo Tozzi- Ipotesi e documenti,

Genova, Marietti, 1993. 15

Marco Marchi, Federigo Tozzi e il Novecento, in Tozzi fra

(71)

71

CAPITOLO 3

La critica dagli anni Novanta

Gli studi usciti nel corso degli anni Novanta hanno evidenziato aspetti ignoti o sottovalutati della figura di Tozzi, eliminando alcuni luoghi comuni accreditati dalla critica precedente, focalizzando l′ attenzione sul rapporto tra opera narrativa e ideologia.

Come si è stato illustrato, l′ indagine prende le mosse dalla dichiarazione di Debenedetti secondo cui : “ Il naturalismo rappresenta in quanto spiega, e viceversa ; Tozzi rappresenta in quanto non sa spiegare “; quindi l′ assenza di giustificazioni esplicite e di nessi causali nella rappresentazione delle azioni dei

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72

personaggi e delle vicende narrate, era il principale motivo di rottura tra Tozzi e la tradizione verista.

Come Debenedetti, anche Baldacci definisce Tozzi moderno perché rinunciò a capire “ come stanno le cose “, astenendosi dalle spiegazioni e dal “ diritto di giudizio “ e “di condanna”.

Successivamente, si è andato delineando un nuovo indirizzo critico, che senza rinnegare acquisizioni di Debenedetti e Baldacci, cerca di correlare l′ analisi del testo con quella ideologica, l′ indagine psicologica con quella antropologica, il Tozzi narratore ed il Tozzi critico e ideologo. Su questa linea , come è stato illustrato, negli Ottanta si sono sviluppati gli interventi di Getrevi e Petroni.

Un′ indagine più attenta sull′ attività di critico e saggista, come pure una migliore conoscenza delle sue letture, hanno

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73

evidenziato una personalità intellettuale tutt′ altro che sprovveduta, provinciale o attardata.

Su questa nuova linea critica si sono mosse le indagini di Marco Marchi.

Nel primo saggio tozziano, scritto in occasione della mostra al Gabinetto Vieusseux nel 1984, e intitolato Il padre di Tozzi , Marchi, riprendendo la tesi di Baldacci della religiosità di Tozzi come proiezione culturale del conflitto col padre e ampliandola con riferimenti alla psicologia di James, ripercorse le fasi iniziali della narrativa tozziana.

Successivamente proseguendo la sua indagine, Marchi pubblicò nel 1993 Dalla parte dello scrittore: Tozzi scientifico, in cui evidenziò che negli scritti dell′autore senese, era rintracciabile una linea di demarcazione tra un primo Tozzi “ scientifico “,

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74

formatosi sui testi degli psicologi prefreudiani e un Tozzi profondamente influenzato dall′ ideologia cattolica.

Influenzato dall′ ideologia cattolica, ma non da etichettare come scrittore “cattolico “, afferma Marchi, che invece ritiene che lo scrittore senese sia stato “ religiosamente necessitato” nelle sue inquietudini e lacerazioni di uomo moderno.

Nel saggio Federigo Tozzi e il Novecento ,(2001) Marchi evidenzia come lo scrittore appartenga a pieno titolo ai vertici della narrativa italiana del primo Novecento e di un intero secolo al pari di Pirandello e Svevo; ma il ritardo degli studiosi nella comprensione e valutazione della sua opera, ha causato un inevitabile ritardo nella ricezione del pubblico dei lettori.

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la prima è senza dubbio quella che vede Tozzi come uno scrittore “difficile”: il lettore, infatti, non si sente mai chiamato in causa da chi scrive , non si sente “ complicemente intelligente “, partecipe di una verità svelata; Tozzi tiene lontano il suo lettore rifiutando spiegazioni e messaggi propositivi da condividere . Il solo messaggio di Tozzi, semmai, è quello di una quasi totale assenza di uno spiraglio di salvezza nel mondo.

Inoltre ha una scrittura “difficile” che si esprime con l′ uso di un toscano di matrice senese, provinciale; una lingua che spesso appare antiquata, libresca e letteraria anche se , sottolinea Marchi, i dialoghi in Con gli occhi chiusi e nel Podere ripropongono fedelmente il parlato di un qualunque uomo dei tempi di Tozzi con una grande varietà di vocabolario, nella sintassi e nelle espressioni più colorite.

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E′ autore “difficile”, ancora, perché grande pessimista, debitore e prosecutore della lezione di Leopardi.

Insieme a Svevo e Pirandello, Tozzi apre le porte dell′ inconscio alla letteratura inaugurando il “romanzo interrogativo” del Novecento.

La lentezza nell′ accreditamento risente anche dell′ immagine di scrittore inconsapevole dotato di scarsissimi bagagli culturali , data da Debenedetti; in disaccordo con tale posizione, Marchi evidenzia ,invece, la cultura psicologica di Tozzi poiché tra i libri facenti parte della biblioteca tozziana molti sono di genere letterario, di impostazione religiosa e scientifica. Testi di W. James come Pricipi di psicologia e Le varie forme della coscienza

religiosa , Les névroses di Pierre Janet e la Psicologia dei sentimenti di Théodule Ribot, sono stati funzionali indubitabilmente ad una necessità psicoterapeutica autonoma,

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